Tv2000 nell’anniversario dell’assassinio di Paolo Borsellino e della sua scorta

Come una forza spirituale calma profondissima. Che ha conosciuto cosa sia la perdita di un congiunto per responsabilità della mafia ma che non ha parole di odio, che non si abbarbica al risentimento, bensì alla quiete radiante della terra e della luce, a quella bellezza e a quell’amore che nessuna bomba potrà mai estirpare, alla continuazione dell’integrità morale dei propri cari in chi resta.

È il sentire privato eppure comune che attraversa le testimonianze racchiuse in Il Dono della Luna di Gianni Vukaj, in anteprima lo scorso febbraio al Sudestival di Monopoli in Puglia e in onda stasera 19 luglio alle 22.45 su Tv2000 nell’anniversario dell’assassinio di Paolo Borsellino e della sua scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina.

Sono risonanze dell’anima che troviamo nel primo racconto dalla campagna vicino Firenze, nelle parole addolorate e dolci di Patrizia Nencioni (col marito Luigi) e di Teresa Fiume, sorelle rispettivamente di Fabrizio e Angela rimasti uccisi con le loro bambine, Nadia di nove anni e Caterina di due mesi, nell’attentato all’Accademia dei Georgofili vicino agli Uffizi la notte tra il 26 e il 27 maggio ’93. In una ranocchia di pezza amatissima da Nadia e ritrovata in cima a cumuli di macerie esplose, nella certezza di Teresa quando il figlio le chiede cosa ha provato davanti a Riina nell’aula bunker: “mai morte a morte”. Ancora è nella luce carezzevole di un pomeriggio al parco a Palermo con Fiammetta Borsellino – la minore dei tre figli di Paolo – e le sue bambine Felicita e Futura, ritratto filiale e intimo del magistrato palermitano ucciso 28 anni fa: Il tempo delle mele visto insieme, la delusione per il concerto negato dei Duran Duran, la gioiosità del padre e il suo essere cercato dai nipoti, mentre le bambine arrampicandosi sull’albero giocano forse col nonno che non c’è più…

Fiammetta ha ereditato il coraggio e l’autorevolezza dolente di chi non potrà mai barare sulla pelle degli altri, di chi sa farsi guida di una comunità come delle sue bimbe nel grande cesto della bici… Per Fiammetta “chi uccide, uccide la parte migliore di sé”.

Infine tutto questo risuona nel chiarore dei campi di grano di San Marco in Lamis (FG), al binario dove il 9 agosto 2017 furono assassinati i fratelli Aurelio e Luigi Luciani, agricoltori, trovatisi per caso in un agguato mafioso. Da questo avamposto tragico inimmaginabile, le loro mogli Maria Anna Ciavarella e Arcangela Petrucci – tra fuori fuoco offuscati dal dolore – fanno librare parole che ritornano a quel giorno, al ricordo del grido della suocera, al diritto di sapere, mentre i figli giocano nella campagna dei padri, mentre Arcangela darebbe tutto per quei dieci minuti col marito al supermercato di corsa prima della chiusura.

Ma al tempo stesso è un sentire che ha potuto esprimersi grazie a una visione umana condivisa con la squadra intorno a Vukaj: da Beatrice Bernacchi, che con lui firma la scrittura, a Gabriella Tafuri e Concetta Malatesta per la Tv2000 Factory, al piccolo Antonio Tancredi Cadili, tenero narratore delle tre storie come de L’Orlando furioso. Un reciproco affidarsi che disvela le doti visionarie di Vukaj nonché i doni incommensurabili che la luna riserva a chi, come Astolfo, non smette mai di nutrire d’amore e di verità la distanza dal bene perduto.

Ci racconta la genesi del progetto e come siete giunti a questo taglio intimo, non comune.

Il film ha origine da una proposta che il nuovo direttore di rete Vincenzo Morgante ha fatto a me e a Beatrice Bernacchi. Sapeva che avremmo toccato carne occhi mani di queste storie e non la dimensione giudiziaria, che non ci appartiene. Dal suo input ci siamo chiesti come raccontare: un attentato apre uno squarcio nella vita di chi resta e così abbiamo cercato di avvicinarci alle anime, alle piccole cose. Prima però c’è stato un lungo lavoro di studio sui singoli casi: volevamo capire come ci saremmo dovuti rapportare. Man mano, in questi sette mesi di ricerca, attraverso i contatti telefonici, sono emerse tre storie. In modo sorprendente era come se fossero loro ad aspettare noi. Per esempio le due donne del capitolo dei Georgofili, pur essendo state contattate nel tempo da tanti, in 26 anni non avevano ancora mai parlato con nessuno.

