Happy New Year Programmi in tv oggi, 31 dicembre 2023: come aspettare il nuovo anno

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Su Rai Uno L’anno che verrà, su Canale 5 Capodanno in musica. Guida ai programmi Tv della serata del 31 dicembre 2022

Cosa ci propone la programmazione televisiva di sabato 31 dicembre 2022? Per permettervi una consultazione più ordinata abbiamo pensato di dividere i programmi in sezioni tematiche e di mettere per ogni film/telefilm la relativa trama e per ogni rubrica di attualità il contenuto della puntata. Di seguito il planning con la programmazione serale dei principali canali tv in chiaro e non.

COME ASPETTARE IL 2023…

Su Rai Uno dalle 21 L’Anno che Verrà. “L’Anno che Verrà”, ormai alla 20^ edizione, è la tradizionale festa di Rai1 dedicata al Capodanno che quest’anno andrà in onda in diretta da Perugia in collaborazione con la Regione Umbria. Come sempre sarà una grande serata fatta di musica, grandi ospiti, emozioni e sorprese per salutare il 2022 e festeggiare l’arrivo del 2023. Su Canale 5 dalle 20.53 Capodanno in musica. In diretta da Piazza de Ferrari a Genova, Federica Panicucci conduce il concerto di Capodanno all’insegna della grande musica, con collegamenti con le piazze di Bari e Matera.

FILM

Su Rai Due dalle 21. Gli Aristogatti. Parigi, 1910: Madame Adelaide, ex cantante lirica, decide di nominare eredi i suoi quattro gatti, mamma Duchessa ed i cuccioli Minou, Bizet e Matisse. La cosa suscita le invidie del maggiordomo di casa. Su Rai 4 dalle 21.20 La quinta onda. Ohio, terzo millennio. La liceale Cassie Sullivan si trova nel mezzo di un attacco alieno globale. Col padre e il fratello Sam cercano di resistere. Ci riusciranno? Su Rai Movie dalle 21.20. Joyeux Noël – Una verità dimenticata dalla storia. Alla vigilia di Natale del 1914, nelle trincee dell’Artois durante la prima guerra mondiale, soldati francesi, scozzesi e prussiani interrompono le ostilità per qualche ora. Si accordano per una tregua natalizia grazie al potere della musica e brindano all’anno nuovo tutti insieme. Quella notte cambia la vita di quattro personaggi: un prete anglicano, un tenente francese, un grande tenore tedesco e la donna che ama, un soprano. Su Rai Movie dalle 21.10 Sacro e profano. Birmania, Seconda guerra mondiale. Combattimenti e passioni fanno da sfondo all’incontro fra il capitano Reynolds e la profuga italiana Carla. Sarà amore? Su Italia 1 dalle 21.30 Mrs. Doubtfire – Mammo per sempre. Daniel, dopo il divorzio dalla moglie, per poter vedere i suoi tre figli, si traveste da domestica per stare sempre vicino a loro. Su Rete 4 dalle 21.31 Poliziotto superpiu’. Terence Hill e’ il poliziotto Dave Speed, un agente di Miami dotato di superpoteri dopo un incidente, alle prese con una banda di falsari.  Su Sky Cinema dalle 21.15 Beata te. Marta, regista di teatro, si trova a un passo dal debutto della sua versione di Amleto. Il giorno del suo quarantesimo compleanno riceve una visita inaspettata: l’Arcangelo Gabriele, il quale le annuncia che presto avrà un figlio.

INTRATTENIMENTO

Su Rai Tre dalle 21.20 Festival del Circo di Montecarlo. Si riaccendono le luci sul Circo di Montecarlo con un ciclo di rimontaggi dei più affascinanti appuntamenti della pista circense più famosa e amata dagli italiani, alla 44esima edizione. Giocolieri, trapezisti, fantasisti, contorsionisti, acrobati e performer attuali e contemporanei si esibiscono in un’atmosfera magica che coinvolge con il fiato sospeso adulti e bambini. Giochi di luce, musica e spettacolo accompagnano lo show circense che da sempre raccoglie di fronte allo schermo appassionati telespettatori.

