Il gesto. Il Papa spiega la Domenica della Parola

Il 21 gennaio la quinta edizione della Giornata istituita dal Papa nel 2019. Quest’anno al centro un versetto tratto dal vangelo di san Giovanni: «Rimanete nella mia parola». Il sussidio della Cei

Una Bibbia miniata

Una Bibbia miniata – Foto da archivio

Il 21 gennaio torna la Domenica della Parola di Dio che per volere di papa Francesco cade ogni anno nella terza domenica del tempo ordinario. Un’occasione per ribadire una volta di più la centralità della Scrittura nella vita personale e comunitaria del credente. Tema della Giornata in questo 2024 è un versetto tratto dal vangelo di Giovanni: «Rimanete nella mia parola» (Gv 8,31). «Uno dei fatti più esaltanti nella storia del popolo di Israele – scrive monsignor Rino Fisichella, pro prefetto del Dicastero per l’evangelizzazione – è certamente quello di verificare come il veicolo privilegiato con il quale Dio si rivolge al popolo e ai singoli rimane quello della “parola”. Dire che Dio usa la “Parola” equivale pure ad affermare che Dio parla, cioè, Dio esce dal silenzio e nel suo amore si rivolge all’umanità. Il fatto che Dio parli implica che intende comunicare qualcosa di intimo, e di assolutamente necessario per l’uomo, senza il quale non potrebbe mai giungere a una piena conoscenza di sé stesso né del mistero di Dio». In occasione della Giornata il Papa domenica 21 presiede la Messa alle 9.30 nella basilica di San Pietro mentre iniziative, veglie e lectio sono organizzate pressocché in tutte le diocesi.
In preparazione all’evento gli Uffici Catechistico, Liturgico, per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso e per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto della Cei hanno preparato un Sussidio con alcune proposte per la preghiera e la meditazione centrate sul “kerygma”. Questo termine, spiega nella presentazione monsignor Giuseppe Baturi, segretario generale della Cei, indica «il contenuto fondamentale dell’annuncio cristiano: Gesù Cristo morto e risorto. Alle donne e agli uomini di oggi, che non si accontentano di vivere ma desiderano una qualità alta della vita, la fede cristiana propone la vita del Crocifisso-Risorto. È lui, che ha dato sé stesso per gli altri passando anche attraverso la morte, che il cristiano testimonia senza paura». Ecco allora che, osserva Baturi, «il kerygma cristiano non è una nozione o una affermazione appresa a memoria: è una relazione, una esperienza concreta condotta insieme e mantenuta nel tempo con tenacia». Le Sacre Scritture, ricorda il segretario generale, «ospitano questo kerygma, il racconto di quello che i nostri padri nella fede hanno sperimentato e si sono impegnati a trasmettere alle generazioni future». «Grazie all’azione dello Spirito – aggiunge – le Scritture colmano il divario temporale tra la comunità ecclesiale di oggi e la Chiesa primitiva e preparano il cuore a fare la stessa esperien¬za, la stessa sequela di Cristo, la stessa figliolanza del Padre celeste».

Come si diceva, quella del 2024 è la quinta edizione della Domenica della Parola di Dio. Il Papa l’ha istituita nel 2019 con la Lettera apostolica Aperuit illis. «In questa domenica, in modo particolare – scriveva Francesco -, sarà utile evidenziare la sua proclamazione e adattare l’omelia per mettere in risalto il servizio che si rende alla Parola del Signore. I vescovi potranno in questa Domenica celebrare il rito del Lettorato o affidare un ministero simile, per richiamare l’importanza della proclamazione della Parola di Dio nella liturgia. È fondamentale, infatti, che non venga meno ogni sforzo perché si preparino alcuni fedeli ad essere veri annunciatori della Parola con una preparazione adeguata, così come avviene in maniera ormai usuale per gli accoliti o i ministri straordinari della Comunione. Alla stessa stregua – aggiunge il Pontefice -, i parroci potranno trovare le forme per la consegna della Bibbia, o di un suo libro, a tutta l’assemblea in modo da far emergere l’importanza di continuare nella vita quotidiana la lettura, l’approfondimento e la preghiera con la Sacra Scrittura, con un particolare riferimento alla lectio divina». (avvenire.it)

