A New York Conferenza Onu per rafforzare l’accordo contro le armi nucleari

Immagine di repertorio di un'esplosione nucleare

Dopo oltre 50 anni, è in discussione il Trattato di Non Proliferazione nucleare (Tnp). La Conferenza delle Nazioni Unite si svolge, dopo il ritardo di due anni per la pandemia, in un momento di forte criticità di rapporti internazionali, come sottolinea il direttore della Rivista Italiana Difesa, Pietro Batacchi
Fausta Speranza – Città del Vaticano

Da oggi al 26 agosto si tiene a New York la Conferenza di revisione del Trattato di Non Proliferazione nucleare (Tnp). Il Papa con un tweet ha ribadito il no alle armi atomiche. Nella sede delle Nazioni Unite, si ritrovano i delegati dei 190 Stati coinvolti, chiamati a elaborare un documento finale che stabilisca un programma di azione per il prossimo quinquennio. In particolare, in discussione c’è la questione della proibizione dell’uso e della minaccia dell’uso dell’arma nucleare o quanto meno l’interdizione del suo primo uso. A presiedere la Conferenza è l’ambasciatore argentino Gustavo Zlauvinen.

Il Trattato di Non Proliferazione nucleare (Tnp), firmato il 1° luglio 1968, è da oltre cinquant’anni il principale baluardo contro la diffusione delle armi nucleari nel mondo. Rimane il principale accordo che disciplina l’intero settore nucleare sia esso civile (centrali nucleari) che militare (armi nucleari). 

Iran, su nucleare non faremo marcia indietro su linee rosse

 © EPA

Gli Stati Uniti hanno recentemente avanzato richieste e condizioni eccessive in cambio della rimozione delle sanzioni che vanno oltre la bozza di accordo sul nucleare in discussione a Vienna: lo ha detto oggi il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amirabdollahian.    “Siamo giunti a conclusioni nelle discussioni tecniche con E3 (Gran Bretagna, Francia e Germania ), tuttavia l’Iran non farà marcia indietro dalle sue linee rosse e non siamo concentrati solo sui colloqui di Vienna”, ha aggiunto Amirabdollahian.

La strada della diplomazia per raggiungere un accordo “duraturo e onorevole” a Vienna è aperta, ha sottolineato il ministro aggiungendo che “gli Stati Uniti hanno ripetutamente insistito per colloqui diretti con l’Iran, ma crediamo che se c’è buona volontà da parte loro, gli americani dovrebbero fare passi concreti per rilasciare parte dei beni iraniani bloccati e rimuovere le sanzioni”. (ANSA).

Papa a Pax Christi: proseguire sulla via del disarmo nucleare

Vaticano – Vatican News
(Cecilia Seppia) Il Papa ha ricevuto in Vaticano, in udienza privata, i consiglieri di Pax Christi. Al centro del dialogo, l’educazione alla pace, e la messa al bando delle armi nucleari. La storia e l’impegno di Pax Christi al servizio della pace, l’educazione alla pace nelle scuole, nelle carceri, soprattutto minorili, e poi il tema del disarmo, la preoccupazione per la reticenza dell’Italia a firmare l’accordo sulla messa al bando delle armi nucleari, i vari contesti di guerra dalla Siria alla Palestina e le sofferenze patite dai bambini: è stato un dialogo aperto e schietto quello dei consiglieri di Pax Christi con il Papa che oggi li ha ricevuti in udienza privata in Vaticano. Il presidente del movimento, mons. Giovanni Ricchiuti ha parlato di piena sintonia con le parole e i gesti del Pontefice.

Nucleare addio, parola di teologo

Pubblichiamo quasi integralmente l’intervista a Robert Spaemann uscita il 12 luglio scorso sul quotidiano svizzero «Tagesanzeiger» di Zurigo. Spaemann, 84 anni, è uno dei più noti filosofi e teologi tedeschi, apprezzato anche da Benedetto XVI. Il suo ultimo libro, "Dopo di noi, la fusione del nucleo. Arroganza nell’era atomica" (Klett-Cotta, 2011) raccoglie interventi sull’energia atomica.

La Germania abbandona l’energia atomica. Cosa ne pensa?
«Meglio tardi che mai. Ma l’uscita è solo in una legge e non al 100%. Se ci saranno difficoltà di approviggionamento energetico la legge potrà cambiare o si potrà rimandare lo spegnimento dei reattori. L’unico modo di prevenire queste eventualità è prescrivere l’abbandono dell’energia atomica nella Costituzione».

