Reggio Emilia, il ruolo dell’informazione nella lotta alle mafie: due giorni di incontri con Paolo Borrometi

Il giornalista Paolo Borrometi

REGGIO EMILIA – Due giorni di incontri dedicati al tema del rapporto tra mafie e informazione, che talvolta diventa strumento delle organizzazioni criminali per assoggettare un territorio, ma che molto più spesso rappresenta un mezzo fondamentale per contrastare omertà e cultura mafiosa attraverso il racconto dei processi e le inchieste più coraggiose. Protagonista di questo calendario fitto di iniziative sarà Paolo Borrometi, giornalista siciliano che ha sempre denunciato la criminalità organizzata, soprattutto nei territori del siracusano e del ragusano, e per questo ha ricevuto svariate minacce e dal 2014 vive sotto scorta. Scrittore, condirettore dell’AGI (Agenzia Giornalistica Italia) che lavora per molte testate nazionali, per il suo impegno Borrometi ha anche ricevuto l’onorificenza motu proprio dal Presidente della Repubblica.

Il coordinamento provinciale di Libera Reggio Emilia accompagnerà il giornalista agli incontri con studentesse e studenti dell’Istituto D’Arzo di Montecchio Emilia e dell’Istituto Gobetti di Scandiano, nelle mattine del 16 e 17 febbraio.

Venerdì 16 febbraio non mancheranno poi i momenti di confronto aperti a tutta la cittadinanza, prima a Reggio Emilia e poi a Correggio. Nel pomeriggio del 16/02, a partire dalle 16, Borrometi sarà ospite del Dipartimento di Educazione e Scienze Umane dell’Università di Modena e Reggio Emilia, presso l’Aula Magna di Palazzo Baroni, l’ex seminario vescovile di viale Timavo 93, per un incontro dal titolo “Educare alla legalità e contro le mafie”, organizzato con Libera. Alle 20.45, al Palazzo dei Principi di Correggio (corso Cavour 7), si terrà invece la presentazione dell’ultimo libro del giornalista, “Traditori”, per una serata curata dal locale gruppo di Libera insieme al circolo culturale Primo Piano, al Comune di Correggio e ad Agende Rosse Rita Atria, gruppo di Reggio Emilia e provincia.

Per Libera Reggio Emilia, “queste iniziative saranno anche l’occasione per confrontarsi su quanto sia importante raccontare il radicamento mafioso in un territorio, come quello reggiano, in cui i processi alla ‘Ndrangheta continuano ad abitare le aule di tribunale, le interdittive antimafia registrano numeri sempre altissimi e dove bisogna monitorare con attenzione il destino degli oltre 300 beni confiscati che – speriamo presto – arriveranno nelle disponibilità dei comuni della provincia”.

stampareggiana.it

Mattarella ricorda Pio La Torre e Di Salvo: “Significativo esempio di impegno civico”

Il Capo dello Stato invia un messaggio al Centro di studi e iniziative culturali dedicato al deputato Pci e segretario regionale del partito ucciso da Cosa nostra nel 1982: “Serve coinvolgere i giovani”

Mattarella ricorda Pio La Torre e Di Salvo: "Significativo esempio di impegno civico"

ANSA

Pio La Torre parlamentare del Pci e segreterio regionale del partito in Sicilia con il deputato regionale Francesco Renda

l quarantesimo anniversario della morte per mano mafiosa di Pio La Torre e di Rosario Di Salvo ci ricorda il loro significativo esempio di impegno civico, per le generazioni presenti e future. Il consolidamento della cultura della legalità esige il coinvolgimento dei giovani in iniziative che tendono a mantenere viva la memoria dei valori di chi ha pagato con la propria vita la testimonianza prestata per la difesa di radici essenziali della Repubblica, per la difesa della libertà e della giustizia”. E’ il messaggio del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, inviato al Presidente del Centro di studi e iniziative culturali ‘Pio La Torre’, Vito Lo Monaco in occasione della ricorrenza del suo assassinio avvenuto a Palermo il 30 aprile de 1982 per mano di Cosa Nostra.

Con La Torre, nella macchina crivellata dai colpi dei sicari di Cosa Nostra, c’era Rosario Di Salvo, il compagno di partito che gli faceva da autista e guardia del corpo. La Torre si era battuto per l’approvazione della legge che, per la prima volta, introduceva nel codice penale italiano, il reato di associazione mafiosa e la confisca dei beni ai mafiosi (art. 416-bis). Per la sua uccisione, il 12 gennaio 2007, sono stati condannati 9 boss, fra cui Riina e Provenzano. Un sacrificio e un impegno ricordati oggi in ogni ambito culturale e istituzionale.

