Vaticano. La parrocchia? Un’armonia di carismi. Non sia un’azienda

Pubblicata una nuova istruzione vaticana sulla “conversione pastorale delle parrocchie”. I rischi di una comunità in cui il prete fa tutto o al contrario in cui sacerdoti e laici sono solo funzionari
La parrocchia? Un’armonia di carismi. Non sia un’azienda

Nella Chiesa c’è posto per tutti e ciascuno può trovare il proprio nell’unica famiglia di Dio. Ancora: è il popolo di Dio che evangelizza, ciascuno secondo la propria vocazione e alle responsabilità che gli competono. Sono i punti di riferimenti attorno a cui si articola l’istruzione “La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa”, appena pubblicata a cura della Congregazione per il clero.
Un testo, spiega monsignor Andrea Ripa, sotto-segretario del dicastero, che si propone come sintesi, calata nel contesto attuale di due precedenti documenti: l’“Ecclesia de mysterio”, “su alcune questioni circa la collaborazione dei fedeli laici al ministero dei sacerdoti”, datato 1997 e, diffusa cinque anni dopo, l’istruzione: “Il presbitero pastore e guida della comunità”. Pubblicazioni tuttora molto importanti che la novità odierna assume come presupposto, come richiamo essenziale per focalizzare la propria attenzione, spiega monsignor Ripa, «a tutti i ministeri operanti all’interno della comunità parrocchiale, in modo da evidenziare come ognuno abbia una sua specificità al servizio dell’unica missione evangelizzatrice». Si tratta cioè di operare insieme per valorizzare ogni carisma preservando la Chiesa da possibili derive, come “clericalizzare” i laici o “laicizzare” i chierici o ancora fare dei diaconi permanenti dei mezzi preti o dei preti mancati.

In questo senso non si propongono novità legislative ma si vuole facilitare un migliore discernimento di scelte pastorali già avviate in modo da definirne meglio i confini ed eventualmente correggerne possibili distorsioni. Alla luce di quel dinamismo in uscita chiesto dal mutamento dei tempo e da un contesto socio-culturale sempre più plurale.
In questo senso l’Istruzione, sottolinea il dicastero vaticano che l’ha curato, vuole favorire e promuovere accanto alla parrocchia determinata unicamente su base territoriale «una pastorale di vicinanza e di cooperazione tra diverse comunità». Gli esempi classici sono rappresentati dalle “unità pastorali” e dai vicariati foranei, detti “zone pastorali”, che hanno il compito di rendere più agevoli i legami, le connessioni tra il centro e la periferie della diocesi. In questo senso il nuovo documento, aggiunge monsignor Ripa, «intende offrire ai vescovi e ai loro collaboratori, chierici e laici, gli strumenti pastorali e canonici per operare secondo un agire genuinamente ecclesiale, dove diritto e profezia si possano coniugare per il maggior bene della comunità». Questo per evitare che l’azione pastorale sia troppo soggettiva e che si finisce per dare vita a comunità parrocchiali in cui il parroco e gli altri presbiteri fanno tutto o, viceversa, in cui per una visione eccessivamente democratica, se così si può dire, non ci sia più un pastore ma solo funzionari, chierici o laici, «che ne gestiscono i diversi ambiti, con una modalità spesso definibile come “aziendale”.

I progetti di riforma dunque possono andare bene, purché vadano nella direzione di una collaborazione e di una cooperazione armonica al servizio e per la valorizzazione di tutti. «Non si tratta di “ingabbiarli” nella fredda schematicità di modelli precostituiti e identici per tutti – sottolinea Ripa –, bensì di mantenerli all’interno dell’ampio alveo ecclesiale, per accompagnare un “andare insieme” – pastori e popolo di Dio – senza cercare di comprimerne il cuore e lo Spirito entro piani pensati solo a tavolino».

