I migranti e noi: l’esperienza di Taizé

Nel mondo intero donne, uomini e bambini sono costretti ad abbandonare la loro terra. È la loro sfortuna che li costringe a partire. Ciò che li spinge è più forte di tutte le barriere innalzate per bloccare il loro cammino. Posso testimoniarlo di persona perché ultimamente ho trascorso alcuni giorni in Siria. A Homs la vastità delle distruzioni causate dai bombardamenti è inimmaginabile. Gran parte della città è in rovina. Ho visto una città fantasma e ho percepito la disperazione degli abitanti della regione. Oggi sono i siriani ad affluire in Europa, domani saranno altri popoli. I grandi flussi migratori ai quali assistiamo sono ineluttabili. Non rendersene conto è pura miopia. Cercare il modo di regolamentare quei flussi è legittimo e anche necessario, ma voler impedirli innalzando muri e fili spinati è assolutamente vano.

Di fronte a questa situazione la paura si comprende. Resistere alla paura non significa che essa debba scomparire, ma che non deve paralizzarci. Non permettiamo che il rifiuto dello straniero s’insinui nelle nostre mentalità perché il rifiuto dell’altro è l’inizio della barbarie. In un primo momento i Paesi ricchi dovrebbero prendere maggiormente coscienza che hanno la loro parte di responsabilità nelle ferite inferte ad altri lungo il corso della storia, ferite che hanno provocato e continuano a provocare immense migrazioni, in particolar modo dall’Africa e dal Vicino Oriente.

E anche certe politiche attuali sono causa di instabilità in quelle regioni. Un secondo passaggio dovrebbe essere quello del superamento della paura dello straniero e delle culture differenti e dell’impegno a modellare quel nuovo volto delle nostre società occidentali che già si intuisce grazie alle migrazioni.

Invece di vedere nello straniero una minaccia per il nostro tenore di vita o per la nostra cultura, accogliamolo come membro della stessa famiglia umana. E scopriremo che, se l’afflusso di rifugiati e migranti crea certamente delle difficoltà, può tuttavia costituire anche un’opportunità. Studi recenti mostrano l’impatto positivo del fenomeno migratorio sulla demografia e sull’economia. Perché tanti discorsi sottolineano così fortemente le difficoltà senza mettere in evidenza i lati positivi? Coloro che bussano alla porta di Paesi più ricchi del loro spingono tali Paesi a divenire solidali. Non favorisce forse tutto ciò il sorgere di un nuovo slancio vitale?

Vorrei descrivere qui la nostra esperienza di Taizé. È umile e limitata ma molto concreta. Dal novembre scorso, d’accordo con la prefettura, la comunità dei Comuni di cui fa parte il nostro villaggio e alcune associazioni del luogo, ospitiamo a Taizé undici giovani provenienti dal Sudan – la maggior parte dal Darfur – e dall’Afghanistan, arrivati tra noi dalla “giungla” di Calais.

La loro venuta ha destato uno slancio di solidarietà impressionante nella nostra regione: alcuni volontari vengono ad insegnare loro il francese, altri, medici, li curano gratuitamente, degli abitanti del luogo li conducono in giro in bicicletta a fare la conoscenza di questa terra… Circondati così dall’amicizia, questi giovani, che hanno vissuto eventi tragici nella loro vita, stanno ricostruendosi. E questo contatto semplice con dei musulmani cambia lo sguardo di coloro che stanno accanto a loro.

Nel villaggio di Taizé, questi giovani sono stati accolti da famiglie provenienti da diversi Paesi – Vietnam, Laos, Bosnia, Ruanda, Egitto, Iraq – giunte a Taizé negli ultimi decenni e che fanno ormai parte integrante del nostro tessuto umano. Tutti hanno conosciuto grandi sofferenze, ma portano al nostro villaggio una grande vitalità grazie alla ricchezza e alla diversità delle loro culture. Se una tale esperienza è possibile in una regione piccola come la nostra, perché non lo sarebbe a scala più ampia? Si crede a torto che la xenofobia sia il sentimento più diffuso. Penso invece che spesso c’è piuttosto molta ignoranza. Quando gli incontri personali sono possibili, le paure lasciano il posto alla fraternità, che esige chiaramente di mettersi nella pelle dell’altro. La fraternità è il solo cammino possibile per preparare la pace.
Assumendosi tutti insieme le responsabilità che l’ondata migratoria impone, invece che giocare sulle paure, i responsabili politici potrebbero aiutare l’Unione Europea a ritrovare quella dinamica vitale delle sue origini che s’è andata affievolendo. Un’intera giovane generazione europea aspira a una tale apertura. Lo constatiamo noi che da anni e anni riceviamo sulla collina di Taizé in occasione degli incontri internazionali di una settimana, decine di migliaia di giovani da tutto il continente. Ai loro occhi la costruzione dell’Europa trova il suo vero senso solo se si mostra solidale con gli altri continenti e con i popoli più poveri.

Molti giovani europei fanno fatica a capire i loro governi quando manifestano la volontà di chiudere le frontiere. Questi giovani chiedono, al contrario, che la mondializzazione dell’economia sia accompagnata da una mondializzazione della solidarietà e che questa si manifesti in particolare con un’accoglienza degna e responsabile dei migranti. Molti di loro sono disposti a contribuirvi. Dobbiamo avere il coraggio di ammettere che anche la generosità ha un ruolo importante da giocare nella vita della città dell’uomo.
* Priore della comunità ecumenica di Taizé

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