Vaticano «Non distogliere lo sguardo dal povero» – Oggi VII Giornata mondiale dei poveri. Messaggio di Papa Francesco

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

VII GIORNATA MONDIALE DEI POVERI

Domenica XXXIII del Tempo Ordinario
19 novembre 2023

«Non distogliere lo sguardo dal povero» (Tb 4,7) 1. La Giornata Mondiale dei Poveri, segno fecondo della misericordia del Padre, giunge per la settima volta a sostenere il cammino delle nostre comunità. È un appuntamento che progressivamente la Chiesa sta radicando nella sua pastorale, per scoprire ogni volta di più il contenuto centrale del Vangelo. Ogni giorno siamo impegnati nell’accoglienza dei poveri, eppure non basta. Un fiume di povertà attraversa le nostre città e diventa sempre più grande fino a straripare; quel fiume sembra travolgerci, tanto il grido dei fratelli e delle sorelle che chiedono aiuto, sostegno e solidarietà si alza sempre più forte. Per questo, nella domenica che precede la festa di Gesù Cristo Re dell’Universo, ci ritroviamo intorno alla sua Mensa per ricevere nuovamente da Lui il dono e l’impegno di vivere la povertà e di servire i poveri.

«Non distogliere lo sguardo dal povero» (Tb 4,7). Questa Parola ci aiuta a cogliere l’essenza della nostra testimonianza. Soffermarci sul Libro di Tobia, un testo poco conosciuto dell’Antico Testamento, avvincente e ricco di sapienza, ci permetterà di entrare meglio nel contenuto che l’autore sacro desidera trasmettere. Davanti a noi si apre una scena di vita familiare: un padre, Tobi, saluta il figlio, Tobia, che sta per intraprendere un lungo viaggio. Il vecchio Tobi teme di non poter più rivedere il figlio e per questo gli lascia il suo “testamento spirituale”. Lui è stato un deportato a Ninive ed ora è cieco, dunque doppiamente povero, ma ha sempre avuto una certezza, espressa dal nome che porta: “il Signore è stato il mio bene”. Quest’uomo, che ha confidato sempre nel Signore, da buon padre desidera lasciare al figlio non tanto qualche bene materiale, ma la testimonianza del cammino da seguire nella vita, perciò gli dice: «Ogni giorno, figlio, ricordati del Signore; non peccare né trasgredire i suoi comandamenti. Compi opere buone in tutti i giorni della tua vita e non metterti per la strada dell’ingiustizia» (4,5).

2. Come si può osservare subito, il ricordo che il vecchio Tobi chiede al figlio non si limita a un semplice atto della memoria o a una preghiera da rivolgere a Dio. Egli fa riferimento a gesti concreti che consistono nel compiere opere buone e nel vivere con giustizia. Questa esortazione si specifica ancora di più: «A tutti quelli che praticano la giustizia fa’ elemosina con i tuoi beni e, nel fare elemosina, il tuo occhio non abbia rimpianti» (4,7).

Stupiscono non poco le parole di questo vecchio saggio. Non dimentichiamo, infatti, che Tobi ha perso la vista proprio dopo aver compiuto un atto di misericordia. Come egli stesso racconta, la sua vita fin da giovane era dedicata a opere di carità: «Ai miei fratelli e ai miei compatrioti, che erano stati condotti con me in prigionia a Ninive, nel paese degli Assiri, facevo molte elemosine. […] Davo il pane agli affamati, gli abiti agli ignudi e, se vedevo qualcuno dei miei connazionali morto e gettato dietro le mura di Ninive, io lo seppellivo» (1,3.17).

