Papa Francesco: i laici non sono “ospiti” nella Chiesa, uniti al clero siano protagonisti

Il Papa con i partecipanti al Convegno promosso dal Dicastero per i Laici, la Famiglia, e la Vita

Il Papa ha ricevuto in Vaticano i presidenti e i referenti delle Commissioni per il laicato delle Conferenze Episcopali e ha indicato loro la strada da percorrere insieme per arrivare a “un Popolo di Dio nella missione”: il dramma della Chiesa è che Gesù continua a bussare la porta, ma da dentro perché non lo lasciamo uscire

Andrea De Angelis – Città del Vaticano

“Dio sta indicando alla Chiesa la strada della comunione, del camminare insieme”, un invito a “superare i binari paralleli che non si incontrano mai”. Lo ha detto il Papa ricevendo questa mattina nell’Aula nuova del Sinodo i presidenti e i referenti delle Commissioni per il laicato delle Conferenze Episcopali partecipanti al Convegno promosso dal Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita. Per farlo Francesco ricorda che “l’esigenza di valorizzare i laici non dipende da qualche novità teologica”, ma si basa su “una corretta visione della Chiesa”, quella di “Chiesa come Popolo di Dio, di cui i laici fanno parte a pieno titolo insieme ai ministri ordinati”. Dal Papa l’invito ai circa duecento presenti a “recuperare una ecclesiologia integrale”, che pone l’accento sull’unità e non sulla separazione, dove “il laico non è il non religioso, ma il battezzato”, e a lui si applica il termine di “discepolo, fratello”, come si applicava nel Nuovo Testamento a tutti, “fedeli laici e ministri ordinati”.

Superare i modi di agire in autonomia
Francesco ha esordito ricordando ai presenti che “c’è ancora tanta strada da fare perché la Chiesa viva come un corpo, come un vero Popolo”, ma è Dio ad indicare la via da seguire, quel “vivere più intensamente e più concretamente in comunione”. Quindi il vescovo di Roma parla dei tanti “binari paralleli che non si incontrano mai” e che siamo chiamati a superare:

Il clero separato dai laici, i consacrati separati dal clero e dai fedeli, la fede intellettuale di alcune élites separata dalla fede popolare, la Curia romana separata dalle Chiese particolari, i vescovi separati dai sacerdoti, i giovani separati dagli anziani, i coniugi e le famiglie poco coinvolti nella vita delle comunità, i movimenti carismatici separati dalle parrocchie, e così via. Questa è la tentazione più grave in questo momento.

Un popolo unito nella missione
Il Papa sottolinea come tutto il Popolo di Dio sia unito da un’unica fede, non è “né populismo, né elitismo, ma il santo Popolo fedele di Dio”, che è “animato dallo stesso Spirito santificatore e orientato alla stessa missione di annunciare l’amore misericordioso di Dio Padre”. Quest’ultimo aspetto, l’essere uniti nella missione, è decisivo:

La sinodalità trova la sua sorgente e il suo scopo ultimo nella missione: nasce dalla missione ed è orientata alla missione. Condividere la missione, infatti, avvicina pastori e laici, crea comunione di intenti, manifesta la complementarietà dei diversi carismi e perciò suscita in tutti il desiderio di camminare insieme.
Gli esempi non mancano, a partire da Cristo, per arrivare a San Paolo e ancora ai “grandi momenti di slancio missionario della Chiesa”:

Lo vediamo in Gesù stesso, che si è circondato, fin dall’inizio, di un gruppo di discepoli, uomini e donne, e ha vissuto con loro il suo ministero pubblico. Mai da solo. E quando ha inviato i Dodici ad annunciare il Regno di Dio li ha mandati “a due a due”. La stessa cosa vediamo in San Paolo, che ha sempre evangelizzato insieme ai collaboratori, anche laici e coppie di sposi. Non da solo. E così è stato nei momenti di grande rinnovamento e di slancio missionario nella storia della Chiesa: pastori e fedeli laici insieme. Non individui isolati, ma un popolo che evangelizza! Il santo Popolo di Dio.

Siamo tutti discepoli
Dopo aver ricordato l’importanza della formazione dei laici, “indispensabile per vivere la corresponsabilità” purché non sia “scolastica, limitata a idee teoriche”, ma “anche pratica”, il Pontefice ha invitato tutti a recuperare una ecclesiologia integrale, “come era nei primi secoli, nella quale tutto viene unificato all’appartenenza a Cristo”, riuscendo così a superare “una visione sociologica che distingue classi e ranghi sociali e che si basa in fondo sul potere assegnato ad ogni categoria”:

L’accento va posto sull’unità e non sulla separazione. Il laico, più che come “non chierico” o “non religioso”, va considerato come battezzato, come membro del Popolo santo di Dio, è il sacramento che apre tutte le porte. Nel Nuovo Testamento non compare la parola “laico”, ma si parla di “credenti”, di “discepoli”, di “fratelli”, di “santi”, termini applicati a tutti: fedeli laici e ministri ordinati.

