31 dicembre. Pace, la marcia nella città di frontiera. Gorizia, laboratorio d’Europa

Nella notte il percorso unirà simbolicamente Italia e Slovenia con l’arrivo a Nova Gorica. L’omaggio a monsignor Bettazzi, scomparso a luglio, da sempre protagonista dei cortei

Il corteo della Marcia straordinaria della pace dello scorso 24 aprile raggiunge la piazza inferiore di San Francesco ad Assisi

Il corteo della Marcia straordinaria della pace dello scorso 24 aprile raggiunge la piazza inferiore di San Francesco ad Assisi – ANSA

Nel tempo cupo in cui la guerra non pare avere alternative, arriva dalla frontiera di Gorizia la lezione di pace dell’Europa. Città carica dei simboli delle guerre del secolo scorso, è oggi simbolo di convivenza tra nord e sud e tra est e ovest d’Europa. E per questo, insieme alla gemella slovena Nova Goriça, con la quale sarà capitale europea della cultura nel 2025, ospita il 31 dicembre la 56esima edizione della marcia nazionale della pace voluta da san Paolo VI, organizzata dalla Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace della Cei, l’Azione Cattolica, Caritas Italiana, il Movimento dei Focolari Italia e Pax Christi Italia.

Il tema di quest’anno è “Intelligenza artificiale e pace” mentre la caratteristica della marcia goriziana, che si snoda per 7,5 chilometri di percorso, è l’essere transfrontaliera. La manifestazione di fine anno si svolgerà infatti a cavallo di un confine che divise dolorosamente una città nel dopoguerra divenendo uno dei simboli della separazione politico-ideologica tra Europa occidentale e orientale e che venne smantellato 20 anni fa con l’ingresso della Slovenia nell’Ue e si concluderà con la Messa nella concattedrale di Nova Goriça.

«Gorizia – spiega l’arcivescovo e presidente di Caritas Italiana, Carlo Roberto Maria Redaelli – ha vissuto da vicino la prima guerra mondiale, è stata coinvolta nella seconda ed è stata uno dei posti in cui era evidente la divisione della guerra fredda con un vero e proprio muro che la divise. Ma qui ogni famiglia ha componenti italiane e slovene e questo mix di popoli e culture ha aiutato a superare contrapposizioni e a perdonare. Grazie a questa capacità di ricostruzione della convivenza e all’Europa unita che ha tolto i confini, questa terra può essere un laboratorio di pace. Da qui si lancia un messaggio importante di speranza in un momento in cui l’odio e la violenza della guerra sembrano prevalere».

Attualmente Gorizia è uno dei terminali della rotta balcanica, luogo di arrivo di molti stranieri. «Le guerre in altre parti del mondo – conclude Redaelli – segnano il movimento di popoli anche nelle nostre terre. La nostra città è ricca di simboli e richiami toccati dalla marcia».

Li illustra don Nicola Ban, parroco della cattedrale, uno dei coordinatori. «Partenza alle 16 dal Sacrario di Oslavia, simbolo della prima guerra mondiale, poi le tappe di riflessione con un passaggio davanti alla sinagoga che non è più luogo di culto perché 80 anni fa la comunità ebraica goriziana venne cancellata dai nazifascisti con le deportazioni. Si affronterà il tema della fuga dalle guerre davanti al convitto salesiano di San Luigi, che accoglie i minori non accompagnati provenienti dalla rotta balcanica. Qui ascolteremo testimonianze e la riflessione di padre Giovanni Lamanna, direttore della Caritas diocesana di Trieste. Quindi tappa in piazza della Vittoria dove il professor Grion dell’università di Udine interverrà sul tema della amrcia “Intelligenze artificiali e pace” e nella piazza Transalpina, dove passava il confine della guerra fredda che separava le città, oggi luogo di incontro non solo di due mondi. Da qui fino a Vladivostok si parla infatti slavo e da qui verso ovest fino a Lisbona si parlano le lingue latine. E di “Europa Unita e pace” parlerà Silvester Gaberšèek, sociologo ed etnologo. Poi concluderemo nella concattedrale di Nova Goriça costruita dal regime comunista jugoslavo a condizione che sotto fosse costruito un rifugio antiatomico per la cittadinanza. Qui si ascolteranno le testimonianze da Ucraina, Palestina, Israele e verrà celebrata la Messa presieduta dall’arcivescovo Redaelli».

