Il Papa aggiunge tre invocazioni alle Litanie Lauretane, una per i migranti

“Mater Misericordiae”, “Mater Spei” e “Solacium migrantium”, ovvero conforto, aiuto dei migranti: sono le tre nuove invocazioni inserite per volontà di Francesco nell’elenco delle Litanie Lauretane. Monsignor Roche del dicastero per il Culto Divino: sono preghiere legate all’attualità della vita.

Alessandro De Carolis – Città del Vaticano

Un sole del quale si scoprono ogni tanto nuovi raggi. Si potrebbero pensare così le Litanie Lauretane, le secolari invocazioni alla Vergine che concludono tradizionalmente la recita del Rosario. A quelle già note Papa Francesco ha deciso di aggiungerne tre nuove: “Mater Misericordiae”, “Mater Spei” e “Solacium migrantium”, ovvero “Madre della Misericordia”, “Madre della Speranza” “Conforto” ma anche “Aiuto” dei migranti.

Le nuove invocazioni

A comunicare questa disposizione del Papa è stata la Congregazione per Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti in una lettera indirizzata ai presidenti delle Conferenze episcopali. “Innumerevoli sono i titoli e le invocazioni che la pietà cristiana, nel corso dei secoli, ha riservato alla Vergine Maria, via privilegiata e sicura all’incontro con Cristo”, scrivono nella lettera il cardinale Robert Sarah e l’arcivescovo Arhur Roche, prefetto e segretario del dicastero vaticano. Ora, precisano, “la prima invocazione sarà collocata dopo Mater Ecclesiae, la seconda dopo Mater divinae gratiae, la terza dopo Refugium peccatorum”.

Roche: preghiere nate dalle “sfide” della vita

Anche se antiche, le litanie – dette “Lauretane” dal Santuario della Santa Casa di Loreto che le ha rese celebri – hanno un forte aggancio con i momenti vita della Chiesa e dell’umanità. Lo affermano i vertici del Culto Divino sottolineando che “anche nel tempo presente, attraversato da motivi di incertezza e di smarrimento”, il ricorso “colmo di affetto e di fiducia” alla Madonna “è particolarmente sentito dal popolo di Dio”. Monsignor Arthur Roche ribadisce a Vatican News questo vincolo tra spiritualità e concretezza del tempo, della quotidianità. “Vari Papi – ricorda monsignor Roche – hanno deciso di includere invocazioni nelle Litanie, per esempio Giovanni Paolo II ha aggiunto l’invocazione alla ‘Madre della famiglia’. Rispondono al momento reale, un momento che presenta una sfida per la gente”. “Il Rosario, lo sappiamo, è una preghiera dotata di una grande potenza e dunque – conclude il segretario del dicastero vaticano – in questo momento le invocazioni alla Vergine sono molto importanti per chi sta soffrendo per il Covid-19 e, fra loro, i migranti che hanno anche lasciato la loro terra”.

vaticannews

Fare o essere carità?

di: Maurizio Rossi

carità

La dimensione caritativa è tratto qualificante e irrinunciabile dell’agire cristiano. Lo spirito del cristianesimo ha originato lungo i secoli, con straordinaria vitalità, forme sempre nuove per declinare il gesto concreto del farsi prossimo. La duttilità di cui i cristiani hanno dato prova nel rendersi disponibili ad andare incontro alle sollecitazioni inedite innescate dai diversi contesti storici e dalle diverse situazioni ambientali, molto spesso si è espressa nella dimensione nascosta indicata dal capitolo 6 di Matteo («non sappia la tua sinistra…»).

Ma questa stessa duttilità, nel corso della storia, ha anche dato impulso, in modo visibilmente rilevante, ad esperienze di impatto decisivo per la promozione dello sviluppo umano e sociale. Basti solo pensare ai numerosi ordini religiosi, maschili e femminili, che nell’agire caritativo trovano radice e ispirazione.

Essere cristiani, dunque, prima e più che una professione di fede, è uno stile di vita capace di intrecciare con spirito largo la dimensione verticale e la dimensione orizzontale dell’esistenza, Dio e il prossimo. Benché secoli di guerre teologiche, combattute sul filo acuminato e violento delle definizioni, abbiano spesso sbriciolato l’essenza del cristianesimo in pillole ideologiche preconfezionate, Deus caritas est resta la vera cartina al tornasole di ogni esperienza di vita cristiana.

