ITE MISSA EST, GIRO DI VITE DEL PAPA SULLE MESSE CON RITI PRECONCILIARI

Addolorato per gli abusi nelle celebrazioni liturgiche commessi «da una parte e dall’altra», Jorge Mario Bergoglio, con il Motu proprio Traditionis custodes e con una lettera d’accompagnamento spiega che certe concessioni fatte da san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI per unire e sanare vecchie ferite sono state in realtà usate male da molti e che il Messale di San Pio V è servito strumentalmente ad «aumentare le distanze, indurire le differenze, costruire contrapposizioni che feriscono la Chiesa»

da Famiglia Cristiana

La prima cosa da mettere in chiaro è che il latino non c’entra. O meglio: c’entra fino a un certo punto. Anche l’editio tipica dell’ultimo Messale, diventato obbligatorio la scorsa Pasqua, è in latino. Conta, invece, questo sì, il modo di essere Chiesa, di concepire la preghiera comunitaria, di vivere la liturgia. E conta una data, il 1970, anno in cui si perfezionò la riforma liturgica, spartiacque tra un prima (non ancora innervato dal Concilio Vaticano II anche per quanto riguarda i riti della celebrazione eucaristica), e un dopo, che si spinge fino a noi.

Con il Motu proprio Traditionis custodes, papa Francesco stabilisce che «i libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II, sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano»; prevede che la responsabilità di regolare la celebrazione secondo il rito preconciliare torni ai singoli vescovi, essendo loro «esclusiva competenza autorizzare l’uso del Missale Romanum del 1962» nelle diocesi, seguendo gli orientamenti dalla Sede Apostolica; chiede ai pastori di accertarsi che quanti già celebrano con il messale antico «non escludano la validità e la legittimità della riforma liturgica, dei dettati del Concilio Vaticano II e del Magistero dei Sommi Pontefici».

Le Messe con il rito antico, prosegue il Motu proprio, non si devono più celebrare nelle chiese parrocchiali, il vescovo stabilirà il luogo di culto e i giorni prescelti. Le letture dovranno essere in lingua corrente, usando le traduzioni approvate dalle Conferenze episcopali. Il celebrante dovrà essere un sacerdote delegato dal vescovo. A quest’ultimo spetta anche di verificare l’opportunità di mantenere o meno le celebrazioni secondo il messale antico, verificandone la «effettiva utilità per la crescita spirituale». È infatti necessario che il sacerdote incaricato abbia a cuore non solo la dignitosa celebrazione della liturgia, ma la cura pastorale e spirituale dei fedeli. Il vescovo «avrà cura di non autorizzare la costituzione di nuovi gruppi».

I sacerdoti ordinati dopo la pubblicazione del Motu proprio datato 16 luglio 2021, che intendono celebrare con il messale preconciliare «devono inoltrare formale richiesta al Vescovo diocesano il quale prima di concedere l’autorizzazione consulterà la Sede Apostolica». Mentre quelli che già lo fanno dovranno chiedere al vescovo diocesano l’autorizzazione per continuare a usarlo. Gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, «a suo tempo eretti dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei» passano sotto la competenza della Congregazione per i Religiosi. I Dicasteri del Culto, e dei Religiosi vigileranno sull’osservanza di queste nuove disposizioni.

Papa Francesco ha a cuore la Chiesa. La sua unità. Per questo al Motu proprio ha affiancato una lettera di accompagnamento in cui illustra i motivi che l’hanno portato a queste decisioni. Rivolto ai vescovi di tutto il mondo, Jorge Mario Bergoglio spiega che le concessioni stabilite dai suoi predecessori per l’uso del messale antico erano soprattutto motivate “dalla volontà di favorire la ricomposizione dello scisma con il movimento guidato da Mons. Lefebvre”. La richiesta, rivolta ai vescovi, di accogliere con generosità le “giuste aspirazioni” dei fedeli che domandavano l’uso di quel messale, “aveva dunque una ragione ecclesiale di ricomposizione dell’unità della Chiesa”. Quella facoltà, osserva Francesco, “venne interpretata da molti dentro la Chiesa come la possibilità di usare liberamente il Messale Romano promulgato da san Pio V, determinando un uso parallelo al Messale Romano promulgato da san Paolo VI”.

Il Papa ricorda che la decisione di Benedetto XVI con il Motu proprio Summorum Pontificum (2007) era sostenuta dalla «convinzione che il tale provvedimento non avrebbe messo in dubbio una delle decisioni essenziali del Concilio Vaticano II, intaccandone in tal modo l’autorità». Papa Ratzinger quattordici anni fa dichiarava infondato il timore di spaccature nelle comunità parrocchiali, perché, scriveva, «le due forme dell’uso del Rito Romano avrebbero potuto arricchirsi a vicenda». Ma il sondaggio recentemente promosso dalla Congregazione per la dottrina della fede tra i vescovi ha portato risposte che rivelano, scrive Francesco, «una situazione che mi addolora e mi preoccupa, confermandomi nella necessità di intervenire», in quanto il desiderio di unità è stato «gravemente disatteso», e le concessioni offerte con magnanimità sono state usate «per aumentare le distanze, indurire le differenze, costruire contrapposizioni che feriscono la Chiesa e ne frenano il cammino, esponendola al rischio di divisioni».

Il Papa si dice addolorato per gli abusi nelle celebrazioni liturgiche «da una parte e dall’altra», ma si dice pure rattristato per «un uso strumentale del Missale Romanum del 1962, sempre di più caratterizzato da un rifiuto crescente non solo della riforma liturgica, ma del Concilio Vaticano II, con l’affermazione infondata e insostenibile che abbia tradito la Tradizione e la ‘vera Chiesa’ ». Dubitare del Concilio, spiega Francesco, «significa dubitare delle intenzioni stesse dei Padri, i quali hanno esercitato la loro potestà collegiale in modo solenne cum Petro et sub Petro nel Concilio ecumenico, e, in ultima analisi, dubitare dello stesso Spirito Santo che guida la Chiesa».

Francesco aggiunge infine un’ultima ragione per la sua decisione di modificare le concessioni del passato: «è sempre più evidente nelle parole e negli atteggiamenti di molti la stretta relazione tra la scelta delle celebrazioni secondo i libri liturgici precedenti al Concilio Vaticano II e il rifiuto della Chiesa e delle sue istituzioni in nome di quella che essi giudicano la ‘vera Chiesa’. Si tratta di un comportamento che contraddice la comunione, alimentando quella spinta alla divisione… contro cui ha reagito fermamente l’Apostolo Paolo. È per difendere l’unità del Corpo di Cristo che mi vedo costretto a revocare la facoltà concessa dai miei Predecessori».