Il pensiero del Papa va poi alla Lettera alla Chiesa di Laodicea, “quando Gesù dice io sono alla porta e busso”. Ma “oggi il dramma della Chiesa è che Gesù continua a bussare la porta, ma da dentro perché non lo lasciamo uscire! Tante volte la Chiesa è imprigionata, non riesce a far uscire il Signore. Il Signore è venuto per la missione e ci vuole missionari”.

Una maggiore collaborazione
Questa corresponsabilità vissuta tra lici e pastori permetterà di “superare le dicotomie, le paure e le differenze reciproche”. Per Francesco “è ora che pastori e laici camminino insieme, in ogni ambito della Chiesa e in ogni parte del mondo”. Da qui l’appello a una maggiore valorizzazione dei laici, con un pensiero particolare alle donne:

I fedeli laici non sono “ospiti” nella Chiesa, sono a casa loro, perciò sono chiamati a prendersi cura della propria casa. I laici, e soprattutto le donne, vanno maggiormente valorizzati nelle loro competenze e nei loro doni umani e spirituali per la vita delle parrocchie e delle diocesi. Possono portare, con il loro linguaggio “quotidiano”, l’annuncio del Vangelo, impegnandosi in varie forme di predicazione. Possono collaborare con i sacerdoti per formare i bambini e i giovani, per aiutare i fidanzati nella preparazione al matrimonio e per accompagnare gli sposi nella vita coniugale e familiare. Vanno sempre consultati quando si preparano nuove iniziative pastorali ad ogni livello, locale, nazionale e universale. Si deve dare loro voce nei consigli pastorali delle Chiese particolari. Devono essere presenti negli uffici delle Diocesi. Possono aiutare nell’accompagnamento spirituale di altri laici e dare il loro contributo anche nella formazione dei seminaristi e dei religiosi.

Il Pontefice ricorda poi una domanda che gli fu posta, ovvero se un laico possa essere direttore spirituale. La risposta è che si tratta di “un carisma laicale, non presbiterale”, dipende “se il Signore ti dà la capacità di farlo”. Quindi l’importanza del ruolo dei laici anche negli ambienti secolari:

E, insieme con i pastori, devono portare la testimonianza cristiana negli ambienti secolari: il mondo del lavoro, della cultura, della politica, dell’arte, della comunicazione sociale.

Infine dal Papa un monito: non cadere nel clericalismo. “I laici clericalizzati – dice – sono una peste nella Chiesa”.

Farrell: affidare ai laici compiti nei quali sono più competenti dei preti

Apertura del Convegno dedicato alla corresponsabilità tra Pastori e laici nella Chiesa

Il cardinale prefetto del Dicastero per i Laici, la famiglia e la Vita ha aperto i lavori del convegno “Pastori e Fedeli laici chiamati a camminare insieme”, in Vaticano fino al 18 febbraio. Dall’amministrazione economica al diritto civile e canonico, dalle arti alla comunicazione, dall’evangelizzazione alla carità: sono alcuni dei campi dove l’apporto dei laici porta entusiasmo e creatività
Antonella Palermo – Città del Vaticano

La necessità per i vescovi e i sacerdoti di consultare i laici prima di intraprendere ogni iniziativa importante nella propria diocesi o parrocchia, e l’affidamento ai laici di incarichi ecclesiali che per loro natura non richiedono la presenza di chierici. Sono i due aspetti approfonditi dal cardinale Kevin Farrell, prefetto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, nel suo intervento rivolto ai presidenti e referenti delle commissioni episcopali per i laici, protagonisti del convegno in corso in Vaticano, sul tema: “Pastori e Fedeli laici chiamati a camminare insieme”.