Le offerte delle messe non sono “tasse”. Non mercanteggiare” i Sacramenti

L’offerta per le messe “deve essere un atto libero da parte dell’offerente, lasciato alla sua coscienza e al suo senso di responsabilità ecclesiale, non un prezzo da pagare o una tassa da esigere, come se si trattasse di una sorta di imposta sui sacramenti”. Lo ribadisce in un altro dei passaggi l’Istruzione della Congregazione per il clero. “La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa”, a cura della Congregazione per il Clero, diffusa oggi. Tra le indicazioni pratiche del documento, figurano infatti l’attenzione preferenziale verso i poveri e l’esigenza di non “mercanteggiare” la vita sacramentale, dando l’impressione “che la celebrazione dei sacramenti – soprattutto la Santissima Eucaristia – e le altre azioni ministeriali possano essere soggette a tariffari”. “Con l’offerta per la Santa Messa, i fedeli contribuiscono al bene della Chiesa e partecipano della sua sollecitudine per il sostentamento dei ministri e delle opere”, si ricorda nel testo. Di qui l’importanza della sensibilizzazione dei fedeli, “perché contribuiscano volentieri alle necessità della parrocchia, che sono ‘cosa loro’ e di cui è bene che imparino spontaneamente a prendersi cura, in special modo in quei Paesi dove l’offerta della Santa Messa è ancora l’unica fonte di sostentamento per i sacerdoti e anche di risorse per l’evangelizzazione”. I sacerdoti, da parte loro, devono essere esempi “virtuosi” nell’uso del denaro, “sia con uno stile di vita sobrio e senza eccessi sul piano personale, che con una gestione dei beni parrocchiali trasparente e commisurata non su ‘progetti’ del parroco o di un gruppo ristretto di persone, magari buoni, ma astratti, bensì sui reali bisogni dei fedeli, soprattutto i più poveri e bisognosi”. In ogni caso, la raccomandazione del documento, “dall’offerta delle Messe deve essere assolutamente tenuta lontana anche l’apparenza di contrattazione o di commercio, tenuto conto che è vivamente raccomandato ai sacerdoti di celebrare la Messa per le intenzioni dei fedeli, soprattutto dei più poveri, anche senza ricevere alcuna offerta”. Tra gli strumenti che possono consentire il raggiungimento di tale fine, “si può pensare alla raccolta delle offerte in modo anonimo, così che ciascuno si senta libero di donare ciò che può, o che ritiene giusto, senza sentirsi in dovere di corrispondere a un’attesa o a un prezzo”.

Nozze e funerali, solo in via eccezionale i laici possono celebrare

Nel caso in cui, per la scarsità di sacerdoti, “non sia possibile nominare un parroco né un amministratore parrocchiale, che possa assumerla a tempo pieno”, il vescovo diocesano “può affidare una partecipazione all’esercizio della cura pastorale di una parrocchia a un diacono, a un consacrato o un laico, o anche a un insieme di persone (ad esempio, un istituto religioso, una associazione)”, coordinati e guidati da un presbitero “con legittime facoltà”, costituito “moderatore della cura pastorale”, al quale “esclusivamente competono la potestà e le funzioni del parroco, pur non avendone l’ufficio, con i conseguenti doveri e diritti”. Si tratta, si precisa nel documento, di “una forma straordinaria di affidamento della cura pastorale”, da adottare “solo per il tempo necessario, non indefinitamente”, perché “dirigere, coordinare, moderare, governare la parrocchia compete solo ad un sacerdote” .

Nessuno di coloro che hanno ruoli di responsabilità in parrocchia può essere, tuttavia, designato con le espressioni di “parroco”, “co-parroco”, “pastore”, “cappellano”, “moderatore”, “coordinatore”, “responsabile parrocchiale” o con altre denominazioni simili, riservate dal diritto ai sacerdoti. Il vescovo, infine, potrà affidare ufficialmente alcuni incarichi ai diaconi, alle persone consacrate e ai fedeli laici, sotto la guida e la responsabilità del parroco, come, ad esempio la celebrazione di una liturgia della Parola nelle domeniche e nelle feste di precetto, quando “per mancanza del ministro sacro o per altra grave causa diventa impossibile la partecipazione alla celebrazione eucaristica”; l’amministrazione del battesimo e la celebrazione del rito delle esequie. I fedeli laici possono predicare in una chiesa o in un oratorio, se le circostanze, la necessità o un caso particolare lo richiedano, ma “non potranno invece in alcun caso tenere l’omelia durante la celebrazione dell’Eucaristia”. Dove mancano sacerdoti e diaconi, il vescovo diocesano, previo il voto favorevole della Conferenza Episcopale e ottenuta la licenza dalla Santa Sede, può delegare dei laici perché assistano ai matrimoni.

