Grandi fotografi al Meeting Nella mostra dedicata al sogno americano e agli esiti sociali della crisi economica, il racconto per immagini, musica e voci

Dal 18 al 24 agosto, al Meeting per l’amicizia fra i popoli, a Rimini, sarà possibile visitare la mostra Bolle, pionieri e la ragazza di Hong Kong, realizzata da un gruppo di artisti e professionisti che vivono e lavorano negli Stati Uniti.

La mostra è un viaggio alla ricerca dell’identità del grande Paese d’oltreoceano lungo il racconto della vita di tanti suoi protagonisti, personaggi illustri, come Martin Luther King e Buzz Aldrin, insieme a gente comune, come schiavi, contadini e madri di famiglia.

L’obiettivo è individuare l’essenza del cosiddetto “esperimento americano” e trarre criteri e spunti per comprendere meglio il momento storico che sta attraversando tutto l’Occidente.

Il percorso di musica, voci e immagini si caratterizza per le installazioni che permettono di immergersi nelle vicende di tante donne e tanti uomini che, con le loro scelte e le loro vite, hanno dato forma a questo Paese.

La mostra propone quattro passaggi in quattro stanze. La prima è dedicata a “Pionieri e astronauti”. Lo spirito d’avventura che emerge dalle lettere e dai diari dei pionieri è lo stesso che spinge gli astronauti ad arrivare sulla Luna. Insieme, per entrambi, alla sfida del “grande silenzio” che esalta le domande più profonde. Le proiezioni a 270 gradi delle sconfinate distese americane sono quelle catturate dai pluripremiati scatti time-lapse del fotografo americano Randy Halverson, apparsi in servizi su CNN, National Geographic, The Atlantic, Daily Mail, Huffington Post, Discovery Channel, Gizmodo, e Wired.

Poi si passa al racconto di “Schiavitù e 11 settembre”. In questa sezione vengono documentate due gravi esperienze di male. Testimonianze e interviste propongono racconti e risposte di chi è passato attraverso la schiavitù, mentre contributi di scrittori e giornalisti rivivono il dramma della caduta delle Torri Gemelle a New York.

Le storie narrate mostrano un’esperienza umana senza tempo, ben raffigurata dai ritratti di homeless moderni scattati da un altro grande fotografo contemporaneo, Lee Jeffries. Servizi sulle sue fotografie sono apparsi sul Time, The Independent, The Guardian, Huffington Post, Nikon Magazine, British Airways High Life, sulla CNN, BBC News-Night, e Telematin. Le sue fotografie sono state esposte a Londra, Parigi, New York, Roma, Stoccolma e Napoli.

Il terzo passaggio della mostra sarà attraverso “La bolla”. Di fronte all’incertezza generata dal male e dalla crisi d’identità contemporanea vengono proposte due alternative: rifugiarsi in “bolle” per cercare di ignorare e rendere innocua la paura del buio, oppure continuare a cercare una risposta che possa sconfiggere le tenebre, come hanno fatto i discendenti degli schiavi.

Il video qui proposto è stato realizzato da Jim Fields, premiato documentarista, che ha ricevuto un Emmy per un documentario su Haiti.

Passaggio finale, “La ragazza di Hong Kong”. Un dialogo tra la storia personale dell’ex membro di gang e oggi attore di Hollywood Richard Cabral, tratta dal suo monologo teatrale autobiografico, e le riflessioni dello scrittore James Baldwin, accompagnato nuovamente dagli scatti di Lee Jeffries. Quello che qui è proposto come possibilità di uscire dalle tenebre e dalla crisi è il miracolo di trovare un amore “forte abbastanza da guidare e condurre verso la scoperta e l’accettazione della propria identità”.

Il “narratore” principale del percorso espositivo è la MUSICA, composta da due musicisti newyorkesi, Jonathan Fields e Christopher Vath. Lo SPAZIO dell’intero percorso è stato progettato da Paolo Palamara, fondatore e co-presidente di Diamante Development Corporation a Toronto (Canada).

