È il culto della e nella vita che invera il culto del momento sacramentale e rituale. «Non servirebbe a nulla offrire il sacrificio di Cristo se non ci fosse da parte nostra un’adeguata corrispondenza interiore»

postille

In un recente incontro di confratelli, il semplice accenno al nuovo Messale ha provocato questo unanime parere: Pessimo!

Non me la sento di condividere appieno quel parere, perché dietro la terza edizione c’è tutto un lavoro iniziato nel 2002 da parte di teologi, liturgisti, biblisti, musicologi, italianisti, patrologi da non liquidare con un giudizio così tranchant, anche se in parte comprensibile, perché coglie qualche increspatura dovuta alla laboriosità del percorso che ha conosciuto varie tappe: ripensamenti, aggiustamenti, rielaborazioni.

Non so se, dal 2012 al 2014, il tutto è stato sottoposto al parere e alla sperimentazione previa anche da parte di liturgisti-parroci di lungo corso che avrebbero potuto dare utili suggerimenti.

Comunque, se i nuovi Lezionari si sono rivelati di debole costituzione quanto alla rilegatura, il messale ha una forte rilegatura, ma è “fragile” per il resto. Mi riferisco ai rilievi già fatti circa il formato, lo spessore della carta e il conseguente tipo di carattere che si è scelto: tutto ciò comporta una certa difficoltà.

L’edizione precedente al riguardo era perfetta da quel punto di vista. Il Messale d’altronde non è da asporto; deve avere una sua consistenza e bellezza grafica, tale da non creare difficoltà a chi avesse qualche problema di vista.

Queste osservazioni sono state già fatte da altri e hanno avuto risposte esaurienti da Paolo Tomatis, Il Messale 2020: struttura, grafica, immagini (RPL 4/2020).

Mi permetto tuttavia di far notare alcuni dettagli con qualche osservazione di critica costruttiva, ben consapevole che non ci si può soffermare sulle piccole innovazioni o modifiche trascurando l’impianto generale. Sarebbe «riduttivo infatti limitare la novità del Messale Romano ai piccoli cambiamenti di linguaggio e di traduzioni. La vera novità della terza edizione italiana consisterà nella consapevolezza con cui riceviamo il libro liturgico come testo da tradurre in un gesto eloquente e condiviso, espressivo e insieme performativo» (Paolo Tomatis, RPL1/2021).

Per iniziare

L’aver posto le indicazioni musicali per il segno di croce e il saluto iniziale non più in appendice ma nel corpo della pagina, da l’impressione che si sia inteso dare un chiaro messaggio: diamo alla celebrazione della Messa un tono, una modalità che orienti ad un certo stile di partecipazione che sia consapevole dello svolgimento di un’azione sacra che, per quanto la si voglia stemperare, non può e non deve degenerare. Sembra quasi una doccia fredda con un messaggio ben preciso: «Il sacrificio della messa ha pertanto la forza di renderci contemporanei con l’azione salvifica di Cristo, di collocarci nella presenza immediata dell’opera di Cristo» (Odo Casel, Il mistero del culto cristiano, pag, 168). Questa perlomeno è una mia impressione.

D’altronde, i linguaggi della preghiera liturgica debbono comunque caratterizzarsi anche per elementi di discontinuità, al fine di garantire lo scarto simbolico proprio della liturgia, pur restando comunque l’esigenza di dare alla celebrazione un tono vivo e festoso che erompa da tutto il contesto: canti che infondano gioia e fiducia e siano veramente una preghiera raddoppiata; movimenti, suoni, colori, clima generale che infonda serenità, che interrompa il ritmo dei giorni, riaccenda la speranza e la fiducia nella vita, senza tuttavia dimenticare, mentre intoniamo i nostri canti, il grido di dolore che si eleva dal mondo.

L’introduzione del Kyrie non ha creato grandi difficoltà, specialmente dove si era già abituati a cantarlo con le semplici e belle melodie gregoriane presenti Nella casa del Padre. Adottare però il Kyrie della messa gregoriana De Angelis appesantirebbe di molto lo svolgimento agile dell’atto penitenziale.

Dopo la preparazione dei doni, il celebrante esorta i partecipanti dicendo Pregate, fratelli, perché il mio e vostro sacrificio sia gradito a Dio Padre onnipotente. Nell’Ordinamento del 2004, al n. 146, era previsto che i fedeli nel rispondere si alzassero in piedi: populus surgit et respondet (Editio tipyca del 2000).