IL TESTO INTEGRALE DELL’ISTRUZIONE

Avvenire

A Reggio Emilia, in collaborazione con la Scuola Teologica Diocesana, nasce da gennaio 2019 la Scuola di Formazione Teologica «Crisanto e Daria»

A Regina Pacis, in collaborazione con la Scuola Teologica Diocesana, nasce da gennaio 2019 la Scuola di Formazione Teologica «Crisanto e Daria». Gli incontri, rivolti in particolare ai fedeli laici del nostro Vicariato urbano, saranno i giovedì di gennaio e febbraio, sul tema diocesano dell’Anno (Giovanni 13-21).

Il primo incontro sarà giovedì 10 gennaio, con don Maurizio Marcheselli, biblista della FTER di Bologna, su “Il risorto in mezzo ai suoi i primi giorni della settimana (Gv 20,19-21)”.

Papa: serve “laicato in uscita”, guardare ai lontani dalla Chiesa

Spingere i laici sempre più nella missione evangelizzatrice, nel segno del Concilio Vaticano II. E’ uno dei punti forti di Francesco nel discorso ai partecipanti all’ultima Plenaria del Pontificio Consiglio dei Laici. Parlando della riforma che porterà all’accorpamento del dicastero con quello per la Famiglia e l’Accademia per la vita, il Pontefice ha  evidenziato che questa avviene proprio per una rinnovata fiducia nella missione dei laici nella Chiesa. Il servizio di Alessandro Gisotti da Radio Vaticana

Si conclude una tappa importante e si apre un nuovo orizzonte per la missione del laicato nella Chiesa. Nell’ultima plenaria del dicastero per i Laici, Francesco ha innanzitutto ringraziato quanti si sono impegnati in questo organismo della Curia, voluto dal Concilio Vaticano e in particolare dal Beato Paolo VI. Un ringraziamento sentito, ha detto scherzando, e non una “valedictio” di commiato per il dicastero.

No ai laici che agiscono per “delega” della gerarchia
Il Papa ha così rammentato i tanti frutti nati in questi ultimi 50 anni nel contesto del laicato: dalle Gmg, “gesto provvidenziale di San Giovanni Paolo II”, alla comparsa delle nuove associazioni laicali, al ruolo crescente della donna nella Chiesa:

“Possiamo dire, perciò, che il mandato che avete ricevuto dal Concilio è stato proprio quello di ‘spingere’ i fedeli laici a coinvolgersi sempre più e meglio nella missione evangelizzatrice della Chiesa, non per ‘delega’ della gerarchia, ma in quanto il loro apostolato ‘è partecipazione alla missione salvifica della Chiesa, alla quale sono tutti deputati dal Signore per mezzo del battesimo e della confermazione’. È il Battesimo che fa di ogni fedele laico un discepolo missionario del Signore, sale della terra, luce del mondo, lievito che trasforma la realtà dal di dentro”.

Riforma della Curia guarda anche alle nuove sfide per i laici
“Alla Chiesa – ha ripreso a braccio – si entra per il Battesimo, non per l’ordinazione sacerdotale o episcopale: si entra per il Battesimo. E tutti siamo entrati attraverso la stessa porta”. Alla luce del cammino percorso, ha quindi affermato, “è tempo di guardare nuovamente con speranza al futuro”. La realtà, ha constatato, ci porta nuove sfide. “È da qui – ha sottolineato – che nasce il progetto di riforma della Curia, in particolare dell’accorpamento del vostro dicastero con il Pontificio Consiglio per la Famiglia in connessione con l’Accademia per la Vita”:

“Vi invito perciò ad accogliere questa riforma, che vi vedrà coinvolti, come segno di valorizzazione e di stima per il lavoro che svolgete e come segno di rinnovata fiducia nella vocazione e missione dei laici nella Chiesa di oggi. Il nuovo dicastero che nascerà avrà come ‘timone’ per proseguire nella sua navigazione, da un lato la Christifideles laici e dall’altro la Evangelii gaudium e la Amoris laetitia, avendo come campi privilegiati di lavoro la famiglia e la difesa della vita”.

