Festival Sabir 2023: l’Appello della “Marcia contro i muri e per l’accoglienza”

Festival Sabir 2023: l'Appello della

Si parlerà di cambiamento climatico, migrazioni forzate, diritti dei lavoratori migranti, respingimenti, aiuto umanitario ecc. al Festival Sabir, che si terrà dall’11 al 13 maggio prossimo, quest’anno sul tema “Libertà di movimento”. Particolare attenzione sarà dedicata ai flussi migratori lungo la cosiddetta “rotta balcanica”, tanto che, il giorno di chiusura del Festival, si svolgerà una “Marcia Contro i Muri e per l’accoglienza” «che attraversera? la frontiera tra Slovenia e Italia, per dare voce a quella parte di Europa e d’Italia che non si arrende ai muri e alle paure e che vuole tutelare i diritti delle persone in cerca di protezione». Spiega il sito del Festival, che «la marcia sara? di circa 5 km, con partenza alle ore 15 dal Castello di Socerb (Capodistria) e arrivo alla Piazza centrale di San Dorligo della Valle».

«Sabir e? uno spazio della societa? civile non equidistante», si legge ancora, «ma schierata dalla parte delle vittime e contro tutti gli oppressori, uno spazio per ribadire, anche nell’affrontare i temi che la guerra in Ucraina e le altre crisi del nostro pianeta pongono, la centralita? delle persone e dei loro diritti, a prescindere dalla nazionalita?».

Pubblichiamo di seguito l’Appello della marcia, consultabile anche sul sito ufficiale dell’evento.

Negli ultimi anni l’Europa è attraversata da venti di intolleranza e di chiusura contro le persone di origine straniera e in particolare contro coloro che arrivano alle nostre frontiere in cerca di protezione.

I governi e i parlamenti, con scarsa lungimiranza, anziché dare risposte giuste ed efficaci attraverso regole che consentano alle persone di attraversare le frontiere in sicurezza e legalità, alimentano le paure, spesso attraverso campagne di vera e propria criminalizzazione dei richiedenti asilo e dei rifugiati.

È così che nel 2016 l’UE ha scelto di siglare un accordo con Erdogan, per bloccare centinaia di migliaia di persone in fuga dalla guerra e dalle persecuzioni, in prevalenza siriani, afghani e iracheni, impedendo loro di raggiungere i confini europei.

Allo stesso modo l’Italia, con il sostegno di tutta l’UE, per aggirare il divieto di respingimento previsto dalla Convenzione di Ginevra, ha concepito la SAR libica e la cosiddetta guardia costiera, bloccando decine di migliaia di persone nell’inferno dei centri di detenzione dove, come più volte denunciato dal Procuratore della Corte Internazionale dell’Aja, si commettono crimini contro l’umanità. Torture, stupri, violenza diffusa, omicidi e riduzione in schiavitù perpetrate dalle stesse milizie che si contendono il territorio e gestiscono la cosiddetta guardia costiera, con l’assordante silenzio dei governi UE che, di fatto, avallano una forma di respingimento delegata.

Intanto ad est dell’UE, sulla rotta balcanica e non solo, i governi, con il consenso di quasi tutte le forze politiche e dei parlamenti, hanno avviato la costruzione di muri, ricorrendo a forme sempre più sofisticate di controllo delle frontiere per impedire alle persone in fuga di mettersi in salvo.

In linea con questa tendenza e, anzi, anticipandola in qualche modo, l’UE ha organizzato un vero e proprio esercito che risponde all’Agenzia Frontex, per controllare le frontiere esterne. Laddove non vi sono muri, è sistematica la pratica dei respingimenti illegali alle frontiere esterne di coloro che cercano di chiedere protezione ad uno stato dell’Unione.

Tale impedimento è attuato anche attraverso l’uso delle cosiddette “riammissioni informali” alle frontiere interne, in un meccanismo a catena che ha il medesimo obiettivo: allontanare il cittadino straniero dal territorio UE e impedirgli di accedere alla domanda di asilo. L’Italia, proprio sul confine italo-sloveno, si è resa responsabile nel 2022 di gravissime violazioni in tal senso.

L’idea che emerge con chiarezza, anche dall’argomento principale usato dai leader di molti dei Paesi UE, è che siamo sotto attacco e che il nostro nemico è rappresentato da decine di migliaia di profughi in fuga dalle guerre, da famiglie, in prevalenza da minori. Un nemico che vuole, pacificamente e senza nascondersi, costruire il proprio futuro in sicurezza lontano da guerre e violenze.

Noi pensiamo, invece, che l’Italia e l’Europa dei popoli siano migliori di questa pericolosa caricatura che intende impedire a chi cerca protezione di trovare spazio per una vita dignitosa, negando la propria storia, la propria cultura e civiltà giuridica e costruendo muri.