Nella terza edizione del Messale la Conferenza episcopale italiana ha pensato di modificare l’atteggiamento dei fedeli che sono invitati ad alzarsi solo all’inizio della preghiera sulle offerte. Non si quale sia stata la ragione di tale decisione.

Il terzo formulario Pregate, fratelli e sorelle, perché portando all’altare la gioia e la fatica di ogni giorno, ci disponiamo ad offrire il sacrificio gradito a Dio Padre onnipotente si riferisce al culto spirituale che il cristiano esercita nella vita di ogni giorno vivendo il suo impegno mondano nella volontà di Dio, donando tutto sé stesso (gioie, dolori, fatiche e speranze nel sacro calice noi deponiamo, come suggerisce un canto), il che equivale alla parola sacrificio che, a sua volta, si concretizza nella gratuità della comunione fraterna attraverso il dono di sé.

Ed è proprio quel dono che il popolo presenta nella sua risposta Il Signore riceva dalle tua mani questo sacrificio a lode e gloria del suo nome… Si parla qui della liturgia che il credente svolge nella sua vita ordinaria, liturgia espressa dalla sua umanità. Poco prima il celebrante ha infuso nel vino poche gocce d’acqua che simboleggiano la nostra unione con la vita divina di colui che ha voluto assumere la nostra natura umana: “nostra unione”, cioè del popolo, a partire dal mistero dell’Incarnazione, del battesimo e nella vita quotidiana.

Quel pane e quel vino, dopo la consacrazione divenuti calice della salvezza e pane della vita, vengono offerti dall’assemblea in rendimento di grazie perché ci hai resi degni di stare alla tua presenza a compiere il servizio sacerdotale.

È il culto della e nella vita che invera il culto del momento sacramentale e rituale. «Non servirebbe a nulla offrire il sacrificio di Cristo se non ci fosse da parte nostra un’adeguata corrispondenza interiore» (Rinaldo Falsini).

Il momento dell’offerta che segue l’anamnesi rimanda quindi al precedente dialogo tra il presidente e l’assemblea dopo la preparazione dei doni.

Venendo al dunque, non vedo perché il popolo debba stare seduto nel momento rituale in cui viene invitato a esplicitare il proprio sacerdozio!

E qui si insinua il sospetto, il pensiero malizioso: vuoi vedere che, vista la confusione che si creava durante la celebrazione in quel momento (chi continuava a stare comodamente seduto durante la preghiera sulla offerte e perfino durante il prefazio, chi si alzava dopo aver risposto all’invito e chi invece correttamente si alzava e rispondeva), si è deciso di invitare ad alzarsi solo all’inizio della preghiera sulle offerte, non tenendo conto del n. 146 dell’Ordinamento, anzi, modificandolo?

Se è vero che i riti educano nel loro svolgersi fatto di parole, di gesti e di movimenti, non è indifferente optare per una o l’altra scelta per le implicazioni teologiche che ho evidenziato e non certo per una pignoleria rubricistica. È il caso di dire che la forma si sposa con la sostanza.

Per Cristo Signore nostro?

Un’altra novità è stata introdotta nel Prefazio. Esso è «come una presentazione sintetica, ma ogni volta diversa del mistero di morte e risurrezione del Signore Gesù e introduce, all’interno della solennità del Canone, una dinamica storico salvifica in cui prevale, rispetto alla linearità di uno sviluppo, la ripetizione di un tema con variazioni. In esso la storia della salvezza entra nella Preghiera eucaristica, con tutte le sfumature dei racconti ascoltati» (cf. Grillo-Conti, La messa in 30 parole, pag. 120.122).

Come ogni racconto avvincente, il Prefazio non ammette quindi interruzioni, così come una sinfonia non prevede applausi ad ogni movimento.

In alcuni Prefazi al termine di un enunciato di fede o di storia della salvezza, viene nominato Cristo nostro Signore. Nella terza edizione vi è questa modifica: Per Cristo Signore nostro! Però nella colletta e in tutte le orazioni si è conservata la forma Per Cristo nostro Signore, e non poteva essere diversamente, perché lì deve seguire la risposta Amen.

Ed ecco il sospetto malizioso: visto che la maggioranza dei celebranti recitava quelle parole in una maniera tale da sollecitare una risposta che veniva spontaneamente al popolo, ecco che si è optato per una forma che grammaticalmente non sta in piedi, salvo motivazioni conosciute forse dagli Accademici della Crusca.