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Quella reliquia abbracciata

«Ieri, proprio da Bucha mi hanno portato questa bandiera» ha detto il Papa mercoledì in Udienza, e si è alzato, a mostrarla nella sua interezza. «Viene dalla guerra – ha aggiunto –, proprio da quella città martoriata, Bucha». E l’ha allargata fra le braccia perché si vedesse bene, la bandiera ucraina, così scolorita. Perché è blu cielo e giallo sole l’emblema di Kiev, ma quella arrivata a Francesco era sbiadita nell’azzurro, e spenta nel giallo. Come fosse stata lungamente esposta a una finestra, mentre le bombe cadevano e le raffiche di proiettili crepitavano; come se il sole e la pioggia e la polvere l’avessero invecchiata. (Erano forse così le antiche bandiere sventolanti sulle torri delle città assediate?). Questa che il Papa offre al mondo allargando le braccia, stazzonata, marchiata di scritte, sporca, è proprio una sfinita bandiera. Come la città di Bucha e la sua gente uccisa, insepolta o sepolta in fosse comuni, e infine come ultimo affronto negata: «Non siamo stati noi, è una messinscena». Ci sono gesti che valgono più di molte parole. Quell’alzare di Francesco il blu e il giallo di Bucha non ha bisogno di traduzione. Dall’Africa alla Cina, dall’America alla Russia, chi ha visto ha capito: il Papa sta con le vittime. Poi, salutati i bambini ucraini, Francesco ha rapidamente, quasi devotamente baciato la bandiera ripiegata. Come si fa con la reliquia di un santo, o di un martire.

O di una città martoriata.

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Aprirsi al soffio dello Spirito: il cristianesimo e le sfide dell’oggi

Tiziano, «Discesa dello Spirito Santo»(particolare, 1545-1546)

Oggi si sente dire che c’è bisogno di “nuove narrazioni” del Vangelo come servizio alla crescita nella giustizia, nella pace e nella fraternità della famiglia umana. Questa pertinente esigenza rischia però di lasciare un sottile retrogusto pelagiano nel cuore e nella mente: come se le cose solo da noi dipendessero, mentre dobbiamo sempre di nuovo «riconoscere gioiosamente che la nostra realtà è frutto di un dono, e accettare anche la nostra libertà come grazia» (Gaudete et exsultate, 55). Non è proprio questo il punto? E cioè che lo Spirito di Dio sta già attuando Egli stesso, nella nostra travagliata transizione storica, una narrazione “nuova” che è “antica” come il Vangelo, anzi come la storia di Dio con il suo Popolo. Una narrazione che a noi tocca discernere, far nostra e promuovere in spirito di fraterna compagnia. E ciò risulta ancor più interpellante oggi, quando l’interruzione necessaria — lo possiamo dire a posteriori — per prenderne coscienza, per immaginare le vie di conversione del progetto, per misurare la decisione e le forze per metterlo in atto, c’è stata, eccome, calata come un imprevedibile e impietoso colpo di mannaia sul corpo dell’umanità. A tutti rendendo evidente che “il re è nudo”: perché la corsa in cui l’umanità s’è lanciata negli ultimi secoli, con velocità accelerata e con un’estensione che ormai ha raggiunto i confini del mondo, denuncia il suo fallimento.