“Nell’esprimere apprezzamento nei riguardi del Progetto educativo antimafia e antiviolenza, organizzato dal Centro studi ‘Pio La Torre’, contributo al radicamento di una ferma coscienza collettiva contraria a ogni forma di sopraffazione, mi unisco nel ricordo di Pio La Torre e di Rosario Di Salvo e rivolgo a tutti i presenti il mio caloroso saluto”, conclude il Capo dello Stato.

rainews

L’allarme. Cafiero de Raho: le mafie si prendono le imprese

Il procuratore: l’infiltrazione della criminalità nell’economia è evidente e diffusa Preoccupa la capacità di aggregazione dei clan. Subito interventi urgenti per le aziende bisognose
Il procuratore nazionale Antimafia, Federico Cafiero De Raho

Il procuratore nazionale Antimafia, Federico Cafiero De Raho – Ansa

«Chi afferma che è un’esagerazione l’allarme che abbiamo lanciato sui rischi che le mafie facciano affari sulla ricostruzione post-Covid, evidentemente non riesce a guardare con chiarezza qual è l’attuale situazione. L’infiltrazione delle mafie nell’economia è talmente evidente, diffusa». È molto chiaro il procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho, alla Festa dei media cattolici. E lo è altrettanto quando esprime la preoccupazione che per rilanciare l’economia «si possa verificare l’abbassamento dei controlli e delle verifiche ».

Rispetto all’allarme che avete lanciato cinque mesi fa, all’inizio del lockdown, sugli affari mafiosi, avete avuto delle conferme che vi preoccupano maggiormente?
La preoccupazione è fondata sull’esperienza. Ci sono anche indagini che evidenziano come le mafie, in particolare la ’ndrangheta, tentino sempre di impossessarsi delle imprese entrando col prestito e con l’usura. È un’altra conferma, seppure al momento sporadica; siamo solo agli inizi, e quindi il monitoraggio delle indagini ancora non evidenzia la gravità del fenomeno, ma è evidente il percorso da sempre praticato dalle mafie, quindi in una situazione come l’attuale ci aspettiamo sicuramente qualcosa di più significativo. Proprio per questo l’allarme che era stato lanciato era anche finalizzato a interventi urgenti di sostegno immediato alle imprese più bisognose, più esposte, per evitare che finiscano in mano ai mafiosi.

Non c’è invece il rischio che, per rilanciare giustamente l’economia, si abbassi l’asticella dei controlli di legalità? Già ci sono alcuni segnali non positivi…
Abbiamo espresso preoccupazione che si possa verificare l’abbassamento dei controlli e delle verifiche. Ma devo dire che c’è una moltiplicazione di monitoraggi fondati soprattutto sulle intercettazioni. Queste indagini ci consentono da un lato di essere ottimisti, nel senso che i focolai maggiormente rischiosi ci inducono a intervenire con urgenza; dall’altro abbiamo dei meccanismi (come le segnalazioni per operazioni sospette) che consentono di rilevare con immediatezza, dove ci sono indicatori del rischio, per esempio ipotesi di riciclaggio e quindi di reinvestimento sospetto. Ciò poi si accompagna all’ulteriore monitoraggio che compiono le dogane nell’ambito delle transazioni, i tavoli tecnici posti in essere proprio in questi mesi, unitamente alle riunioni di coordinamento che stiamo portando avanti con i vari uffici che hanno segnali di questo tipo. Il tutto ci fa guardare con un certo ottimismo anche ai fini di un urgente intervento.

Qualcuno aveva detto che avevate esagerato con gli allarmi. Le sembra che ora siano stati recepiti o ci vuole ancora più attenzione?
Non c’è stata nessuna esagerazione da parte nostra, assolutamente. L’infiltrazione delle mafie nell’economia è talmente evidente, chiara, diffusa, che ogni indagine di cui si ha notizia con arresti in Lombardia, Piemonte, Veneto, Liguria, Emilia Romagna o Lazio dimostra quanto vasto sia il reimpiego nell’ambito delle attività economiche del denaro ricavato dal traffico di stupefacenti e da altri reati. E quanto forte sia il circuito aggregante che ’ndrangheta, Cosa nostra e camorra riescono a instaurare: che è la cosa ancora peggiore. Offrendo anche servizi illegali, oltre alla possibilità di intervenire nel circuito economico legale, la criminalità organizzata aggrega a sé un numero sempre più rilevante di imprese interessate a questi servizi.

In che modo?
In primo luogo con le false fatturazioni, che giovano a tutte le imprese: anche le attività imprenditoriali sane se ne avvantaggiano. Ma nel momento stesso in cui usano questi servizi, entrano in un circuito di illegalità dal quale non potranno più uscire.