Per questa sua testimonianza di carità, il re lo aveva privato di tutti i suoi beni rendendolo completamente povero. Il Signore però aveva ancora bisogno di lui; ripreso il suo posto di amministratore, non ebbe timore di continuare nel suo stile di vita. Ascoltiamo il suo racconto, che parla anche a noi oggi: «Per la nostra festa di Pentecoste, cioè la festa delle Settimane, avevo fatto preparare un buon pranzo e mi posi a tavola:la tavola era imbandita di molte vivande. Dissi al figlio Tobia: “Figlio mio, va’, e se trovi tra i nostri fratelli deportati a Ninive qualche povero, che sia però di cuore fedele, portalo a pranzo insieme con noi. Io resto ad aspettare che tu ritorni, figlio mio”» (2,1-2). Come sarebbe significativo se, nella Giornata dei Poveri, questa preoccupazione di Tobi fosse anche la nostra! Invitare a condividere il pranzo domenicale, dopo aver condiviso la Mensa eucaristica. L’Eucaristia celebrata diventerebbe realmente criterio di comunione. D’altronde, se intorno all’altare del Signore siamo consapevoli di essere tutti fratelli e sorelle, quanto più diventerebbe visibile questa fraternità condividendo il pasto festivo con chi è privo del necessario!

Tobia fece come gli aveva detto il padre, ma tornò con la notizia che un povero era stato ucciso e lasciato in mezzo alla piazza. Senza esitare, il vecchio Tobi si alzò da tavola e andò a seppellire quell’uomo. Tornato a casa stanco, si addormentò nel cortile; gli cadde sugli occhi dello sterco di uccelli e divenne cieco (cfr 2,1-10). Ironia della sorte: fai un gesto di carità e ti capita una disgrazia! Ci viene da pensare così; ma la fede ci insegna ad andare più in profondità. La cecità di Tobi diventerà la sua forza per riconoscere ancora meglio tante forme di povertà da cui era circondato. E il Signore provvederà a suo tempo a restituire al vecchio padre la vista e la gioia di rivedere il figlio Tobia. Quando venne quel giorno, «Tobi gli si buttò al collo e pianse, dicendo: “Ti vedo, figlio, luce dei miei occhi!”.Ed esclamò: “Benedetto Dio! Benedetto il suo grande nome! Benedetti tutti i suoi angeli santi! Sia il suo santo nome su di noi e siano benedetti i suoi angeli per tutti i secoli. Perché egli mi ha colpito, ma ora io contemplo mio figlio Tobia”» (11,13-14).

3. Possiamo chiederci: da dove Tobi attinge il coraggio e la forza interiore che gli permettono di servire Dio in mezzo a un popolo pagano e di amare a tal punto il prossimo a rischio della sua stessa vita? Siamo davanti a un esempio straordinario: Tobi è uno sposo fedele e un padre premuroso; è stato deportato lontano dalla sua terra e soffre ingiustamente; è perseguitato dal re e dai vicini di casa… Nonostante sia di animo così buono è messo alla prova. Come spesso ci insegna la sacra Scrittura, Dio non risparmia le prove a quanti operano il bene. Come mai? Non lo fa per umiliarci, ma per rendere salda la nostra fede in Lui.

Tobi, nel momento della prova, scopre la propria povertà, che lo rende capace di riconoscere i poveri. È fedele alla Legge di Dio e osserva i comandamenti, ma questo a lui non basta. L’attenzione fattiva verso i poveri gli è possibile perché ha sperimentato la povertà sulla propria pelle. Pertanto, le parole che rivolge al figlio Tobia sono la sua genuina eredità: «Non distogliere lo sguardo da ogni povero» (4,7). Insomma, quando siamo davanti a un povero non possiamo voltare lo sguardo altrove, perché impediremmo a noi stessi di incontrare il volto del Signore Gesù. E notiamo bene quell’espressione «da ogni povero». Ognuno è nostro prossimo. Non importa il colore della pelle, la condizione sociale, la provenienza… Se sono povero, posso riconoscere chi è veramente il fratello che ha bisogno di me. Siamo chiamati a incontrare ogni povero e ogni tipo di povertà, scuotendo da noi l’indifferenza e l’ovvietà con le quali facciamo scudo a un illusorio benessere.