Non che i risultati raggiunti dalla tecnologia a livello di promozione della qualità della vita, dello sviluppo economico, della giustizia sociale, delle relazioni tra i popoli costituiscano un fatto negativo. Ne conosciamo tutti i benefici, anche se non tutti, anzi in troppo pochi, ne godiamo. Perché l’ideologia che, come una gabbia d’acciaio — per dirla con Max Weber — determina e imprigiona questo processo è in definitiva iniqua e disumana. Essa, infatti, non guarda al “chi?”, al “perché?”, al “come?” della sua realizzazione e della condivisione dei suoi risultati: ma scarta una porzione già enorme, e tuttavia ancora crescente, di persone, gruppi sociali e intere popolazioni; estingue surrettiziamente la domanda decisiva intorno al senso e al fine ultimo di quanto persegue; non bada a mezzi per raggiungere i risultati e i profitti che, come presa in un inarrestabile vortice, si prefigge. Senza dire che, in questo modo, vengono sradicati dall’orizzonte del cuore e della mente quei rapporti sui quali s’intesse il vissuto di un’esistenza bella e ricca: il rapporto con Dio, il rapporto con gli altri, il rapporto con la casa comune. Questa è la prima e fondamentale presa di coscienza che la pandemia che ancora stiamo vivendo impone: siamo un’unica cosa, noi umani, e con noi lo sono tutti gli altri esseri che popolano la nostra casa comune. E allora: che cosa comporta prendere sul serio questo dato di fatto che è al tempo stesso una precisa responsabilità? Quali impegni e quali atteggiamenti ne derivano? Si tratta di compiere una svolta. È ciò che siamo abituati a chiamare “conversione”. Una parola che, nel greco del Nuovo Testamento, dice appunto una trasformazione del modo di vedere, di sentire, di pensare, di agire: metánoia. Una conversione, dunque, che non investe solo le forme culturali e sociali in cui esprimiamo ciò che vogliamo essere e fare: ma anche le forme di comprensione e incarnazione del Vangelo di Dio che abbiamo ereditato e che esercitiamo. Occorre aprirsi al soffio scompigliante e trasformante dello Spirito e attraversare con fiducia e speranza il rischio, l’azzardo anche, e persino la “notte” che comporta l’abbandono di un certo modo di essere e vivere per aprirsi a uno nuovo, in parte almeno inedito e imprevedibile.

Nel suo celebre saggio Insight del 1957 Bernard Lonergan, a fronte del vorticoso cambio d’epoca che già si andava producendo, e di cui il Vaticano II registrerà le sfide per l’esercizio della fede, auspicava la gestazione di una “cosmopoli” «che non sia né classe, né stato, che stia al di sopra di tutte le loro pretese, che le ridimensioni, che sia fondata sul distacco e sul disinteresse nativi di ogni intelligenza, che ispiri la prima fedeltà dell’uomo, che renda effettiva se stessa primariamente mediante tale fedeltà», impedendo «che i gruppi dominanti ingannino l’umanità mediante la razionalizzazione delle loro colpe», invitando piuttosto «le potenzialità ampie e le energie represse del nostro tempo a contribuire alla soluzione [dei vasti e urgenti problemi di cui siamo diventati via via consapevoli] sviluppando un’arte e una letteratura, un teatro e una comunicazione, un giornalismo e una storia, una scuola e una università, una profondità personale e una opinione pubblica, che attraverso discernimento e critica diano agli uomini l’opportunità e l’aiuto di cui hanno bisogno e che desiderano» (traduzione italiana, 2007, pagine 322-326).

Con Papa Francesco, nel solco tracciato dal Vaticano II, la Chiesa cattolica si riscopre oggi alla ricerca, nell’ascolto di «ciò che lo Spirito dice alle Chiese» (cfr. Apocalisse, 2, 7), delle vie per sintonizzarsi su questa lunghezza d’onda nella nuova tappa dell’evangelizzazione che è consapevole d’essere chiamata a vivere (cfr. Evangelii gaudium, 1). M’ispiro alle linee d’impegno disegnate da Papa Francesco nel proemio della Veritatis gaudium a proposito della teologia e più in generale della cultura animata dalla fede come «laboratorio in cui la Chiesa fa esercizio dell’interpretazione performativa della realtà che scaturisce dall’evento di Gesù Cristo» (n. 3). Ne enuncio quattro.

