E se anche al Gay pride si imparasse a chieder scusa. Che libertà di espressione è quella che consente di dileggiare a senso unico?

Immaginate un manichino vestito come una Madonna, con il seno scoperto. E immaginatelo, ora, portato in parata a spalla da quattro ragazzi, rigorosamente a volto coperto, durante un Gay Pride, con l’usuale contorno di Drag Queen, lustrini, ricchi premi e cotillons. Che cosa c’entra? Nulla. Come non c’entra nulla il fantoccio raffigurante papa Francesco che benedice, anch’esso sfoggiato nella medesima occasione. È successo al Cremona Pride, e se era un modo per fare pubblicità all’evento beh… ci sono riusciti. Ma un modo ben triste, di quella tristezza che lascia senza parole.

Squallido, prima ancora che blasfemo. Di una volgarità incomprensibile. Gli organizzatori, continuando a non collegare i neuroni tra di loro (ce ne saranno stati almeno due tra i presenti, o no?), alle dichiarazioni di quanti non hanno gradito la trovata l’hanno buttata in caciara, come si dice a Roma. «È la festa dei diritti contro tutte le discriminazioni, il nostro modo per rivendicare la possibilità di esprimere liberamente», ha detto dal palco uno dei promotori della marcia. E questo diritto alla libertà di espressione comprende anche libertà di insultare una religione? Fatemi capire bene: in Parlamento giace da tempo una proposta di legge ambigua, in base alla quale qualcuno potrebbe tentare di tappare la bocca anche ai parroci, in nome della (pur giusta) lotta all’omofobia e gli stessi che invocano certe norme reclamano il ‘diritto’ di far sfilare una Madonna con il seno nudo (e non perché allatta, come in tante immagini il Bambino)?

E io che scrivo queste righe potrei essere accusato (o persino incriminato) di omofobia? Che libertà di espressione sarebbe quella che consente di dileggiare a senso unico? È uno dei paradossi del politicamente corretto, che fanno a pugni con la logica più elementare. Come quelle assurdità che si sentono di tanto in tanto, che vorrebbero riscrivere le favole per renderle ‘neutrali’, così la matrigna di Biancaneve potrebbe essere declinata come ‘genitore tre’ , lasciando però sempre aperto il dubbio su chi sia il genitore uno e chi il due. Provate a esercitarvi su una qualsiasi favola, non se ne esce mai.

È impossibile. Perché è contro la logica, e andare contro la logica non si può. O meglio, forzando un po’ le cose si può provare a farlo, ma si finisce per truffare l’intelligenza delle persone, perché l’intelligenza è regolata dalla logica. E respinge le incursioni tentate da ciò che è illogico. Su questi paradossi gli esempi che si potrebbero fare sono decine e decine, ma restiamo sulla vicenda. Non sono mancate, a Cremona, le reazioni alla ‘provocazione’ dei manifestanti. I quali invece che dire: ‘Ok, scusate, stavolta abbiamo fatto una stupidaggine’, hanno rilanciato dicendo che le proteste veniva da ‘partiti di destra’, cosa data evidentemente per scontata, mentre avrebbe ‘sorpreso’ gli organizzatori la critica molto dura arrivata dal noto imprenditore e presidente della Cremonese Giovanni Arvedi. Sorpresi perché? Non è dato saperlo.

O forse proprio perché la libertà di pensiero dovrebbe funzionare a senso e schema unico? Il presidente dell’Arcigay s’è detto molto soddisfatto della riuscita della parata di Cremona. E non si sa se è una promessa o una minaccia, è il primo di cinquanta Pride che toccheranno tutte le città italiane. Non ci resta che pregare e sperare perché qualcuno ‘attacchi’ finalmente il cervello e lo accenda. Eppure non è così difficile da capire: se le persone hanno tutte eguale dignità, questo vale per tutti, non per qualcuno meno e per qualcuno più. Quale che sia la loro condizione personale, il loro modo di pensare, la loro fede. Il rispetto è dovuto alle persone e ai simboli che parlano al cuore e all’intelligenza di quelle stesse persone. Certo non di meno ai simboli delle religioni, di ogni religione. Compresa quella cattolica.