4. Viviamo un momento storico che non favorisce l’attenzione verso i più poveri. Il volume del richiamo al benessere si alza sempre di più, mentre si mette il silenziatore alle voci di chi vive nella povertà. Si tende a trascurare tutto ciò che non rientra nei modelli di vita destinati soprattutto alle generazioni più giovani, che sono le più fragili davanti al cambiamento culturale in corso. Si mette tra parentesi ciò che è spiacevole e provoca sofferenza, mentre si esaltano le qualità fisiche come se fossero la meta principale da raggiungere. La realtà virtuale prende il sopravvento sulla vita reale e avviene sempre più facilmente che si confondano i due mondi. I poveri diventano immagini che possono commuovere per qualche istante, ma quando si incontrano in carne e ossa per la strada allora subentrano il fastidio e l’emarginazione. La fretta, quotidiana compagna di vita, impedisce di fermarsi, di soccorrere e prendersi cura dell’altro. La parabola del buon samaritano (cfr Lc 10,25-37) non è un racconto del passato, interpella il presente di ognuno di noi. Delegare ad altri è facile; offrire del denaro perché altri facciano la carità è un gesto generoso; coinvolgersi in prima persona è la vocazione di ogni cristiano.

5. Ringraziamo il Signore perché ci sono tanti uomini e donne che vivono la dedizione ai poveri e agli esclusi e la condivisione con loro; persone di ogni età e condizione sociale che praticano l’accoglienza e si impegnano accanto a coloro che si trovano in situazioni di emarginazione e sofferenza. Non sono superuomini, ma “vicini di casa” che ogni giorno incontriamo e che nel silenzio si fanno poveri con i poveri. Non si limitano a dare qualcosa: ascoltano, dialogano, cercano di capire la situazione e le sue cause, per dare consigli adeguati e giusti riferimenti. Sono attenti al bisogno materiale e anche a quello spirituale, alla promozione integrale della persona. Il Regno di Dio si rende presente e visibile in questo servizio generoso e gratuito; è realmente come il seme caduto nel terreno buono della vita di queste persone che porta il suo frutto (cfr Lc 8,4-15). La gratitudine nei confronti di tanti volontari chiede di farsi preghiera perché la loro testimonianza possa essere feconda.

6. Nel 60° anniversario dell’Enciclica Pacem in terris, è urgente riprendere le parole del santo Papa Giovanni XXIII quando scriveva: «Ogni essere umano ha il diritto all’esistenza, all’integrità fisica, ai mezzi indispensabili e sufficienti per un dignitoso tenore di vita, specialmente per quanto riguarda l’alimentazione, il vestiario, l’abitazione, il riposo, le cure mediche, i servizi sociali necessari; e ha quindi il diritto alla sicurezza in caso di malattia, di invalidità, di vedovanza, di vecchiaia, di disoccupazione, e in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà» (n. 6).

Quanto lavoro abbiamo ancora davanti a noi perché queste parole diventino realtà, anche attraverso un serio ed efficace impegno politico e legislativo! Malgrado i limiti e talvolta le inadempienze della politica nel vedere e servire il bene comune, possa svilupparsi la solidarietà e sussidiarietà di tanti cittadini che credono nel valore dell’impegno volontario di dedizione ai poveri. Si tratta certo di stimolare e fare pressione perché le pubbliche istituzioni compiano bene il loro dovere; ma non giova rimanere passivi in attesa di ricevere tutto “dall’alto”: chi vive in condizione di povertà va anche coinvolto e accompagnato in un percorso di cambiamento e di responsabilità.

7. Ancora una volta, purtroppo, dobbiamo constatare nuove forme di povertà che si assommano a quelle già descritte in precedenza. Penso in modo particolare alle popolazioni che vivono in luoghi di guerra, specialmente ai bambini privati di un presente sereno e di un futuro dignitoso. Nessuno potrà mai abituarsi a questa situazione; manteniamo vivo ogni tentativo perché la pace si affermi come dono del Signore Risorto e frutto dell’impegno per la giustizia e il dialogo.