Per questo il 13 maggio alle 15:00 abbiamo convocato la prima “Marcia Contro i Muri e per l’accoglienza” alla frontiera tra Slovenia e Italia, ultima tappa di quella rotta balcanica lungo la quale si infrangono le speranze di decine di migliaia di persone. Vogliamo dare voce a quella parte di Europa e d’Italia che non si arrende ai muri e alle paure e che vuole tutelare i diritti delle persone in cerca di protezione.
adista.it

Migranti morti in mare: marcia di preghiera a Reggio Emilia promossa dalla Diocesi

Mercoledì 22 aprile alle ore 20.30, con partenza da Corso Garibaldi all’altezza di piazza Gioberti

Mercoledì sera a Reggio Emilia marcia silenziosa e momento di preghiera per i migranti morti nel canale di Sicilia

“…E allora ho sentito che dovevo venire qui oggi a pregare, a compiere un gesto di vicinanza, ma anche a risvegliare le nostre coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta. Non si ripeta per favore!” (Papa Francesco, 8 luglio 2013, omelia nella celebrazione eucaristica a Lampedusa)

All’indomani di una nuova, immane tragedia in cui centinaia di migranti hanno perso la vita nel canale di Sicilia, la Chiesa di Reggio Emilia-Guastalla ritiene indispensabile fermarsi a pregare e riflettere, facendo suo l’appello del Santo Padre.

Mercoledì 22 aprile alle ore 20.30, con partenza da Corso Garibaldi all’altezza di piazza Gioberti, partirà una marcia silenziosa in ricordo di tutti questi “uomini e donne come noi, fratelli nostri che cercano una vita migliore, affamati, perseguitati, feriti, sfruttati, vittime di guerra” (così ancora papa Francesco a proposito della nuova strage nelle acque del Mediterraneo).

Il corteo procederà fino alla Cattedrale, dove verrà celebrata una veglia di preghiera, presieduta dal vicario episcopale per la Carità e le Missioni don Romano Zanni.

serata-22

laliberta.info

 

 

Africa-Italia. Scenari migratori

Presentato a Roma il volume di Caritas/Migrantes di Chiara Santomiero

ROMA, domenica, 18 luglio 2010 (ZENIT.org).

La diseguale distribuzione delle ricchezze pone il 90% delle strutture produttive in mano a un sesto della popolazione mondiale, mentre quasi metà della popolazione africana è povera e sottoalimentata. L’area sub sahariana, dove si concentra circa un ottavo della popolazione della Terra – più di 800 milioni di persone –, dispone solo del 2,1% della ricchezza mondiale con un reddito pro-capite circa 20 volte inferiore a quello dell’Unione europea. La disoccupazione giovanile arriva al 60% e l’agricoltura rimane l’attività principale con il 70% degli occupati. Sono solo alcuni dei dati evidenziati dal volume “Africa-Italia. Scenari migratori” (Edizioni Idos), presentato a Roma da Caritas/Migrantes il 16 luglio scorso. Il testo, che raccoglie apporti di oltre 60 autori ed è stato pubblicato con il contributo del Fondo europeo per l’integrazione dei cittadini di Paesi Terzi, ha alla base il viaggio svoltosi a febbraio 2010 a Capo Verde su iniziativa del Dossier statistico immigrazione Caritas/Migrantes con l’obiettivo di studiare le problematiche del continente africano e approfondire i flussi migratori con l’Italia insieme ai rappresentanti di organizzazioni sociali e di ricerca, italiani e africani. L’iniziativa del Dossier Caritas/Migrantes si pone nella scia della II Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi (ottobre 2009), i quali, denunciando le ingiustizie che ancora umiliano il continente, hanno indicato alcune prospettive che possono essere di stimolo non solo ai Paesi africani, ma a tutta la comunità internazionale. Nel contesto delineato, infatti, “la migrazione rientra nelle strategie di sopravvivenza dei singoli e nelle strategie di sostegno alla crescita dei Paesi africani, mostrando l’inconsistenza della tesi del ‘basta aiutarli a casa loro’”. Nel 2009, sottolinea il volume, “l’Italia non è arrivata a versare neppure lo 0,2% del proprio Pil (320 milioni di euro) per la cooperazione allo sviluppo”. “Dei quasi 5 milioni di africani nell’UE – informa il volume –, circa un quinto si è insediato in Italia”. Gli africani nella penisola risultano essere, all’inizio del 2009, il 22,4% dei residenti stranieri: si tratta di 871.128 persone – su 3.891.295 cittadini stranieri residenti –, ma la cifra raggiunge 1 milione considerando quelle in attesa di registrazione anagrafica. Le donne costituiscono il 39,8% del totale, ma con variazioni notevoli tra le diverse collettività: dal 21% del Senegal al 73% di Capo Verde. “Ogni 10 immigrati africani – sottolinea la ricerca –, 7 sono nordafricani (69,6%) e quasi 5 marocchini (46,3%)”. Tra le collettività più numerose ci sono la Tunisia con oltre 100.000 residenti, l’Egitto con 75.000, il Senegal con quasi 70.000, la Nigeria e il Ghana con più di 40.000. Per i due terzi della loro consistenza, gli africani si concentrano in quattro regioni italiane: Lombardia (29%), Emilia Romagna (14,8%), Piemonte (10,2%) e Veneto(12,3%). Più di mezzo milione di persone originarie dell’Africa è inserito come lavoratore dipendente nel sistema produttivo italiano, costituendo quasi un quinto del totale degli occupati nati all’estero registrati dall’Inail. Diversi i settori di impiego, a seconda della collettività e dei territori di inserimento: soprattutto edilizia, settore agricolo, pesca e lavoro domestico per le donne. “Siamo persone – ha affermato intervenendo alla presentazione del volume Stephen Stanley Okey Emejuru, del Forum intercultura della Caritas diocesana di Roma – che vivono da tanti anni in Italia o siamo destinati a vivervi per tanti anni. Questo attaccamento all’Italia esige più ampi spazi di partecipazione, perché senza partecipazione non ci può essere vera cittadinanza”. “Vogliamo – ha proseguito Emejuru – essere ex emigrati per diventare nuovi cittadini, specialmente per i nostri figli, nati qui e per i quali l’Italia è la propria terra anche se sono di origine africana”. Gli alunni cittadini di un Paese africano, secondo il volume, sono 150.951 su circa 200 mila minori stranieri. Sono concentrati per il 41% nella scuola primaria e per il 25% in quella dell’infanzia, un dato che, sottolinea il volume di Caritas/Migrantes, “suggerisce l’importanza delle seconde generazioni”. Nel corso del 2008 i cittadini di uno Stato dell’Africa nati in Italia sono stati quasi 25.000, un terzo dei bambini stranieri nati nel nostro Paese nello stesso anno (33,5%). “Il carattere stabile dell’inserimento – aggiunge il volume –, oltre che dalla presenza familiare, viene evidenziato anche dal crescente numero di coppie miste: 6130 nel 2008 i matrimoni celebrati in Italia con almeno uno sposo di cittadinanza africana, di cui 4524 unioni miste (73,8%)”. La presenza africana in Italia è destinata a crescere. Nel 2050, infatti, anno per il quale l’Istat ha previsto la presenza di 12,3 milioni di stranieri, gli africani – secondo il trend attuale – diventerebbero oltre 2,7 milioni. “L’esodo degli africani – avverte il volume di Caritas/Migrantes – può rappresentare un fattore di riuscita per i singoli protagonisti e di speranza per i rispettivi Paesi, purché non si riduca a una semplice fuga di cervelli e il ritorno finanziario (dall’Italia nel 2008 è stato inviato quasi un miliardo di euro) si accompagni a un ritorno di professionalità e di iniziative produttive”. In questa prospettiva, “il sostegno all’integrazione degli immigrati africani, in un quadro chiaro di doveri e diritti, è un contributo alla crescita del continente”. “L’incontro-impasto tra il bisogno di emigrazione e la solidarietà messa in campo verso gli immigrati – ha affermato don Vittorio Nozza, segretario di Caritas italiana a conclusione della presentazione del volume – sono due fattori di speranza per il continente africano”. Una solidarietà, ha sottolineato don Nozza, “non equiparata a una forma di compassione, bensì ad un’assunzione di responsabilità per il bene comune”, con un’ottica per la quale “i Paesi in via di sviluppo sono colti come partner, co-protagonisti del loro futuro e del futuro dell’umanità”.

