Annunciare Cristo significa mostrare che credere in Lui e seguirlo non è solamente una cosa vera e giusta, ma anche bella

©Musei Vaticani

Annunciare Cristo significa mostrare che credere in Lui e seguirlo non è solamente una cosa vera e giusta, ma anche bella. Cuore del Vangelo è la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto”. Ispirata da queste parole di Francesco prosegue la collaborazione tra Musei Vaticani e Vatican News: i capolavori delle collezioni pontificie accompagnati dalle parole dei papi

Cenni di Francesco; scomparto di predella: Storie di Maria Maddalena, “Noli me tangere”; tempera e oro  su tavola; 1370-1375; Pinacoteca Vaticana, ©Musei Vaticani

Così è iniziata l’evangelizzazione, il mattino di Pasqua, con una donna-apostolo, Maria Maddalena che, dopo aver incontrato Gesù risorto, il Vivente, ha evangelizzato gli Apostoli. Si trovava presso il sepolcro di Gesù con tanti sentimenti tristi nel cuore: al dolore per la perdita del Maestro si aggiungevano la paura per il futuro e lo smarrimento per la presunta violazione della tomba. Ma il suo pianto si è cambiato in gioia, la sua solitudine in consolazione dopo aver trovato in Gesù l’amore che non delude mai, che non abbandona nemmeno davanti alla morte, che dà la forza di ritrovare il meglio di sé stessi. È vero per tutti: «la nostra tristezza infinita si cura soltanto con un infinito amore»”

(Papa Francesco – Partecipanti Incontro “La Chiesa in uscita” – 30 novembre 2019)

Vatican News

Liturgia DOMENICA di Pasqua Risurrezione del Signore (ANNO B)

Grado della Celebrazione: Domenica

Colore Liturgico  Bianco

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Che cos’è che fa correre l’apostolo Giovanni al sepolcro? Egli ha vissuto per intero il dramma della Pasqua, essendo molto vicino al suo maestro. Ci sembra perciò inammissibile un’affermazione del genere: “Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura”. Eppure era proprio così: non meravigliamoci allora di constatare l’ignoranza attuale, per molti versi simile. Il mondo di Dio, i progetti di Dio sono così diversi che ancor oggi succede che anche chi è più vicino a Dio non capisca e si stupisca degli avvenimenti.
“Vide e credette”. Bastava un sepolcro vuoto perché tutto si risolvesse? Credo che non fu così facile. Anche nel momento delle sofferenze più dure, Giovanni rimane vicino al suo maestro. La ragione non comprende, ma l’amore aiuta il cuore ad aprirsi e a vedere. È l’intuizione dell’amore che permette a Giovanni di vedere e di credere prima di tutti gli altri. La gioia di Pasqua matura solo sul terreno di un amore fedele. Un’amicizia che niente e nessuno potrebbe spezzare. È possibile? Io credo che la vita ci abbia insegnato che soltanto Dio può procurarci ciò. È la testimonianza che ci danno tutti i gulag dell’Europa dell’Est e che riecheggia nella gioia pasquale alla fine del nostro millennio.

BIBBIA E LITURGIA Esultiamo: è risorto!

Gli artisti raccontano la risurrezione - Famiglia Cristiana

La celebrazione della notte di Pasqua, la madre di tutte le veglie (sant’Agostino) inizia fuori dalla chiesa, nell’oscurità. Viene acceso e benedetto il fuoco, in un rito molto suggestivo, specialmente nelle chiese di campagna che hanno intorno i campi e non l’asfalto. Il richiamo è agli elementi della natura, ai cicli stagionali, al livello primigenio di questa festa affascinante e antica, ricca di significati plurimi. Infatti, lo strato più antico della Pasqua è quello di una festa agricolo-pastorale, in cui si celebrava il passaggio dal cupo inverno alla fiorente primavera che restituiva vita e speranza agli esseri umani.

Alla fiamma del  fuoco nuovo e benedetto si accende il cero pasquale, che viene portato solennemente dentro la chiesa; durante la processione si proclama La luce di Cristo mentre  si accendono progressivamente le candele dei fedeli. La luce di Cristo si propaga di candela in candela e ciascuno porta questa luce nelle tenebre del proprio cuore, rischiarandole. All’arrivo al presbiterio, il cero è incensato e si proclama l’Annuncio Pasquale (Exultet). E’ così grande ed entusiasmante la redenzione operata da Cristo che si può affermare che il peccato di Adamo fu una felice colpa, dato che meritò di avere un così grande redentore!