Eppure basta poco ad evitare confusione. Come chi proclama il salmo responsoriale deve stare attento alle strofe con sei versi collegando subito il quarto verso con i seguenti se vuole evitare che il popolo in automatico risponda col ritornello, così sarebbe bastato (e basterebbe) poco che il prete avesse collegato subito, dopo la brevissima pausa logica, il Per Cristo nostro Signore con ciò che segue.

Un’assemblea educata in tal senso non interverrà con un intempestivo Amen, dovesse pure prolungarsi più di tanto quella pausa. È questione anche di riflessi condizionati indotti dalle buone abitudini.

Sempre a proposito del Prefazio, lodevolmente si è voluto offrire per esteso la forma musicale in gregoriano per le solennità e i tempi forti per incoraggiarne il canto. L’edizione precedente, per facilitare il canto anche in altre circostanze sia col modulo gregoriano che con l’altro di felice inventiva melodica riportato in appendice, aveva allegato un foglio plastificato. Esso manca nella terza edizione.

Per cantare il Prefazio nell’una e nell’altra forma anche in altri momenti, in mancanza di rigo musicale nella pagina, è necessario comunque avere sott’occhio un sussidio. Aver relegato in appendice lo schema di canto per il Prefazio significa scoraggiarne il canto, a meno che uno non voglia utilizzare il precedente sussidio, visto che ne manca la ristampa in formato giusto.

Aggiungo che si sarebbe potuto offrire almeno un’altra melodia, visto che ci sono fior di compositori capaci di creare altre melodie agili, gioiose pur nello stile della cantillatio.

La rugiada

A proposito della rugiada, darò l’impressione di cantare extra chorum. Nell’editio typica del 1975 e in quella del 2021 è adottata la formula Spiritus tui rore. L’immagine della rugiada come segno della presenza e dell’azione di Dio è presente nel Primo Testamento e i Padri, e con loro la liturgia, vi hanno visto la presenza e l’azione dello Spirito Santo. Ci si è attenuti ad una traduzione letterale del testo latino, non tenendo forse in debito conto indicazioni diverse al riguardo (cf. A. Grillo in Munera del 23 ottobre 2021).

Siamo in presenza della poetica di un linguaggio che, proprio come la poesia, si presenta come una «differenza che attrae». Tuttavia, questa osservazione di Giuseppe Lorizio lascia qualche dubbio: «Chissà chi, tranne qualche funzionario condiscendente, sarebbe del parere di dire che rugiada dello Spirito piuttosto che effusione, è attualizzante o non piuttosto un malinconico ricordo di epoche in cui la natura era ancora incorrotta» (SettimanaNews, 2 settembre 2020).

Comunque, il nuovo incipit della seconda preghiera eucaristica è bellissimo e da solo impone una pausa ulteriore dopo il Santo.

Nelle messe per i defunti si è voluto conservare la formula «il defunto che hai chiamato a te da questa vita»: certo, alla fin fine è così, però in certe circostanze quella dizione è inopportuna e potrebbe suscitare più domande su Dio che sentimenti di fede.

Dossologia

Nella precedente edizione veniva indicata una melodia gregoriana bella e lineare. Però – e qui subentra il mistero – dappertutto quella melodia veniva cantata diversamente, con delle note aggiunte e con una cadenza finale non in linea con il tono o modo. Ho cercato invano nell’edizione del 1962, in quelle di Paolo VI e nel Messale Romano di Pio V una formula canora che autorizzasse a modificare quella presente nel messale di Paolo VI. Non ce n’è traccia. Nel Messale di Pio V il sacerdote pronunciava per conto suo la dossologia insieme a segni di croce e poi concludeva in canto Per omnia saecula saeculorum.

Ecco allora il sospetto: vuoi vedere che si è optato per l’altra formula inesatta, ma stranamente diffusa dappertutto, ma non presente nemmeno nel Messale di Paolo VI?

Per scrupolo di ricerca, su YouTube ho trovato un video in cui uno eseguiva la dossologia esattamente nella maniera difforme da quella indicata nel Messale ma affermatasi nella prassi per vie misteriose.

Non è stata comunque una bella soluzione riscrivere il canto della dossologia adeguandosi in parte all’andazzo di storpiare la melodia.