La mostra è stata realizzata da: Martina Saltamacchia, Professore Associato di Storia Medievale e direttore di Medieval/Renaissance Studies all’University of Nebraska; José Medina, educatore e insegnante; Michele Averchi, professore di Filosofia a Catholic University; T.J. Berden, produttore cinematografico a Hollywood e presidente di Big Sur Entertainment, produttore del film Paolo, l’Apostolo di Cristo; Maurizio Capuzzo, Chief Marketing Officer di ES Group; Jonathan Fields, compositore di musica per film e pubblicità; Jonathan Ghaly, rappresentante immobiliare di Denver; Chris Vath, musicista e compositore. Il catalogo della mostra, in edizione italiana, è pubblicato da Concreo edizioni ed è disponibile all’acquisto presso il bookshop della mostra.

Restando in tema di fotografia al Meeting, domenica 18 agosto 2019, in occasione della giornata inaugurale, arriverà in fiera il grande fotografo italo americano Tony Vaccaro. Ai suoi scatti più celebri, quelli della seconda guerra mondiale, come quelli alle dive di Hollywood, il #meeting19 ha dedicato una mostra: “Tony Vaccaro, il fotografo dell’umano”. «La fotografia – spiega  è una passione per me, perché è il linguaggio che io ho scelto, ogni fotografia è un messaggio. Io amo le persone». La mostra si propone di mettere in luce che per Tony Vaccaro la vita, pur segnata da drammi e difficoltà, può sempre essere un’opportunità. Le fotografie di Vaccaro raccontano settant’anni di storia dell’Occidente restituendo sempre una fiducia e una speranza nell’avvenire e testimoniando che la vita è determinata da ciò su cui l’uomo fissa lo sguardo. L’incontro con il maestro della fotografia mondiale si svolgerà alle 17 in Sala Neri UnipolSai.

Sabato 24 agosto il Meeting di Rimini ricorderà i cinquant’anni del primo allunaggio con Nespoli, Battiston e Prina

da Avvenire

Parla Roberto Battiston, che sarà ospite al Rimini: grazie ai satelliti possiamo controllare fenomeni che accadono in zone remote del pianeta, come la deforestazione o la formazione di campi profughi

La Terra fa da sfondo a “Envisat”, il più grande satellite europeo

La Terra fa da sfondo a “Envisat”, il più grande satellite europeo

Sabato 24 agosto il Meeting di Rimini ricorderà i cinquant’anni del primo allunaggio con tre protagonisti quali Roberto Battiston, docente di Fisica all’Università di Trento ed ex presidente dell’Agenzia spaziale italiana, l’astronauta Paolo Nespoli e l’ingegnere aerospaziale Mauro Prina. Tematiche scientifiche saranno affrontate anche con la mostra “What’s in our brain? La meraviglia del cervello umano”, a cura dell’Associazione Euresis & Camplus, che offrirà un percorso alla scoperta delle meraviglie del nostro cervello e del suo funzionamento, secondo quanto la scienza ad oggi è riuscita a comprendere; “Vicino a chi soffre, insieme a chi cura. Storia dell’oncologia, storia di persone”, mostra proposta da Ior a cura di Fabrizio Miserocchi e Roberto Gabellini in occasione dei 40 anni dell’Istituto Oncologico Romagnolo; “L’uomo all’opera. La grandezza del costruire”, esposizione a cura di Riccardo Castellanza, Luigi Benatti, Francesca Giussani, Paolo Morlacchi, Martino Negri, Fabio Tradigo e Maddalena Sala.