Avvenire

#Cremona. La Madonna blasfema al Pride, il vescovo: «Dolore della comunità cristiana»

Una bambola-statua a grandezza naturale con il busto scoperto e pitturato, ostentato alla manifestazione arcobaleno di sabato. I cittadini e la politica locale insorgono, il sindaco nella bufera
Il Pride a Cremona

Il Pride a Cremona – Ansa

Una bambola a grandezza naturale, travestita da Madonna, con il busto scoperto e pitturato. Una immagine ostentata provocatoriamente sabato scorso nel corteo del Cremona Pride, che ha disturbato e addolorato molti cittadini e che ha indotto il vescovo Antonio Napolioni a scrivere un breve messaggio alla città.

“Raccolgo lo sconcerto di numerosi cittadini, credenti e non credenti, per la presenza di immagini offensive ed evidentemente blasfeme, che non possono avere alcun valore educativo o comunicativo di valori e diritti. Sono gesti che non fanno bene a nessuno, e che feriscono anche i tanti che si stanno impegnando con reciproco rispetto per una società senza discriminazioni”.

“Esprimo il dolore mio e della comunità cristiana – si legge sul sito della diocesi -, nel desiderio di imparare sempre dalla Madre di Dio e dell’umanità uno sguardo di accoglienza, comprensione e riconciliazione verso tutti. La Chiesa cremonese, impegnata in un aperto dialogo sinodale con tante voci ed esperienze delle proprie comunità e della società civile, alimenterà nella preghiera l’ulteriore impegno di annuncio e dialogo, che questi tristi episodi non hanno la forza di intaccare”.

La sfilata arcobaleno tra le vie del centro aveva il patrocinio del Comune di Cremona, e questo ha fatto finire anche il sindaco Gianluca Galimberti al centro delle critiche. A manifestazione appena conclusa ed evidentemente ignaro della polemica che stava crescendo, il primo cittadino aveva dichiarato che l’evento “ha acceso anche nella nostra città un faro su discriminazioni che esistono ancora, dando la possibilità di esprimersi senza attaccare, consentendo di riaffermare che davvero occorre la pari dignità di tutti i cittadini senza distinzione di sesso, come recita anche la nostra Costituzione”.

Una statua di Madonna con il seno scoperto e deturpato non è esattamente quello che ci si aspetta quando si pensa a “esprimersi senza attaccare”.

“Penso – aveva aggiunto Galimberti – che occorra costruire, anche a Cremona, una democrazia che sia inclusiva e accogliente delle diversità. Perché la paura e l’odio per una diversità porta sempre alla paura e all’odio di tutte le diversità”.

Ed è proprio pensando a quelle parole che, di fronte alle immagini della Vergine così rappresentata e alle fotografie che ritraggono nel corteo dei 1.500 anche un attivista sosia di papa Francesco abbigliato come il pontefice, è montata l’onda delle polemiche politiche. Numerosi esponenti locali dei partiti di centro-destra hanno condiviso sui loro profili le immagini contestate. “Non è cosi, con questo modo squallido e irrispettoso della fede cristiana, che si rivendicano i diritti”, è il coro comune.

La bambola travestita da Madonna ha fatto uscire dalle abituale riservatezza che lo contraddistingue anche Giovanni Arvedi, imprenditore dell’acciaio, patron della Cremonese appena riportata in serie A e mecenate che in città ha costruito, tra l’altro, il Museo del Violino e ha riqualificato Santa Monica, ora sede dell’Università Cattolica. Una presa di posizione pacata ma perentoria. “Questi simboli non hanno nulla a che vedere con la legittima tutela dei diritti e la lotta all’omofobia e alle discriminazioni – ha detto – Sono immagini stonate perché offendono la sensibilità altrui”.

