#SharetheLove, condividi la Misericordia. Torna il Festincontro

Anche quest’anno, immancabile, dal 10 al 13 giugno a Gavassa, si presenta l’appuntamento con il Festincontro, la festa diocesana dell’Ac. Sono ben 32 le edizioni, ognuna con la sua particolarità, le sue gioie, le sue difficoltà, ma sempre e comunque straordinarie ed intense sia per chi le vive, sia per chi dietro le quinte lavora incessantemente, spesso in orari improbabili, per la sua buona riuscita.

Il tema sarà #SharetheLove – Condividi la Misericordia.

Programma

Venerdì 10 giugno

Ore 18.45 Apertura Festa con il taglio del nastro.
Ore 19.00 S. Messa presieduta dai neosacerdoti don Giancarlo Minotta e don Andrea Volta.
Concelebrerà il vicario generale don Alberto Nicelli.
In ricordo di tutti i benefattori di AC
Ore 20.00 Apertura ristorante e paninoteca.
Ore 21.00 Musical “Un cuore grande come la sabbia del mare” su S. Giovanni Bosco scritto
e diretto dall’U.P. Santa Maria Maddalena (S. Pellegrino e Buon Pastore di Reggio Emilia).
Al termine Preghiera di compieta.

Sabato 11 giugno

Ore 19.00 S. Messa presieduta da padre Bernardo Cervellera – Animata dall’ACR.
Ore 20,00 Visita guidata ai lavori di restauro e adeguamento liturgico della chiesa Festincontro-manifesto2016
parrocchiale di San Floriano Gavassa
Ore 20.00 Apertura ristorante e paninoteca.
Ore 21.30 Momento di incontro e riflessione con PADRE BERNARDO CERVELLERA
missionario del PIME e direttore di ASIANEWS. Tema “Cristiani perseguitati fonte di speranza”
Al termine Preghiera di compieta.

Domenica 12 giugno

Ore 10.00 Inizio grande maratona di BEACH VOLLEY in collaborazione con la Società Sportiva Daino con squadre miste di 4 componenti.
Per iscrizioni contattare Francesco Boni cell 349 3208028.
Al termine del torneo aperitivo e musica insieme.
Ore 18.30 Apericena con intervista in anteprima assoluta di “Family man” e “Family woman” sul Diario semiserio di Edoardo Tincani, Direttore del settimanale diocesano “La Libertà”.
Ore 19.30 Apertura ristorante e paninoteca.
Ore 21.30 “Tenacemente famiglia 2” – Cristiana Caricato, giornalista di TV2000, intervista Costanza Miriano.
Al termine Preghiera di compieta.

Lunedì 13 giugno

Serata TERZA ETA’ dedicata alla “PREGHIERA PER LA PACE E LA MISERICORDIA”
Ore 18:30 Rosario
Ore 19.00 S. Messa presieduta da don Giuseppe Bassissi e mons. Gianfranco Gazzotti animata dal coro “S. Maria – P.Remigio” dell’Arcispedale di Reggio Emilia
Ore 20.00 Apertura ristorante e paninoteca
Per la Terza Età prenotare presso la cassa ristorante o l’ufficio di AC 0522 437773
Ore 21.00 Presso la Paninoteca: partita ITALIA- BELGIO
Ore 21.30 Commedia Dialettale “Al luchet” e “Tognet e la Mariana” della compagnia “Il Muretto” di Rivalta.
Al termine Preghiera di compieta

Tutte le messe sono concelebrate da don Luciano Pirondini
Il Festincontro desidera essere un punto di incontro e di riflessione, pertanto durante tutta la festa la chiesa sarà aperta e sarà possibile confrontarsi con Frate Adriano.

Funzioneranno: Ristorante, Area Giovani, Paninoteca, Stand AC, Grande Pesca, Stand Libri, Gonfiabili, giochi per grandi e piccoli, Stand altre associazioni e movimenti, mostra sulla
“GMG STORY” ricordi e testimonianze da Czestochowa a Cracovia: video, foto …

laliberta.info

Sacerdoti, non dimenticare chi dona la vita per noi

Preti di strada. Preti chinati sulle ferite degli altri: immigrati, emarginati, famiglie in difficoltà, nuovi poveri. Preti che guidano nel buio dell’incertezza, sostengono nel momento dello sconforto.

