I nuovi media e l’efficacia di dire il nome di Gesù

gesu.di.nazareth

Cari Amici,
la chiusa dell’editoriale della scorsa settimana, dedicata all’enfasi abnorme solitamente riversata sui nuovi e nuovissimi media, a spese dei media classici, ha suscitato consensi e qualche perplessità. E ci mancherebbe altro che in pieno 2013 non fosse possibile condurre, in qualsiasi ambiente, un confronto libero, senza che scattino allergie o permalosità. Vorrei tuttavia approfittarne per precisare come la famosa e stracitata affermazione secondo cui il mezzo è già messaggio, non possa dar luogo a interpretazioni rachitiche o troppo comode. Il mezzo è messaggio perché in primo luogo contribuisce a determinare il clima, l’ambiente, l’habitat in cui avviene la comunicazione, il che inevitabilmente partecipa alla confezionatura del messaggio  e condiziona non poco la percezione dello stesso. Pensare tuttavia che l’effervescenza smodata dei media subentri fin quasi a sostituire i contenuti è sciocchezza grande come una montagna. Tic da analfabeti mediali. Chi ha la bontà di seguire qualcosa di ciò che il nostro canale va via via proponendo, a partire dai due programmi più recenti ma anche più innovativi come linguaggio, ossia Traguardi e Racconti di periferia, avrà probabilmente avuto la percezione del trasbordante ricorso che viene fatto delle risorse della rete, per dire come nulla può essere trascurato di quanto concorre alla corsa dei contenuti. Ma un suo cuore il messaggio deve sempre averlo, diversamente non ci sono rimbalzi che tengano. E infatti esistono metodologie di connessione atte a non far sparire un’efficace identificazione del contenuto. Vale infatti il detto espresso in latino maccheronico: è inutile menare canem per aiam, ossia per l’etere. Soprattutto non bisogna mai dare l’impressione, per quanto involontaria di rincorrere un’effervescenza dei mezzi a surrogato della vaghezza circa il messaggio. Mi spiego. Quanti hanno accostato direttamente la recente prolusione del cardinale Angelo Bagnasco si saranno ad un punto imbattuti su un espressione icastica, vergata in corsivo: «Non finiremmo mai di parlare di Gesù».
Questa frase che giungeva al termine di un periodo di incantata contemplazione della persona di Gesù, non poteva non colpire e non dare il via ad una serie di rilanci efficaci, arrivati con il passaparola digitale chissà dove. Essa peraltro pare a me facesse eco ad un suggerimento strategico che Benedetto XVI è sembrato buttare là quasi con nonchalance lo scorso anno parlando al convegno della sua diocesi di Roma: non basta menzionare il compito dell’evangelizzazione, bisogna ogni volta proporre la persona di Gesù Cristo. Lui spiegava che era una regoletta  appresa in gioventù da un suo maestro; in realtà a me pare sia divenuta la spiegazione del suo singolare metodo evangelizzatore: non nominare mai di passaggio Gesù, senza in qualche modo presentarlo, senza dire chi Egli è per me, senza arricchire con parole del cuore la declinazione di quel nome santissimo. È questo che fa breccia nel cuore della gente, quali che siano i mezzi, classici o nuovissimi, che vengono usati. E poiché larga parte delle nostre comunità ancora si affidano alla carta stampata, alla radio e alla tv, sarebbe singolare non tenerne conto.

Dino Boffo

Newsletter tv2000 1 Febbraio 2013