Avvenire

ECCO PERCHÉ IL MESE DI MAGGIO È DEDICATO ALLA MADONNA

Dal Medioevo alla tradizione nata nel collegio romano dei Gesuiti per contrastare l’immoralità diffusa tra gli studenti fino alla devozione di San Filippo Neri e al magistero dei Papi, la storia di una delle devozioni popolari più amate e diffuse

È una devozione popolare antica e molto sentita dai fedeli quella del mese di maggio dedicato tradizionalmente alla Madonna con vari momenti di preghiera, dalle processioni ai pellegrinaggi nei Santuari (quest’anno vietati a causa delle misure sul coronavirus) alla recita del Rosario che papa Francesco ha invitato a pregare, da soli o in famiglia, in questo tempo particolare di prova.

Ma perché maggio è il mese mariano per eccellenza? Proviamo a rispondere.

IL CULTO DELLA FERTILITÀ NELL’ANTICHITÀ GRECA E ROMANA
Nell’antica Grecia e nell’antica Roma il mese di maggio era dedicato alle dee pagane collegate alla fertilità e alla primavera (rispettivamente Artemide e Flora). Questo, combinato con altri rituali europei che commemoravano la nuova stagione primaverile, ha portato molte culture occidentali a considerare maggio un mese dedicato alla vita e alla maternità.

LA FESTA DELLA MAMMA

Non è un caso che in molti Paesi ricorre in questo mese la festa della mamma che è una ricorrenza civile, non religiosa. In Italia cade la seconda domenica di maggio come in gran parte degli Stati europei, negli Stati Uniti, in Giappone, in Australia e in numerosi altri Paesi. In Spagna la prima domenica di maggio, nei paesi balcanici l’8 marzo; in molti paesi arabi la festa cade invece nel giorno dell’equinozio di primavera.

NEL MEDIOEVO, ALFONSO X E MARIA “ROSA DELLE ROSE”
Nel XIII secolo Alfonso X detto il saggio, re di Castiglia e Leon, in Las Cantigas de Santa Maria celebrava Maria come: «Rosa delle rose, fiore dei fiori, donna fra le donne, unica signora, luce dei santi e dei cieli via (…)». Di lì a poco il beato domenicano Enrico Suso di Costanza mistico tedesco vissuto tra il 1295 e il 1366 nel Libretto dell’eterna sapienza si rivolgeva così alla Madonna: «Sii benedetta tu aurora nascente, sopra tutte le creature, e benedetto sia il prato fiorito di rose rosse del tuo bei viso, ornato con il fiore rosso rubino dell’Eterna Sapienza!». Ma il Medioevo vede anche la nascita del Rosario, il cui richiamo ai fiori è evidente sin dal nome.
LA DEVOZIONE NATA NEL COLLEGIO DI ROMA DEI GESUITI ALLA FINE DEL XVIII SECOLO
Ai tempi della Chiesa delle origini ci sono prove dell’esistenza di una grande festa in onore della Beata Vergine Maria che veniva celebrata il 15 maggio di ogni anno, ma solo nel XVIII secolo il mese di maggio è stato associato alla Vergine Maria. Secondo la Catholic Encyclopedia, «la devozione di maggio nella sua forma attuale ha avuto origine a Roma, dove padre Latomia del Collegio Romano della Compagnia di Gesù, per contrastare l’infedeltà e l’immoralità diffuse tra gli studenti, fece alla fine del XVIII secolo il voto di dedicare il mese di maggio a Maria. Da Roma la pratica si diffuse agli altri collegi gesuiti, e da lì a quasi ogni chiesa cattolica di rito latino». Dedicare un mese intero a Maria non era una cosa nuova, e c’era una tradizione precedente di dedicare un periodo di trenta giorni alla Vergine, chiamata Tricesimum. Presto si diffusero nel mese di maggio varie devozioni private a Maria, come viene ricordato nella Raccolta, una serie di preghiere pubblicata a metà del XIX secolo: «È una devozione ben nota consacrare alla santissima Maria il mese di maggio, come mese più bello e pieno di fiori di tutto l’anno. Questa devozione prevale da molto in tutta la cristianità, ed è comune qui a Roma, non solo nelle famiglie private, ma come pubblica devozione in moltissime chiese. Papa Pio VII, per esortare tutti i cristiani alla pratica di una devozione così tenera e gradita alla beatissima Vergine, e ritenuta di tanto beneficio spirituale, ha concesso con un Rescritto della Segreteria dei Memoriali del 21 maggio 1815 (conservato nella Segreteria di sua eminenza il cardinal-vicario) a tutti i fedeli del mondo cattolico di onorare in pubblico o in privato la Beata Vergine con qualche omaggio speciale o preghiere devote o altre pratiche virtuose».