Sarà la prima marcia della pace senza un grande protagonista, il vescovo emerito di Ivrea Luigi Bettazzi, morto il 16 luglio scorso a 99 anni, già presidente di Pax Christi Italia ai tempi della lotta per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza al servizio militare e poi di Pax Christi international. Lo ricorderà il suo successore alla presidenza di Pax Christi, Giovanni Ricchiuti, che un anno fa lo invitò alla marcia del 31 dicembre ad Altamura, la diocesi pugliese di cui da poco è diventato amministratore apostolico.

«Era un autentico costruttore di pace e un profeta – spiega Ricchiuti –. L’anno scorso era indeciso se venire fino in Puglia, poi quasi presagendo che quella sarebbe stata la sua ultima marcia volle essere presente. Oggi ci manca una figura come la sua in un momento cupo, in cui siamo intristiti e a volte ci sentiamo impotenti davanti alle guerre. Invece la Chiesa ribadisce ancora una volta anche con questa marcia il no alle armi e alla violenza come strumento di risoluzione dei conflitti. E come ha ripetuto il papa, la guerra non può più essere considerata giusta».

Don Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi, pone l’accento sul rapporto disumanizzato tra le armi di oggi e l’intelligenza artificiale, tema della marcia. «Il fatto che non vi sia una guida umana su diversi armamenti pone diversi interrogativi etici, come ricorda il Papa nel discorso per la giornata della pace 2024. Ma il punto è che la guerra, avventura senza ritorno e viaggio senza meta, come è stata definita dai pontefici, è resa possibile dalla produzione e dal commercio delle armi. La marcia deve aiutare la chiesa italiana dire no alla produzione e alla vendita di armi».

Sul rapporto tra intelligenza artificiale e conflitti, tema dell’evento, ha riflettuto don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei. «Il nodo sta nel rapporto tra intelligenza artificiale e umanità. Il confronto in ogni ambito, non solo quello bellico, ma anche economico e sociale, se disumanizzato può degenerare. Se l’ intelligenza artificiale potenzialmente può risolvere i problemi, senza umanità può diventare molto pericolosa. L’intelligenza artificiale consente al pilota ad esempio di bombardare i nemici con i droni da remoto, al sicuro, come se fosse un videogame mentre sta uccidendo altri esseri umani. Il papa ci ricorda nel suo lungo e preoccupato discorso che siamo arrivati a uno snodo fondamentale della storia.”

Se le guerre sono sempre più disumanizzate e disumane, don Marco Pagniello, direttore di Caritas italiana, ricorda che altri eventi di mobilitazione contro la guerra e le logiche che la determinano si terranno a gennaio, mese della pace. «Ormai sembriamo esserci abituati, quasi rassegnati alla guerra. La marcia di Gorizia ci darà forza e unità anche nella preghiera, per ribadire insieme il no alla violenza e alla risoluzione dei conflitti con le armi e provare a scuotere le coscienze».

avvenire.it

Festival Sabir 2023: l’Appello della “Marcia contro i muri e per l’accoglienza”

Festival Sabir 2023: l'Appello della

Si parlerà di cambiamento climatico, migrazioni forzate, diritti dei lavoratori migranti, respingimenti, aiuto umanitario ecc. al Festival Sabir, che si terrà dall’11 al 13 maggio prossimo, quest’anno sul tema “Libertà di movimento”. Particolare attenzione sarà dedicata ai flussi migratori lungo la cosiddetta “rotta balcanica”, tanto che, il giorno di chiusura del Festival, si svolgerà una “Marcia Contro i Muri e per l’accoglienza” «che attraversera? la frontiera tra Slovenia e Italia, per dare voce a quella parte di Europa e d’Italia che non si arrende ai muri e alle paure e che vuole tutelare i diritti delle persone in cerca di protezione». Spiega il sito del Festival, che «la marcia sara? di circa 5 km, con partenza alle ore 15 dal Castello di Socerb (Capodistria) e arrivo alla Piazza centrale di San Dorligo della Valle».

«Sabir e? uno spazio della societa? civile non equidistante», si legge ancora, «ma schierata dalla parte delle vittime e contro tutti gli oppressori, uno spazio per ribadire, anche nell’affrontare i temi che la guerra in Ucraina e le altre crisi del nostro pianeta pongono, la centralita? delle persone e dei loro diritti, a prescindere dalla nazionalita?».