Un lessico interessante

Anche la parola carità, però, come tante altre parole del lessico cristiano, ha subìto, nel suo uso lungo i secoli, processi di trasformazione che mettono in luce mutamenti sostanziali nei paradigmi di riferimento: la carità, che nel Deus caritas est giovanneo (1Gv 4,16) è imprescindibilmente costitutiva al soggetto, si è vista spesso ridotta a mero oggetto dell’agire. E infatti carità è, per noi, fare la carità, più che essere carità. La differenza non è di poco conto. Il passaggio sintattico dalla funzione di soggetto alla funzione di oggetto ha comportato almeno due conseguenze significative.

In primo luogo, la parola carità si è trovata, suo malgrado, a subire delle procedure di esternalizzazione, in una sorta di outsourcing caritativo che, paradossalmente, proprio nella misura in cui individua strategie sempre più efficaci per manifestarsi, corre il rischio di sminuire e depotenziare l’iniziativa singolare: ai poveri e ai bisognosi, insomma, ci pensano i volontari della Caritas parrocchiale, con buona pace di tutti gli altri bravi cristiani.

La seconda conseguenza è bene espressa nell’esclamazione per carità!, che risolve in chiave ironica la disparità di posizioni tra chi per carità agisce e chi, invece, per carità viene aiutato: carità è diventata sinonimo di elemosina e, in quanto tale, è venuta a legarsi idealmente al movimento dall’alto verso il basso di chi depone la moneta nella mano protesa, appunto, a chiedere la carità. Disparità di posizioni, movimento dall’alto in basso, asimmetria e, dunque, assenza di reciprocità.

Nello statuto del cristiano

Ci si può porre una domanda: è possibile, e in che modo, riscoprire e vivere la carità come dimensione costitutiva irrinunciabile del cristianesimo, cioè come dimensione esistenziale di dono nel segno della reciprocità – secondo le programmatiche affermazioni del capitolo quarto della prima lettera di Giovanni?

È possibile, sì. E che lo sia è venuto a dircelo il tempo dell’emergenza sanitaria, mettendoci spalle al muro con la parola vulnerabilità. È arrivato un nemico invisibile e, con l’inconsistenza del nostro esistere, con la labilità del nostro peso specifico esistenziale, stiamo tutti – tutti – facendo i conti. Tutti ci sentiamo fragili, tutti ci sentiamo mortali. Tutti abbiamo paura. Tutti temiamo – per noi, e per le persone che amiamo. Vulnerabili. Fragili. Senza difese. Esposti. Poveri. Limitati. Bisognosi. Siamo noi, oggi, al tempo del coronavirus. Noi, non gli altri.

È arrivato un nemico invisibile, e senza chiederci il permesso ha iniziato a liberarci dalle incrostazioni dei nostri bisogni superficiali – quelli che ogni festa comandata ci invitavano nei centri commerciali a spingere carrelli riempiti di superfluo e che ogni estate ci facevano battere il cuore per vacanze da sogno in villaggi turistici sempre identici a se stessi, a qualsiasi latitudine e longitudine. Le incrostazioni che facevano di noi delle persone sature di bisogni perennemente replicabili, ma incapaci di sentire davvero bisogno. Adesso il povero che ha bisogno, che ha paura, che si trova in difficoltà, che rischia di morire – non è lontano, non è un altro. Siamo noi. Noi – disincrostati, faccia a faccia con il nostro nocciolo interiore, con il nostro bisogno esistenziale fondativo.

Fino a Covid-19 non erano molte le esperienze di vita che permettevano, a noi occidentali ingolfati dal superfluo, di conoscere il significato vero della parola bisogno. Il percepirsi come creature bisognose era affidato alla breve stagione dell’infanzia e al legame di dipendenza esclusiva dalla madre e dai genitori. A qualcuno, – fortunato o, forse più semplicemente, libero – era dato di conoscere nell’amore l’apertura totale, l’esposizione all’altro che, mettendo a nudo la propria vulnerabilità indifesa, permette di gridare “ho bisogno di te”. Per la maggior parte di noi – la vita si riduceva a bisogni da accendere e spegnere con una passata di mano sul touch screen.

Il bisogno e il bisognoso

Vale la pena, riprendere in mano gli Atti degli Apostoli e rileggere quell’esperienza di fede sorgiva e di carità alla luce della esperienza di spoliazione, di bisogno, che oggi – anno 2020 – anche noi come cristiani stiamo attraversando.

Leggiamo al capitolo 2,45: «Vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno». E al capitolo 4, 34-35: «Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno».