Immagino a questo punto che qualche benevolo lettore penserà che non è proprio il caso di perdersi in tante sottigliezze rituali quando nella Chiesa e nel mondo ci sono problemi ben più gravi. D’accordo. Se però c’è una qualche menda a cui nel tempo si potrebbe rimediare, sarà valsa la pena tanta pignoleria.

Un professore di liturgia all’inizio del corso consigliava ai suoi alunni di fare prima il mestiere di camionista almeno per dieci anni. Essere parroco da alcuni decenni in un quartiere periferico e popoloso, con una chiesa al rustico e priva di strutture a cui aver dovuto provvedere, penso che valga bene quei dieci anni da camionista.

Voglio concludere con alcuni paragoni musicali per indicare come utilizzare il Messale, che potremmo assimilare ad uno spartito che prevede una creatività originale e intelligente al contempo, in grado di dare vitalità rituale a ciò che è nella pagina. Le note nello spartito sono inerti: prendono vita prima nella mente del direttore che studia la partitura e poi attraverso i suoni dei vari strumenti.

La nona sinfonia di Schubert (la Grande) nel primo movimento ha un terzo tema solenne e misterioso emergente dalla compagine orchestrale in pianissimo e affidato ai tromboni. Mentre Willem Mengelberg tirava dritto con lo stesso tempo e senza attenuare la dinamica dell’orchestra, Klemperer e Furtwängler invece rallentavano alquanto all’inizio del tema, mettevano in sordina gli archi preparando a quell’aura di mistero resa bene dal suono solenne degli ottoni. Si trattava quindi di trovare equilibri e dosaggi che facessero emergere quel momento particolare.

Ciò vale anche nella celebrazione liturgica, nella quale bisogna saper dare un rilievo ben calibrato nell’insieme a particolari che parlino all’Assemblea con il linguaggio dei segni. Lo Spirito Santo fa sì che tutto nella liturgia colpisca, muova e formi il cuore dei credenti.

Herbert von Karajan aveva un modo di dirigere ieratico e molto concentrato, frutto di intenso studio e meditazione sullo spartito. Con i suoi gesti parchi ma tecnicamente perfetti ed eloquenti per gli esecutori e i presenti, riusciva a contagiare alla partecipazione interiore.

Padronanza del rito unita a plasticità plausibile e vera dei gesti liturgici di chi presiede e dell’Assemblea possono essere solo frutto di riflessione e di consapevolezza del mistero.

Settimana News

LA TRADUZIONE CEI «Il nuovo Messale? Libro di tutti, non del prete. Valorizziamo i gesti dell’assemblea»

Nelle parrocchie italiane il nuovo Messale è arrivato lo scorso novembre, in mezzo al “terremoto” della pandemia, quando le celebrazioni erano – e ancora oggi lo sono – condizionate dalle misure anti-Covid. E nella Settimana di studio dei professori e dei cultori di liturgia la rinnovata traduzione del libro ha fatto da cornice alle riflessioni sull’assemblea eucaristica. «Ci siamo posti qualche domanda: la nuova edizione del Messale è un testo per l’assemblea o del prete? E la Messa è quella cosa che fa il sacerdote oppure è l’azione di tutta la comunità?», spiega don Paolo Tomatis, che ha fatto parte del gruppo Cei che ha concluso la redazione del libro liturgico. Le risposte sono scontante. «Il Messale – afferma – è certamente per l’assemblea perché scandisce la partecipazione attraverso gesti e parole che coinvolgono tutti. Però bisogna farlo ben funzionare. Il volume è molto più ricco di azioni comunitarie di quanto appare. È opportuno riscoprirle. Penso all’offerta dei doni da parte dei fedeli o al canto comunitario o ancora alla processione per la Comunione magari da ricevere nella pienezza delle due specie». E l’idea di un’omelia dialogata? «Può avvenire in assemblee particolari, come i gruppi di giovani. Non è opportuna durante le liturgie parrocchiali – puntualizza Tomatis – . Benché l’etimologia della parola “omelia” rinvii al dialogo, essa è una comunicazione orizzontale, ossia fra il predicatore e l’assemblea, ma a servizio di una comunicazione verticale, cioè del dialogo fra Dio e il suo popolo». (G.G.)

