OFFICINA DEL PENSIERO “Praedicate evangelium” e insegnamento della religione: educazione o cultura?

di Sergio Ventura
Sabato 19 marzo 2022 è stata pubblicata, dopo nove anni di gestazione, la Costituzione apostolica “Praedicate evangelium” che riforma la Curia romana a partire dal 5 giugno, giorno della Pentecoste. Piano piano arriveranno analisi più compiute e complessive di questa riforma. Nel frattempo, se Luigi Accattoli la definisce «rivoluzionaria nell’intenzione missionaria e sinodale, buona in una decina di decisioni innovative, irrilevante nell’immediato», Stefano Sodaro si chiede «cosa potrebbe accadere oggi con l’allestimento di un’opera cinematografica – pasoliniana ma, purtroppo, ahinoi, senza Pasolini – che s’intitolasse “Praedicate Evangelium”», mentre Andrea Grillo ha segnalato in essa (all’art.93) la presenza di una grave svista subito corretta.

Per quanto è di mia competenza, vorrei evidenziare un aspetto che forse non è una svista, ma una convinzione inveterata negli ambienti curiali che prima o poi dovrà essere corretta. Infatti, già qualche anno fa nell’Instrumentum laboris (§193) per il Sinodo dei giovani si rischiò fortemente di confondere insegnamento della religione e catechesi (o evangelizzazione), anche se poi, fortunatamente, il paragrafo non fu ripreso nel Documento finale. Ora un problema analogo – e quindi un’occasione persa – se non venisse corretta – si ripropone nella Costituzione apostolica in questione.

Uno dei dicasteri istituiti dalla “Praedicate Evangelium”, per unire congregazioni e pontifici consigli «la cui finalità era molto simile o complementare» e «razionalizzare le loro funzioni con l’obiettivo di evitare sovrapposizioni di competenze e rendere il lavoro più efficace» (art.11), è quello per la Cultura e l’Educazione (artt.153-162). Esso sarà costituito da due sezioni, una per la Cultura e l’altra per l’Educazione, nelle quali confluiranno il Pontificio Consiglio della Cultura e la Congregazione per l’Educazione Cattolica.

Se è vero che nella definizione generale del dicastero è scomparso l’aggettivo cattolica (per motivi facilmente intuibili), è altrettanto vero che il contenuto degli articoli dedicati alla sezione Educazione fa esplicito «riferimento alle scuole, agli Istituti superiori di studi e di ricerca cattolici ed ecclesiastici» (art.153, §2), alla «promozione della identità cattolica delle scuole e degli Istituti di studi superiori» (art.159, §2), alle «norme secondo le quali debbono essere erette le scuole cattoliche di ogni ordine e grado e, in esse [scuole cattoliche – ndr], si debba provvedere anche alla pastorale educativa come parte dell’evangelizzazione» (art.160, §1).

Mi ha lasciato, perciò, molto perplesso il §2 dell’art.160, perché in esso è previsto che la sezione Educazione «promuove l’insegnamento della religione cattolica [IRC] nelle scuole». A meno che per scuole non si intenda esclusivamente le scuole cattoliche (ma non credo), e in assenza di ogni riferimento a tale insegnamento negli articoli concernenti la sezione Cultura, ciò significa che esso è stato pensato all’interno di una sezione che si occupa in modo esplicito di istituti e istituzioni educative in sé e per sé cattoliche (art.161).

Ora, è vero che in sé anche nell’IRC deve essere «salvaguardata l’integrità della fede cattolica» – e su ciò «vigila» la sezione Educazione (art.159, §2). Ed è vero che si potrebbe anche sostenere come, attraverso l’IRC, «i principi fondamentali dell’Educazione, specialmente quella cattolica, siano recepiti ed approfonditi in modo che possano venire attuati contestualmente e culturalmente» (art.159, §1). Però, quel «recepiti» e quell’«attuati» dovrebbe far suonare un campanello d’allarme. L’IRC – di per sé, in qualità di Chiesa-già-in-uscita (o estroversa) – ha come scopo diretto non tanto quello di far recepire o di attuare i principi in questione (ciò che potrebbe essere al massimo – ma evitando ogni proselitismo – lo scopo indiretto), bensì quello di attualizzarli e di disporli all’incontro con gli studenti e le studentesse che liberamente vogliano confrontarsi (e anche “scontrarsi”) con essi. Non cogliere tale differenza comporta il serio rischio di perpetuare lo storico equivoco intra ed extra ecclesiale che confonde l’IRC con il catechismo o con l’evangelizzazione tout court (senza alcuna differenziazione, come si diceva un tempo, tra evangelizzazione e pre-evangelizzazione) o che lo riduce a questione meramente dottrinaria e (di statica trasmissione) dottrinale.

Guardando, invece, agli articoli dedicati alla sezione Cultura, mi sembra di ritrovare un’atmosfera più familiare e consonante con l’art.9, co.2 della L. 121/85 di ratifica ed esecuzione dell’accordo tra Stato e Chiesa sulle modifiche al Concordato lateranense. Se l’accordo di revisione lega l’IRC, oltre che alle «finalità della scuola», alla «cultura religiosa» e ai «principi del cattolicesimo» ma solo in quanto «parte del patrimonio storico del popolo italiano», nei rispettivi §2 degli artt.153 e 157 della “Praedicate evangelium” si enfatizza la missione della sezione Cultura per la «promozione della cultura» e la «valorizzazione del patrimonio culturale» (alla cui tutela e conservazione esorta l’art.155). L’IRC stesso, in fondo, costringe l’insegnante di religione – e tramite di lui la Chiesa – a praticare letteralmente ciò che chiede l’art.154, quando quest’ultimo invita la sezione Cultura al costante «confronto con le molteplici istanze emergenti dal mondo della Cultura, favorendo specialmente il dialogo quale strumento imprescindibile di vero incontro, reciproca interazione e arricchimento vicendevole, cosicché le varie culture si aprano sempre di più al Vangelo come anche la fede cristiana nei loro confronti».