In tutte le storie c’è un esplicito rinnegare la vendetta e l’odio per scegliere l’amore e la vita, come una “forza calma”.

Di questa propensione comune ci siamo accorti dalle strette di mano, dal caffè preso insieme nelle loro case. A queste persone si chiede di donare una parte importantissima e peraltro dolorosa della loro vita, così mi vedo sempre nei loro panni e mi chiedo, ma io lo farei? Per questo ci tengo sempre a incontrarci e a guardarci negli occhi. Ci sono stati tanti segnali che era la via giusta: per esempio appena arrivati a casa di Fiammetta Borsellino, sua figlia Felicita stava leggendo un libro sulla luna…

Come ha affrontato vissuti così radicali non conosciuti direttamente?

Può attenere a un lutto per una morte casuale o a uno dovuto alla mafia, ma io credo che la sofferenza sia universale. Da parte mia, ho sempre raccontato le periferie, i conflitti, le migrazioni, ho lavorato in Israele e Palestina, a Lampedusa. Amo narrare l’essere umano, la bellezza come il dolore. Mi viene istintivo immedesimarmi invece ho dovuto col tempo imparare a prendere un po’ di distanza da questo sentire, a buttare fuori.

A ogni storia avete donato le sue luci e le sue ombre…

Volevo cogliere i protagonisti in momenti della giornata a loro cari. Così con il mio operatore Roberto Evangelista abbiamo intervistato Patrizia Nencioni proprio nell’ora in cui va a fare le sue passeggiate. Pochi minuti in più, se si tratta di luce, possono cambiare tutto: sono cresciuto in Toscana e conosco quei paesaggi, quei tramonti. Con la bomba ai Georgofili la mafia ha voluto colpire la bellezza, ma quella meraviglia è ancora lì. Per questo ho voluto mostrarla, lo dovevo a Nadia e alle sue poesie. Lo stesso è stato con la luce abbacinante del parco pubblico di Palermo, abbiamo seguito Fiammetta e le figlie nell’ora in cui sono solite andare. E vale per i campi di grano della Puglia, quel grano che è vita e che è pane. Abbiamo voluto fare le riprese poco prima che fosse raccolto…

Il film ha una visionarietà sul futuro molto spiccata, ma ci sono anche squarci in cui il tempo si riavvolge…

Ci siamo accorti che i bambini erano il fil rouge di queste tre storie e – dopo aver scoperto la simpatia di Antonio in un suo intervento su internet – abbiamo voluto che fosse lui il nostro cantastorie. Per quanto riguarda questa vicinanza della telecamera di cui parla, mi hanno sempre insegnato a riprendere i bambini da pari. Con loro abbiamo cercato una intimità da coetanei. Quando la figlia di Fiammetta si arrampicava sull’albero noi la seguivamo, attaccati, come a mostrare ciò che avrebbe visto il nonno, come le avrebbe dato la mano per aiutarla a salire…. Invece il rewind alla fine di ogni capitolo dà a chi guarda quei dodici secondi per riflettere su quello che ha visto prima di passare alla storia successiva, e insieme ci ricorda di custodire la memoria.

Data la vicinanza nel tempo della storia di San Marco in Lamis, si resta sconvolti dal coraggio con cui Maria Anna e Arcangela parlano dal binario, ma si avverte la forza terapeutica trasformativa del progetto per tutti protagonisti del film.

Il binario è stata una mia proposta. Fortissima. Loro non solo hanno accettato ma hanno detto cose che mai mi sarei aspettato. Il momento in cui Maria Anna indica il punto cruciale a pochi metri da sé, dicendo che suo marito poteva forse nascondersi e salvarsi, mi è rimasto impresso dalla prima volta che l’ho sentito in cuffia. A lei e ad Arcangela avevo detto, mi piacerebbe riprendervi tutti insieme in campagna. Da allora non erano più andati. Dopo un mese e mezzo sono riuscito a convincere Maria Anna con i figli, ma dopo un po’ quella sera sono arrivati tutti e sono rimasti fino a tardi.

Appare il padre dei due fratelli ma il fuoricampo è gravido dell’assenza significativa della loro madre. Sono sue le grandi braccia femminili inquadrate per un momento a cornice dei giochi della piccola figlia di Aurelio?

É lei. Avrei voluto ci fosse. In uno dei primi incontri che abbiamo fatto con la famiglia, ci siamo incrociati con gli occhi e lei mi ha detto tante cose. Ho capito che non era il caso di chiederle nulla e ho rispettato la sua volontà. Poi quella sera di cui parlavo è venuta in campagna…

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