SAN FILIPPO NERI E L’USANZA DI CIRCONDARE DI FIORI L’ICONE MARIANE

Le prime pratiche devozionali, legate in qualche modo al mese di maggio risalgono però al XVI secolo. In particolare a Roma san Filippo Neri, insegnava ai suoi giovani a circondare di fiori l’immagine della Madre, a cantare le sue lodi, a offrire atti di mortificazione in suo onore. Un altro balzo in avanti e siamo nel 1677, quando il noviziato di Fiesole, fondò una sorta di confraternita denominata “Comunella”. Riferisce la cronaca dell’archivio di San Domenico che «essendo giunte le feste di maggio e sentendo noi il giorno avanti molti secolari che incominiciava a cantar meggio e fare festa alle creature da loro amate, stabilimmo di volerlo cantare anche noi alla Santissima Vergine Maria….».

Si cominciò con il Calendimaggio, cioè il primo giorno del mese, cui a breve si aggiunsero le domeniche e infine tutti gli altri giorni. Erano per lo più riti popolari semplici, nutriti di preghiera in cui si cantavano le litanie, e s’incoronavano di fiori le statue mariane. Parallelamente si moltiplicavano le pubblicazioni.
IL GESUITA ANNIBALE DIONISI PUBBLICA NEL 1725 “IL MESE DI MARIA”

L’indicazione di maggio come mese di Maria lo dobbiamo però a un padre gesuita: Annibale Dionisi. Un religioso di estrazione nobile, nato a Verona nel 1679 e morto nel 1754 dopo una vita, a detta dei confratelli, contrassegnata dalla pazienza, dalla povertà, dalla dolcezza. Nel 1725 Dionisi pubblica a Parma con lo pseudonimo di Mariano Partenio Il mese di Maria o sia il mese di maggio consacrato a Maria con l’esercizio di vari fiori di virtù proposti a’ veri devoti di lei. Tra le novità del testo l’invito a vivere, a praticare la devozione mariana nei luoghi quotidiani, nell’ordinario, non necessariamente in chiesa «per santificare quel luogo e regolare le nostre azioni come fatte sotto gli occhi purissimi della Santissima Vergine».

In ogni caso lo schema da seguire, possiamo definirlo così, è semplice: preghiera (preferibilmente il Rosario) davanti all’immagine della Vergine, considerazione vale a dire meditazione sui misteri eterni, fioretto o ossequio, giaculatoria. Negli stessi anni, per lo sviluppo della devozione mariana sono importanti anche le testimonianze dell’altro gesuita padre Alfonso Muzzarelli che nel 1785 pubblica Il mese di Maria o sia di Maggio e di don Giuseppe Peligni.