Se guardiamo, infatti, all’IRC dal punto di vista degli studenti e delle studentesse che lo frequentano (ma anche delle loro famiglie e del restante personale scolastico), come non riconoscere che in esso si esercita e si raffina – ad intra – l’arte del «dialogo tra le molteplici culture presenti all’interno della Chiesa, favorendo così il mutuo arricchimento» (art.156, §1)? Come non riconoscere che in esso si esercita e si raffina – ad extra – l’arte del «dialogo con coloro che, pur non professando una religione particolare, cercano sinceramente l’incontro con la Verità di Dio» (art.158) o, semplicemente, sono in «ricerca sincera del vero, del buono e del bello» (art.154)?

Se guardiamo, poi, non solo alla credenza (o meno) e all’appartenenza ecclesiale degli studenti e delle studentesse (delle loro famiglie e del personale scolastico), ma anche agli estremamente differenziati contesti geografici di provenienza, si può non riconoscere come nell’IRC si «valorizzino e proteggano le culture locali con il loro patrimonio di saggezza e di spiritualità [quale] ricchezza per l’intera umanità» (art.156, §2)?

In definitiva, mi sembra che vi siano pochi (pochissimi?) elementi per poter affermare che la decisione di inserire l’IRC nella sezione Educazione non sia del tutto inadeguata. Ma spero di aver mostrato che vi sono molti più elementi per poter affermare che tale scelta dovrebbe essere rivista, affinché l’IRC venga inserito nella sezione Cultura – ad esempio aggiungendo un secondo paragrafo nell’articolo 155, o forse meglio nell’art.158, che suoni nel modo seguente: «Promuove il ruolo culturale dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole».

D’altronde, una correzione importante è già stata apportata per l’art.93. Perché, entro il 5 giugno, non potrebbe avvenire lo stesso per il § 2 dell’art.160? Si eviterebbe di cristallizzare ad un livello molto alto di fonti del diritto della Chiesa una visione non adeguata di quello che potrebbe essere oggi un insegnamento della religione [rectius teologico] nelle scuole pubbliche. E sarebbe un modo di dimostrare che stiamo definitivamente prendendo sul serio, da un lato, la priorità della postura missionaria sulla tutela della dottrina che caratterizza la “Praedicate evangelium”, e dall’altro lato, il fatto che ogni atteggiamento missionario ed evangelizzatore risulta fallimentare senza un’inculturazione ben meditata e senza un ascolto dialogico (pre-evangelizzatore) ben praticato. Aspetti, quest’ultimi, che verrebbero esaltati da un IRC il cui “ruolo culturale” venga definitivamente chiarito ed evidenziato.
di Sergio Ventura – Vino Nuovo

Cei-Ministero Istruzione, nuove intese per insegnamento religione a scuola

“L’atto che stiamo per compiere non solo conferma lo stile di dialogo e di collaborazione che caratterizza i rapporti tra le nostre istituzioni, ma consolida ulteriormente l’armonioso inserimento dell’insegnamento della religione cattolica nei percorsi formativi della scuola italiana”. Lo ha detto il card. Angelo Bagnasco, presidente della Cei, che oggi ha firmato con il ministro per l’Istruzione, Francesco Profumo, due nuove intese Cei-Miur sull’Insegnamento della religione cattolica. Le due intese, ha spiegato il presidente della Cei, rispondono ad una “duplice esigenza”: da una parte, “ridefinire il profilo di qualificazione professionale dei futuri insegnanti di religione cattolica, armonizzando il percorso formativo richiesto per l’insegnamento della religione cattolica con quanto previsto, oggi, per l’insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado in Italia”. Dall’altra, “definire una nuova versione delle indicazioni per l’insegnamento della religione cattolica nel secondo ciclo, sulla base dei rinnovati documenti che il Miur ha elaborato in un quadro di riforma dell’intero sistema educativo di istruzione e formazione”.

Circa il primo aspetto – ha proseguito il card. Bagnasco – “l’emanazione dell’Istruzione sugli Istituti Superiori di Scienze Religiose, da parte della Congregazione per l’educazione cattolica, e l’approvazione in ambito civile dei nuovi percorsi di formazione accademica per l’insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado, così come i passi di riforma che hanno interessato tutto il sistema educativo di istruzione e formazione in Italia, hanno reso necessario procedere all’aggiornamento dell’Intesa in materia di insegnamento della religione cattolica, sottoscritta il 14 dicembre 1985 dal Ministro della Pubblica Istruzione e dal Presidente della Cei”. Tenendo conto, inoltre, “del nuovo assetto dei licei, degli istituti tecnici e degli istituti professionali, nonché dei percorsi di istruzione e formazione professionale”, la Cei e il Miur hanno deciso di sottoscrivere le nuove indicazioni per l’insegnamento della religione cattolica nel secondo ciclo, “differenziandole in modo tale da rispecchiare al meglio il carattere e l’impostazione culturale di ciascuna tipologia di scuola e del particolare ordinamento dell’istruzione e formazione professionale”. Il card. Bagnasco ha ricordato come la Cei si sia “costantemente” impegnata “nell’aggiornare” i programmi dell’Irc per adeguarli al processo di riforma della scuola italiana, ma anche a considerare l’Irc “espressione dell’impegno educativo della Chiesa nella scuola”.

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