L’anniversario. Dieci anni fa la storica rinuncia pronunciata da Benedetto XVI

Il Concistoro davanti al quale Benedetto XVI annunciò la sua rinuncia

Il Concistoro davanti al quale Benedetto XVI annunciò la sua rinuncia – Ansa / Osservatore Romano

Alle 11,46 di dieci anni fa Giovanna Chirri, vaticanista dell’Ansa, lanciò una notizia che ha segnato la storia della Chiesa. La rinuncia al pontificato di Benedetto XVI

Alle 11,46 di dieci anni fa Giovanna Chirri, vaticanista dell’Ansa, lanciò una notizia che ha segnato la storia della Chiesa. La rinuncia al pontificato di Benedetto XVI. Non era un fatto imprevedibile. La Codificazione canonica, quella del 1917 e quella del 1983, prevedeva questa eventualità. Ma sembrava che fosse più una possibilità più teorica che concreta.

Invece Joseph Ratzinger ha dato per la prima volta attuazione a questa norma. Lo ha fatto in modo solenne, con una Declaratio in latino, pronunciata davanti ai cardinali riuniti ad un Concistoro, di per sé abbastanza di routine, per il voto su alcune cause di canonizzazioni, nel giorno in cui la Chiesa fa memoria della Beata Vergine Maria di Lourdes.

Papa Benedetto spiegò che «dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio» era «pervenuto alla certezza» che le sue «forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino». Aggiunse poi che «nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato». Di qui la decisione – presa «ben consapevole della gravità di questo atto» e «con piena libertà» – di «rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro» a partire dalle ore 20 del successivo 28 febbraio.

La notizia della rinuncia lasciò attoniti quasi tutti i cardinali presenti – Ratzinger aveva informato del suo gesto pochissimi collaboratori – e sorprese tutta la Chiesa e tutto il mondo. Da quel momento, e fino alla sua morte, Benedetto XVI ha vissuto nel Monastero Mater Ecclesiae, conservando per sé il titolo di Pontefice emerito. E la sua rinuncia ha permesso l’elezione del primo Papa latinoamericano, del primo vescovo di Roma gesuita, del primo Successore di Pietro a scegliere il “nome” Francesco della storia.

Con la scelta di Benedetto, alla luce del fatto che ormai è più facile raggiungere un’età molto avanzata, la rinuncia di un Pontefice potrebbe diventare non più una eccezione, ma una prassi. Lo stesso papa Francesco non ha escluso l’eventualità della coesistenza di più Papi emeriti, pur ribadendo, anche di recente, di non avere assolutamente l’idea di dimettersi. La decisione di Benedetto ha inoltre acceso anche un dibattito tra gli studiosi (cfr. il recente volume “Papa, non più Papa” curato da Amedeo Feniello e Mario Prignano per l’editrice Viella) su come eventualmente normare la figura del Papa dopo la rinuncia (Francesco ha detto che lui non lo farà) e su come normare il caso, estremamente delicato, della sede romana totalmente e permanentemente impedita a causa di una malattia invalidante del Papa.
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Le dimissioni di Benedetto XVI: la vigilia di una nuova stagione

La rinuncia di Benedetto XVI è stata accolta da un coro unanime di approvazione per il coraggio e l’umiltà con cui il Papa ha confessato la sua fragilità. In molti, però, la notizia ha causato turbamento: può un Pastore abbandonare il gregge perché è stanco? Non l’hanno fatto gli altri pontefici, né i martiri, né i missionari, né tanti servi dei poveri, che hanno scelto di morire sulla breccia. Gesù non è sceso dalla croce. Perché Papa Ratzinger sì?

La Lectio divina, tenuta l’8 febbraio al Seminario Romano, ci fa conoscere le ragioni profonde del gesto, al di là di quelle ufficiali. Infatti, poche ore prima dell’annunzio, il Papa ha sentito il bisogno di richiamare l’attenzione sul ministero petrino, sul futuro della Chiesa e sulla necessità di una fede adulta. L’ha fatto commentando tre parole, contenute nei versetti iniziali della prima lettera di Pietro, con riflessioni dal chiaro sapore autobiografico. La prima parola riguarda il pontificato, definito «martirio». Gesù l’aveva detto a san Pietro: il «primato», accanto al contenuto dell’universalità, ha un contenuto martirologico: «Andando a Roma, Pietro accetta […]: va verso la Croce, e ci invita ad accettare anche noi l’aspetto martirologico».

Per Ratzinger, fare il Papa è stato un martirio. Non è difficile  credergli. Basta ricordare solo alcune spine del suo pontificato, tra le più pungenti: lo scandalo dei preti pedofili, i guai finanziari della Santa Sede, i veleni della Curia Romana, le  divisioni nella Chiesa. La seconda parola riguarda l’«eredità», il futuro della Chiesa: essa «non è un albero morente […]. La Chiesa si rinnova sempre, rinasce sempre». Il volto di ogni nuovo papa porta con sé un volto nuovo di Chiesa. Paolo VI rifletté il volto dialogante della Chiesa del Concilio; Giovanni Paolo II trasmise al mondo il volto di una Chiesa «trionfante», quale egli sognava per il terzo millennio; Benedetto XVI mostra il volto di una Chiesa «stanca», come egli stesso la definì nel dicembre 2011 parlando della Chiesa in Europa. Una Chiesa ferma – specificò il card. Martini –, «rimasta indietro di 200 anni». C’era bisogno, a questo punto, di un volto nuovo di Chiesa e di un Papa nuovo.

La terza parola riguarda la necessità di una «fede» matura. La Chiesa potrà rinnovarsi solo grazie a una fede matura. Su questo punto Benedetto XVI ha sempre insistito, dall’inizio del pontificato fino all’indizione dell’Anno della fede. Gli saremo perennemente grati per averci insegnato con la sua rinuncia ad avere fede nel futuro, in un volto rinnovato di Chiesa, al di là delle contraddizioni che in questi anni ne hanno frenato il cammino. In fondo, sta qui la vera lezione delle dimissioni di Papa Ratzinger: consentire alla Chiesa, di guardare con fede al futuro, di condurre a termine l’«aggiornamento» conciliare. Perciò, toccherà al nuovo Papa superare i dubbi diffusi sulla riforma liturgica, riaffermare il valore del Concilio, senza sminuirlo per renderlo accettabile a chi lo rifiuta, ravvivare il dialogo ecumenico e interreligioso, affrontare sul piano pastorale (e non solo in via di principio) temi che non si possono più rinviare: la collegialità, la valorizzazione dei fedeli laici, le prospettive aperte dalla crisi della famiglia e dall’applicazione delle nuove tecnologie alla medicina e alla vita umana.

Non ci dobbiamo spaventare! Non è la prima volta che la Chiesa è provata e stanca. Come in passato, anche l’affanno presente non è il travaglio dell’agonia, ma quello del parto. Siamo alla vigilia di una nuova e feconda stagione cristiana.

Bartolomeo Sorge S.I. – famigliacristiana.it