La liturgia della Parola ripercorre con sette letture dell’Antico Testamento gli eventi principali della storia della salvezza, dalla creazione del mondo alla liberazione del popolo d’Israele schiavo in  Egitto, fino alla promessa di uno spirito nuovo e un cuore nuovo per una  rinnovata alleanza. Si fa dunque riferimento al secondo livello di significato della Pasqua, cioè il passaggio (Pesach) degli israeliti dalla schiavitù alla libertà, evento fondativo della fede e della identità del popolo ebraico.

Al momento del canto solenne del Gloria (che non viene recitato durante la Quaresima), si sciolgono le campane che avevano taciuto durante il triduo pasquale, si accendono tutte le luci, si pongono i fiori sull’altare fino ad allora spoglio e si proclama il miracolo della resurrezione: l’Epistola annuncia la vita nuova in Cristo risorto, e nel Vangelo si legge il racconto dell’apparizione degli angeli alle donne la mattina di Pasqua.

L’annuncio della vita nuova in Cristo è il motivo per cui in questo momento della veglia si rinnovano le promesse battesimali e si somministrano ai catecumeni i sacramenti del battesimo e della confermazione.

“Si deve cantare l’Alleluia per capire cosa significa la Pasqua. Nel canto, la resurrezione pervade il nostro corpo. Nel canto, il Risorto ci penetra attraverso la pietra che sta davanti al nostro cuore e ci blocca. Mentre cantiamo, possiamo avvertire in noi la vita e l’amore, perché l’amore vuole e deve cantare. Sentiamo che il Risorto è davvero tra noi, anzi in noi. La resurrezione riguarda anche noi. Mentre cantiamo, sentiamo che la pietra viene spostata, non ci blocca più. Il sepolcro è aperto. Cristo è risorto, si alza insieme a me, esce con me dalla mia tomba. Ora posso varcare la mia soglia, posso uscire da me stesso, avverto in me la vita. Qualcosa sta fiorendo dentro di me e non devo far altro che cantare per far spazio a questa vita dentro di me. La Pasqua è la festa della vita. Festeggiamo la vittoria della vita sulla morte. Cristo ha vinto la morte, ma ciò significa che anche in noi la vita è più forte della morte, diventa immortale. Nell’eucarestia mangiamo e beviamo della nuova vita della resurrezione. In noi c’è ora una vita che spezza tutte le catene e che deve trovare espressione. Il fatto che la Pasqua si festeggi la prima domenica dopo la luna piena di primavera ha un significato profondo. Per gli antichi la natura era il simbolo dell’opera di Dio in noi. Il risveglio della vita in primavera ci mostra che in Cristo la vita ha vinto la morte. Osservare la natura ci aiuta a credere alla vita del Risorto. Intuiamo con tutti i sensi che ora la vita ha davvero sconfitto la morte… La vita che sboccia di nuovo in primavera tornerà a morire in autunno. Ma in questo rifiorire si cela la promessa di una vita che non morrà, la promessa di un’eterna primavera, di una Pasqua perenne” (Anselm Grun).

Anno dopo anno, “Pasqua torna, testarda e lieve come il battito del cuore, ad aprire fessure di speranza nei nostri gior­ni di crisi. Torna con parole e con segni capaci anco­ra di illuminare stralci di sentiero, di allargare feritoie di luce, invito a non lasciarci rinchiudere e bloccare dai mille problemi chi ci assediano”  (Ermes Ronchi).

Una vita rinnovata ci attende, come suggerisce l’incipiente primavera, e come sottolinea  Piero della Francesca, mostrandoci nel suo affresco, alle spalle di Gesù risorto,  da una parte gli alberi spogli dell’inverno e dall’altra quelli verdi della stagione nuova.

La nostra vita può riprendere, rinfrancata, sollevata, liberata dalla cupezza del pessimismo, capace di vedere le cose con occhi nuovi, ritrovando il coraggio e la gioia di vivere.