ITE MISSA EST, GIRO DI VITE DEL PAPA SULLE MESSE CON RITI PRECONCILIARI

Addolorato per gli abusi nelle celebrazioni liturgiche commessi «da una parte e dall’altra», Jorge Mario Bergoglio, con il Motu proprio Traditionis custodes e con una lettera d’accompagnamento spiega che certe concessioni fatte da san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI per unire e sanare vecchie ferite sono state in realtà usate male da molti e che il Messale di San Pio V è servito strumentalmente ad «aumentare le distanze, indurire le differenze, costruire contrapposizioni che feriscono la Chiesa»

da Famiglia Cristiana

La prima cosa da mettere in chiaro è che il latino non c’entra. O meglio: c’entra fino a un certo punto. Anche l’editio tipica dell’ultimo Messale, diventato obbligatorio la scorsa Pasqua, è in latino. Conta, invece, questo sì, il modo di essere Chiesa, di concepire la preghiera comunitaria, di vivere la liturgia. E conta una data, il 1970, anno in cui si perfezionò la riforma liturgica, spartiacque tra un prima (non ancora innervato dal Concilio Vaticano II anche per quanto riguarda i riti della celebrazione eucaristica), e un dopo, che si spinge fino a noi.

Con il Motu proprio Traditionis custodes, papa Francesco stabilisce che «i libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II, sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano»; prevede che la responsabilità di regolare la celebrazione secondo il rito preconciliare torni ai singoli vescovi, essendo loro «esclusiva competenza autorizzare l’uso del Missale Romanum del 1962» nelle diocesi, seguendo gli orientamenti dalla Sede Apostolica; chiede ai pastori di accertarsi che quanti già celebrano con il messale antico «non escludano la validità e la legittimità della riforma liturgica, dei dettati del Concilio Vaticano II e del Magistero dei Sommi Pontefici».

Le Messe con il rito antico, prosegue il Motu proprio, non si devono più celebrare nelle chiese parrocchiali, il vescovo stabilirà il luogo di culto e i giorni prescelti. Le letture dovranno essere in lingua corrente, usando le traduzioni approvate dalle Conferenze episcopali. Il celebrante dovrà essere un sacerdote delegato dal vescovo. A quest’ultimo spetta anche di verificare l’opportunità di mantenere o meno le celebrazioni secondo il messale antico, verificandone la «effettiva utilità per la crescita spirituale». È infatti necessario che il sacerdote incaricato abbia a cuore non solo la dignitosa celebrazione della liturgia, ma la cura pastorale e spirituale dei fedeli. Il vescovo «avrà cura di non autorizzare la costituzione di nuovi gruppi».

I sacerdoti ordinati dopo la pubblicazione del Motu proprio datato 16 luglio 2021, che intendono celebrare con il messale preconciliare «devono inoltrare formale richiesta al Vescovo diocesano il quale prima di concedere l’autorizzazione consulterà la Sede Apostolica». Mentre quelli che già lo fanno dovranno chiedere al vescovo diocesano l’autorizzazione per continuare a usarlo. Gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, «a suo tempo eretti dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei» passano sotto la competenza della Congregazione per i Religiosi. I Dicasteri del Culto, e dei Religiosi vigileranno sull’osservanza di queste nuove disposizioni.

Papa Francesco ha a cuore la Chiesa. La sua unità. Per questo al Motu proprio ha affiancato una lettera di accompagnamento in cui illustra i motivi che l’hanno portato a queste decisioni. Rivolto ai vescovi di tutto il mondo, Jorge Mario Bergoglio spiega che le concessioni stabilite dai suoi predecessori per l’uso del messale antico erano soprattutto motivate “dalla volontà di favorire la ricomposizione dello scisma con il movimento guidato da Mons. Lefebvre”. La richiesta, rivolta ai vescovi, di accogliere con generosità le “giuste aspirazioni” dei fedeli che domandavano l’uso di quel messale, “aveva dunque una ragione ecclesiale di ricomposizione dell’unità della Chiesa”. Quella facoltà, osserva Francesco, “venne interpretata da molti dentro la Chiesa come la possibilità di usare liberamente il Messale Romano promulgato da san Pio V, determinando un uso parallelo al Messale Romano promulgato da san Paolo VI”.