Serve “laicato in uscita” per raggiungere i lontani e i bisognosi
Nel contesto del Giubileo della Misericordia, ha proseguito, la Chiesa è chiamata a essere “in permanente uscita”, “comunità evangelizzatrice” che “sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi”:

“Vorrei proporvi, come orizzonte di riferimento per il vostro immediato futuro, un binomio che si potrebbe formulare così: Chiesa in uscita – laicato in uscita. Anche voi, dunque, alzate lo sguardo e guardate ‘fuori’, guardate ai molti ‘lontani’ del nostro mondo, alle tante famiglie in difficoltà e bisognose di misericordia, ai tanti campi di apostolato ancora inesplorati, ai numerosi laici dal cuore buono e generoso che volentieri metterebbero a servizio del Vangelo le loro energie, il loro tempo, le loro capacità se fossero coinvolti, valorizzati e accompagnati con affetto e dedizione da parte dei pastori e delle istituzioni ecclesiastiche”.

Abbiamo bisogno di laici che si sporchino le mani con visione del futuro
“Abbiamo bisogno di laici ben formati – ha detto ancora il Papa – animati da una fede schietta e limpida, la cui vita è stata toccata dall’incontro personale e misericordioso con l’amore di Cristo Gesù”:

“Abbiamo bisogno di laici che rischino, che si sporchino le mani, che non abbiano paura di sbagliare, che vadano avanti. Abbiamo bisogno di laici con visione del futuro, non chiusi nelle piccolezze della vita. E lo ho detto ai giovani: abbiamo bisogno di laici col sapore di esperienza della vita, che si animano a sognare”.

“Oggi – ha concluso a braccio – è il momento in cui i giovani hanno bisogno dei sogni degli anziani”, che abbiano “quella capacità di sognare”, e che ci diano “la forza delle nuove visioni apostoliche”.

Papa: il clericalismo deforma la Chiesa, i laici sono protagonisti

“La Chiesa non è una élite di sacerdoti” e lo Spirito Santo “non è solo ‘proprietà’ della gerarchia ecclesiale”, che deve sempre “incoraggiare” e “stimolare” gli sforzi che i laici compiono per testimoniare il Vangelo nella società. Papa Francesco ha voluto contribuire con una lettera al cardinale Marc Ouellet, presidente della Pontifica Commissione per l’America Latina, al lavoro svolto all’inizio di marzo dall’organismo proprio “sull’indispensabile impegno dei laici nella vita pubblica” dei Paesi latinoamericani. Il servizio di Alessandro De Carolis (Radio Vaticana)

“Non è mai il pastore a dover dire al laico quello che deve fare e dire, lui lo sa tanto e meglio di noi. Non è il pastore a dover stabilire quello che i fedeli devono dire nei diversi ambiti”. È netto come d’abitudine, Papa Francesco, nel riaffermare dove si trovi il punto di equilibrio del rapporto prete-laico cristiano e nel mettere a fuoco le “tentazioni” del clero che, spostando talvolta questo equilibrio, inducono in errori e alimentano derive.

Nella lettera al cardinale Ouellet, Francesco parla dei laici latinoamericani, anche se il valore delle sue considerazioni è chiaramente universale. Una delle “deformazioni più grandi” del rapporto sacerdote-laico, denuncia, è il “clericalismo” che, annullando da un lato “la personalità dei cristiani” e sminuendo “la grazia battesimale”, finisce dall’altro per generare una sorta di “élite laicale”, per cui i laici impegnati sono “solo quelli che lavorano in cose ‘dei preti’”. Senza rendercene conto, insiste, “abbiamo dimenticato, trascurandolo, il credente che molte volte brucia la sua speranza nella lotta quotidiana per vivere la fede”. E queste sono “le situazioni che il clericalismo non può vedere, perché è più preoccupato a dominare spazi che a generare processi”.