Pubblichiamo di seguito l’Appello della marcia, consultabile anche sul sito ufficiale dell’evento.

Negli ultimi anni l’Europa è attraversata da venti di intolleranza e di chiusura contro le persone di origine straniera e in particolare contro coloro che arrivano alle nostre frontiere in cerca di protezione.

I governi e i parlamenti, con scarsa lungimiranza, anziché dare risposte giuste ed efficaci attraverso regole che consentano alle persone di attraversare le frontiere in sicurezza e legalità, alimentano le paure, spesso attraverso campagne di vera e propria criminalizzazione dei richiedenti asilo e dei rifugiati.

È così che nel 2016 l’UE ha scelto di siglare un accordo con Erdogan, per bloccare centinaia di migliaia di persone in fuga dalla guerra e dalle persecuzioni, in prevalenza siriani, afghani e iracheni, impedendo loro di raggiungere i confini europei.

Allo stesso modo l’Italia, con il sostegno di tutta l’UE, per aggirare il divieto di respingimento previsto dalla Convenzione di Ginevra, ha concepito la SAR libica e la cosiddetta guardia costiera, bloccando decine di migliaia di persone nell’inferno dei centri di detenzione dove, come più volte denunciato dal Procuratore della Corte Internazionale dell’Aja, si commettono crimini contro l’umanità. Torture, stupri, violenza diffusa, omicidi e riduzione in schiavitù perpetrate dalle stesse milizie che si contendono il territorio e gestiscono la cosiddetta guardia costiera, con l’assordante silenzio dei governi UE che, di fatto, avallano una forma di respingimento delegata.

Intanto ad est dell’UE, sulla rotta balcanica e non solo, i governi, con il consenso di quasi tutte le forze politiche e dei parlamenti, hanno avviato la costruzione di muri, ricorrendo a forme sempre più sofisticate di controllo delle frontiere per impedire alle persone in fuga di mettersi in salvo.

In linea con questa tendenza e, anzi, anticipandola in qualche modo, l’UE ha organizzato un vero e proprio esercito che risponde all’Agenzia Frontex, per controllare le frontiere esterne. Laddove non vi sono muri, è sistematica la pratica dei respingimenti illegali alle frontiere esterne di coloro che cercano di chiedere protezione ad uno stato dell’Unione.

Tale impedimento è attuato anche attraverso l’uso delle cosiddette “riammissioni informali” alle frontiere interne, in un meccanismo a catena che ha il medesimo obiettivo: allontanare il cittadino straniero dal territorio UE e impedirgli di accedere alla domanda di asilo. L’Italia, proprio sul confine italo-sloveno, si è resa responsabile nel 2022 di gravissime violazioni in tal senso.

L’idea che emerge con chiarezza, anche dall’argomento principale usato dai leader di molti dei Paesi UE, è che siamo sotto attacco e che il nostro nemico è rappresentato da decine di migliaia di profughi in fuga dalle guerre, da famiglie, in prevalenza da minori. Un nemico che vuole, pacificamente e senza nascondersi, costruire il proprio futuro in sicurezza lontano da guerre e violenze.

Noi pensiamo, invece, che l’Italia e l’Europa dei popoli siano migliori di questa pericolosa caricatura che intende impedire a chi cerca protezione di trovare spazio per una vita dignitosa, negando la propria storia, la propria cultura e civiltà giuridica e costruendo muri.

Per questo il 13 maggio alle 15:00 abbiamo convocato la prima “Marcia Contro i Muri e per l’accoglienza” alla frontiera tra Slovenia e Italia, ultima tappa di quella rotta balcanica lungo la quale si infrangono le speranze di decine di migliaia di persone. Vogliamo dare voce a quella parte di Europa e d’Italia che non si arrende ai muri e alle paure e che vuole tutelare i diritti delle persone in cerca di protezione.
adista.it

Perugia-Assisi, la notte della marcia: «La politica può fermare la guerra»

La marcia si concluderà con una preghiera per la pace sulla tomba di san Francesco

La lunga notte della pace inizierà questa sera alle ore 21 a Perugia e si concluderà domani mattina ad Assisi, alle ore 6, quando è atteso l’arrivo della marcia straordinaria, convocata dal mondo pacifista in corrispondenza del primo anniversario del conflitto in Ucraina. Nove ore ininterrotte per discutere, confrontarsi, camminare e testimoniare, con i fatti, la scelta profetica della nonviolenza.