Il Papa ricorda che la decisione di Benedetto XVI con il Motu proprio Summorum Pontificum (2007) era sostenuta dalla «convinzione che il tale provvedimento non avrebbe messo in dubbio una delle decisioni essenziali del Concilio Vaticano II, intaccandone in tal modo l’autorità». Papa Ratzinger quattordici anni fa dichiarava infondato il timore di spaccature nelle comunità parrocchiali, perché, scriveva, «le due forme dell’uso del Rito Romano avrebbero potuto arricchirsi a vicenda». Ma il sondaggio recentemente promosso dalla Congregazione per la dottrina della fede tra i vescovi ha portato risposte che rivelano, scrive Francesco, «una situazione che mi addolora e mi preoccupa, confermandomi nella necessità di intervenire», in quanto il desiderio di unità è stato «gravemente disatteso», e le concessioni offerte con magnanimità sono state usate «per aumentare le distanze, indurire le differenze, costruire contrapposizioni che feriscono la Chiesa e ne frenano il cammino, esponendola al rischio di divisioni».

Il Papa si dice addolorato per gli abusi nelle celebrazioni liturgiche «da una parte e dall’altra», ma si dice pure rattristato per «un uso strumentale del Missale Romanum del 1962, sempre di più caratterizzato da un rifiuto crescente non solo della riforma liturgica, ma del Concilio Vaticano II, con l’affermazione infondata e insostenibile che abbia tradito la Tradizione e la ‘vera Chiesa’ ». Dubitare del Concilio, spiega Francesco, «significa dubitare delle intenzioni stesse dei Padri, i quali hanno esercitato la loro potestà collegiale in modo solenne cum Petro et sub Petro nel Concilio ecumenico, e, in ultima analisi, dubitare dello stesso Spirito Santo che guida la Chiesa».

Francesco aggiunge infine un’ultima ragione per la sua decisione di modificare le concessioni del passato: «è sempre più evidente nelle parole e negli atteggiamenti di molti la stretta relazione tra la scelta delle celebrazioni secondo i libri liturgici precedenti al Concilio Vaticano II e il rifiuto della Chiesa e delle sue istituzioni in nome di quella che essi giudicano la ‘vera Chiesa’. Si tratta di un comportamento che contraddice la comunione, alimentando quella spinta alla divisione… contro cui ha reagito fermamente l’Apostolo Paolo. È per difendere l’unità del Corpo di Cristo che mi vedo costretto a revocare la facoltà concessa dai miei Predecessori».

Dalla prima Domenica di Avvento la nuova edizione del volume sarà utilizzata nella maggioranza delle parrocchie italiane

In attesa del «nuovo» messale. Come accogliere la terza edizione italiana del Messale Romano

Dalla prima Domenica di Avvento la nuova edizione del volume sarà utilizzata nella maggioranza delle parrocchie italiane. Il cardinale Bassetti: molti gli arricchimenti e con un linguaggio attuale

Una Messa al tempo del Covid

Una Messa al tempo del Covid – Ansa

Avvenire

È un libro in cui entra l’«esperienza maturata nelle nostre Chiese particolari», che contiene «arricchimenti» da scoprire passo dopo passo e che soprattutto vuole essere «maggiormente rispondente al linguaggio e alle situazioni pastorali delle nostre comunità». Il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, riassume in maniera efficace lo “spirito” del nuovo Messale Romano in italiano che da domenica prossima, prima Domenica d’Avvento e inizio dell’Anno liturgico, sarà sugli altari della maggioranza delle parrocchie della Penisola. Lo scrive in apertura del volume, nella disposizione dove stabilisce che sarà obbligatorio usarlo dalla prossima Pasqua, ossia dal 4 aprile 2021.

Sarebbe, comunque, riduttivo considerare il rinnovato libro per celebrare l’Eucaristia soltanto una «raccolta di testi da comprendere e proclamare». Perché la liturgia è «luogo privilegiato di trasmissione dell’autentica tradizione della Chiesa e di accesso ai misteri della fede, in un collegamento sempre più stretto con le diverse dimensioni della vita», si legge nell’introduzione al volume firmata dalla Cei. Quanto si celebra deve tradursi in vita, in «impegno quotidiano», chiarisce. Infatti nella Messa si «mette in gioco tutta la persona, corpo e spirito» e il Messale «indica anche gesti da porre in atto e valorizzare» con cui «si è coinvolti nel mistero celebrato», ricorda la Cei. Del resto, il culto liturgico «non è anzitutto una dottrina» ma «sorgente di vita e di luce per il nostro cammino di fede».