Invece, sottolinea il Papa, anzitutto mai dimenticare che la “nostra prima e fondamentale consacrazione affonda le sue radici nel nostro Battesimo. Nessuno è stato battezzato prete né vescovo. Ci hanno battezzati laici ed è il segno indelebile che nessuno potrà mai cancellare”. E poi, stare in mezzo al gregge, in mezzo al popolo: ascoltarne i palpiti, fidarsi della “sua memoria” e del suo “olfatto”, confidando che “lo Spirito Santo agisce in e con esso, e che questo “Spirito non è solo ‘proprietà’ della gerarchia ecclesiale”. Questo, avverte Francesco, “ci salva” da certi slogan che “sono belle frasi ma che non riescono a sostenere la vita delle nostre comunità. Per esempio – dice – ricordo “la famosa frase: ‘È l’ora dei laici’ ma sembra che l’orologio si sia fermato”.

“La Chiesa – prosegue ancora Francesco – non è una élite dei sacerdoti, dei consacrati, dei vescovi”, ma “tutti formiano il Santo Popolo fedele di Dio” e dunque, scrive, “il fatto che i laici stiano lavorando nella vita pubblica” significa per vescovi e sacerdoti “cercare il modo per poter incoraggiare, accompagnare” tutti “i tentativi e gli sforzi che oggi già si fanno per mantenere viva la speranza e la fede in un mondo pieno di contraddizioni, specialmente per i più poveri, specialmente con i più poveri. Significa, come pastori, impegnarci in mezzo al nostro popolo e, con il nostro popolo, sostenere la fede e la sua speranza”, promuovendo “la carità e la fraternità, il desiderio del bene, della verità e della giustizia”.

“È illogico, e persino impossibile – rimarca ancora il Papa – pensare che noi come pastori dovremmo avere il monopolio delle soluzioni per le molteplici sfide che la vita contemporanea ci presenta”. “Non si possono dare direttive generali per organizzare il popolo di Dio all’interno della sua vita pubblica”. Al contrario, indica, “dobbiamo stare dalla parte della nostra gente, accompagnandola nelle sue ricerche e stimolando quell’immaginazione capace di rispondere alla problematica attuale”. Per la sua “realtà” e “identità”, perché “immerso nel cuore della vita sociale, pubblica e politica”, dobbiamo riconoscere – soggiunge Francesco – che il laico ha bisogno di nuove forme di organizzazione e di celebrazione della fede”.

Al clericalismo che pilota, uniforma, fabbrica “mondi e spazi cristiani”, va opposta – asserisce Francesco – la cura della “pastorale popolare”, tipica dell’America Latina, perché, “se ben orientata”, è “ricca di valori”, di una “sete genuina” di Dio, di “pazienza”, di “senso della croce nella vita quotidiana, di “dedizione” e capace di “generosità e sacrificio fino all’eroismo”. “Nel nostro popolo – ricorda – ci viene chiesto di custodire due memorie. La memoria di Gesù Cristo e la memoria dei nostri antenati”. “Perdere la memoria è sradicarci dal luogo da cui veniamo e quindi non sapere neanche dove andiamo”. Quando “sradichiamo un laico dalla sua fede, da quella delle sue origini; quando lo sradichiamo dal Santo Popolo fedele di Dio, lo sradichiamo dalla sua identità battesimale e così lo priviamo della grazia dello Spirito Santo”. “Il nostro ruolo, la nostra gioia, la gioia del pastore – conclude – sta proprio nell’aiutare e nello stimolare, come hanno fatto molti prima di noi, madri, nonne e padri, i veri protagonisti della storia. Non per una nostra concessione di buona volontà, ma per diritto e statuto proprio. I laici sono parte del Santo Popolo fedele di Dio e pertanto sono i protagonisti della Chiesa e del mondo; noi siamo chiamati a servirli, non a servirci di loro”.