Dobbiamo fare:
dell’interruzione / un nuovo cammino,
della caduta / un passo di danza,
della paura / una scala,
del sogno / un ponte,
del bisogno / un incontro
(Fernando Sabino)

vinonuovo.it

Le (più belle) preghiere di Pasqua (proposta)

La festa delle feste spinge il cristiano a ringraziare e a condividere la gioia con gli altri, a partire dagli ultimi. L’esempio di san Benedetto, madre Teresa di Calcutta e Turoldo
Un'immagine del trionfo di Cristo risorto

Un’immagine del trionfo di Cristo risorto – ICP

avvenire.it

Pasqua è la festa delle feste, il giorno della gioia, in cui il credente ha la conferma che, sull’esempio di Cristo, lo aspetta la vita eterna. Perché la risurrezione di Gesù insegna che la morte non ha l’ultima parola. Una verità di fede, che ha dato forma a tantissime meditazioni e preghiere. Qui san Benedetto da Norcia (480-547), chiede a Dio di aiutarlo a conoscerlo davvero e a imparare a ragionare come Lui.

«Padre buono, ti prego
Dammi un’intelligenza che ti comprenda,

un animo che ti gusti,
una pensosità che ti cerchi,
una sapienza che ti trovi,
uno spirito che ti conosca,
un cuore che ti ami,
un pensiero che sia rivolto a te,
degli occhi che ti guardino,
una parola che ti piaccia,
una pazienza che ti segua,
una perseveranza che ti aspetti.
Dammi, ti prego,
la tua santa presenza,
la resurrezione,
la ricompensa
e la vita eterna».

La gioia della Risurrezione non può essere ridotta a festa privata, deve trasformarsi in servizio agli altri, a cominciare dai più poveri. In questo senso, riflette madre Teresa di Calcutta (1910-1997), ogni gesto, anche il più piccolo, è importante.

«Gesù è Dio: pertanto il Suo amore, la Sua sete sono infiniti. Abbiamo il potere di essere in Paradiso già da adesso e di essere felici insieme al Signore in questo momento. Dobbiamo solo amare come Dio ci ama, aiutare come Dio ci aiuta, donare come Dio dona e servire come Dio serve. Quello che facciamo è soltanto una goccia nell’oceano. Ma se questa goccia non ci fosse, all’oceano mancherebbe. Che questa Pasqua ti faccia capire l’importanza delle piccole cose per i grandi cambiamenti. Dio è pane, Dio è amore, Dio è per sempre».

Pasqua, si diceva all’inizio, è sinonimo di gioia. Una felicità che se condivisa trasforma la vita, la rende infinitamente più bella. E porta naturalmente a ringraziare Dio. È questo il senso della celebre poesia spirituale di David Maria Turoldo (1916-1992).

«Io vorrei donare una cosa al Signore,
ma non so che cosa.
Andrò in giro per le strade
zufolando, così,
fino a che gli altri dicano: è pazzo!
E mi fermerò soprattutto coi bambini
a giocare in periferia,
e poi lascerò un fiore
ad ogni finestra dei poveri
e saluterò chiunque incontrerò per via
inchinandomi fino a terra.
E poi suonerò con le mie mani
le campane sulla torre
a più riprese
finché non sarò esausto.
E a chiunque venga
anche al ricco dirò:
siedi pure alla mia mensa,
(anche il ricco è un povero uomo).
E dirò a tutti:
avete visto il Signore?
Ma lo dirò in silenzio
e solo con un sorriso.
Io vorrei donare una cosa al Signore,
ma non so che cosa.
Tutto è suo dono
eccetto il nostro peccato.
Ecco, gli darò un’icona
dove lui bambino guarda
agli occhi di sua madre:
così dimenticherà ogni cosa.
Gli raccoglierò dal prato
una goccia di rugiada
è già primavera
ancora primavera
una cosa insperata
non meritata
una cosa che non ha parole;
e poi gli dirò d’indovinare
se sia una lacrima
o una perla di sole
o una goccia di rugiada.
E dirò alla gente:
avete visto il Signore?
Ma lo dirò in silenzio
e solo con un sorriso.
Io vorrei donare una cosa al Signore,
ma non so che cosa.
Non credo più neppure alle mie lacrime,
e queste gioie sono tutte povere:
metterò un garofano rosso sul balcone
canterò una canzone
tutta per lui solo.
Andrò nel bosco questa notte
e abbraccerò gli alberi
e starò in ascolto dell’usignolo,
quell’usignolo che canta sempre solo
da mezzanotte all’alba.
E poi andrò a lavarmi nel fiume
e all’alba passerò sulle porte
di tutti i miei fratelli
e dirò a ogni casa: pace!
e poi cospargerò la terra
d’acqua benedetta in direzione
dei quattro punti dell’universo,
poi non lascerò mai morire
la lampada dell’altare
e ogni domenica mi vestirò di bianco».