È ciò che lei propone?
«Sì, benchè io non sia favorevole a scrivere nella Costituzione obiettivi politici di attualità. Ma in questo caso la posta in gioco supera ogni normale metro di paragone umano».

Le energie alternative potranno soddisfare il fabbisogno?
«Se non riusciamo a coprire in modo alternativo il fabbisogno energetico, dovremmo ridurre il fabbisogno. Non possiamo dare per scontato di avere a disposizione in qualunque momento qualunque quantità di energia. È desiderabile ma non possiamo pretenderlo. Se possiamo produrre energia solo con una tecnologia che minaccia il genere umano, allora è necessario disporre diversamente».

Quindi dobbiamo fare rinunce?
«Sì. Solo quando l’uomo è con le spalle al muro diventa inventivo. È stato sempre così. Finché si pensa che in caso di emergenza si può fare affidamento su ciò che già esiste, non si mobilitano tutte le forze. Solo la certezza che l’energia atomica non è più in gioco attiverà l’ingegno creativo».

Come risponde a chi dice che non è possibile vivere senza energia atomica?
«Questa sarebbe una costrizione oggettiva, ma non è un argomento: le costrizioni sono oggettive quando vogliamo un certo risultato. Allora si è obbligati a fare una cosa e non altre. Se però questa cosa si rivela impraticabile, bisogna cercare alternative. Chi non lo fa è ostile a innovare».

Occorrono disastri per spingere l’uomo a pensare diversamente?
«Sembra di sì. Questo immenso pericolo avrebbe potuto essere riconosciuto molto prima, considerando che nessuna assicurazione è disposta ad assumersene il rischio».

A cosa serve che Svizzera e Germania abbandonino l’energia atomica se la Russia ha in programma 30 nuovi reattori?
«In primo luogo, abbiamo un beneficio locale spegnendo i nostri reattori. È diverso se un reattore va fuori controllo nel nostro Paese o in Giappone. Si può ridurre il rischio locale, senza dover risolvere il problema globale. Poi possiamo essere un esempio. Qualcuno deve pur cominciare; se la Germania saprà fare a meno dell’energia atomica, ciò avrà ripercussioni sul mondo intero».

Quali sono gli argomenti contro l’energia atomica?
«Soprattutto l’incontrollabilità. Chi assicura che si può fare un uso pacifico dell’energia atomica pone sempre condizioni: per esempio che non avvengano guerre o attentati. Ma il porre condizioni dimostra che l’uomo non sa controllare questa tecnologia. Si immagina un mondo perfetto in cui le maggiori fonti di pericolo vengono nascoste. E ciò che resta lo si dichiara sicuro. Ma ci sono anche argomenti filosofici. Cosa fa l’uomo quando si serve dell’energia atomica? L’energia degli atomi è alla base della nostra esistenza materiale. Serve a mantenere la realtà quale essa è. E lo fa pacificamente e senza il nostro intervento. Quando sottraiamo questa energia alla sua funzione naturale, quando scindiamo i nuclei degli atomi e ne liberiamo la forza, tocchiamo qualcosa che ci trascende. È arroganza dire che ce la faremo».

L’uomo si sopravvaluta?
«Sì. C’è una situazione analoga in cui i miei argomenti sono altrettanto categorici: è la manipolazione del genoma umano. Proprio come con l’atomo, anche qui tocchiamo una struttura di base della nostra realtà – non come materiale, ma come esseri viventi. Con la costruzione di nuove combinazioni genetiche possiamo mettere in moto processi di cui perdiamo il controllo».

Lei argomenta qui come Jürgen Habermas. L’uomo non può progettare il risultato della sua procreazione.
«Su questo siamo d’accordo. L’umanità si dividerebbe in due classi: chi fa e chi è fatto. E ciò avrebbe conseguenze imprevedibili».

Lei è contrario anche perchè ciò sarebbe una manipolazione del Creato?
«Si deve condurre il dibattito su basi puramente razionali. Ma l’argomento diventa più forte se si evoca il concetto di Creato: permette di imbrigliare la superbia dell’uomo che crede di poter fare tutto».