Laici cristiani nella Chiesa e nella società – sale della terra e luce del mondo

Chiesa \ Chiesa nel mondo

Brasile: Plenaria dei vescovi su laici nella Chiesa e nella società

Mons. Leonardo Steiner
Inizia oggi ad Aparecida, in Brasile, la 54.ma Assemblea generale della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile, Cnbb, che ha come tema centrale, “Laici cristiani nella Chiesa e nella società – sale della terra e luce del mondo”. La riflessione sul tema è iniziata nel 2014, durante la 52.ma Assemblea Generale. In questa Assemblea il testo di lavoro sarà approfondito e potrà essere approvato come documento. Da Aparecida, Silvonei José Protz.
Radio Vaticana

Questo è il più grande raduno dell’episcopato brasiliano. Sono attesi circa 320 vescovi attivi ed emeriti di 18 regioni della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile. Ogni giorno, i lavori dell’Assemblea generale inizieranno con la celebrazione della Messa presso il Santuario nazionale di Aparecida, trasmessa in tutto il Paese tramite le radio e le televisioni cattoliche.

La Messa di apertura dell’Assemblea generale oggi sarà presieduta dall’arcivescovo di Brasilia, mons. Sergio da Rocha, presidente della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile.

Il vescovo ausiliare di Brasilia e segretario generale dei vescovi brasiliani, mons. Leonardo Steiner, si è incontrato nel primo pomeriggio di ieri con i giornalisti, presso il Centro eventi Padre Vitor Almeida Coelho, ad Aparecida, dove si terranno i lavori.

Mons. Leonardo, durante la conferenza, ha evidenziato il programma e le questioni da affrontare durante l’Assemblea generale. Parlando della programmazione, oltre al tema centrale, ha sottolineato i temi della “Liturgia nella Vita della Chiesa”; la 14.ma Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi; la situazione politica e sociale nel Paese e il messaggio “Pensare Brasile: crisi e soluzioni” e i cambiamenti nel quadro religioso del Paese.

“L’Assemblea è un momento molto prezioso per la nostra Conferenza episcopale, ha detto mons. Steiner, e per le nostre Chiese particolari. Si tratta di un spazio di preghiera, di condivisione, di studio e di convivenza fraterna. In questi giorni, rafforziamo la comunione tra noi vescovi “, ha detto.

Durante i 10 giorni di lavori, i vescovi brasiliani dovrebbero anche fornire una guida per le prossime elezioni comunali di ottobre. Secondo mons. Leonardo, il messaggio sulle elezioni cercherà di guidare i fedeli al momento del voto. “Questo orientamento non ha nulla a che fare con i partiti politici, ma con le opzioni politiche. La Chiesa deve sempre avere un’opzione per la democrazia e la Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile ha sempre cercato di essere fedele agli orientamenti e motivazioni del Santo Padre”, ha detto il segretario generale.

I lavori dell’Assemblea si svilupperanno in quattro sessioni, due di mattina e due di pomeriggio. Durante il prossimo fine settimana, sabato 9 e domenica 10, il ritiro dei vescovi, con la predica quest’anno del presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura, il card. Gianfranco Ravasi. Il lavori di questa Assemblea si concluderanno il 15 aprile.

La pastorale e l’apostolato Ma chi sono i laici?

Il Concilio chiede ai laici di collaborare alla pastorale, rimanendo laici, cioè non rinunciando al loro impegno secolare, bensì portandosi dietro l’esperienza e la maturità di fede che in quell’impegno quotidianamente maturano.

Il suo intervento alla 62ª Settimana liturgica nazionale; Trieste, 22-26 agosto 2011.

Il suo intervento alla 62ª Settimana liturgica nazionale; Trieste, 22-26 agosto 2011.

Proviamo a entrare in un consiglio pastorale parrocchiale. Cosa vediamo? Un prete, raramente due. Ancor più raramente qualche suora. Quasi tutti sono laici. Ma chi sono questi laici? Cosa fanno? Da dove vengono? E, soprattutto: perché sono lì? Si tratta di persone normali.
Hanno una vita fatta di tante cose, ma se gli chiediamo «perché sono lì?» la risposta largamente prevalente sarà: perché me lo ha chiesto il parroco, oppure: perché collaboro con lui? Non pochi e probabilmente la maggior parte di quelli più preparati si definiscono “operatori pastorali”, gente che aiuta il parroco a mandare avanti la liturgia o la catechesi o alcuni servizi che la parrocchia mette a disposizione.
Probabilmente nessuno sta lì per quello che fa fuori dal perimetro fisico della parrocchia (e se ci sta si sente “un pesce fuor d’acqua”). Se invece di entrare in parrocchia fossimo entrati nelle stanze di qualche curia, durante una riunione di uno dei tanti “uffici pastorali”, avremmo visto una scena simile e avremmo ascoltato risposte simili.