La prima: «Dio, il Dio di Gesù Cristo, riscoperto per Chi Egli è e si promette, il garante del futuro della famiglia umana e della casa comune». La Chiesa (sarebbe fatale obliarlo o anche solo sottostimarlo) è chiamata ad annunciare e testimoniare il kerigma, e cioè a rendere presente e operante il lievito dell’avvento di Dio, l’”Abbà” del Signore nostro Gesù Cristo, nel soffio inesauribile dello Spirito. Senza di ciò, il sale non ha più sapore e a null’altro serve se non ad essere gettato per terra e calpestato dagli uomini (cfr. Matteo, 5, 13). Di qui la gioiosa declinazione di quattro verbi idealmente ispiratori e in concreto orientatori della missione: contemplare, dimorare, accogliere, ascoltare.

“Contemplare”: è urgente come il pane di cui ci nutriamo, re-imparare il solenne, semplice, liberatore gesto di sollevare lo sguardo verso il Cielo squarciato dall’avvento del Figlio di Dio che s’è fatto figlio dell’uomo. Levare lo sguardo verso il Cielo, verso Dio, per poter guardare con gli occhi giusti la terra e la storia. Perché la carne del Cristo, aprendo alla contemplazione dell’Abbà nella luce e nel soffio dello Spirito («chi vede me, vede il Padre», cfr. Giovanni, 12, 45), rinvia con ciò senza possibilità d’appello alla carne dell’uomo: «Ciò che avete fatto al minimo, è a me che l’avete fatto» (cfr. Matteo, 25, 40).

E così, secondo verbo, chiama a “dimorare”: a «essere in-Cristo Gesù». Il che significa — lo dico con l’incisiva formula di Papa Francesco — imparare a essere insieme contemplativi della Parola di Dio e contemplativi del Popolo di Dio (Evangelii gaudium, 154). Di qui il terzo verbo: “accogliere”. È questa la cifra della sequela cristiana: la “mistica del noi” (cfr. Evangelii gaudium, 87, 272) come mistica dell’accoglienza e dell’ospitalità reciproca che si fa lievito di fraternità universale (cfr. Veritatis gaudium, proemio, 4a). «Il nostro impegno — così l’Evangelii gaudium — non consiste esclusivamente in azioni o in programmi di promozione e assistenza; quello che lo Spirito mette in moto non è un eccesso di attivismo, ma prima di tutto un’attenzione rivolta all’altro “considerandolo come un’unica cosa con se stesso”» (Evangelii gaudium, 199, in riferimento a Tommaso d’Aquino, Summa theologiae., ii-ii, q. 27, art. 2).

Di qui l’ultimo verbo: “ascoltare” «nel cuore e far risuonare nella mente il grido dei poveri e della terra» (Veritatis gaudium, proemio, 4a). Questo è decisivo per una sequela che non sia insipida e cieca nel leggere la storia. «Ascolto di Dio, fino a sentire con Lui il grido del popolo; ascolto del popolo, fino a respirarvi la volontà a cui Dio ci chiama» (Discorso in occasione della Veglia di preghiera in preparazione al Sinodo sulla famiglia, 4 ottobre 2014). Si tratta di «dare concretezza» alla «dimensione sociale dell’evangelizzazione» quale parte integrale della missione della Chiesa: perché «Dio, in Cristo, non redime solamente la singola persona, ma anche le relazioni sociali tra gli uomini» (Veritatis gaudium, proemio, 4a).

Seconda linea: «Il dialogo, via per generare con tenacia e creatività un’effettiva ed incisiva cultura dell’incontro, senza dimenticare il sale dell’istanza critica e della croce». Lo affermava Paolo VI nell’Ecclesiam suam: «Se davvero la Chiesa ha coscienza di ciò che il Signore vuole ch’ella sia, sorge in lei una singolare pienezza e un bisogno di effusione […] La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio» (66-67). Il dialogo non è buonismo, compromesso, gioco al ribasso, ma esigente arte dell’incontro, del rispetto, della reciprocità. Arte che implica l’esercizio del discernimento, dello spirito critico, della denuncia: «Perchè non sia svuotata la croce di Cristo» (cfr. i Corinzi, 1, 17).