Hans Jonas prescrive un’etica della responsabilità verso le generazioni future. Condivide il concetto?
«Sì. In relazione alle generazioni future c’è soprattutto il problema dei rifiuti radioattivi. I responsabili delle tecnologie atomiche dicono sempre: troveremo un deposito definitivo. Qui si fa della suggestione basandola in modo irresponsabile su un "principio speranza". Sembrerebbe che Dio abbia il dovere di metterci sempre a disposizione ciò che risponde ai nostri bisogni momentanei. Oltre al dovere di considerare i rischi immediati posti da una centrale atomica, vi è l’obbligo di non costruire un reattore, prima di aver trovato un deposito definitivo per le scorie radioattive».

Dove vede il problema principale dei rifiuti radioattivi?
«Come si può oggi garantire per migliaia di anni la sicurezza di un deposito radioattivo definitivo? Non abbiamo alcuna responsabilità positiva per le persone che popoleranno il pianeta nel futuro, ma non ci è permesso di rovinare la loro esistenza in modi già prevedibili, per esempio con la contaminazione atomica in aree che diventano così invivibili. Abbiamo l’ingenua e diffusa idea che, a differenza del passato, la nostra civiltà scientifico-tecnologica continuerà all’infinito. È assurdo. Il nostro sapere attuale sarà interamente tramandato e sarà a disposizione delle generazioni future? Oggi non sappiamo più come sia stato possibile realizzare Stonehenge (sito neolitico con megaliti posti in circolo, ndt). Forse i nostri discendenti non conosceranno più i pericoli ai quali noi consapevolmente li esponiamo. Non può essere questa la nostra eredità. È sconsiderato aumentare con l’energia atomica il potenziale di pericolo che la natura già contiene».

Lei non riesce a trovare niente di buono nell’energia atomica.
«La prima fissione nucleare servì ad annientare esseri umani. Non è un caso che con la prima applicazione dell’energia atomica si siano sterminate centinaia di migliaia di persone a Hiroshima. "Funziona davvero", fu la prima reazione di Carl Friedrich von Weizsäcker (fisico nucleare e filosofo tedesco). L’orrore venne più tardi. Se gli scienziati sono solo scienziati, non saranno capaci di aiutarci».

Per lei non c’è progresso, ma progressi. Cosa vuol dire?
«L’Europa vive da secoli della menzogna del progresso al singolare. Progresso vuol dire: migliore, più veloce, più brillante. Sono cresciuto nel periodo nazista e fui assillato fino alla nausea con lo slogan "Con noi avanza la nuova era". L’ideologia del progresso la proclamavano anche i nazisti. Il mio scetticismo verso il progresso risale a quel periodo buio: essere poco progressivo mi sembrava meglio che mettere le persone in campi di concentramento e ucciderle. Il progresso può essere meraviglioso, ma anche terribile. Da una parte ci sono progressi nella tecnica anestetica, dall’altra progressi della bomba atomica. A chi nomina il progresso dico: progresso di cosa e in quale direzione?».

Il pensiero cristiano ci porterebbe avanti?
«Certo! In tempi in cui la religione cristiana è stata dominante, non si pensava a un futuro infinito, come si fa oggi. Si aspettava la fine del mondo. Come descritto nel Nuovo Testamento, la storia termina con il ritorno di Cristo. Sì, credo che l’esistenza dell’umanità non durerà così a lungo; e ciò più per ragioni immanenti che non religiose. Il mio scetticismo sul fatto che l’umanità sopravviverà è alimentato dal modo in cui l’uomo prende ora in mano il suo destino».

Come cristiano lei crede all’Apocalisse. Se siamo destinati a finire, a cosa serve lottare contro l’energia atomica?
«La sua domanda si basa sull’idea erronea che se una cosa accade in natura possiamo farla anche noi: se in natura ci sono vulcani, possiamo anche noi fare vulcani; se in natura un ramo cade su un uomo, allora anche noi possiamo fare lo stesso. Non sappiamo cosa vuole la natura e quali siano i piani di Dio. Siccome Lenin credeva di conoscere il fine della storia, diceva che coloro che lavorano a rendere felice l’umanità non possono essere sottomessi a regole morali. L’arroganza è nel credere che qualcuno conosca quale sia il fine della storia. La concezione cristiana del termine della storia invece implica un’irruzione dall’esterno e non un immanente paradiso come risultato di uno sviluppo continuo. Il regno di Dio è la conseguenza di una fine improvvisa della storia precedente».

(traduzione di Marco Morosini)

Guido Kalberer – avvenire.it 22 luglio 2011 ore 11:43