LA DEVOZIONE DI PIO XII
Nel 1945 Pio XII ha avvalorato l’idea di maggio come mese mariano dopo aver stabilito la festa di Maria Regina il 31 maggio. Dopo il Concilio Vaticano II questa festa è stata spostata al 22 agosto, mentre il 31 maggio si celebra la festa della Visitazione di Maria. L’invito a non trascurare la recita del Rosario soprattutto nel mese di maggio viene da lontano.

Nell’Enciclica Ingruentium malorum del 1951, Pio XII scriveva: «È soprattutto in seno alla famiglia che Noi desideriamo che la consuetudine del santo Rosario sia ovunque diffusa, religiosamente custodita e sempre più sviluppata. Invano, infatti, si cercherà di portare rimedio alle sorti vacillanti della vita civile, se la società domestica, principio e fondamento dell’umano consorzio, non sarà ricondotta alle norme dell’Evangelo. Per ottenere un compito così arduo, Noi affermiamo che la recita del santo Rosario in famiglia è un mezzo quanto mai efficace».

MENSE MAIO, L’ENCICLICA DI PAOLO VI DEL 1965

Anche il Magistero recepisce e incoraggia questa devozione nata dal popolo. Nell’enciclica Mense Maio datata 29 aprile 1965, Paolo VI indica maggio come «il mese in cui, nei templi e fra le pareti domestiche, più fervido e più affettuoso dal cuore dei cristiani sale a Maria l’omaggio della loro preghiera e della loro venerazione. Ed è anche il mese nel quale più larghi e abbondanti dal suo trono affluiscono a noi i doni della divina misericordia».

Nessun fraintendimento però sul ruolo della Vergine nell’economia della salvezza, «giacché Maria – scrive ancora papa Montini – è pur sempre strada che conduce a Cristo. Ogni incontro con lei non può non risolversi in un incontro con Cristo stesso». Anche papa Montini attribuiva una straordinaria importanza al Rosario recitato in famiglia: «Non v’è dubbio – scriveva – che la Corona della Beata Vergine Maria sia da ritenere come una delle più eccellenti ed efficaci ‘preghiere in comune’ che la famiglia cristiana è invitata a recitare. Noi amiamo, infatti, pensare e vivamente auspichiamo che, quando l’incontro familiare diventa tempo di preghiera, il Rosario ne sia l’espressione più gradita». (Marialis Cultus 53).

Invito in S. Stefano a Reggio Emilia per la Confraternita del Santo Scapolare della Madonna del Carmine 16 Luglio 2020

Come è tradizione, Giovedì  16 luglio 2020, nella chiesa parrocchiale cittadina di Santo Stefano sarà celebrata con particolare solennità la festa della Madonna del Carmelo. Un ruolo notevole nella diffusione del culto mariano in città ebbero i Carmelitani, dapprima presenti nell’Ospedale di Santa Maria Nuova, poi nella Commenda Gerosolimitana di Santo Stefano, dove portarono nel sec. XVIII la statua lignea raffigurante la Madonna del Carmelo, ancora oggi esposta nell’abside dell’antica chiesa. In Santo Stefano è presente da secoli la “Confraternita del Santo Scapolare della B.V. del Carmine”.

Giovedì 16 Luglio, al mattino, la Santa Messa sarà celebrata alle ore 11.00 (presiede don Vasco Rosselli) e conclusa dalla recita dell’atto di consacrazione alla Madonna.

Nel pomeriggio alle 18.45 recita dell’inno “Akathistos”, a cui seguirà alle 19.00 la solenne concelebrazione eucaristica presieduta dal Vescovo emerito Mons. Adriano Caprioli.