Per questo, l’annuncio del Vangelo del Regno ha da esprimersi secondo tre dinamiche: quella del “dentro”, in quanto non solo non è alieno rispetto a nessuna religione e cultura, ma è destinato a trovarvi casa e a vivervi; quella dell’“oltre”, in quanto rende incisiva e impellente la spinta intrinseca a ogni vera cultura ad aprirsi e trascendersi; quella del “tra”, in quanto è chiamato a mettere in relazione ogni cultura con le altre, predisponendo lo spazio propizio in cui ciò può con frutto accadere. Papa Francesco parla di «cultura condivisa dell’incontro», di «civiltà globale dell’alleanza», che si genera dall’incontro tra le diverse religioni e culture nello Spirito dell’avvento del Regno di Dio. È il contributo evangelicamente pertinente e storicamente decisivo a ciò che lavora in profondità — anche se con evidenti chiaroscuri e anche tragici pericoli d’involuzione — la stagione odierna. «Alla celebre massima antica “conosci te stesso” dobbiamo affiancare “conosci il fratello”: la sua storia, la sua cultura e la sua fede, perché non c’è conoscenza vera di sé senza l’altro». È questo il principio che emblematicamente ispira il documento firmato ad Abu Dhabi da Papa Francesco e dal Grande imam di Al-Azhar lo scorso anno (cfr. Discorso al Founder’s Memorial, Abu Dhabi, 4 febbraio 2019).

Ora, è evidente che anche rispetto a tutto ciò il dialogo tra i cristiani in vista della piena e visibile unità, rispettosa e anzi promotrice delle legittime diversità, non è solo impegno irrevocabile, ma decidente banco di prova. Senza scorciatoie, in ascolto disarmato del Vangelo di Cristo, in un cammino che non può non vederci attori convinti e che non può non essere al primo posto nei nostri impegni e nella nostra preghiera.

Terza linea direttrice: «La convergenza inter- e trans-disciplinare dei saperi per promuovere la nuova civiltà oggi in travagliata gestazione». In un momento storico come quello che viviamo, con la crisi — anche a livello di coscienza epistemologica — della modernità, e con la conseguente tentazione pendolare di consegnarsi o alla resa (spesso tutt’altro che tollerante) della post-verità o alla resistenza cieca (anch’essa violenta, perché in fondo disperata) del fondamentalismo, occorre ribadire con forza la possibilità — già lo indicava Giovanni Paolo II nella Fides et ratio —, anzi la necessità vitale di «giungere a una visione unitaria e organica del sapere. Questo è uno dei compiti di cui il pensiero cristiano dovrà farsi carico» (n. 85). La sfida radicale è infatti oggi quella di «ripensare il pensiero», come scrive Edgar Morin, e cioè di lavorare insieme a «una nuova episteme» che «riguardi tutto l’arco dei saperi, non solo quelli umanistici ma anche quelli naturali, scientifici e tecnologici» (Papa Francesco, Discorso ai partecipanti della conferenza internazionale per dirigenti di Università: «New Frontiers for University leaders: the future of health and the University ecosystem», Aula Paolo VI, 4 novembre 2019).

Il compito è epocalmente decisivo. E sottrarvisi significa non solo non onorare l’eredità incalzante della Rivelazione, ma rendere la performance dell’ispirazione cristiana di più in più marginale sino a diventare irrilevante. Come sottolinea Papa Francesco si tratta d’interpretare e gestire il principio di interdisciplinarietà non nella sua «forma “debole” di semplice multidisciplinarietà», ma nella sua «forma “forte” di transdisciplinarietà», «come collocazione e fermentazione di tutti i saperi entro lo spazio di Luce e di Vita offerto dalla Sapienza che promana dalla Rivelazione di Dio», in una prospettiva aperta al e fondata nel farsi presente della trascendenza di Dio alla storia dell’uomo in Cristo (Veritatis gaudium, proemio, 4c).

