Le donne che studiano di nascosto nella Kabul dei taleban

Chiuse in casa, anche tante adolescenti si sono ora iscritte a corsi di alfabetizzazione. Due terzi non sanno leggere né scrivere

Inviata a Kabul

La lavagna è un foglio magnetico appeso sulla credenza. La cattedra un tavolino di plastica. L’unica sedia è quella dell’insegnante, Leyla, 23 anni, studentessa di legge. Al posto dei banchi c’è un grande tappeto rosso.

Scuola, fuga dal sostegno. Il Nord senza insegnanti

anca un mese e mezzo all’inizio delle prove, ma già si sa che anche il settimo ciclo del Tfa per il sostegno non porterà in cattedra tutti gli insegnanti abilitati di cui le scuole, soprattutto quelle del Nord, avrebbero bisogno. Basta leggere i numeri dei posti messi a disposizione dalle università, deputate alla formazione di questa categoria di docenti, per rendersi conto che, anche il prossimo anno scolastico, migliaia di alunni disabili si troveranno un insegnante di sostegno precario e, nella maggioranza dei casi, pure non abilitato a svolgere questa delicatissima e decisiva funzione per una vera inclusione e non discriminazione di questa parte di popolazione scolastica che, complessiva-mente, è composta da quasi 278mila bambini, ragazzi e adolescenti, dall’infanzia alle superiori.

Sulla base delle risorse messe a disposizione dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, nel triennio 2021-2024 saranno formati in tutto 90mila insegnanti di sostegno, 25.874 dei quali con i corsi del VII ciclo di Tfa ( Tirocinio formativo attivo), i cui test preselettivi si svolgeranno tra il 24 e il 27 maggio a seconda dell’ordine e del grado scolastico. Un numero ampiamente sufficiente a coprire il fabbisogno di posti di sostegno vacanti in organico (16.574, secondo le ultime stime della Cisl Scuola). Se non fosse che sono così mal distribuiti, da creare delle vere e proprie emergenze nelle regioni settentrionali. Dove le università hanno attivato un numero di posti in formazione del tutto inadeguato a soddisfare la domanda delle scuole, pur avendolo aumentato di oltre un migliaio rispetto al precedente ciclo di TM fa. E questo, nonostante il Ministero dell’Università e della Ricerca, in una circolare di metà dicembre 2021, avesse chiesto «un’ampia partecipazione volta a coprire il fabbisogno dei docenti specializzati sul sostegno didattico ». Ma così, al Nord, non sarà. Nonostante, è sempre la Cisl a sottolinearlo, quest’anno i posti vacanti destinati al ruolo fossero il 63% del totale, e di questi ne siano stati coperti appena il 20%.

In Lombardia, per esempio, a fronte di 5.700 posti vacanti, saranno attivati 1.240 posti di Tfa (il 21,75%), mentre in Piemonte l’offerta di formazione delle università è di 450 posti, il 17,23% dei 2.611 posti vacanti. Va un po’ meglio in Veneto, dove i 920 posti di Tfa arriveranno a coprire il 42,89% delle 2.145 cattedre scoperte, mentre in Liguria ed Emilia Romagna si arriverà rispettivamente al 47,28% e al 47,31% grazie a 330 e 800 posti di Tfa, rispetto ai 698 e 1.691 posti vacanti.

Al Sud, invece, la situazione è rovesciata. Così, per esempio, in Calabria, a fronte di 73 cattedre di sostegno scoperte, le università regionali attiveranno 2.070 posti di Tfa (il 2.835,62% in più) e lo stesso vale per la Sicilia: 184 posti scoperti e 5mila posti di Tfa (2.717,39% in più). È un caso anche la Basilicata, che ha poco meno dei posti di Tfa del Piemonte (400 contro 450), ma, con appena 23 cattedre vacanti, arriverà a superare del 1.739,13% il fabbisogno di insegnanti di sostegno delle scuole del territorio. E si potrebbe continuare con l’Abruzzo, la Puglia e la Campania che hanno un’offerta di posti in formazione di oltre il mille per cento superiore alla domanda di insegnanti di sostegno degli istituti scolastici.