Dopo cinquant’anni, dove sono le colonne di Ercole che l’umanità è chiamata ad oltrepassare, per migliorare sé stessa e il pianeta che popola? Quale «piccolo passo» occorre muovere, perché compia il «grande balzo»? La Nasa, pur guardando a Marte come meta a medio-lungo termine, lavora allo sviluppo di una base cislunare che lasci aperta ogni altra possibile destinazione. La Luna potrebbe diventare destinazione di colonie permanenti o, addirittura, di localizzazione di attività industriali, tese allo sfruttamento delle risorse locali, destinate poi a sostenere la logistica di una futura esplorazione del sistema solare. Al di là delle implicazioni politico-economiche, lo spazio è l’ambito in cui la scienza è alla ricerca del legame tra il microcosmo delle particelle elementari e il macrocosmo dell’universo attuale. Osservare la Terra dallo spazio, studiare i pianeti di questo o altri sistemi solari, può aiutare enormemente ad abitare meglio questo nostro mondo. Spiega Roberto Battiston, ex presidente dell’Agenzia spaziale italiana e recentemente inserito nella “Hall of fame” destinata alle figure più autorevoli del settore spaziale: «Lo spazio è nella nostra quotidianità a tal punto che tendiamo a dimenticarlo. Ci garantisce una serie di servizi, e lo fa a standard di efficienza estremamente alti, che diamo scontati. Pensiamo al Gps: altro non è che una costellazione di ventiquattro satelliti, che fornisce senza sosta un segnale che ci posiziona e guida attraverso i telefoni cellulari. Dunque, lo spazio è nelle nostre tasche. La questione è piuttosto un’altra.

I costi dell’accesso allo spazio e del relativo sfruttamento? 
Esatto. Oggi i primi stadi dei lanciatori vengono sempre più spesso recuperati e riutilizzati con un risparmio economico che può giungere al 40%; solo fino a qualche anno fa, i lanciatori andavano invariabilmente perduti, dopo la messa in orbita dei satelliti. Questo comporta una importante riduzione di costi che certamente apre a nuovi tipi di utenze.

Durante la sua presidenza all’Asi, lei si è molto speso allo sviluppo dei minisatelliti, destinati ad imprimere una svolta epocale nel modo di guardare alle stelle. Perché popolare l’orbita terrestre di oggetti con massa inferiore a 150 chilogrammi è preferibile a pochi grandi satelliti estremamente performanti? 
Analogamente all’elettronica, si pensi ai pc o ai cellulari, teniamo tra le mani oggetti sempre più piccoli e sofisticati, e, paradossalmente, anche più economici. Allo stesso modo, una costellazione di piccoli satelliti permette un monitoraggio della Terra continuo e preciso; oggi tutta la superficie della terra viene fotografata una volta al giorno. Una simile frequenza si traduce in informazioni accuratissime, non disponibili solo cinque anni fa.

Lei ha usato l’espressione «spazio sartoriale »: si riferisce all’impiego di minisatelliti tarati su esigenze e scopi della committenza? 
Satelliti su misura sono oggi alla portata di imprese e istituzioni di dimensioni medio-piccole. Il costo di una costellazione di cento nanosatelliti in grado di garantire la mappatura quotidiana terrestre, si aggira intorno a dieci-quindici milioni di euro, messa in orbita inclusa, con un ritorno economico che supera – a breve termine – l’investimento. L’aumento di nanosatelliti introduce problematiche con cui dobbiamo imparare a confrontarci. Ad esempio, evitare di disperdere irresponsabilmente spazzatura che ricordi il nostro passaggio, educandoci al concetto di “ecologia spaziale”. Lo spazio è utile fino a che è sufficientemente vuoto da non comportare pericoli per i satelliti che lo popolano.

Proviamo ad elencare solo alcune applicazioni: monitoraggio di inquinamento ambientale, emissione e distribuzione di gas serra nell’ atmosfera, sicurezza delle frontiere, contrasto alla pirateria marina… 
Ad esempio, i satelliti possono facilmente identificare imbarcazioni non cooperative, ovvero che non emettono il corretto segnale radio identificativo; questo rappresenta uno strumento utilissimo di contrasto alla pirateria marina. I satelliti radar riescono a osservare anche di notte e attraverso le nuvole, condizioni spesso utilissime per interventi in emergenza, quando si tratta di portare soccorsi in zone colpite da calamità naturali. Grazie ai dati spaziali, relativi a direzione e velocità di venti e correnti, è possibile minimizzare il percorso di grandi bastimenti, riducendo i volumi di combustibile consumati.