Per capire quale rapporto stringente leghi carità e bisogno diventa indispensabile precisare alcuni passaggi della traduzione. L’aggettivo bisognoso significa bisognoso nel senso di mancante, in difetto. Bisogno, in questa prospettiva, esprime l’idea di un deficit, di una privazione. Tanto nel capitolo 2 quanto nel capitolo 4, invece, il sostantivo bisogno – nell’espressione secondo il bisogno di ciascuno – traduce l’idea di vantaggio/guadagno, di uso/impiego e, appunto, di bisogno/necessità. Il bisogno si dà non come deficit, ma come relazione, come scambio vitale. Aristotele, nell’Etica Nicomachea, scrive a proposito del concetto di reciprocità: «Il bisogno tiene uniti gli uomini»

L’uomo è per Aristotele un animale politico, sociale, e il collante primo della comunità è proprio il bisogno. Bisogno che ha in sé anche il proprio rovescio, il guadagno, e che, proprio per questo, può essere inteso come dono scambiato che garantisce la vita della comunità.

Questo tempo sospeso ci affida, come cristiani, la possibilità di riscoprire nella dimensione del bisogno la radice prima della carità. L’esistenza di ciascuno come luogo aperto, indifeso, fragile. Ricco della propria vulnerabilità. Accogliente in forza della mancanza di mezzi di difesa. Sul volto le mascherine, i guanti di lattice sulle mani, impediti come siamo nei nostri consueti spostamenti quotidiani, possiamo finalmente concedere libertà di circolazione alla Carità. Non la carità oggetto da fare, ma la Caritas soggetto che sempre ci interpella. Quella che nel volto dell’altro ci aiuta a vedere qualcosa/qualcuno che davvero, sempre, sempre di più, ci ri-guarda.

Deus caritas est. Caritas Deus est.

settimananews

Udienza. Il Papa: la Chiesa è popolo di peccatori che sperimentano la misericordia

Gesù non ha scelto i perfetti, ma è venuto a dare speranza ai peccatori. Lo ha ribadito papa Francesco stamani all’udienza generale del mercoledì, la seconda dopo la pausa di luglio, tenutasi in Aula Paolo VI per evitare il caldo agostano di piazza San Pietro. Accolto come sempre dall’abbraccio entusiastico dei presenti, il Pontefice si è soffermato a salutare, ascoltare, benedire, farsi scattare selfie con lui. Dopo la lettura del brano del Vangelo secondo Luca sulla peccatrice alla quale «sono perdonati i suoi peccati perché ha molto amato», Francesco ha proseguito il ciclo di catechesi sulla speranza cristiana Il perdono divino: motore di speranza», TESTO INTEGRALE).

Gesù compie gesti scandalosi

«Abbiamo sentito la reazione dei commensali di Simone Fariseo: chi è costui che perdona anche i peccati? Gesù ha appena compiuto un gesto scandaloso» esordisce il Papa. E riassume brevemente l’episodio: una donna conosciuta come peccatrice è entrata in casa di Simone, si è chinata ai piedi di Gesù e ha versato sui suoi piedi olio profumato. I presenti mormorano: se costui è un profeta non dovrebbe accettare. «Quelle erano donne, poverette, che servivano solo per essere “visitate” di nascosto, anche dai capi, o per essere lapidate» chiosa il Papa. «L’atteggiamento di Gesù è diverso»: lui «avvicina i lebbrosi, gli indemoniati, tutti i malati e gli emarginati». «Questa simpatia di Gesù per gli esclusi, gli intoccabili, sarà una delle cose che più sconcerteranno i suoi contemporanei: laddove c’è una persona che soffre Gesù se ne fa carico».

 

Gesù ci vuole guariti e liberi

Gesù condivide il dolore umano e quando lo incrocia sente misericordia. «Gesù prova compassione», insiste il Papa, non ha l’atteggiamento degli stoici che invitano a sopportare la sofferenza. «Laddove c’è un uomo o una donna che soffre Gesù vuole la sua guarigione, la sua liberazione, la sua vita piena». Non si tratta di guarigione solo da un male fisico, ma anche da un male spirituale, dalla condizione di peccato. E quante persone, anche oggi, osserva il Papa, «perdurano in una vita sbagliata perché non trovano nessuno disposto a guardali con il cuore di Dio, cioè con speranza». Gesù «vede una possibilità di resurrezione anche in chi ha accumulato tante scelte sbagliate» e «spalanca quella misericordia che ha nel cuore: perdona, abbraccia, capisce». Gesù per prima cosa libera la peccatrice da «quel senso di oppressione, di sentirsi sbagliata».