Non posso dimenticare le speculazioni che, in vari settori, portano a un drammatico aumento dei costi che rende moltissime famiglie ancora più indigenti. I salari si esauriscono rapidamente costringendo a privazioni che attentano alla dignità di ogni persona. Se in una famiglia si deve scegliere tra il cibo per nutrirsi e le medicine per curarsi, allora deve farsi sentire la voce di chi richiama al diritto di entrambi i beni, in nome della dignità della persona umana.

Come non rilevare, inoltre, il disordine etico che segna il mondo del lavoro? Il trattamento disumano riservato a tanti lavoratori e lavoratrici; la non commisurata retribuzione per il lavoro svolto; la piaga della precarietà; le troppe vittime di incidenti, spesso a causa della mentalità che preferisce il profitto immediato a scapito della sicurezza… Tornano alla mente le parole di san Giovanni Paolo II: «Primo fondamento del valore del lavoro è l’uomo stesso. […] L’uomo è destinato ed è chiamato al lavoro, però prima di tutto il lavoro è “per l’uomo”, e non l’uomo “per il lavoro”» (Enc. Laborem exercens, 6).

8. Questo elenco, già di per sé drammatico, dà conto in modo solo parziale delle situazioni di povertà che fanno parte del nostro quotidiano. Non posso tralasciare, in particolare, una forma di disagio che appare ogni giorno più evidente e che tocca il mondo giovanile. Quante vite frustrate e persino suicidi di giovani, illusi da una cultura che li porta a sentirsi “inconcludenti” e “falliti”. Aiutiamoli a reagire davanti a queste istigazioni nefaste, perché ciascuno possa trovare la strada da seguire per acquisire un’identità forte e generosa.

È facile, parlando dei poveri, cadere nella retorica. È una tentazione insidiosa anche quella di fermarsi alle statistiche e ai numeri. I poveri sono persone, hanno volti, storie, cuori e anime. Sono fratelli e sorelle con i loro pregi e difetti, come tutti, ed è importante entrare in una relazione personale con ognuno di loro.

Il Libro di Tobia ci insegna la concretezza del nostro agire con e per i poveri. È una questione di giustizia che ci impegna tutti a cercarci e incontrarci reciprocamente, per favorire l’armonia necessaria affinché una comunità possa identificarsi come tale. Interessarsi dei poveri, quindi, non si esaurisce in frettolose elemosine; chiede di ristabilire le giuste relazioni interpersonali che sono state intaccate dalla povertà. In tal modo, “non distogliere lo sguardo dal povero” conduce a ottenere i benefici della misericordia, della carità che dà senso e valore a tutta la vita cristiana.

9. La nostra attenzione verso i poveri sia sempre segnata dal realismo evangelico. La condivisione deve corrispondere alle necessità concrete dell’altro, non a liberarmi del mio superfluo. Anche qui ci vuole discernimento, sotto la guida dello Spirito Santo, per riconoscere le vere esigenze dei fratelli e non le nostre aspirazioni. Ciò di cui sicuramente hanno urgente bisogno è la nostra umanità, il nostro cuore aperto all’amore. Non dimentichiamo: «Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro» (Evangelii gaudium, 198). La fede ci insegna che ogni povero è figlio di Dio e che in lui o in lei è presente Cristo: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).

10. Quest’anno ricorre il 150° anniversario della nascita di santa Teresa di Gesù Bambino. In una pagina della sua Storia di un’anima scrive così: «Ora capisco che la carità perfetta consiste nel sopportare i difetti altrui, non stupirsi assolutamente delle loro debolezze, edificarsi nei minimi atti di virtù che vediamo praticare, ma soprattutto ho capito che la carità non deve restare chiusa in fondo al cuore: “Nessuno, ha detto Gesù, accende una fiaccola per metterla sotto il moggio ma la si mette sul candeliere, affinché illumini tutti quelli che sono nella casa”. Mi sembra che questa fiaccola rappresenti la carità che deve illuminare, rallegrare non solo coloro che sono a me più cari, ma tutti coloro che sono nella casa, senza eccettuare nessuno» (Ms C, 12r°: Opere complete, Roma 1997, 247).