Spostandoci in ambito agricolo: dallo spazio – a costi molto contenuti – si può valutare il rendimento dei campi, metro quadro per metro quadro, così da programmare irrigazione, concimazione e semina in modo ottimale. 
La produzione agricola e la filiera del cibo sono le principali industrie mondia-li, da cui dipende il futuro del pianeta e la relativa stabilità politica. L’osservazione sistematica del suolo dallo spazio permette di ottimizzare irrigazione e concimazione e ridurre la necessità di fertilizzanti. Decine di migliaia di agricoltori utilizzano già oggi questo tipo di informazioni con costi assolutamente irrisori rispetto al guadagno economico-ambientale. Essendo poi prevedibile il raccolto con mesi di anticipo, è possibile scegliere su quali colture “investire” in un determinato appezzamento. Lo strumento satellitare contribuisce, dunque, significativamente al migliore rendimento delle risorse, sempre più scarse con l’attuale crescita demografica. Strettamente collegato a questo tema è il monitoraggio del cambiamento climatico e delle misure di contenimento delle emissioni di gas serra. L’accordo sul clima di Parigi nel 2015 è stato fortemente influenzato dalla disponibilità di dati satellitari altamente performanti, che hanno permesso di sviluppare modelli climatici credibili e affidabili, convincendo le governance sull’ influenza delle attività umane sul cambiamento climatico. Nel 2017 è stata lanciata a Parigi un’iniziativa importante: il coordinamento delle agenzie spaziali di tutto il mondo per la realizzazione di un osservatorio sul clima, basato sui satelliti di osservazione della terra. Infatti, ben 26 delle 50 variabili essenziali per il clima (Ecv) possono essere osservate in modo affidabile solo dallo spazio.

La mappatura terrestre quotidiana mostra i cambiamenti che si stanno verificando in qualsiasi punto del globo: ad esempio, come varia l’occupazione di un parcheggio, il livello delle riserve petrolifere o anche lo stato di costruzione di un arsenale o di un bunker. 
Si parla proprio di “rivelazione dei cambiamenti”: i computer sono programmati per mostrarci solo i cambiamenti delle immagini da un giorno all’altro. Questo ci permette di raggiungere risultati altrimenti inimmaginabili. In particolare, fenomeni che accadono in zone remote del pianeta, come la deforestazione in Amazzonia, la realizzazione delle infrastrutture militari sugli atolli del Mar della Cina, la formazione di campi profughi nel centro dell’Africa, lo scioglimento dei ghiacci ai poli o sulle montagne. Avere accesso allo stato dell’intero pianeta e assistere in tempo reale alle evoluzioni naturali e artificiali, giorno dopo giorno, è uno strumento formidabile per contrastare crisi di carattere internazionale: esserne coscienti è fondamentale perché tutti possano accedere a tali informazioni, e non solo limitati gruppi di interesse.

Da qui il pensiero corre ai satelliti spia, alla Guerra Fredda… 
Alla fine degli anni ’60 le due superpotenze – Usa e Urss – firmarono assieme all’Inghilterra l’“Outer Space Treaty”, poi adottato da un centinaio di altri Paesi. Il trattato non vieta attività militare nello spazio, ma vieta la presenza di armi di distruzione di massa e limita, l’impiego dei corpi celesti a scopi pacifici. Questo trattato, ad oggi, è stato rispettato. Ora si sta tornando a ipotizzare la militarizzazione dello spazio: significherebbe innescare un’excalation, di cui si conosce l’inizio, ma non la fine. L’uso dello spazio deve puntare alla creazione di nuovi lavori, alla formulazione di prodotti e servizi, alla gestione delle emergenze, al controllo dei cambiamenti climatici. È questo il modo migliore per Fare spazio [il titolo del suo ultimo libro edito da La nave di Teseo, ndr ] nei prossimi cinquant’anni.