Quarta linea direttrice: «Fare rete, integrare i conflitti, promuovere l’arcobaleno della diversità». “Fare rete” con e tra tutte le istanze positive di crescita e sperimentazione attive, a vari livelli e nei diversi ambiti culturali, religiosi, sociali, politici, economici, scientifici, soprattutto tra i giovani, potrebbe apparire di primo acchito una prospettiva meramente pragmatica e tattica. In verità, se correttamente intesa ed eseguita, riveste piuttosto un preciso significato teologale. Occorre prendere coscienza del fatto che, in corrispondenza con «la tendenza a concepire il pianeta come patria e l’umanità come popolo che abita una casa comune» (Laudato si’, 164; Veritatis gaudium, proemio, 4d) — cosa che tutti «ci obbliga a pensare a un solo mondo, ad un progetto comune» (ibidem) — la Chiesa è chiamata a sperimentare e promuovere in concreto «la cattolicità che la qualifica come fermento di unità nella diversità e di comunione nella libertà» (ibid.). Il che — suggerisce Papa Francesco — va pensato e messo in atto secondo il modello del «poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità» (Evangelii gaudium, 236; Veritatis gaudium, proemio, 4d)

Ciò implica — ed è questo l’impegno più oneroso, ma ineludibile dei discepoli di Cristo — farsi carico delle molteplici conflittualità storiche nell’impegno a una effettiva loro risoluzione su di un piano superiore che conservi in sé le eventuali, spesso preziose, potenzialità custodite dalle polarità in contrasto (Veritatis gaudium, proemio, 4d): «Ora che il cristianesimo occidentale ha imparato da molti errori e criticità del passato — auspica Papa Francesco — può ritornare alle sue fonti nella speranza di poter testimoniare la Buona Notizia ai popoli dell’oriente e dell’occidente, del nord e del sud. La teologia — tenendo la mente e il cuore fissi sul “Dio misericordioso e pietoso” (cfr. Genesi,  4,2) — può aiutare la Chiesa e la società civile a riprendere la strada in compagnia di tanti naufraghi» (Discorso presso la Pontificia Facoltà teologica dell’Italia meridionale, Napoli, 21 giugno 2019).

Le linee direttrici appena abbozzate sono ambiziose: ma questo è il tempo della visione e dello slancio in avanti. Tanto più quando la forza propulsiva ne è il Vangelo di Dio che è Gesù Cristo. Egli inaugura quella nuova situazione dell’esistere in cui è escatologicamente offerta all’uomo l’omousía del Figlio, fattosi carne e grido dell’uomo, col Dio che è Abbà, in ciò stesso istituendo l’omousía di grazia, e cioè la fraternità, tra tutti gli uomini e tutte le donne, nel Figlio fattosi carne e grido, in quel soffio di Vita che più non muore e in quel chiarore di Luce che più non tramonta, pur nelle angosce e nelle oscurità della nostra storia: lo Spirito stesso dell’amore del Padre e del Figlio, sempre nuovo e sempre di nuovo riversato nei nostri cuori (cfr. Romani, 5, 6).