In questa casa che è il mondo, tutti hanno diritto a essere illuminati dalla carità, nessuno può esserne privato. La tenacia dell’amore di Santa Teresina possa ispirare i nostri cuori in questa Giornata Mondiale, ci aiuti a “non distogliere lo sguardo dal povero” e a mantenerlo sempre fisso sul volto umano e divino del Signore Gesù Cristo.

Roma, San Giovanni in Laterano, 13 giugno 2023, Memoria di Sant’Antonio di Padova, patrono dei poveri.

FRANCESCO

Lotta agli abusi. Il Papa: «Nessun silenzio può essere accettato»

Francesco ha ricevuto questa mattina referenti dei servizi e dei centri di ascolto diocesani della Cei. «Importante perseguire coloro che commettono tali crimini, ancor più se in contesti ecclesiali»

L'udienza di papa Francesco con i referenti sei Servizi e dei Centri di ascolto per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili delle diocesi italiane

L’udienza di papa Francesco con i referenti sei Servizi e dei Centri di ascolto per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili delle diocesi italiane – Siciliani

avvenire.it

“Nessun silenzio o occultamento può essere accettato in tema di abusi. Questa non è materia negoziabile”. Così si è espresso questa mattina, 18 novembre, il Papa nell’udienza ai referenti dei servizi e dei centri di ascolto diocesani della Conferenza Episcopale Italiana. Per Francesco “è importante perseguire l’accertamento della verità e il ristabilimento della giustizia all’interno della comunità ecclesiale anche in quei casi in cui determinati comportamenti non siano considerati reato per la legge dello Stato, ma lo sono per la normativa canonica”.

“La cura delle ferite – ha proseguito il Pontefice – è anche un’opera di giustizia. Proprio per questo è importante perseguire coloro che commettono tali crimini, ancor più se in contesti ecclesiali”. “Loro stessi – ha sottolineato Papa Francesco – hanno il dovere morale di una profonda conversione personale che conduca al riconoscimento alla loro infedeltà” e all'”umile richiesta di perdono delle vittime per le proprie azioni”.

Dopo aver salutato il presidente della Cei, cardinale Matteo Zuppi, il segretario generale, monsignor Giuseppe Baturi e il vescovo incaricato di seguire l’attività di protezione dei minori, Lorenzo Ghizzoni, il Papa ha lodato l’impegno della Chiesa italiana su questo fronte. “Voi rappresentate – ha detto – l’impegno della Chiesa in Italia nel promuovere una cultura di tutela per i minori e i più vulnerabili. E mi congratulo anche perché avete risposto prontamente all’ invito con il rapporto sulla vostra rete territoriale” (rapporto presentato giovedì ad Assisi, a conclusione dell’assemblea straordinaria dei vescovi, ndr).

Francesco ha poi indicato tre verbi per indirizzare l’azione di prevenzione e protezione anche in futuro. “Custodire, ascoltare e curare”. Quanto al primo. ha spiegato: “Custodire è partecipare attivamente al dolore delle persone ferite e far sì che tutta la comunità sia responsabile della protezione dei minori e di chi è più vulnerabile. Tutta la comunità cristiana, nella ricchezza delle sue componenti e competenze, dev’essere coinvolta, perché l’azione di tutela è parte integrante della missione della Chiesa nella costruzione del Regno di Dio”. Custodire, in sostanza, “significa orientare il proprio cuore, il proprio sguardo e il proprio operato a favore dei più piccoli e indifesi”. E vuol dire anche, ha aggiunto il Pontefice, “prevenire le occasioni di male, e questo è possibile soltanto attraverso una costante attività di formazione, volta a diffondere sensibilità e attenzione alla tutela dei più fragili. E questo è importante anche fuori dal nostro mondo ecclesiastico. Pensate – ha specificato il Papa – che, secondo le statistiche mondiali, tra il 42 e il 46 per cento degli abusi si fanno in famiglia o nel quartiere. Zitto, si copre tutto: gli zii, i nonni, i fratelli, tutto. Poi, nel mondo dello sport, poi nelle scuole, e così via”.