«Ecco cosa può fare la politica» dicono i promotori della mobilitazione, nell’appello condiviso sui social. Bastano i primi tre punti per chiarire che cosa si aspetta la società civile. «La politica deve riconoscere che è interesse degli ucraini, ma anche dei russi e nostro, che la guerra finisca al più presto e che si cominci a costruire la pace con “soluzioni concordate, giuste e stabili”». In secondo luogo, è necessario ammettere che « la “guerra alla guerra” di Putin non lo sta fermando» e che, punto numero tre, «l’invio nel campo di battaglia di armi sempre più potenti e sofisticate alimenta l’escalation militare, moltiplica gli orrori e innalza il livello dello scontro».

Il prologo e il cammino

Alle ore 21, i partecipanti alla marcia straordinaria Perugia-Assisi si incontreranno nella Sala dei Notari del Palazzo dei Priori per un” incontro di riflessione e proposta” contro tutte le guerre. Tra gli altri, interverranno l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, Ivan Maffeis, Mario Giro, della Comunità di Sant’Egidio, Stefania Proietti, sindaca di Assisi e presidente della Provincia di Perugia, Marco Tarquinio, direttore di Avvenire e Flavio Lotti, coordinatore della Marcia.

È proprio Lotti a raccontare le ore che precedono la mobilitazione, che comincerà a mezzanotte. «Si tratta di un’assoluta prima volta – spiega -. Perché abbiamo deciso di testimoniare il nostro “sì” alla pace nel buio della notte: è un gesto radicale, in una fase storica che richiede gesti simbolici radicali». Anche logisticamente, organizzare il percorso in notturna tra i borghi umbri non è cosa banale, ma è significativo che più di 700 persone si siano già iscritte alla marcia, pagandosi il viaggio e le altre spese. «Colpisce che due partecipanti su tre, tra quanti verranno, non fanno parte di associazioni coinvolte nella mobilitazione iniziale – continua Lotti -. È semplicemente gente preoccupata per l’abisso in cui stiamo cadendo, nel silenzio del mondo».

Per il resto, il variegato mondo pacifista, riunito ancora una volta sotto il cartello di Europe for peace, comprende il mondo laico e il mondo cattolico, «l’Anpi e i salesiani» esemplifica Lotti. Per ogni persona che sarà presente, stimano gli organizzatori, ce ne saranno «tante altre che avrebbero voluto esserci e non ci saranno, per ragioni contingenti. Marceremo anche per loro, ben sapendo che la maggioranza dell’opinione pubblica è stufa di bombe e carri armati».

La conclusione, la mattina presto ad Assisi, sarà ancora più simbolica, con la preghiera per la pace sulla tomba di san Francesco, la lettura di un brano della “Pacem in Terris” e la ripresa dell’appello per il cessate il fuoco pronunciato dal Papa lo scorso 2 ottobre.

Le condizioni per la tregua

La giornata di riflessione prevede nella mattinata odierna anche un incontro pubblico organizzato da Articolo 21 sull’informazione di guerra. Il peso della propaganda bellica e la necessità di cambiare linguaggio sono tra i punti-chiave della svolta in senso diplomatico richiesta dai manifestanti. «Ottenere il cessate il fuoco vuol dire fermare i combattimenti e promuovere la de-escalation militare. Sappiamo che è difficile, ma è necessario. Per questo dobbiamo fare ogni sforzo per ottenerlo – si legge nella piattaforma di proposta alla politica -. Servono autorità, visione, volontà di collaborare e potere persuasivo. Sarà necessaria la pressione di molti».

In questo senso, la notte della marcia è un altro passo, il più emblematico forse, del lungo cammino intrapreso quasi un anno fa. Un segnale rivolto all’Italia e all’Europa, in attesa dell’alba.

avvenire.it

Ucraina. «Fermiamo la guerra o saremo coinvolti. In marcia ad Assisi per la pace»

Lotti (Tavola per la pace) spiega la scelta di una Perugia-Assisi straordinaria il 24 febbraio: la situazione si è aggravata, va rilanciata urgentemente l’azione diplomatica
Per la pace in Ucraina e non solo