«Perché le università del Nord non riescono ad attivare i posti necessari?», chiede Ivana Barbacci, segretaria

generale della Cisl Scuola, sindacato che ha (nuovamente) sollevato la questione. «Da anni denunciamo questa situazione sempre più insostenibile – ricorda la leader sindacale –. Finora nulla è cambiato, quindi il tema va nuovamente posto all’attenzione di tutti affinché nei prossimi due anni, che vedranno l’attivazione di altri 64mila Tfa, si possa raggiungere una distribuzione dei percorsi più equa e rispondente ai bisogni di tutti gli alunni del Paese». La soluzione potrebbe essere quella indicata dal rettore dell’Università di Foggia e coordinatore della Commissione Crui sulla formazione degli insegnanti, Pierpaolo Limone. «Ho passato la vita a formare insegnanti di sostegno – ricorda –. È una professione molto difficile, che necessita di una preparazione specifica e accurata. Che, però, al Nord incontra una domanda di formazione inferiore rispetto al Sud e, di conseguenza, anche le università adeguano la propria proposta formativa. Per invertire la tendenza si deve rendere più attraente questa professione, che senz’altro merita un riconoscimento, sociale ma anche economico, migliore. Insomma: rispetto alla specializzazione richiesta loro e alle responsabilità che sono chiamati ad assumersi, gli insegnanti di sostegno sono malpagati. Questo vale per l’intera categoria degli insegnanti, ma è ancora più evidente per i docenti di sostegno». Il cui fabbisogno, ricordano dal Ministero dell’Università e della Ricerca, «è calcolato su base nazionale » ed è caratterizzato, come l’intero sistema scolastico, da una «forte mobilità interregionale ». In pratica, tanti insegnanti di sostegno che prenderanno l’abilitazione in un’università del Sud, saranno costretti a trasferirsi in un istituto del Nord, continuando così ad alimentare un altro annoso problema della scuola italiana, che è quello degli «insegnanti con la valigia». Pendolari dell’istruzione destinati, prima o poi, al trasferimento, con tanti saluti alla continuità didattica, requisito fondamentale anche e soprattutto per gli alunni disabili.

«Anche il prossimo anno scolastico – denuncia Ernesto Ciracì, presidente di Misos, l’associazione degli insegnanti di sostegno abilitati – tantissimi alunni disabili del Nord avranno insegnanti di sostegno supplenti e, in gran maggioranza, non abilitati. E questo avrà ricadute gravissime sul loro percorso formativo e di crescita personale. E sul loro diritto ad avere, come tutti, un’istruzione di qualità».

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In Piemonte e Lombardia i nuovi percorsi di formazione dei docenti arriveranno a coprire appena il 17% e il 21% delle cattedre vacanti

Meno armi, più scuole. Il messaggio di papa Francesco per la Giornata della pace

Meno armi, più scuole. Il messaggio di papa Francesco per la Giornata della pace

CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. Meno fucili e meno bombe, più libri e più quaderni. È l’appello ai governi di papa Francesco che, nel messaggio per la Giornata mondiale della pace del primo gennaio 2022, denuncia come nel mondo si spenda sempre più in armamenti e sempre meno in scuola. Ed esorta a ribaltare le proporzioni: gli Stati taglino le spese militari e investano in istruzione (più o meno quello che da anni dice in Italia la campagna Sbilanciamoci!).

«Negli ultimi anni è sensibilmente diminuito, a livello mondiale, il bilancio per l’istruzione e l’educazione, considerate spese piuttosto che investimenti. Eppure, esse costituiscono i vettori primari di uno sviluppo umano integrale: rendono la persona più libera e responsabile e sono indispensabili per la difesa e la promozione della pace», si legge nel messaggio del pontefice. «Le spese militari, invece, sono aumentate, superando il livello registrato al termine della guerra fredda, e sembrano destinate a crescere in modo esorbitante. È dunque opportuno e urgente che quanti hanno responsabilità di governo elaborino politiche economiche che prevedano un’inversione del rapporto tra gli investimenti pubblici nell’educazione e i fondi destinati agli armamenti», «liberando risorse finanziarie da impiegare in maniera più appropriata per la salute, la scuola, le infrastrutture, la cura del territorio».