Il secondo elemento è ascoltare, ha ribadito il Pontefice. “L’ascolto delle vittime è il passo necessario per far crescere una cultura della prevenzione, che si concretizza nella formazione di tutta la comunità, nell’attuazione di procedure e buone prassi, nella vigilanza e in quella limpidezza dell’agire che costruisce e rinnova la fiducia. Solo l’ascolto del dolore delle persone che hanno sofferto questi terribili crimini apre alla solidarietà e spinge a fare tutto il possibile perché l’abuso non si ripeta. Siamo chiamati a una reazione morale, a promuovere e a testimoniare la vicinanza verso coloro che sono stati feriti da un abuso. Saper ascoltare è prendersi cura delle vittime”.

Infine “solo percorrendo la strada del custodire e dell’ascoltare è possibile curare”. Le vittime, innanzitutto, ma anche i colpevoli. A tal proposito il Papa ha detto: “Loro stessi hanno il dovere morale di una profonda conversione personale, che conduca al riconoscimento della propria infedeltà vocazionale, alla ripresa della vita spirituale e all’umile richiesta di perdono alle vittime per le proprie azioni”.

Nell’ultima parte del suo discorso, papa Francesco è tornato a lodare l’impegno della Cei su questo fronte, aggiungendo anche una richiesta riguardo alla lotta contro la pedopornografia. “Esprimo apprezzamento per le realtà che voi rappresentate, Servizi per la tutela dei minori e Centri di ascolto, diffusi in tutto il Paese come luoghi cui riferirsi per trovare ascolto. Continuate a compiere ogni sforzo. E prendetevi cura anche di una cosa molto brutta che succede, che sono i filmati pornografici che usano i bambini. Questo succede, anzi, è a portata di mano di chiunque paghi, sul telefonino. Dove si fanno, questi filmati? Chi è il responsabile? In quale Paese? Per favore, lavorare su questo: è una lotta che dobbiamo fare perché si diffonde nei telefonini la cosa più brutta”. Continuate a compiere ogni sforzo perché tutti coloro che sono stati feriti dalla piaga degli abusi possano sentirsi liberi di rivolgersi con fiducia ai Centri di ascolto, trovando quell’accoglienza e quel sostegno che possano lenire le loro ferite e rinnovare la fiducia tradita”.

Francesco si è soffermato pure sui risultati della rilevazione sulle attività dei Servizi e dei Centri. “Mettono in luce – ha sottolineato – proprio il bene che sapete compiere sul territorio, facendovi prossimi a chi ha patito una ferita lacerante. Quello che state facendo è prezioso sia per le vittime sia per tutta la comunità ecclesiale. Emerge da queste pagine la testimonianza di un impegno costante e
condiviso. Questa è la strada per creare fiducia, la fiducia che porta ad un reale rinnovamento”. Il grazie del Pontefice si è quindi esteso anche al “supporto che state fornendo ad altre Conferenze Episcopali; come pure per il sostegno ai piani della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori verso quei Paesi, specialmente in via di sviluppo, che dispongono di scarse risorse per la
prevenzione e per l’attuazione di politiche di tutela. Andate avanti!”, ha concluso.