Promuovere una pastorale integrata
L’appuntamento tre giorni – cominciato il 16 febbraio per chiudersi il 18, nell’Aula nuova del Sinodo – è frutto dell’Assemblea Plenaria del Dicastero del novembre 2019, nella quale emerse con chiarezza l’esigenza di approfondire la responsabilità di ogni battezzato nella Chiesa. L’obiettivo è quello di sensibilizzare sia i pastori che i fedeli laici alla corresponsabilità. La logica della “delega” o della “sostituzione” del laico è infatti riduttiva, sottolinea il porporato, e va superata nel segno di ciò che Papa Francesco disse in quella circostanza, quando sottolineò proprio l’importanza dell’unità all’interno del Popolo di Dio. Farrell spiega che il suo dicastero sta cercando di promuovere questo modello di “pastorale integrata” e di positiva collaborazione.
La Chiesa non è una federazione ma un organismo unitario
Questa presenza attiva dei laici nella Chiesa, chiarisce il cardinale, nulla toglie alla loro missione primaria di essere lievito e fermento nella società e negli ambienti ordinari della vita: lavoro, scuola, mezzi di informazione, cultura, sport, politica, economia. “Questi, certamente, vanno considerati i campi ordinari della testimonianza cristiana dei laici, ma evitando una visione rigida ed esclusivista che estromette del tutto i laici da un attivo coinvolgimento nella vita ecclesiale”, afferma. Richiamando il punto 55 del Documento della Commissione Teologica Internazionale “La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa”, Farrell precisa la peculiarità della Chiesa: non una federazione, ma un organismo unitario, un soggetto comunitario.

L’elaborazione delle decisioni è compito sinodale
È la costituzione conciliare Lumen gentium a offrire il programma formativo in questo orizzonte. Citandone il n.37, il prefetto si sofferma in particolare su due aspetti. Innanzitutto, la necessità che il Pastore applichi ciò che prevede il Documento della Commissione (n.69) laddove si distingue la fase del ‘decison-making’ da quella del ‘decision-taking’: “l’elaborazione è un compito sinodale, la decisione è una responsabilità ministeriale”. Poi si tratta di affidare ai laici alcuni compiti per i quali essi dimostrano maggiori competenze, zelo e creatività rispetto a preti e consacrati che possono essere abituati – dichiara Farrell – a metodologie e prassi più tradizionali e meno ‘scomode’.

Campi in cui i laici possono esprimere zelo e creatività
Il cardinale presenta alcuni esempi che vanno dal campo dell’amministrazione economica e delle finanze a quello del diritto civile e, per coloro che hanno fatto studi specifici, anche del diritto canonico “pensiamo ad esempio ai processi di nullità matrimoniale; il campo del biodiritto e della bioetica, soprattutto per quei laici che provengono da studi di medicina”. Inoltre, fa riferimento al campo del dialogo fra scienza e fede (in particolare per quei laici che provengono da una formazione accademica di indirizzo scientifico) alle comunicazioni sociali, alle arti come luogo di testimonianza e di evangelizzazione. Poi c’è tutta l’impegno nell’evangelizzazione “di strada” o dei vari “ambienti sociali”: Farrell ricorda che nel Dicastero da lui guidato numerose sono le associazioni di fedeli nate proprio dall’impulso missionario di alcuni laici desiderosi di portare l’annuncio del Vangelo nei luoghi di incontro e di lavoro delle persone: i campus universitari, gli ambienti militari, il mondo dello sport… La raccomandazione è che i pastori non trascurino di “vigilare e accompagnare tutte queste iniziative prese dai laici – conclude il cardinale Farrell – ma abbiano sempre grande fiducia nel loro discernimento e nella loro fedeltà al Vangelo di Cristo e alla sua Chiesa”.
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Ecco il senso di una rinnovata presenza dei laici nella Chiesa. Il libro di Fabio Fabene

(Mario Morcellini, Formiche) Un testo di agile lettura che ha il vantaggio di mettere in trasparenza quanto sta cambiando nella Chiesa, incoraggiando un’operazione di valorizzazione delle nuove figure del ministero. Mario Morcellini recensisce il libro di monsignor Fabio Fabene, “Sinfonia di ministeri. Una rinnovata presenza dei laici nella Chiesa” — Un testo breve ma animato da una chiara convinzione: il richiamo urgente al protagonismo dei laici nella comunità ecclesiale per restituire orizzonti di senso a una visione dei ministeri ricca di multiformi vocazioni e carismi. È questo il senso dell’ultimo libro di Fabio Fabene: “Sinfonia di ministeri. Una rinnovata presenza dei laici nella Chiesa” (San Paolo Edizioni).

Laici francesi: trasformare la Chiesa

di: Lorenzo Prezzi

trasformare chiesa

Come Trasformare la Chiesa cattolica? Come ripartire dopo la devastazione degli abusi uscendo dal clericalismo e da una predicazione sessuofobica per una pratica sinodale ed ecclesiale nella vita dei credenti? Undici laici cattolici di Francia hanno proposto alcune indicazioni in proposito.

