«Incontriamoci, cattolici fiduciosi e laici aperti»
Nei «Dialoghi post-secolari» (Marsilio) con monsignor Paglia lei scriveva: «L’amore cristiano dà una marcia in più». Perché?
«È un dato di fatto storico che, se perde l’elemento religioso, una società smarrisce inesorabilmente l’attenzione all’altro, avviandosi ad una chiusura del proprio io che diventa una marea incontenibile. Oggi però siamo di fronte ad una forma settaria di ragione illuministica per cui si vuole vedere la religione come una superstizione del pre-moderno».
Perché torna di moda questa posizione anti-religiosa?
«Tale ‘predicazione’, che io chiamo ‘illuminismo settario’, ricompare per ragioni storicamente comprensibili, ovvero quale frutto di un’insofferenza del post-secolarismo. Infatti, una cosa è accettare che nello spazio pubblico ognuno possa dire la propria, un’altra ammettere le conseguenze di ciò. Appurato che nella sfera pubblica le religioni abbiano titolo, ecco nascere l’insofferenza per i temi religiosi stessi. Ma la domanda è se la riduzione dell’eteronomia dalle gerarchie come emancipazione della libertà, esperienza propria delle istituzioni democratico- liberali, costituisce un’abolizione dei vincoli ispirati alle ragioni di utilità collettiva oppure attribuzione a ciascuno delle responsabilità delle scelte giuste».
Come se ne esce?
«Penso a due personaggi: Isaiah Berlin, per il quale l’esercizio della libertà è sempre una scelta morale. E Giovanni Paolo II: per renderci più liberi, diceva, Dio si fece impotente. Ora ci troviamo di fronte al peccato della tecnica e dell’etica per cui il limite alla mia libertà è di per se stesso abusivo. Ma dobbiamo ricordarci che il limite, anche quello che ci viene dalle gerarchie, è anche un richiamo. In realtà molti laici cadono nella trappola per cui la libertà non tollera limiti. Ma esistono colonne d’Ercole da non varcare: e nella storia esse si spostano sempre più in là. Oggi lo percepiamo nelle nostre potenzialità di distruzione nei confronti degli altri».
Ad esempio?
«Le tematiche ‘verdi’, la messa in guardia di quanto l’uomo fa sulla natura come portatore di conseguenze ignote. Gli ogm o i farmaci di cui non conosciamo gli esiti. Oppure: possiamo far ricerca sull’essere umano anche nel suo stato embrionale?
».
Non le pare che il dialogo laici-cattolici sia ‘bipartizzato’: ognuno si sceglie gli interlocutori?
«Vedo tale pericolo. È facile trovare interlocutori laici attenti su solidarietà, immigrazione, povertà, Darfur o Haiti. E invece, sulla bioetica, è mancata la fiducia reciproca e non ci si è più parlati: all’epoca della legge 40 percepii diffidenza da entrambe le parti. Ho vissuto quel periodo come un momento di rottura. Avvertii, nello specifico, da parte dei laici l’insofferenza verso il punto di partenza del discorso, ovvero assumere che l’embrione è un essere umano allo stato nascente. Avevamo tanto parlato di dialogo fino ad allora ma non eravamo arrivati a fidarci a sufficienza ».
Come rinverdire il confronto?
«Ho sollecitato interlocutori di sicura fede a tenere incontri confidenziali per affrontare le questioni ‘calde’ senza strepito, per cercare di capirci. Purtroppo i laici fanno ancora spesso l’equazione ‘religione = società arretrata’. Così succede che i credenti si vedono in una società che non rispetta la religione e si chiudono in una minoranza condannata alla minorità».
Lorenzo Fazzini – avvenire 25/2/2010