Abbiamo esempi recenti?
In una delle ultime indagini in Lombardia è stata identificata un’associazione mafiosa di una decina di componenti accusati di reati fiscali e false fatturazioni aggravati dall’articolo 7 (l’aggravante mafiosa, ndr) con centinaia di contestazioni; quindi centinaia di imprese vi hanno partecipato. E questo è il segnale più chiaro di quanto le mafie si infiltrino nell’economia, e quale sia la conseguenza per il sistema economico e per lo Stato che subisce un danno enorme. © RIPRODUZIONE RISERVATA Sopra: il procuratore antimafia Federico Cafiero de Raho

Avvenire

Memoria e impegno contro le mafie

Un'immagine dell'incontro organizzato a Bari da Libera, prima della riflessione in cattedrale (Arcieri)

Un’immagine dell’incontro organizzato a Bari da Libera, prima della riflessione in cattedrale (Arcieri)

La bellissima Cattedrale di San Sabino di Bari, ieri sera era piena di dolore, memoria e impegno. Erano più di cinquecento i familiari di vittime innocenti delle mafie, radunati da Libera in occasione della XXIII Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, che si terrà il 21 marzo in migliaia di città e paesi, e che avrà come luogo principale Foggia col titolo “Terra, solchi di verità e di giustizia”. Una scelta forte, per richiamare l’attenzione su una mafia purtroppo trascurata, sottovalutata, che la scorsa estate è arrivata su tutti i giornali con la strage di San Marco in Lamis quando oltre a due mafiosi vennero uccisiLuigi e Aurelio Luciani, due fratelli agricoltori che nulla avevano a che fare col mondo criminale. La grande manifestazione del primo giorno di Primavera ha un prologo nell’incontro dei familiari, sabato e domenica, momento forte di testimonianze, storie, riflessioni.

«Quello che abbiamo ascoltato ci obbliga all’impegno di responsabilità – ha commentato al termine Nando Dalla Chiesa, figlio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e presidente onorario di Libera –. Una responsabilità a contrastare le inerzie, anche delle istituzioni. Troppe volte, ben il 75%, non si sa chi ha ucciso e chi ha mandato a uccidere. C’è una domanda di giustizia ancora non soddisfatta. Per questo siamo tenuti a difendere la memoria, a coltivarla, a perpetuarla. La memoria non è data per sempre».

Ed è anche la memoria di tante vittime della “lupara bianca” del Foggiano. «In questi mesi – ha ricordatoDaniela Marcone vicepresidente nazionale di Libera e figlia di Francesco Marcone, direttore dell’ufficio del registro di Foggia, ucciso il 31 marzo 1995 – abbiamo incontrato tante madri di giovani fatti scomparire. Che si appellano alle donne dei mafiosi per poter avere almeno i resti dei figli».

Dopo queste forti parole ci si è spostati nella Cattedrale, la parrocchia di Bari vecchia, quartiere simbolo del potere dei clan mafiosi, ma anche del riscatto, come l’oratorio di strada del parroco don Franco Lanzolla o le iniziative per le persone più fragili e dimenticate. Qui si è svolta la veglia di preghiera, «cui teniamo tantissimo – ha sottolineato Daniela Marcone – perché è il momento del raccoglimento e della spiritualità». E del ricordo. È stato così letto l’interminabile elenco di 972 vittime innocenti, dall’inizio dello scorso secolo agli ultimi nomi come Anna Rosa Tarantino, la donna uccisa il 30 dicembre a Bitonto dai proiettili destinati a un giovane mafioso, sparati da altri mafiosi arrestati proprio ieri. I nomi delle vittime hanno fatto da contrappunto alle preghiere.

Ad aiutare tre letture molto intense. Un brano dello scrittore ebraico Zvi Kolitz, che racconta il dramma del ghetto di Varsavia e della Shoa. Rabbia e fede assieme. «Concedimi Dio, prima di morire, ora che in me non vi è traccia di paura e la mia condizione è di assoluta calma interiore e sicurezza, di chiederti ragione, per l’ultima volta nella vita. Muoio tranquillo, ma non appagato, colpito, ma non asservito, amareggiato, ma non deluso, credente ma non supplice, colmo d’amore per Dio, ma senza rispondergli ciecamente amen».

Poi le parole di speranza di don Primo Mazzolari. «Il cristiano è un “uomo di pace” non un “uomo in pace”: fare la pace è la sua vocazione. La verità senza la carità è una “pietra d’inciampo”. La giustizia senza la carità è un nodo scorsoio che tutti credono di avere il diritto di tirare. Dare la pace ai morti è l’impegno di Dio: fare la pace coi vivi è un nostro impegno».

Infine, sono risuonate le parole di impegno di don Tonino Bello. «Il popolo della pace non è un popolo di rassegnati. Coraggio! Non dobbiamo tacere, braccati dal timore che venga chiamata “orizzontalismo” la nostra ribellione contro le iniquità che schiacciano i poveri. Gesù Cristo, che scruta i cuori e che non ci stanchiamo di implorare, sa che il nostro amore per gli ultimi coincide con l’amore per lui».

Brani che ben rappresentano la vita dei familiari delle vittime di mafia. Quel dolore che si fa memoria e impegno. Come conferma la preghiera che ha chiuso la Veglia. «Dio della pace, non ti può comprendere chi coltiva la morte, non ti accoglie chi ama la violenza: a coloro che seminano pace e a chi coltiva giustizia tra i rovi delle violenza dona la forza della perseveranza, perché chi ostacola il percorso della verità sia sanato dall’odio che lo tormenta, e tutti finalmente possiamo ritrovarci in Te, che sei la vera pace». La preghiera è salita nelle altissime navate della Cattedrale. La memoria delle storie, l’impegno delle vite.

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