È un messaggio quello di Francesco per la cinquantacinquesima edizione della giornata “inventata” da Paolo VI nel 1968 in cui emerge un marcato «pessimismo della ragione», con il quale si fotografa la realtà di un pianeta caratterizzato da «inequità» – per utilizzare un termine bergogliano – e ingiustizia sociale. «Il cammino della pace», esordisce il documento, rimane «lontano dalla vita reale di tanti uomini e donne e, dunque, della famiglia umana, che è ormai del tutto interconnessa»: «si amplifica l’assordante rumore di guerre e conflitti, mentre avanzano malattie di proporzioni pandemiche, peggiorano gli effetti del cambiamento climatico e del degrado ambientale, si aggrava il dramma della fame e della sete e continua a dominare un modello economico basato sull’individualismo più che sulla condivisione solidale. Come ai tempi degli antichi profeti, anche oggi il grido dei poveri e della terra non cessa di levarsi per implorare giustizia e pace».

Ma c’è anche «l’ottimismo della volontà», per la costruzione di una «pace duratura», fondata sull’«istruzione come fattore di libertà, responsabilità e sviluppo», sul «dialogo tra le generazioni» e sul «lavoro per una piena realizzazione della dignità umana».

«Dialogare fra generazioni per edificare la pace» secondo il pontefice significa soprattutto ascoltare i giovani dei movimenti che si battono contro i cambiamenti climatici e per la salvaguardia del pianeta. «Lo fanno con inquietudine e con entusiasmo – scrive Francesco –, soprattutto con senso di responsabilità di fronte all’urgente cambio di rotta, che ci impongono le difficoltà emerse dall’odierna crisi etica e socio-ambientale».

Il mondo del lavoro è messo a dura prova dalla pandemia: «milioni di attività economiche e produttive sono fallite, i lavoratori precari sono sempre più vulnerabili» e ancora peggio stanno i «lavoratori migranti», molti dei quali «non sono riconosciuti dalle leggi nazionali, come se non esistessero, vivono in condizioni molto precarie per sé e per le loro famiglie, esposti a varie forme di schiavitù e privi di un sistema di welfare che li protegga». La scorsa settimana, parlando ai giuristi cattolici, Bergoglio aveva fatto esplicito riferimento ai «braccianti, “usati” per la raccolta dei frutti o delle verdure, e poi pagati miserabilmente e cacciati via, senza alcuna protezione sociale».

Le responsabilità sono dell’impresa e della politica, conclude Francesco il proprio messaggio. La prima sappia «promuovere in tutto il mondo condizioni lavorative decenti e dignitose, orientate al bene comune e alla salvaguardia del creato», in «il profitto non sia l’unico criterio-guida». E la politica svolga «un ruolo attivo, promuovendo un giusto equilibrio tra libertà economica e giustizia sociale». 

L’innovazione a servizio dell’istruzione

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L’Angi — Associazione nazionale giovani innovatori — in quanto prima organizzazione nazionale no profit interamente dedicata al mondo dell’innovazione, in questa particolare fase di emergenza, in cui i ragazzi non possono frequentare scuole e università, scende in campo a fianco delle maggiori istituzioni nazionali e internazionali (tra cui il Parlamento e la Commissione europea), a sostegno delle giovani generazioni, in particolare, per diffondere e promuovere la cultura digitale.

«Ci stiamo impegnando per portare all’attenzione dei nostri partner accademici ed istituzionali le voci dei ragazzi, alle prese con metodi e forme di apprendimento mai sperimentati — spiega Gabriele Ferrieri, economista, esperto di innovazione legislativa e digitale, nonchè Ambasciatore della pace per l’Unesco — così come abbiamo attivato, con il Cnr e la Presidenza del Consiglio, campagne di raccolte fondi da destinare al comparto sanitario».

In questi giorni avete presentato un pacchetto di provvedimenti e proposte — il Decreto connessioni — destinato al governo a supporto del comparto produttivo ed industriale del paese. Qui un ampio capitolo è riservato agli strumenti per agevolare l’alfabetizzazione digitale, a ridurre il divario formativo e ad accelerare nuovi modelli di occupazione, come il lavoro agile.