Giovedì 16 Luglio 2020 in Santo Stefano Festa  della Madonna del Carmelo

Lo Scapolare

Segno della spiritualità Carmelitana oggi

Molti battezzati indossano – spesso con una punta di sano orgoglio – lo Scapolare della Madonna del Carmelo.
Molti altri lo conoscono per averlo visto sulle spalle di qualche persona cara o amica.
Molti, forse, si saranno chiesti il senso di quest’oggetto, che sa d’antico, sì, ma soprattutto dice convinzione, gioia di vivere gli impegni battesimali, amore verso Maria, madre di Gesù e madre nostra.
Le origini dello Scapolare affondano le radici nell’uso medievale di rivestire dell’abito religioso o di parte di esso chi desiderasse condividere i benefici spirituali di un’Ordine, seguendone la spiritualità.
Quest’uso, evidentemente legato alla mentalità medievale assai più concreta della nostra, si è diffuso in tutto il mondo cristiano, anche nei secoli successivi.
Si è arricchito di contenuti e modalità espressive, al punto che oggi in tante parti del mondo è la stessa cosa dire Madonna del Carmine o Madonna dello Scapolare.

Un po’ di storia…
Lo Scapolare, o “Abitino”, è composto da due pezzi di stoffa marrone legati da cordicelle o nastri, che poggiano sulle spalle (scapole, da cui il nome).
Nato come parte dell’abbigliamento dei contadini e poi dei religiosi, era in pratica un grembiule usato per non sporcare l’abito.
Ben presto, per i Carmelitani, diventò il simbolo della protezione materna di Maria, quasi la sintesi di tutti i benefici da lei ottenuti.
Perciò iniziarono a considerare lo Scapolare come parte essenziale dell’abito, l’abito stesso; e l’abito era segno della vita che si conduceva, espressione esterna di ciò che si è.
Inizialmente però, per affiliare i laici all’Ordine veniva concessa la cappa bianca, considerata il “segno esterno” dell’abito, ma non lo Scapolare, perché, altrimenti, un laico che avesse indossato per un intero anno l’abito-Scapolare, sarebbe stato considerato frate o monaca a tutti gli effetti. Con l’andar del tempo la proibizione cadde e lo Scapolare fu dato a tutti, soprattutto nella sua forma ridotta.
Due elementi contribuirono in modo decisivo all’affermazione dell’Abitino come segno della consacrazione a Maria e della sua protezione verso i devoti: la promessa della morte in stato di Grazia, legata alla “leggenda” della visione di S. Simone Stock, e quella della pronta liberazione dalle pene del Purgatorio, legata alla cosiddetta “Bolla sabatina”.
Al di là della storicità dei due fatti, bisogna dire che le promesse trovano conferma, non solo nel Magistero successivo dei pontefici e della Chiesa che ne ha accettato, purificandole e correggendole, le implicazioni, ma anche nel loro stesso senso teologico.
In realtà le promesse confermano e sottolineano ciò che la fede cristiana ha da sempre affermato: chi vive secondo gli impegni battesimali, morirà nella piena comunione con Dio, nella sua Grazia e giungerà presto a goderne l’eterno abbraccio.
La protezione materna di Maria non fa che rendere più sicuro il comune cammino verso la santità.
Nel ‘600 dunque l’identificazione Madonna del Carmine-Madonna dello Scapolare può dirsi conclusa: la confraternita dello Scapolare soppiantò ben presto tutte le altre variamente collegate al titolo del Carmelo; così come l’iconografia mariano-Carmelitana preferì i temi del dono dell’Abitino e della liberazione delle anime dal Purgatorio.
La stessa festa del 16 luglio, nata in Inghilterra nel XIV secolo per celebrare la protezione e i benefici di Maria, divenne ben presto la festa dell’intero Ordine e fu popolarmente conosciuta come la festa dello Scapolare.