La “catechesi dell’umanità”: il cinema secondo Papa Francesco

Il Papa durante una proiezione cinematografica

Al quinto Congresso di Filosofia e Cinema dell’Università Cattolica di Valencia, in Spagna, monsignor Dario Viganò, presidente della Fondazione Memorie Audiovisive del Cattolicesimo e vicecancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, ha illustrato i diversi riferimenti all’universo della celluloide nei discorsi, nei documenti e nel magistero del Papa: con Bergoglio il linguaggio cinematografico è diventato un valore aggiunto nel dialogo con il mondo
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Gli insegnamenti di Papa Francesco consentono di vedere nel cinema una “catechesi dell’umanità”: è quanto ha detto monsignor Dario Edoardo Viganò, presidente della Fondazione Memorie Audiovisive del Cattolicesimo (Mac) e vicecancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, prendendo parte al quinto Congresso di filosofia e cinema organizzato dall’Università Cattolica di Valencia, in Spagna, che si è svolto dal 25 al 27 ottobre. Nel suo intervento, Viganò ha evidenziato che i numerosi riferimenti sul cinema nei discorsi e nelle omelie di Francesco rappresentano l’ultima tappa di un percorso lungo e spesso contraddittorio che ha portato l’atteggiamento della Chiesa a superare, non senza difficoltà, la diffidenza nei confronti della “settima arte”, da sempre fonte di preoccupazione educativa e di giudizio morale nel quadro di una più generale condanna della modernità.

Il linguaggio e i codici espressivi nella cinematografia
Proprio quella sua “catechesi dell’umanità” ha portato il cinema a superare lo status di “oggetto” – e come tale degno di attenzione, ma anche di costante censura – e di acquisire quello di “soggetto”, dotato quindi di un proprio linguaggio e di codici espressivi particolari, coinvolto nei “processi pedagogici e catechetici proposti dall’istituzione ecclesiastica”, ha spiegato il presidente della Fondazione Mac, che ha citato pure il richiamo di Papa Francesco, nel messaggio al Centro Televisivo Vaticano nel 30.mo anniversario della sua istituzione, a non tirarsi indietro davanti alle nuove sfide imposte dalla modernità, a mantenere salda “la prospettiva in questa specie di ‘autostrada globale della comunicazione’” e “ad aprire il campo dell’apostolato anche a quegli strumenti che possono offrire uno sguardo nuovo sulla realtà e ‘provocare la coscienza’ dei credenti”.

Bergoglio e la produzione neorealista
Circa il rapporto di Francesco con il cinema, Viganò ha fatto notare che “la produzione neorealista, alla quale il Papa ricorda di essersi avvicinato grazie ai genitori, può essere indicata come uno dei fondamenti della cultura cinematografica che Bergoglio ha coltivato e arricchito nel tempo, e di cui troviamo chiare testimonianze nel suo insegnamento”. Nell’incontro con i giovani cresimandi di Milano, nel 2017, ad esempio, “il Papa ha citato ‘I bambini ci guardiano’ di Vittorio De Sica per sottolineare ‘che quei film italiani del dopoguerra e poco dopo, furono, in generale, una vera catechesi dell’umanità’”. E non era la prima volta che il Pontefice faceva riferimento alla pellicola, che, ha osservato il vicecancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, evidentemente considera un’alta testimonianza della necessità di creare relazioni basate su uno sguardo bidirezionale, che unisca in un’unica trama chi guarda e ciò che è guardato.

La sfida culturale del cinema
“Il linguaggio cinematografico è entrato subito con forza nel pontificato di Francesco – ha poi evidenziato monsignor Viganò – ed è diventato, si potrebbe dire, un valore aggiunto per quella rivoluzione comunicativa finalizzata a un rinnovato dialogo con il mondo”. Si può dire, ha soggiunto, che la “catechesi dell’umanità” nel cinema è “una sfida culturale globale che Papa Francesco ha dimostrato di aver pienamente compreso e che in un certo senso ha anticipato, attraverso uno sguardo critico e un confronto costante con l’universo in continua espansione dei mass media. Lo dimostra il fatto, ha concluso monsignor Viganò, che il Pontefice ha voluto rilanciare lo strumento cinematografico nel suo magistero attraverso i continui riferimenti che si sono fatti strada nei suoi discorsi, nelle omelie e nei documenti ufficiali.