Siamo ricchi solo di ciò che sappiamo condividere. Commento al Vangelo XVIII Domenica Tempo ordinario – Anno C

(…) Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. (…) Demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita”». (…)

La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante: una doppia benedizione secondo la bibbia, eppure tutto è corroso da un tarlo micidiale. Ascolti la parabola e vedi che il fondale di quella storia è vuoto. L’uomo ricco è solo, chiuso nel cerchio murato del suo io, ossessionato dalla logica dell’accumulo, con un solo aggettivo nel suo vocabolario: “mio”, i miei raccolti, i miei magazzini, i miei beni, la mia vita, anima mia.
Nessun altro personaggio che entri in scena, nessun nome, nessun volto, nessuno nella casa, nessuno alla porta, nessuno nel cuore. Vita desolatamente vuota, dalla quale perfino Dio è assente, sostituito dall’idolo dell’accumulo. Perché il ricco non ha mai abbastanza. Investe in magazzini e granai e non sa giocare al tavolo delle relazioni umane, sola garanzia di felicità. Ecco l’innesco del dramma: la totale solitudine.
L’accumulo è la sua idolatria. E gli idoli alla fine divorano i loro stessi devoti. Ingannandoli: “Anima mia hai molti beni per molti anni, divertiti e goditi la vita”. È forse questo, alla fin fine, l’errore che rovina tutto? Il voler godere la vita? No. Anche per il Vangelo è scontato che la vita umana sia, e non possa che essere un’incessante ricerca di felicità. Ma la sfida della felicità è che non può mai essere solitaria, ed ha sempre a che fare con il dono.
L’uomo ricco è entrato nell’atrofia della vita, non ha più allenato i muscoli del dono e delle relazioni: Stolto, questa notte stessa… Stolto, perché vuoto di volti, vive soltanto un lungo morire Perché il cuore solitario si ammala; isolato, muore. Così si alleva la propria morte. Infatti: questa notte stessa ti sarà richiesta indietro la tua vita…. Essere vivo domani non è un diritto, è un miracolo. Rivedere il sole e i volti cari al mattino, non è né ovvio né dovuto, è un regalo. E che domani i miliardi di cellule del mio corpo siano ancora tutte tra loro connesse, coordinate e solidali è un improbabile prodigio.
E quello che hai accumulato di chi sarà? La domanda ultima, la sola che rimane quando non rimane più niente, suona così: dopo che tu sei passato, dietro di te, nel tuo mondo, è rimasta più vita o meno vita? Unico bene.
La parabola ricorda le semplici, sovversive leggi evangeliche dell’economia, quelle che rovesciano le regole del gioco, e che si possono ridurre a due soltanto: 1. non accumulare; 2. se hai, hai per condividere.
Davanti a Dio noi siamo ricchi solo di ciò che abbiamo condiviso; siamo ricchi di uno, di molti bicchieri di acqua fresca dati; di uno, di cento passi compiuti con chi aveva paura di restare solo; siamo ricchi di un cuore che ha perdonato per sette volte, per settanta volte sette.

(Letture: Qoèlet 1,2; 2,21-23; Salmo 89; Lettera ai Colossesi 3,1-5.9-11; Luca 12,13-21)

Avvenire

Riflessioni in margine al caso della celebrazione galleggiante SÌ, LA MESSA CON GESÙ VALE IL VESTITO DELLA FESTA

L’elegante e impeccabile nota della Diocesi di Crotone, ripresa da Milano, lascia spazio alla buona fede e alle scuse sincere (che sono subito arrivate). Una leggerezza, certo, questa Messa galleggiante. E tuttavia, una leggerezza che appare generata dal peso che vuole essere accordato alla celebrazione: perché è questo che le ha fatto perdere l’equilibrio.

L’incidente si può certamente chiudere. L’occasione per riflettere, invece, potrebbe essere pacatamente frequentata con qualche vantaggio. Quanto teniamo alla Messa, nel momento in cui non abbiamo tutte le comodità a disposizione? Nel periodo forte della pandemia, il problema si è presentato con una normalità del tutto inattesa. Non si trattava della circostanza del tutto occasionale in cui mancava il luogo adatto. Il luogo c’era, ma la sua normale frequentazione costituiva una condizione permanente di rischio, che la comunità non poteva sottovalutare. Possiamo discutere sui dettagli (allora tutti, però, erano costretti a improvvisare sull’incerto, a fronte di certezze obiettivamente drammatiche). Ma l’obbligo della prudenza era giustificato.