Un segno ricco di contenuti
Tutto questo non fu un fatto di scarsa rilevanza, ma coinvolse larghissime fasce del popolo cristiano: lo Scapolare e i suoi valori vennero infatti recepiti come una naturale espressione della pietà popolare, che ne restò a sua volta influenzata.
L’Abitino fu usato infatti come veicolo di valori cristiani essenziali: chi avesse voluto entrare nella Confraternita o nel Terz’Ordine avrebbe dovuto accettare uno stile di vita veramente conforme al Vangelo.
La formazione, la vita sacramentale, la preghiera e l’ascesi, dovevano condurre la persona all’unione con Dio e trovare necessaria espressione e verifica nella concretezza della carità, sia verso i confratelli che verso gli esterni.
Non era possibile indossare l’abito di Maria solo per “garantirsi” un posto in Paradiso!
Se poi tutto ciò non ha retto all’urto delle tempeste abbattutesi sulla Chiesa e dunque anche sul Carmelo tra il ‘700 e l’800, non vuol dire che lo Scapolare fosse un segno vuoto, puramente esteriore.
Piuttosto va detto che il nostro secolo ha ereditato forme che non sempre è riuscito a tradurre in termini vitali.
Forse siamo giunti ad un punto in cui è possibile tentare un recupero, tutt’altro che sterilmente archeologico.
Non si tratta infatti di risuscitare un oggetto ormai lontano dalla sensibilità comune, ma di dare espressione e corpo ai contenuti validi e vitali della pietà popolare in modo da proporre ancor oggi, come si è fatto per secoli, un’occasione di santificazione e di vita realmente e profondamente cristiana.
Oggi vanno indubbiamente tenuti in considerazione alcuni temi centrali, legati da sempre allo Scapolare: per esempio la comunione con Dio, la consacrazione a Lui attraverso Maria, il valore “sacramentale” e quello escatologico dell’Abitino.
Lo Scapolare è infatti un “sacramentale”, cioè un segno che ricorda e attua una realtà spirituale secondo la misura di fede di chi lo indossa.
È segno di affiliazione ad un’Ordine religioso cristocentrico e mariano, dunque indica l’appartenenza alla grande famiglia Carmelitana e la condivisione della sua spiritualità.
Non ci si fa santi da soli: solo il sapersi membri di un popolo in cammino consente di incontrare e sperimentare la pienezza della comunione divina.
Così pure l’Abitino è segno di consacrazione a Maria ed esprime la nostra volontà di camminare con lei, accompagnati e sorretti dalla sua mano materna, verso la pienezza di comunione, verso la “vetta del monte, che è il Signore Gesù”.
Ma è anche il segno della protezione e della difesa che Maria opera nella vita del cristiano. Inoltre proprio perché un “sacramentale”, lo Scapolare ci ricorda e ci aiuta a crescere nel personale rapporto con Maria, madre di Gesù e della Chiesa.
La tradizione Carmelitana ha guardato Maria da diverse prospettive, a tutt’oggi ancora attuali, che possono essere comunicate, spiegate e insegnate, perché anche altri possano trarne beneficio spirituale. Maria è stata vista come Madre, Sorella, Vergine purissima, Patrona, Profeta…
Le promesse tradizionalmente legate allo Scapolare sono da considerare nel loro indubbio valore escatologico: siamo incamminati verso un futuro di comunione, di pace e di gloria, che va però costruito giorno dopo giorno nell’oggi della vita intessuto di sacrificio, preghiera continua, carità operosa e attenta.
Il Carmelitano, rivestito dell’abito di Maria, è capace come lei di “conservare tutte le cose meditandole nel suo cuore” (cfr. Lc 2, 19.51).
Il Carmelitano sa essere profeta e stando accanto ai fratelli sa indicare loro la direzione e la meta verso cui cammina la storia della Salvezza.