Immigrazione. Eurostat: in Italia 17.500 richieste d’asilo

Il dato si riferisce al 2009 e parla di un totale di 261 mila richieste pervenute all’UE di cui il 73% sono state respinte. Sono circa 26 mila le richieste di asilo presentate nei 27 Stati membri dell’Unione europea nel 2009, 20 mila in più dello scorso anno. Lo rende noto l’ufficio statistico dell’Unione europea, Eurostat, precisando che la maggior parte delle richieste è pervenuta da Afghanistan (20.400, pari all’8%), Russia (20.100), Somalia (19.100), Iraq (18.700) e Kosovo (14.200). In testa ai Paesi europei verso i quali è stata diretta la richiesta di asilo spicca la Francia (47.600), seguita da Germania (31.800), Gran Bretagna (30.300), Svezia (24.200), Belgio (21.600), Italia (17.500), Olanda (16.100), Grecia (15.900) e Austria (15.800). Il 73% delle richieste di asilo è stato respinto, sottolinea l’ufficio europeo, mentre 62.650 sono state accettate. In particolare, a 27.630 richiedenti (il 12%) è stato garantito lo status di rifugiato politico, a 26.165 (11%) è stata concessa una protezione e a 8.855 (4%) è stato permesso di rimanere nel Paese europeo richiesto per motivi umanitari. In particolare, in Italia è stato concesso l’asilo politico a 2.115 richiedenti, la protezione a 4.845 e l’accesso per ragioni umanitarie a 1.480 persone. Sono 13.560 le richieste di asilo che Roma ha respinto. La Germania, il secondo paese europeo a ricevere il maggior numero di richieste di asilo, è stato quello che, più di tutti nell’Ue, ha aperto le sue porte agli iracheni. Dei 31mila accolti, infatti, oltre settemila provengono dal paese arabo. Anche la Gran Bretagna, con 30mila richieste, ha accolto numerose domande dall’Iran e dall’Afghanistan, anche se in testa risultano le richieste provenienti dall’ex colonia dello Zimbabwe.

di Lorenzo Alvaro – vita.it