«Tanti cattolici si credono perfetti e disprezzano gli altri»

L’atteggiamento di Gesù scandalizza gli scribi e la loro reazione ricorda al Papa quella di «tanti cattolici che si credono perfetti e disprezzano gli altri: è triste questo». «Dovremmo ricordarci – esorta Francesco – di quanto siamo costati all’amore di Dio», poiché Gesù ha dato la vita per ciascuno di noi. «Gesù non va in croce perché sana i malati», ma «perché perdona i peccati, perché vuole la liberazione totale, definitiva del cuore dell’uomo, perché non accetta che l’essere umano consumi tutta la sua esistenza con il tatuaggio incancellabile di non essere accolto dal cuore di Dio».

Gesù dà la speranza di una vita nuova

«I peccatori non solamente vengono rasserenati a livello psicologico, Gesù offre alle persone che hanno sbagliato la speranza di una vita nuova» osserva Francesco. «Guarda avanti e ti faccio un cuore nuovo: questa è la speranza che ci dà Gesù». Ma c’è di più: non solo Gesù offre ai peccatori una speranza concreta, ma proprio fra quei peccatori pentiti scegli i suoi primi discepoli. E il Papa fa nomi e cognomi: Matteo il pubblicano diventato apostolo di Cristo, Zaccheo ricco corrotto che «sicuramente aveva una laurea in tangenti», la donna di Samaria «che aveva avuto 5 mariti e ora convive con un altro» si sente promettere un’acqua viva che per sempre sgorgherà dentro di lei. «Dio non ha scelto come primo impasto per formare la sua Chiesa le persone che non sbagliavano mai: la Chiesa è un popolo di peccatori che sperimentano la misericordia di Dio». Francesco conclude: «Siamo tutti poveri peccatori, bisognosi della misericordia di Dio, che ha la forza di trasformarci e darci speranza ogni giorno. Andiamo avanti con questa fiducia».

Sulla Nigeria: «Mai più crimini nei luoghi di culto»

Al termine dell’udienza, papa Francesco ha ricordato la strage in chiesa in Nigeria. «Sono rimasto profondamente addolorato dalla strage avvenuta domenica scorsa in Nigeria, all’interno di una chiesa, dove sono state uccise persone innocenti» ha detto. «E purtroppo stamattina è giunta notizia di violenze omicide nella Repubblica Centrafricana contro la comunità cristiana. Auspico che cessi ogni forma di odio e di violenza e non si ripetano più crimini così vergognosi, perpetrati nei luoghi di culto, dove i fedeli si radunano per pregare. Pensiamo ai nostri fratelli e sorelle in Nigeria e in Repubblica Centrafricana e preghiamo per loro tutti insieme». Il Papa ha quindi invitato i presenti a recitare un’Ave Maria.

da Avvenire

A corredare il Giubileo dell’Università è Jubileum Exhibition

A corredare il Giubileo dell’Università è Jubileum Exhibition, una serie di eventi culturali ospitati nel Palazzo Ferrajoli, a piazza Colonna, nel cuore di Roma, inaugurati stamani con il Convegno “Misericordia e riconciliazione. Il dialogo interreligioso per la pace”. Della settimana, ricca di appuntamenti, ci parla il coordinatore Giovanni Cipriani,

di Roberta Gisotti – radio vaticana

R. – Questa Settimana si sviluppa con una serie di eventi convegnistici, di cui il primo è quello menzionato, sul dialogo interreligioso, che vede riuniti ben 16 rappresentanti di confessioni religiose. Quindi, abbiamo le Chiese ortodosse rumena, greco-ortodossa, copto-ortodossa e anche la Chiesa del Patriarcato di Mosca e poi luterani, valdesi, la comunità ebraica, i rappresentanti della comunità religiosa islamica italiana, poi maestri di zen, induismo, taoisti e anche dei sikh. Questo significativo evento è il momento iniziale di questa Settimana di incontri. Sabato poi abbiamo la presentazione di ben cinque libri, sempre a tematica religiosa e giubilare. Nel programma anche dei concerti ed una bellissima mostra fotografica – oltre 100 immagini – che rappresenta il Grande Giubileo del 1950 e l’abbiamo definito “Il Giubileo in bianco e nero”, dove si vede anche come vestivano i nostri padri, i nostri nonni, le nostre nonne che venivano a Roma per il Giubileo del 1950, che è il grande Giubileo della ricostruzione nell’immediato Dopoguerra. Abbiamo poi una Mostra d’arte contemporanea intitolata “Imago Misericordiae”, ed ancora uno spazio per i libri religiosi e di spiritualità ed anche una piccola Mostra di filatelia, sempre dedicata al Giubileo.