di Piero Coda / osservatoreromano.va

I santi di oggi 13 febbraio 2013

MERCOLEDì DELLE CENERI    – Solennità

Il mercoledì delle Ceneri, la cui liturgia è marcata storicamente dall’inizio della penitenza pubblica, che aveva luogo in questo giorno, e dall’intens…
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Beata CRISTINA DA SPOLETO
c. 1432 – 1458
Incerte sono le sue notizie relative alla famiglia (Visconti, Semenzi o Carrozzi) alle vicende della sua vita negli anni precedenti al 1450, momento in cui, per motivi sempre oscur…
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Sante FOSCA E MAURA   Martiri
La storia delle martiri Fosca e Maura, secondo gli agiografi, va collocata durante la persecuzione di Decio, nel III secolo. Secondo la narrazione di un’antica «passio», la giovane…
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San BENIGNO DI TODI   Martire
sec. III-IV
Nacque a Todi. La tradizione ci racconta che fu ordinato sacerdote per la sua rettitudine e la sua bontà, e che affrontò coraggiosamente il martirio durante l’ultima persecuzione d…
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San SIMEONE STEFANO NEMANJA   Re serbo
Ribnica, Serbia, 1114 – Hilandar, Grecia, 13 febbraio 1200
Lo zupan serbo Stefano Nemanja, governò il suo paese guidandolo all’integrità della vera fede ed ornandolo di numerosi monasteri. Entrò infine in quello di Studenica, abdicando in …
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Beato GIORDANO DI SASSONIA   Domenicano
Westfalia, 1175/1185 – Attalia, 13 febbraio 1237
Giordano di Sassonia, nato dai Conti di Ebernstein, fu l’immediato successore del glorioso Patriarca Domenico, dal quale ereditò la parola eloquente, la tenerezza del …
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Sant’ UNA (HUNA)   Monaco
m. 690 ca.
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Santa GIULIANA   Laica venerata a Torino
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San PIETRO I DI VERCELLI   Vescovo e martire
m. Vercelli, 13 febbraio 997
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San MARTINIANO   Eremita
m. Atene, Grecia, 422 circa
Il Martyrologium Romanum ricorda oggi San Martiniano, eremita presso Cesarea di Palestina e morto presso Atene in Grecia. Visse in solitudine nelle regioni impervie e scoscese nell…
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San CASTORE
sec. IV
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Santo STEFANO DI LIONE   Vescovo
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Santo STEFANO DI RIETI   Abate
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San GOSBERTO
m. 860/70 circa
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San GUIMERRA (GUIMERA)   Vescovo di Carcassonne
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San FULCRANNO (FULCRANO) DI LODEVE   Vescovo
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San GILBERTO DI MEAUX   Vescovo
m. 13 febbraio 1009 (o 1015?)
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San PAOLO LIU HANZUO   Martire
Lezhi, Cina, 1778 circa – Chengdu, Cina, 13 febbraio 1818
Sacerdote del vicariato apostolico di Sichuan, fu canonizzato da Giovanni Paolo II il 1° ottobre 2000.
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San PAOLO LE-VAN-LOC   Martire
An Nhon, Vietnam, 1830 circa – Gia Dinh, Vietnam, 13 febbraio 1859
Canonizzato da Giovanni Paolo II il 19 giugno 1988.
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San MODOMNOCK   Abate
m. 550 ca.
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Santi AIMO E VERMONDO CORIO
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San GOZBERTO DI OSNABRUCK   Vescovo
sec. IX
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Beato ANGELO TANCREDI DA RIETI
Il beato Angelo Tancredi da Rieti fu uno dei primi discepoli di san Francesco, e cioé uno dei primi frati minori. Angelo Tancredi era un nobile cavaliere, fu il primo cavaliere ad …
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Beata EUSTOCHIO (LUCREZIA) BELLINI DI PADOVA   Vergine
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Beato BERENGARIO DI ASSISI   Mercedario
Predicatore nella città di Granada, Valenza e Murcia, il Beato Berengario di Assisi, spesso visitò gli ergastolani portando loro conforto e la parola del Signore. Liberò dalle mani…
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I santi di oggi 3 febbraio 2013

San BIAGIO   Vescovo e martire – Memoria Facoltativa
+ Sebaste, Armenia, ca. 316
Il martire Biagio è ritenuto dalla tradizione vescovo della comunità di Sebaste in Armenia al tempo della “pax” costantiniana. Il suo martirio, avvenuto …
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Sant’ OSCAR (ANSGARIO)   Vescovo – Memoria Facoltativa
Corbie (Francia), ca. 800 – Brema (Germania), 2 febbraio 865
Da piccolo studia nell’abbazia benedettina di Corbie, suo paese natale. Più tardi vi ritorna, diventando monaco e poi «magister interno», funzione che esercita più tardi nella comu…
www.santiebeati.it/dettaglio/26000