Molti preti sono rimasti comprensibilmente paralizzati. Qualcuno ha cercato una linea di resistenza nella concelebrazione fra sacerdoti, o per pochi intimi. E qualcuno si è pure inventato delle estrosità assai più imbarazzanti (come la lavanda dei piedi delle sedie).

Devo dirvi la verità: a distanza di tempo, anche alcune trovate che al momento mi avevano precipitato nello sconforto, ora le ricordo persino con una punta di tenerezza. Tutti abbiamo visto filmati e fotografie di chiese dove il sacerdote aveva appoggiato sulle sedie le foto dei parrocchiani che non poteva ospitare fisicamente. Bene, oggi mi dico che probabilmente (senza colpa di nessuno, parlo anche per me) quei parrocchiani, dal vivo, non avevano ricevuto in così gran numero l’attenzione e l’affezione individuale che, in quel frangente, riceveva la loro immagine. La liturgia ‘ci tiene’ a noi. Non semplicemente perché le riempiamo le chiese, comunque sia: ma perché ha piacere di renderci presentabili al Signore, di presentarci e di essere riconosciuti da Lui. Nel Vangelo, ogni volta che accade, qualcuno guarisce. Fosse anche uno solo, diceva Gesù, lui (o lei) vale la festa di tutti. Nell’Eucaristia, il Signore ci incontra nel suo corpo proprio: non semplicemente attraverso il corpo d’altri. E noi sappiamo, dal Vangelo, che cosa significa essere interpellati, toccati, nutriti dal corpo del Signore. (La presenza eucaristica si chiama ‘presenza reale’, per antonomasia, per questa ragione, non perché la sua presenza nel mio fratello e sorella sia finta).

Bisogna che accada, dunque. Non semplicemente perché debba misurarsi di volta in volta sul nostro desiderio, sul nostro sentimento, sulla nostra emozione, sul nostro bisogno. Bisogna che accada, in viva memoria di Lui, fino a che Egli venga. Semplicemente.

L’epoca della Messa sottocasa, programmata per riempire tutti gli orari e tutti gli spazi della chiesa, sta per congedarsi. Non sarà da sostituire con il servizio in camera (per noi lo era già diventato). Il megaraduno dell’assemblea che riempie la chiesa o lo stadio diventerà più raro (e sperabilmente più genuino). La Messa diventerà certamente più preziosa. Il suo luogo sarà più prezioso; il suo tempo sarà più prezioso. Ci saranno più ospiti che fedeli, però: come del resto ai tempi di Gesù. E sarà bellissimo. Molti abbonati che ora fanno i difficili forse troveranno la cosa troppo scomoda, e perderanno la strada. Molti che non pensavano di avere un posto saranno stupiti ed emozionati di non essere più ‘quelli di fuori’, con Gesù che passa fra i tavoli: con tanto di foto. Certo, dovranno avere la delicatezza di indossare almeno il vestito della festa, visto che tutto il resto è gratis.

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di PierAngelo Sequeri

Foglietto, letture e Salmo XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

 XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

Grado della Celebrazione: DOMENICA
Colore liturgico: Verde

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I testi biblici che ci riportano il messaggio di questa domenica (la prima lettura e il Vangelo) ci insegnano che il Dio della Trinità ama recarsi di tanto in tanto dagli uomini, perché la sua presenza è un onore e una benedizione. Al tempo dei patriarchi, si reca da Abramo e promette un figlio a Sara che non ne ha ancora. Gesù, da parte sua, esalta due donne nubili, Maria e Marta, onorandole della sua visita e della sua parola. Il racconto di questa visita ci mostra che si deve manifestare a Gesù un vero rispetto.
Il Dio della Trinità oggi continua a recarsi presso gli uomini. Questo noi la chiamiamo visita. Spesso, ci rendiamo conto della venuta di Dio solo dopo la sua visita.
In questo giorno, il nostro Signore e Salvatore ci invita a recarci da lui. Egli è il sacerdote, l’annunciatore e l’ospite di questa festa liturgica. Gioiamo di questo onore, ascoltiamo la sua parola con attenzione e festeggiamo con lui la comunione di oggi con atteggiamento di venerazione. Ma soprattutto prendiamo a cuore quello che lui ci dice: è colui che si impregna della sua parola e vive secondo essa che gli manifesta il più grande rispetto.