“NOW NOW. Quando nasce un’opera d’arte”, la mostra | Intervista a Luca Fiore

Progetto di Casa Testori
A cura di Davide Dall’Ombra, Luca Fiore, Giuseppe Frangi e Francesca Radaelli

Dopo il viaggio alla scoperta dell’arte contemporanea del 2015 e l’incontro con le opere monumentali del 2017, la mostra di quest’anno darà al visitatore la possibilità di entrare nel processo stesso dell’opera, partecipare al momento creativo, conoscere le dinamiche, la ricerca e gli accadimenti di un artista: tra frustrazioni ed entusiasmi. Al Meeting saranno presenti 6 giovani artisti che trasferiranno in Fiera il proprio studio, al lavoro con tecniche e linguaggi molto diversi tra loro. Non mancheranno spunti storici, una grande sorpresa e alcuni dei protagonisti della scena artistica italiana, che si alterneranno in mostra ogni giorno.

Il Video

segnalazione web a cura di Giuseppe Serrone

Con il rock nel cuore, Bennato torna al Meeting

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Non c’è due senza tre: Edoardo Bennato ha già calcato le scene del Meeting nel 1993 e nel 1995. E per il 40esimo ritorna con un concerto il 22 agosto.

intervista tratta da meetingrimini.org

Che ricordo ha dei precedenti incontri con il popolo del Meeting? La cosa che mi ha colpito di più nelle due precedenti edizioni a cui ho partecipato è lo straordinario impegno di migliaia di giovani, volontari che, a loro spese, organizzano un evento che va avanti da quarant’anni. Soprattutto mi piace il concetto per cui la “diversità” diventa un terreno di incontro, di valorizzazione per differenti culture e non solo in ambito religioso.

La sua lunghissima carriera è costellata di successi, fino a quelli più recenti del 2017. Cosa proporrà per il concerto di Rimini? Per quanto riguarda il mio concerto cerco, come sempre, di coniugare la spettacolarità con i contenuti, il divertimento ed il pensiero, insomma un concerto ad alto contenuto rock & blues. Nel 2016 il mio brano “Pronti a salpare” ha avuto il privilegio di vincere il premio “una canzone per Amnesty” nell’ambito di Amnesty International, si tratta di una “canzonetta” che invita noi privilegiati, in teoria, del cosiddetto mondo occidentale che dovremmo essere pronti a salpare, a cambiare mentalità, in considerazione del nostro benessere futuro e quello dei nostri figli, non può più prescindere dalla soluzione dei problemi di quello che chiamiamo “terzo mondo”. Tra la spietatezza e il futile buonismo fatto per riempirsi la bocca nei “salotti buoni” bisogna trovare una terza via, non c’è più tempo da perdere.

I temi sociali da sempre hanno ispirato la sua produzione artistica, divenendo un marchio di fabbrica irrinunciabile. Cosa muove il suo istinto creativo? Cosa ha a cuore? Ciò che muove la mia creatività è il rock. La consapevolezza che, da sempre, ho sventolato una sola bandiera: quella del rock.

«Nacque il tuo nome da ciò che fissavi» 18-24 agosto 2019 | Fiera di Rimini XL edizione Meeting per l’amicizia fra i popoli

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Quello a cui stiamo assistendo nel nostro tempo è qualcosa di nuovo, di inedito: non bastano più le parole abituali per afferrarlo, e le analisi con cui si è cercato per tanto tempo di capire la crisi – o meglio le diverse crisi – del nostro mondo sembrano armi spuntate.

Da un lato una capacità stupefacente di costruire, manipolare e controllare la realtà attraverso un potere tecnologico sempre più diffuso; dall’altro un sempre più profondo smarrimento riguardo al senso per cui ciascuno di noi sta al mondo e alla società che si vuole costruire. E così, paradossalmente, alla potenza della tecnica, che muove ormai l’economia e la politica globali, si accompagna l’impotenza endemica della povertà – povertà di beni e soprattutto di significato – che dilaga nel mondo.

Ma qual è la novità che urge? Essa sta nella realtà più nascosta e apparentemente più scontata, ma al tempo stesso più essenziale e decisiva di tutto il resto: l’io di ciascuno di noi.