San SIMEONE IL VECCHIO
Gerusalemme, inizi dell’era cristiana
San Simeone il vecchio e Sant’Anna, profetessa. Ebbero il merito di salutare il Bambino Gesù in occasione della sua presentazione al Tempio.
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Santa CLAUDINA THEVENET (MARIA DI S. IGNAZIO)   Religiosa
Lione, 30 marzo 1774 – Lione, 3 febbraio 1837

Nasce a Lione il 30 marzo 1774: sino ai 15 anni Claudina Thevenet studia nell’Abbazia di Saint-Pierre-les-Nonnais. Una adolescenza, la sua, trascorsa nel periodo del terrore del…
www.santiebeati.it/dettaglio/90731

Sant’ ANNA   Vedova e profetessa
Gerusalemme, I secolo
“C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto col marito sette anni dal tempo in cui era ragazza, era poi rima…
www.santiebeati.it/dettaglio/92636

San TIGRIDO (TERIDIO) DI GAP   Vescovo
IV secolo
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San REMEDIO DI GAP   Vescovo
IV-V secolo
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San CELERINO DI CARTAGINE   Martire
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San LEONIO   Sacerdote
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San LUPICINO   Vescovo
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Sant’ ADELINO DI CELLES   Abate
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Santa VEREBURGA   Badessa
650 – 700 circa
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Santa BERLINDA DI MEERBEKE
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Beato ELINANDO   Monaco a Froidmont
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Beata MARIA ANNA RIVIER   Fondatrice
Motpezat-sous-Bauzon (Viviers) Francia, 19 dicembre 1768 – Bourg-Saint-Andéol, 3 febbraio 1838
www.santiebeati.it/dettaglio/91847

Beata MARIA ELENA STOLLENWERK   Fondatrice
Steyl, 3 febbraio 1900
Coofondatrice della Congregazione Missionaria delle Serve dello Spirito Santo. (+ a Steyl 3 febbraio 1900). Nel desiderio di diventare missionaria, si aggregò nel 1882, in qualità …
www.santiebeati.it/dettaglio/92292

Beato GIOVANNI NELSON   Sacerdote e martire
www.santiebeati.it/dettaglio/39490

Beato GIOVANNI VALLEJO   Mercedario
+ 25 agosto 1592
Religioso del monastero mercedario di S. Antonio in Valladolid (Spagna), il Beato Giovanni Vallejo, fu osservantissimo della solitudine, silenzio e penitenza, illibato per la vergi…
www.santiebeati.it/dettaglio/93975

Beato ALOIS ANDRITZKI   Sacerdote e martire
Radibor, Germania, 2 luglio 1914 – Dachau, Germania, 3 febbraio 1943

Alois è stata un’altra vittima in più di Dachau, una figura sconosciuta che ciononostante si comincia a ricordare. È nato a Radibor Silesia, il quarto tra s…
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Oggi su “L’Osservatore Romano”

Davanti al sol uomo che è la misura per tutti: Gerhard Ludwig Müller sulla trilogia di Benedetto XVI su Gesù completata con il prologo sui racconti dell’infanzia.

Uniti nell’incoraggiare il dialogo: Andrea Palmieri, sottosegretario del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, sui passi del cammino ecumenico con la Chiesa ortodossa.

Il mondo intero sulle righe di un pentagramma: su toni musicali e animo umano secondo Athanasius Kircher, anticipazione dell’articolo di Claudio Zonta nel numero in uscita de “La Civiltà Cattolica”.

In rilievo, nell’informazione internazionale, la crisi degli ostaggi in Algeria.

La verità sul matrimonio: nell’informazione religiosa, un articolo sul clero cattolico britannico schierato contro la proposta del Governo sulle unioni omosessuali.

Gli orafi delle cause dei santi: nell’informazione vaticana, la prolusione del cardinale Angelo Amato all’apertura dello Studium del dicastero.

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