Riteniamo fondamentale, in questa fase, promuovere una serie di campagne che coinvolgano la comunità, per evitare disorientamento nei cittadini. Per questo, abbiamo sottoscritto le campagne “Solidarietà digitale” e “#Distantimauniti”, promosse dal governo e dal ministero dell’Innovazione, così come, grazie alla nostra vasta rete di relazioni sul territorio, abbiamo dato corso a una serie di programmi di approfondimento giornalistici e radiofonici, rivolti a cittadini, imprese, studenti, per comunicare informazioni dirette e mirate sulle iniziative delle autorità locali, delle associazioni, dei presidi scolastici, dei centri di aiuto e di tutti coloro che sono impegnati nell’emergenza. Infine, con il contributo del nostro comitato scientifico, abbiamo lanciato settimanalmente sui nostri canali delle pillole video formative sul tema innovazione, per essere, seppur in via telematica, il più possibile vicini ai lavoratori.

Quali punti caratterizzano il Decreto connessioni in merito al rinnovamento della didattica? Quale è il vostro punto di vista sulla delicata questione della formazione?

Lo scorso ottobre, ben prima dell’interruzione dovuta alla crisi sanitaria, consapevoli delle lacune del sistema scolastico, e più in generale, del paese, in materia digitale, abbiamo proposto una mappatura, a livello nazionale, per superare il problema dell’alfabetizzazione informatica: da una recente indagine è, infatti, emerso che il 76 per cento degli alunni delle scuole primaria e secondaria di primo grado non dispone di dotazioni informatiche e connessione adeguate alla didattica a distanza. Abbiamo, inoltre, proposto nel Manifesto europeo per l’innovazione, lanciato nel 2019, la necessità di creare un unico network universitario europeo che costruisca reti di conoscenza diffuse e accessibili a tutti, con equiparazione di competenze certificate in tutti i paesi Ue. Costituirebbe il primo passo concreto nell’unificazione di un percorso di istruzione europeo destinato alle future generazioni, a tutti coloro che nel domani si affacceranno al mondo del lavoro, consentendo l’inclusione occupazionale e parità di opportunità per lo sviluppo di una società coesa e dinamica. È importante individuare strumenti che garantiscano un interscambio costante che tuteli lavoratori e studenti.

Attraverso quali canali si recupererebbero le necessarie risorse?

Queste iniziative possono essere finanziate in occasione della riprogrammazione del prossimo bilancio Ue 2019/2024, destinando maggiori risorse al fondo europeo per l’innovazione. E come specificato nel Decreto connessioni, riteniamo necessario attuare il Piano nazionale scuola digitale, adottare il libro di testo digitale, rafforzare, sui canali dedicati ai giovani, la diffusione della cultura digitale con una serie di approfondimenti e introdurre campagne di comunicazione dedicate ai temi del digitale verso i target anagrafici della scuola primaria, per educare all’uso consapevole e dosato delle nuove tecnologie.

Che futuro prevede per il comparto scolastico italiano?

L’interrogativo che si pongono professori, studenti e genitori è cosa accadrà a settembre con l’inizio del nuovo anno. Per la didattica, con il decreto legge del 6 aprile, si è ipotizzata la ripresa già dai primi di settembre per tutti gli alunni, in modo che, nelle prime due o tre settimane, gli insegnanti abbiano l’opportunità di verificare le conoscenze che non si ha avuto modo di approfondire e di cui è venuto meno il riscontro sul “campo”. Prima di qualsiasi ipotesi sull’assetto scolastico dell’autunno, l’attenzione dei presidi e di tutto il corpo docente si concentra sulle modalità con cui traghettare gli alunni al periodo estivo, tenuto conto che, già dai primi di marzo, la frequenza in aula è stata bruscamente interrotta e sostituita con la didattica a distanza: una forma di insegnamento non accessibile a tutti e che occorre scongiurare che diventi esclusiva di parte dei nostri bambini e adolescenti. Un grande esperimento, ma anche una sfida impegnativa

È, di certo, un notevole banco di prova, non solo per l’intero mondo scolastico, ma per tutto il nostro modello educativo e di welfare.