Sollecitati da Michel Camdessus, ex direttore generale del Fondo monetario internazionale ed ex membro del Consiglio pontificio Giustizia e pace, una decina di figure di alta professionalità (fra queste Yves Berthelot ex sottosegretario dell’ONU, Xavier Larere ex direttore generale di Antenne 2, l’ammiraglia della televisione pubblica, Pierre Achard, ispettore generale delle finanze) sviluppano le loro proposte in una trentina di pagine (a cui vanno aggiunti tre saggi storico-teologici di p. Hervé Legrand).

Con franchezza e libertà gli autori si sintonizzano sulla volontà di riforma di papa Francesco e alimentano una corrente di riflessione che in Francia conosce voci importanti anche recenti. Come quella di G. Lafont, Immaginare la Chiesa cattolica, di J. Moingt, Faire bouger l’église catholique, M. Bellet, La quarta ipotesi. Sul futuro del cristianesimo, A. Borras, Communion ecclésiale et synodalité, H. Legrand, Vatican II, un avenir oublié.

Nella Chiesa francese elementi strutturali come il rinnovo nei prossimi due anni di una ventina di sedi episcopali (su circa 80) e la riduzione dei seminaristi (quest’anno chiudono i seminari di Lille e di Bordeaux) si mescolano a dibattiti pubblici vivaci come quelli sugli abusi (dalla sentenza assolutoria verso il card. P. Barbarin all’attesa per le conclusioni della commissione Sauvé sugli abusi che chiuderà i suoi lavori fra un paio di mesi) o le studiate provocazioni di alcune donne credenti (A. Soupa si è candidata alla sede episcopale di Lione e sette credenti si sono proposte per l’ordinazione diaconale).

Stati generali ossia un sinodo

«Quale Chiesa vorremmo vedere uscire dopo la “grande prova” che stiamo attraversando assieme? Una Chiesa dove né la disattenzione dell’istituzione né il silenzio dei laici favoriranno più le derive che hanno ferito profondamente degli innocenti; una Chiesa che si libera dal clericalismo che la debilita; una Chiesa che cammina in forma sinodale dove chierici e laici dialogano e assumono assieme le responsabilità per vivere il Vangelo e testimoniare la Parola di Dio.

Una Chiesa che fonda la ricostruzione sulla priorità assoluta del Vangelo e sulla santità cercata da tutti i suoi membri, al di là della distinzione fra chierici e laici. Una Chiesa, infine, dove tutti i credenti, uomini e donne, celibi e sposati, potranno assumere molte responsabilità oggi riservate ai preti. Così trasformata essa si proporrà come un popolo di battezzati, in piena coerenza con gli orientamenti del concilio Vaticano II. Una Chiesa non prigioniera della ripetizione di norme etiche e di un discorso dottrinale talora astratto, e in grado di sollecitare l’ospitalità di un mondo che essa ama e di cui partecipa le sofferenze, le speranze e le gioie.

In una parola, «una Chiesa nutrita di Vangelo e di eucaristia, al servizio del mondo» (p. 30). Un’attesa consapevole di una situazione inedita, di un futuro non facile e delle forti resistenze. Per questo «proponiamo una riunione di vescovi e fedeli, una sorta di “stati generali” per il tempo necessario a preparare l’avvenire della Chiesa con le innovazioni e le riforme ancorate alla sua grande tradizione e periodicamente riviste» (p. 30).

sinodalità

Impariamo dagli abusi

La proposta conclusiva viene preparata in tre capitoli: uscire dal clericalismo; verso una visione realistica della vita affettiva e della sessualità; per una Chiesa sinodale.

Il clericalismo è il contesto di coltura degli abusi perché in esso si alimentano un potere e un’autorità privi di controllo e coperti da un compiacente segreto per non intaccare il prestigio dell’istituzione. Tanto più forte quanto condiviso dalle famiglie delle vittime, condizionate da una concezione sbagliata di obbedienza. È onesto ammettere: «i laici non possono addebitare ai preti per intero la colpa della crisi provocata dagli abusi. Hanno la loro parte di responsabilità in questo disastro» (p. 10).

Per affrontare le nuove sfide è necessario un nuovo linguaggio. In particolare sulle questioni sessuali e bioetiche. Per comunicare gli aspetti positivi dell’antropologia cristiana bisogna, da un lato, prendere distanza dall’enfasi sulla morale personale e dalla reiterata critica al moderno (materialismo, relativismo, secolarismo ecc.) e, dall’altro, intercettare la confusa ma reale richiesta di senso e di vita spirituale, nella consapevolezza, bene espressa dall’enciclica Laudato si’ della difesa dell’umano comune.