Quale messaggio di spiritualità
Ancor’oggi si possono vedere numerosi fedeli, talvolta un fiume, che soprattutto in certi momenti particolari, come a ridosso della festa del Carmine, chiedono di poter ricevere l’Abitino.
Talvolta, è vero che alcune persone sono motivate da ragioni superficiali e l’imposizione dello Scapolare o l’indossarlo finiscono col diventare gesti al limite della superstizione.
Ma questo è sempre stato uno dei limiti della pietà popolare, la quale perciò dev’esser continuamente aiutata a crescere, purificandosi di quanto non è autentico atto di fede.
Ricevere lo Scapolare non è un rito di ripetizione meccanica (al limite del magico), ma un momento di preghiera, di ascolto della Parola di Dio, può diventare l’occasione anche per una breve catechesi sui valori fondamentali della spiritualità Carmelitana ed espressi dallo Scapolare.
Così anche gli impegni di preghiera e ascesi personale legati al suo uso sono i mezzi di incontro con il Signore, utili a favorire quell’unione con Lui per mezzo di Maria.
Non dovrebbero mai venir disgiunti dall’impegno per una qualche forma di servizio: non si dà autentica vita cristiana senza carità fraterna!
Il passato ha formulato espressioni diverse di preghiera legate allo Scapolare a ai suoi valori. Basti ricordare i diversi momenti e forme di preghiera propri della tradizione Carmelitana: i mercoledì solenni, il sabato, le “Allegrezze”, i sette Pater-Ave-Gloria, le novene…
Sono tutti modi per favorire una preghiera comunitaria ricca di contenuti e valori essenziali per chiunque voglia vivere il Vangelo con l’aiuto della spiritualità Carmelitana.
Oggi sono state pensate forme nuove, più consone alla sensibilità e alla cultura attuali, anche se in continuità col passato.
Analogo discorso vale per le prescrizioni ascetiche: tra queste la virtù della castità secondo il proprio stato, oggi apparentemente in crisi, per sviluppare in sintonia con lo Spirito tutta la carica di amore, autenticamente umano, di cui ogni persona è capace.
Lo Scapolare, allora non è una forma di devozionismo, ma una modalità attualissima di vivere il Vangelo in ogni sua prospettiva.
Ancora una parola sulla dimensione comunitaria suscitata dallo Scapolare; se è segno di appartenenza ad una famiglia dovrà necessariamente ricondurre ad essa.
Oggi purtroppo chi riceve l’Abitino lo fa quasi sempre in modo “privato”, ma nella Chiesa non c’è proprio nulla di privato, ma “tutto era in comune fra loro” (At 2, 44).
Le antiche confraternite assolvevano bene al compito di collegamento tra gli ascritti e garantivano l’esecuzione dei diversi impegni.
Da quando furono spazzate via dalle varie soppressioni del secolo passato, non si è più stati capaci di creare strutture a misura d’uomo, capaci di far incontrare le persone e farle sentire in comunione, animate dai medesimi atteggiamenti.
Oggi viviamo in un tempo in cui i collegamenti non dovrebbero essere un problema, non mancano certo i mezzi per far giungere a distanza un messaggio.
Così pure non dovrebbe essere impossibile, e in alcune zone già si fa, creare occasioni d’incontro per persone che si rifanno alla spiritualità Carmelitana per giornate o momenti di preghiera, formazione e condivisione.
Forse è giunto il momento di riscoprire il valore della Famiglia Carmelitana, alla quale appartengono i Frati, le Monache, i Terziari, le Suore, ma specialmente tutti i battezzati che indossano lo Scapolare.
Ogni giorno la preghiera comune, gli uni per gli altri, crea un legame inscindibile e forte, che ci unisce profondamente tra noi e con Dio. I Frati Carmelitani, ogni mercoledì, celebrano la s. Messa per coloro che indossano lo Scapolare o si trovano in Cielo, sotto il manto di Maria, per contemplare il volto di Dio.
Affidano al Signore i malati, i sofferenti; lo ringraziano perché in Maria Egli compie innumerevoli miracoli di guarigione corporale e spirituale.
Ma tutto questo non basta: serve anche la tua preghiera, perché i membri della Famiglia sono uniti solo attraverso l’Amore verso Dio e si riconoscono tra loro attraverso il semplice uso di indossare un pezzetto di stoffa marrone.

fonte: https://carmelit.org/lo-scapolare/