 

Il nuovo Messale Romano in italiano promosso dalla Cei

Il nuovo Messale Romano in italiano promosso dalla Cei – Avvenire

 

Il libro è anche segno di «unità della Chiesa orante». Quindi, ammonisce la Conferenza episcopale, il sacerdote non deve «togliere o aggiungere alcunché di propria iniziativa». E avverte: la «superficiale propensione a costruirsi una liturgia a propria misura» non solo «pregiudica la verità della celebrazione ma arreca anche una ferita alla comunione ecclesiale». Poi ricorda le parole pronunciate da Paolo VI alla vigilia dell’entrata in vigore del Messale Romano riformato dal Concilio: no a tendenze che possano «costituire una fuga, una rottura; e perciò uno scandalo, una rovina». Tuttavia la Cei consente «opportune e brevi monizioni», ossia spiegazioni durante il rito. Con un’accortezza però: la «parola umana non soffochi l’efficacia della Parola di Dio e del gesto liturgico». Insomma, non bisogna esagerare. Perché tutto ciò mina la «nobile semplicità» della liturgia che deve essere «insieme seria» e «bella». Inoltre non va dimenticato che il Messale offre «diverse possibilità di scelta e di adattamento» che non necessitano di ulteriori integrazioni.

I vescovi spiegano le novità del volume: dalla traduzione revisionata ai nuovi formulari, soprattutto i prefazi; dall’aggiornamento delle agiografie nel Proprio dei santi all’utilizzo dei testi biblici secondo l’ultima traduzione della Scrittura approvata nel 2007. La Cei chiarisce che «nessuna modifica è stata introdotta nelle risposte e nelle acclamazioni del popolo». Con tre eccezioni: il Gloria e il Padre Nostro che sono stati rivisti recependo la più recente versione della Bibbia; e il Confesso con la formula inclusiva «fratelli e sorelle». Ampio spazio viene riservato al canto che l’introduzione definisce «non mero elemento ornamentale ma parte necessaria e integrante della liturgia solenne». Da qui la scelta di inserire «nel corpo del testo» del Messale «alcune melodie che si rifanno alle formule gregoriane» della precedente edizione del libro datata 1983.

 

Il nuovo Messale Romano in italiano promosso dalla Cei

Il nuovo Messale Romano in italiano promosso dalla Cei – Avvenire

 

Benché «la migliore catechesi sull’Eucaristia sia la stessa Eucaristia ben celebrata», l’episcopato italiano incoraggia «un’azione pastorale tesa a valorizzare la conoscenza e il buon utilizzo del libro liturgico». Se il Messale rimane «il primo ed essenziale strumento» per «la celebrazione dei misteri», è anche il «fondamento più solido di un’efficace catechesi liturgica». Ecco il richiamo a una «conoscenza attenta e partecipe» che va favorita nelle parrocchie. Nell’introduzione la Cei sottolinea inoltre che la liturgia è «scuola permanente di formazione attorno al Signore risorto» e permette al credente di «imparare a “gustare com’è buono il Signore”». Per questo le Commissioni liturgiche diocesane o regionali sono chiamate a lanciare alleanze formative con famiglie, parrocchie, associazioni, movimenti o gruppi ecclesiali.
Le nozze dell’agnello. Guida alla nuova traduzione del Messale

Infine i vescovi tengono a ricordare che il Messale di Paolo VI, di cui questa edizione della Cei è la terza tradotta in italiano, rappresenta «uno dei fulcri portanti» della riforma liturgica scaturita dal Vaticano II che è «ormai irreversibile». Una riforma che non va ripensata «rivedendone le scelte» ma della quale occorre «conoscere meglio le ragioni sottese». E il Messale lo permette in maniera potente.

Il Sussidio Cei sul Messale per aiutare le parrocchie ad accoglierlo

 

«Un Messale per le nostre assemblee» è il titolo del sussidio Cei predisposto dall’Ufficio liturgico nazionale e dall’Ufficio catechistico nazionale che vuole accompagnare l’arrivo della terza edizione italiana del Messale Romano nelle parrocchie del Paese. Uno strumento per permettere a sacerdoti, animatori liturgici e catechisti ma anche a tutti i fedeli di conoscere meglio il libro liturgico e metterne in atto tutte le potenzialità. Il Sussidio, nato su richiesta del Consiglio episcopale permanente, vuole favorire l’accoglienza del volume e suggerire itinerari di formazione per celebrare e vivere meglio l’Eucaristia. Il testo può essere scaricato dalla pagina dell’Ufficio liturgico del sito della Cei.