È necessario uscire dalla differenza ontologica e di potere fra il sacerdozio condiviso dal popolo di Dio e quello ordinato per il servizio del culto. I candidati al sacerdozio hanno bisogno di una formazione capace di dialogare col mondo. E le condizioni di accesso al ministero non possono rimanere restrittive come le attuali. La Chiesa «dovrebbe prepararsi all’ordinazione di uomini sposati che abbiano dato prova di maturità cristiana» (p. 12). Un percorso peraltro già sperimentato con la scelta dei diaconi permanenti.

«Un clero uxorato sarebbe un correttivo importante per le attitudini cattoliche in materia di sessualità e la vita coniugale non apparirebbe più come una scelta di vita inferiore» (p. 13). I preti sposati nella Chiesa cattolica sono già numerosi (dai riti orientali ai nuovi ingressi dall’anglicanesimo). E tutto questo senza rimettere in questione l’impegno al celibato o alla vita consacrata per quanti vi sono chiamati. «È importante non bloccare la questione dell’accesso delle donne ai ministeri ordinati… È legittimo temere che un rifiuto definitivo diventi un handicap per la trasmissione del messaggio ecclesiale nelle società contemporanee. Confermando i pregiudizi relativi al patriarcato e alla misogenia nella Chiesa cattolica, nonostante il rilievo che riveste la figura di Maria» (p. 16).

Prima il Vangelo, poi la morale

«La morale sessuale proposta ancor oggi dal magistero cattolico si caratterizza in effetti per il grande rigore e rigidità. Non ammette la sessualità che nel caso di sposi legittimamente e indissolubilmente uniti» (p. 18). Esprime un sostanziale sospetto come mostra l’impossibilità dei divorziati-risposati di accedere all’eucaristia, l’impossibile accesso al ministero per uomini sposati, la promessa richiesta ai diaconi di non risposarsi nel caso di vedovanza.

Di fatto si riduce la sessualità alla sua funzione riproduttiva. Un impianto felicemente rimesso in discussione dell’enciclica Amoris laetitia e dalla pratica pastorale più avvertita, anche nei confronti dell’omosessualità. I giovani conviventi avrebbero bisogno di itinerari spirituali e di una «benedizione pre-nunziale».

Processi sinodali

Lo sforzo compiuto dal Vaticano II di dare più spazio all’esercizio della collegialità e dell’ecclesiologia di comunione si è scontrato con una recezione che spingeva in senso contrario. Le riforme in corso, in particolare riguardanti la curia romana, valorizzano di più il sinodo dei vescovi e le conferenze episcopali.

Ma la sinodalità è proposta all’insieme della Chiesa e alle singole Chiese locali. «In questo tempo, davanti al pericolo di un clericalismo istituzionalizzato, la sinodalità nel suo significato di piena associazione dei cristiani alla gestione delle comunità, si presenta come una risorsa per migliorare la situazione» (p. 24).

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La Chiesa intesa come popolo di Dio, corpo di Cristo e tempio dello Spirito è tale solo dentro l’esercizio sinodale. Troppi elementi remano contro. Un ruolo come quello dei vescovi, nominati dal papa, non condizionabili dai fedeli e autonomi rispetto ai vescovi vicini e alla conferenza episcopale ne è un esempio.

È bene non essere ingenui e credere che tutto è bene nella sinodalità e tutto è male nella funzione gerarchica. È certo, invece, che la sinodalità non vada confusa con la democrazia, anche se con essa ha qualcosa in comune. «Considerare che la Chiesa debba funzionare in tutti gli ambirti come una democrazia non avrebbe senso, perché le assemblee cristiane guardano a una verità che non è in alcuna maniera soggetto al consenso» (p. 27). Il compito più immediato sembra essere quello di aggiornare il diritto canonico alla teologia di comunione. È importante quello che sta succedendo in Germania con l’avvio del processo sinodale.

È auspicabile anche per la Francia «un’assemblea rappresentativa di vescovi e laici per identificare gli sforzi intellettuali, spirituali e organizzativi che il futuro richiede. Niente lo impedisce e tutto lo raccomanda». (p. 27). «Il popolo di Dio, nella sua diversità, percepisce vivamente il bisogno di indicare le riforme più urgenti, di parlarne insieme per poter superare difficoltà d’ordine pratico, ma anche insufficienze dottrinali ereditate da storiche controversie. Senza questo cammino che favorisca l’espressione di quello che portano nel cuore, la frustrazione dei cattolici non farà che crescere» (p. 29).

Un testo militante che non rinuncia a dialogare con le tendenze più conservatrici pur essendone distante e che condivide cordialmente l’indirizzo delle riforme e dei modi suggeriti da papa Francesco.

Settimananews