Nonostante la risposta repentina da parte del ministero dell’Istruzione e del ministero dell’Università e della ricerca, ricordando anche la straordinaria emergenza, che inevitabilmente ci ha colto impreparati, la didattica ha evidenziato storiche lacune, con oltre il 20 per cento dei giovani che, non avendo accesso a connessioni internet, non sono in condizioni di seguire le lezioni e partecipare alle attività scolastiche. Lo stesso comparto docente, seppur motivato a seguire le direttive ministeriali, mostra difficoltà nell’organizzazione e nella pianificazione delle lezioni. Poiché, d’altro canto, la dimensione della questione è internazionale, un confronto tra i ministri dell’Istruzione dell’Unione europea sarebbe utile ad individuare soluzioni condivise per affrontare la riapertura delle scuole e investire in piattaforme telematiche, così da affiancare adeguatamente studenti e famiglie nel percorso formativo.

Molte delle nostre abitudini subiranno delle variazioni, i nostri gesti quotidiani cambieranno, e cambieranno anche tra i nostri ragazzi, nelle aule e in tutti gli ambienti di ritrovo. Questo — ovviamente — nell’ottica di conservare le buone pratiche per limitare la diffusione della pandemia.

A loro occorre trasmettere l’importanza del patrimonio culturale, valoriale, turistico, economico e sociale del nostro paese: un paese che vanta numerose eccellenze in tutti i campi, ma, soprattutto, radici saldamente legate al territorio e alla comunità. Da qui dovremo ripartire, uniti, per riprendere a condividere spazi e riti collettivi. E avviare, contemporaneamente, un solido piano di rilancio dei programmi educativi e di ricerca, per un vero New Deal dell’istruzione e della formazione.

di Silvia Camisasca

Osservatore Romano

Cei-Ministero Istruzione, nuove intese per insegnamento religione a scuola

“L’atto che stiamo per compiere non solo conferma lo stile di dialogo e di collaborazione che caratterizza i rapporti tra le nostre istituzioni, ma consolida ulteriormente l’armonioso inserimento dell’insegnamento della religione cattolica nei percorsi formativi della scuola italiana”. Lo ha detto il card. Angelo Bagnasco, presidente della Cei, che oggi ha firmato con il ministro per l’Istruzione, Francesco Profumo, due nuove intese Cei-Miur sull’Insegnamento della religione cattolica. Le due intese, ha spiegato il presidente della Cei, rispondono ad una “duplice esigenza”: da una parte, “ridefinire il profilo di qualificazione professionale dei futuri insegnanti di religione cattolica, armonizzando il percorso formativo richiesto per l’insegnamento della religione cattolica con quanto previsto, oggi, per l’insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado in Italia”. Dall’altra, “definire una nuova versione delle indicazioni per l’insegnamento della religione cattolica nel secondo ciclo, sulla base dei rinnovati documenti che il Miur ha elaborato in un quadro di riforma dell’intero sistema educativo di istruzione e formazione”.

Circa il primo aspetto – ha proseguito il card. Bagnasco – “l’emanazione dell’Istruzione sugli Istituti Superiori di Scienze Religiose, da parte della Congregazione per l’educazione cattolica, e l’approvazione in ambito civile dei nuovi percorsi di formazione accademica per l’insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado, così come i passi di riforma che hanno interessato tutto il sistema educativo di istruzione e formazione in Italia, hanno reso necessario procedere all’aggiornamento dell’Intesa in materia di insegnamento della religione cattolica, sottoscritta il 14 dicembre 1985 dal Ministro della Pubblica Istruzione e dal Presidente della Cei”. Tenendo conto, inoltre, “del nuovo assetto dei licei, degli istituti tecnici e degli istituti professionali, nonché dei percorsi di istruzione e formazione professionale”, la Cei e il Miur hanno deciso di sottoscrivere le nuove indicazioni per l’insegnamento della religione cattolica nel secondo ciclo, “differenziandole in modo tale da rispecchiare al meglio il carattere e l’impostazione culturale di ciascuna tipologia di scuola e del particolare ordinamento dell’istruzione e formazione professionale”. Il card. Bagnasco ha ricordato come la Cei si sia “costantemente” impegnata “nell’aggiornare” i programmi dell’Irc per adeguarli al processo di riforma della scuola italiana, ma anche a considerare l’Irc “espressione dell’impegno educativo della Chiesa nella scuola”.

avvenire