Il sociologo Luca Diotallevi.

Il sociologo Luca Diotallevi.

Ora cambiamo scena

Se entriamo nell’aula di un consiglio comunale, o in parlamento, se assistiamo a un’assemblea di imprenditori o di sindacalisti, se assistiamo a un collegio dei docenti o alla riunione di una società sportiva, troviamo – nel nostro Paese è inevitabile – una grande maggioranza di battezzati e di persone che sinceramente si dicono “cattoliche” e tra queste una cospicua minoranza di praticanti piuttosto “regolari”.

Se però aspettiamo un attimo, e ascoltiamo il confronto delle posizioni, e aspettiamo che venga il momento in cui si formano e si mettono al voto delle proposte, raramente possiamoconstatare una capacità d’iniziativa, un’analisi della situazione, una proposta di ampia convergenza nata da un discernimento nel corso del quale una libera e responsabile elaborazione della fede cristiana abbia avuto un qualche peso. Attenzione, ciò di cui si sottolinea la mancanza non è assolutamente una manifestazione in qualsiasi forma di unità dei cattolici contro tutti.

Anzi, non è improbabile che, se aspettiamo ancora un po’, capiterà di ascoltare l’invocazione di qualcosa del genere da parte del personaggio più improbabile, sostanziata dei contenuti più deboli e magari esposta con toni aciduli. Del resto, sappiamo bene che tutta quella schiera di associazionismo di ispirazione cristiana parapolitico, parasindacale, paraimprenditoriale, paraprofessionale, quando non del tutto scomparso, è ormai preda di difficoltà ancora più gravi e radicali di quelle cui ogni giorno debbono far fronte le organizzazioni specificamente religiose.

Non c’è da stupirsi dunque se tanti cattolici, una volta alle prese con problemi politici o economici o sociali in genere, risultano sprovvisti di quasi tutto quello che non è una soggettiva generosità o, fortunatamente in un numero modesto di casi, un astioso spirito di rivincita o di opportunismo. È evidente che un solco profondo separa i due tipi di scene appena immaginate. Un solco profondo separa la religione e la vita. È il solco allargato e approfondito dalla crisi della fede, la quale come è capace di generare nuova religione così è capace di generare novità in ogni altro ambito della vita.

Perché stupirsi di questa situazione? Se vescovi e preti hanno trasformato gli spazi ecclesiali in luoghi in cui parlano solo loro, come si può pensare che i laici sappiano parlare la fede laddove si tratta di temi e decisioni che il clero non può e, anche se volesse, non sa affrontare con la competenza richiesta dalla contingenza e dalla complessità delle dinamiche secolari? È come se tutti (clero e laici) avessero accettato il dogma della laicità, quello che garantisce ai professionisti della religione un monopolio in questo ambito e che garantisce ai laici un’assoluta e altrettanto improduttiva libertà in tutti gli altri ambiti. Quando la religione si clericalizza, i laici si laicizzano. Le due scene – quella religiosa e quella mondana – sono separate da un solco profondo che non si colma neppure se i laici elevano il regime dei loro consumi religiosi.

Da laico, posso infatti essere un grande consumatore di beni religiosi, un “super devoto”, un bulimico di religioserìe, ma non per questo sono in grado di comprendere quale valore e quale significato il cristianesimo vorrebbe continuare ad avere in ogni altro momento della mia vita. Eppure il Concilio era stato chiaro (cf ad esempio, Lumen gentium 31). I cristiani vivono nel secolo e lì sono chiamati a una lotta, tanto interiore quanto sociale, nella quale continuamente si tratta di gestire le realtà temporali e di provare a orientarle secondo il piano di Dio. Tra questi (i “laici”), alcuni (i “religiosi”) hanno ricevuto doni speciali seguendo i quali con la loro vita testimoniano già nel presente la vittoria conseguita dal Signore sulle potenze di questo mondo e sulla morte.