È in questa realtà del soggetto umano il punto infuocato del mondo intero, quello da cui dipendono ultimamente tutti i macrofenomeni della storia. Ma la grandezza e l’inquietudine dell’io, in ciascuno di noi, sta nella sua autocoscienza, nella possibilità – sempre aperta – di cercare e di scoprire ciò per cui vale la pena vivere e costruire. Qui sta il punto d’appoggio per vivere tutto: è grazie ad esso, alla consistenza della nostra coscienza, che possiamo affrontare le sfide della storia.

Per questo la domanda più interessante, e insieme la più pertinente al nostro presente, è: ma da dove nasce l’io? Da dove viene il “volto” di ciascuno di noi? Cosa dà peso e significato irriducibile al nostro “nome” proprio? Perché senza volto non si può guardare niente e non si può godere di niente; e senza nome ci si riduce al niente di una massa indistinta.

È la domanda acutissima e insieme disarmata che Nicodemo rivolse a Gesù: «Come può nascere un uomo quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». E la vecchiezza non è solo e tanto quella dell’età, ma è soprattutto quella del cuore e dello sguardo. Come nasce, e come può rinascere di continuo il volto di una persona?

I versi da una poesia di Karol Wojtyla, che danno il titolo al Meeting 2019, mettono a fuoco il fatto – sperimentato da tutti, almeno nei momenti più importanti e decisivi della vita – che il proprio “nome”, cioè la propria consistenza umana nasce da quello che si fissa, e cioè dal rapporto con un altro da sé, con ciò da cui ci si sente chiamati ad essere. L’immagine cui la poesia si riferisce è quella della Veronica che fissa Cristo mentre passa con la croce. Ma tanti incontri evangelici raffigurano questa dinamica: come quello di Zaccheo che si sente guardato da Gesù e viene chiamato per nome: «scendi in fretta, vengo a casa tua!».

L’io può rinascere solo in un incontro, come quello del bambino con la sua mamma o di una persona grande con un’altra persona amata o con un amico. Un incontro pienamente umano, perché apre all’io una prospettiva di bellezza, un desiderio di pienezza, un’urgenza di verità e di giustizia che da solo non si sarebbe mai sognato.

In ogni incontro vero è come se ciascuno si sentisse “preferito”: proprio lui, proprio lei. Sembra la cosa più fragile e più esposta al caso; ma è l’esperienza più potente che possiamo fare, l’unica che può farci restare in piedi di fronte alle sfide del tempo. Non è anzitutto in uno sforzo di volontà o in una coerenza etica, che potranno essere affrontati l’incertezza e la confusione esistenziale che segnano la nostra epoca. Nessuna tecnica per la “cura di sé”, nessuna riflessione avrebbe la forza generativa di un incontro: solo una preferenza su di sé può strapparci dal nulla.

In uno dei punti più acuti del Senso religioso don Giussani scrive: «In questo momento io, se sono attento, cioè se sono maturo, non posso negare che l’evidenza più grande e profonda che percepisco è che io non mi faccio da me, non sto facendomi da me. Non mi do l’essere, non mi do la realtà che sono, sono “dato”. È l’attimo adulto della scoperta di me stesso come dipendente da qualcosa d’altro. […] Si tratta della intuizione, che in ogni tempo della storia lo spirito umano più acuto ha avuto, di questa misteriosa presenza da cui la consistenza del suo istante, del suo io, è resa possibile. Io sono “tu-che-mi-fai”. […] Allora non dico: “Io sono” consapevolmente, secondo la totalità della mia statura d’uomo, se non identificandolo con “Io sono fatto”. È da quanto detto prima che dipende l’equilibrio ultimo della vita»

Accorgersi di “essere”, aver coscienza che si è “chiamati” ad esistere è l’esperienza più sconvolgente per tutta la cultura – dalla scienza all’economia, dalla politica all’arte: da essa dipende la possibilità stessa di un nostro impegno serio nella realtà.

Nell’edizione del Quarantennale il Meeting vuole offrire questo come il contributo più prezioso della sua storia e del suo impegno presente: solo l’incontro con persone “vive” può riaprire l’io di ciascuno di noi a tutte le dimensioni del mondo.

fonte: https://www.meetingrimini.org/edizione-2019/