Per la pace in Ucraina e non solo – Siciliani

La guerra in Ucraina, senza una drastica sterzata verso la via diplomatica, rischia di dilagare. Allargandosi agli stati vicini, ma anche ai paesi europei fornitori di armi. A pochi giorni dal primo anniversario dell’invasione russa, il coordinatore della Perugia-Assisi Flavio Lotti mette in guardia: «Continuando così, il pericolo più grande è quello di essere costretti tra non molto a scegliere tra inviare i nostri soldati o lasciare che la Russia prosegua l’invasione». Per questo il 24 febbraio ci sarà una Marcia della pace straordinaria e in notturna: «Come il buio che angoscia i civili Ucraini. E in cui brancolano anche i leader politici»

Dopo le due manifestazioni nazionali a Roma, 5 marzo 2021 e 5 novembre 2022, e la Perugia Assisi straordinaria del 24 aprile scorso, il popolo della pace manifesta ancora.

C’è l’urgenza pressante di un rilancio dell’azione diplomatica. L’aggravarsi della situazione impone una nuova mobilitazione popolare. Il vortice della guerra sta risucchiando tutto, il problema non è più solo di quante armi inviare in Ucraina, ma di come scongiurare il coinvolgimento diretto dei nostri Paesi. Siamo vicini al punto di non ritorno.

Sul piano militare lo scontro è sempre più violento.

Quello che accadrà nelle prossime settimane sarà sempre meno controllabile. Il massacro delle persone aumenterà. L’Ucraina rischia moltissimo. Lo ripeto, siamo a un bivio. O fermiamo la guerra, o rischiamo di esserne coinvolti. Bisogna chiedere l’immediato cessate il fuoco, prima che Zelensky si trovi nella condizione di perdere tutto quello che ha difeso finora. Ci troviamo davanti all’angosciante dilemma di smettere di aiutare l’Ucraina o accettare di entrare materialmente nel campo di battaglia. Serve un’altra via.

Senza dimenticare che la Russia è una potenza nucleare. Un rischio che si sta sdoganando, con definizioni normalizzanti come “armi tattiche”. Cade anche il tabù della guerra atomica?

Il cammino della distruzione totale cammina di pari passo col pericolo di allargamento della guerra. Il potenziale militare usato finora dai russi è solo una parte di quello di cui dispongono. Prima del rischio del nucleare ce ne sono altri, col coinvolgimento nella guerra nostro malgrado. Il pericolo più grande è quello di essere costretti a scegliere: mandiamo i nostri soldati o lasciamo che la Russia prosegua l’invasione? Non possiamo permettercelo. È una follia.

Un altro scenario possibile è una “afganistanizzazione” dell’Ucraina, con un conflitto di decenni.

In Afghanistan la guerra restò circoscritta. In Ucraina rischia di espandersi, coinvolgendo Polonia, Finlandia, Moldavia, Lituania. E se le armi Nato dovessero colpire obiettivi in territorio russo, Putin si sentirebbe legittimato a colpire chi invia quelle armi. Una catena da fermare con urgenza.

Anche con una marcia Perugia-Assisi di notte, prima dell’alba del 24 febbraio.

Per dare il senso del dramma delle vittime, di questa come di tutte le altre guerre dimenticate. Ma è anche il buio in cui brancola la politica, paralizzata dagli invii continui di armi, l’unica cosa che i governi sembrano in grado di fare.

L’unico “leader politico” che ha una visione chiara dall’inizio sembra Papa Francesco.

Lo sta facendo da più di un anno, anche quando la guerra era confinata al Dombass. Ma la sua voce si scontra con la sordità della politica, prigioniera dello schema della guerra.

È un problema culturale, o di cinici interessi economici di alcuni settori produttivi?

Entrambi. La macchina della guerra è in grado condizionare tante cancellerie. Ma c’è anche una debolezza del pensiero politico che in questi anni ha perso capacità di visione. L’Europa è nata come progetto di pace ed è cresciuta quando quel progetto è stato coltivato. Da anni invece non si è perseguito il benessere e la sicurezza degli europei e non si è colta l’occasione data dalla caduta del Muro di Berlino. L’Europa è rimasta prigioniera di logiche di competizione economica. Adesso è tutto più difficile. Andava costruito allora un sistema di sicurezza dall’Atlantico agli Urali, includendo la Russia. Invece ha prevalso la miopia ed stata foraggiata la Russia comprando gas a buon prezzo.

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