Ai vescovi (e ai loro preti), ai pastori, sarebbe chiesto di prendere un po’ di sobria e paziente distanza dal gorgo del secolo e di servire questo popolo al fine che ciascuno dei fedeli possa seguire il Signore liberamente e ordinatamente (cf LG 18).

Ciò non esclude che i laici possano prendere parte all’apostolato dei pastori (“pastorale”), anzi, tutt’altro. Semplicemente si chiede che i laici collaborino alla pastorale rimanendo laici, ovvero non rinunciando al loro impegno secolare ma portandosi dietro l’esperienza e la maturità di fede che in quell’impegno quotidianamente maturano.

A differenza dei pastori, i laici non sono chiamati a divenire professionisti della pastorale, e del resto non potrebbero farlo se non contraddicendosi. In quanto insegnato dalle costituzioni conciliari, il solco tra religione e resto della vita non è tolto – pensarlo sarebbe un’illusione –, ma solo reso un po’ meno profondo e un po’ meno largo. Certo, se i pastori non sanno mettere ordine nel modo di esercitare il loro indispensabile ministero e se tutta la comunità ecclesiale non torna a interrogarsi sui prezzi che stiamo pagando per le sofferenze inflitte all’Azione cattolica e per la disattenzione che riserviamo allo stato del monachesimo e della vita religiosa, sarà davvero difficile contrastare il processo che approfondisce e allarga l’abisso tra religione e vita.

Che fare allora?

Per lo meno fare tesoro di due esperienze. La prima, sempre più frequente e sempre più dolorosa, è quella che ci rivela l’inconsistenza delle promesse fondamentaliste, integriste o variamente movimentiste.

Diversamente da quanto affermato in quelle promesse, il solco di cui abbiamo parlato non è un abbaglio. Esso esiste, fuori di noi e ancor di più dentro di noi, e fino all’ultimo giorno non potrà essere cancellato. Dev’essere affrontato con forza e con coraggio, e soprattutto sostenuti dalla grazia.
È così che cresce una fede vera e matura. Com’è ormai sotto gli occhi di tutti, le esagerazioni fondamentaliste e integriste possono affascinare per il tempo di una breve stagione, ma poi sbiadiscono e lasciano apparire le macerie costruite sulla base di una proposta cristiana spiritualmente debole e culturalmente sprovveduta.

Un antidoto al fascino di quelle esagerazioni sarebbe offerto costantemente da una maggiore familiarità con le dinamiche della vita spirituale e con la storia della Chiesa e del cristianesimo, ma raccomandare tutto questo a volte sembra vano. La seconda esperienza da mettere a punto è quella che come laici facciamo ogni qual volta comprendiamo davvero la nostra dignità nella Chiesa, pari a quella di qualunque altro battezzato, e la responsabilità che ne deriva. Se grande è la dignità, grande è la nostra responsabilità per ogni deficit di esercizio dell’apostolato dei laici, e per le lacerazioni e le deformazioni che questo deficit incide sul volto della civitas e della ecclesia.
Ogni eventuale fiacchezza nell’apostolato dei laici non può mai essere innanzitutto colpa dei pastori. Non è un caso che il solco che separa religione e vita si manifesti oggi con una profondità e una larghezza straordinaria, ovvero proprio in un momento in cui siamo coinvolti in un trapasso da un “mondo” che irreversibilmente finisce a un “mondo” che si va formando, ma del quale non sono ancora visibili neppure i tratti principali. Tuttavia è proprio per vivere con fede e con lucidità questo trapasso che lo Spirito ha donato alla Chiesa e all’umanità la grazia del Vaticano II, così tutti i pontefici, a partire da Paolo VI, hanno insegnato. Questa è una grazia che provoca e che giudica in modo pressante i laici e la qualità del loro apostolato.

In questo trapasso, particolarmente traumatico in Italia e nella vecchia Europa continentale, il compito dei laici cristiani è quello di fare dell’eucaristia e della parola di Dio luce e forza di un discernimento e di un rinnovamento della vita politica, della vita economica, della vita familiare, della vita culturale e scientifica, e così via, e forti di questa esperienza, loro compito è anche quello di contribuire al rinnovamento della vita religiosa.

Luca Diotallevi

vita pastorale febbraio 2013