Il Giubileo dei sacerdoti, che durerà fino al 3 di giugno, è l’occasione per riaccendere i riflettori sui parroci della nostra parrocchia accanto che si donano senza domandare nulla in cambio. Papa Francesco per loro- immagine del Buon Pastore vicino alla sua gente e servitore di tutti- chiede  un sostegno concreto di preghiera e d’affetto. Ci sono preti come don Mimmo Zambito, parroco di Lampedusa, da anni impegnato nell’accoglienza senza riserve ai migranti giunti sulle coste di quell’isola, porta d’Europa, stremati e senza più speranza. Ci sono religiosi come padre Nico Rutigliano, guanelliano, che  nella sua parrocchia di Fondo Fucile, in provincia di Messina, ha salvato dal degrado un campo incolto con il quale ha potuto tirar via dalla strada decine di giovani ora impegnati anche nel recupero scolastico. Salvandoli da droga e mafie. Ci sono frati come fra Gabriele Onofri, titolare della parrocchia Nostra Signora degli Angeli a Genova Voltri, che dal nulla hanno creato mense, dormitori, centri d’ascolto. E ora sono diventati punto di riferimento imprescindibile per le società civili locali.  Tutto senza le luci della ribalta, senza grande clamore. Nel silenzio più profondo donano la loro vita per tutti noi. Ad imitazione di Cristo. Per favore, non dimentichiamoli. Mai.
(Federico Piana) Radio Vaticano

Papa Francesco ai sacerdoti: siate “eccesso” di misericordia per tutti

La misericordia di Dio fa passare immediatamente “dalla distanza alla festa”, dalla “vergogna” per le proprie miserie alla “dignità” cui innalza il perdono di Dio, come fa il padre della parabola col figlio prodigo. A una misericordia sempre in “azione” Papa Francesco ha esortato presbiteri e seminaristi con la prima intensa meditazione, che ha aperto la giornata del Giubileo dei sacerdoti, tenuta nella Basilica di San Giovanni in Laterano. La sintesi della riflessione del Papa nel servizio di Alessandro De Carolis (Radio Vaticana)

A capo chino, nel “porcile” in cui l’ha piombato il proprio egoismo, a provare “invidia” per i maiali che mangiano ghiande e, insieme, “nostalgia” per il pane che invece i servi di suo padre mangiano ogni giorno.

Dalla distanza alla festa
Papa Francesco entra con un acume che commuove nel groviglio del pentimento che agita il figlio prodigo per far risaltare in modo tangibile l’“eccesso” della misericordia di Dio, di più: “l’inaudito straripamento” del perdono che il Padre ha per il più misero dei suoi figli per cui, ecco “l’esagerazione”…

“…possiamo passare senza preamboli dalla distanza alla festa, come nella parabola del figlio prodigo, e utilizzare come ricettacolo della misericordia il nostro stesso peccato. Ripeto questo, che è la chiave della prima meditazione: utilizzare come ricettacolo della misericordia il nostro stesso peccato”.

I confessori che bastonano
Tutta la lunga, profonda meditazione di Francesco si dipana tra due estremi: tra la “vergogna” del proprio peccato, che rende umili e apre il cuore a una vita nuova, e la “dignità” che sempre Dio conferisce col suo perdono mai negato all’uomo, visto come il figlio “prediletto” della parabola:

“Permettetemi, ma io penso qui a quei confessori impazienti, che bastonano i penitenti, che li rimproverano… Ma così ti tratterà Dio, eh! Così! Almeno per questo, non fate queste cose…”.

Tra vergogna e dignità
Ma quella del Papa, come dice mutuandolo dallo spagnolo”, è anche una riflessione giocata tra il “misericordiare” e “l’essere misericordiato”, cioè tra la misericordia ricevuta e quella donata agli altri perché, dice e ripete Francesco, se “niente unisce maggiormente con Dio che un atto di misericordia”, la misericordia stessa la si contempla davvero quando è “in azione”, quando il cuore arriva a “provare compassione per chi soffre, commuoversi per chi ha bisogno, indignarsi”. Quando si avverte “il rivoltarsi delle viscere” di fronte a una ingiustizia evidente, che sprona a “porsi immediatamente a fare qualcosa di concreto” con lo stile di tenerezza di Gesù. L’importante, sottolinea il Papa con intensità, è fare come il figlio prodigo e porsi davanti a Dio con la consapevolezza di essere in uno stato di “vergognata dignità”:

“Cosa sentiamo quando la gente ci bacia la mano e guardiamo la nostra miseria più intima e siamo onorati dal Popolo di Dio? E lì è un’altra situazione per capire questo, no? Sempre la contraddizione. Dobbiamo situarci qui, nello spazio in cui convivono la nostra miseria più vergognosa e la nostra dignità più alta. Lo stesso spazio. Sporchi, impuri, meschini, vanitosi – è peccato di preti, la vanità – egoisti e, nello stesso tempo, con i piedi lavati, chiamati ed eletti, intenti a distribuire i pani moltiplicati, benedetti dalla nostra gente, amati e curati”.

La misericordia è un atto libero
Francesco parla ai sacerdoti e ai seminaristi, ma tutto ciò che afferma suona universale per ogni singolo cristiano. Anche quando il Papa rileva che “la misericordia è questione di libertà”, che il “mantenerla nasce da una decisione libera”:

“La misericordia si accetta e si coltiva o si rifiuta liberamente. Se uno si lascia prendere, un gesto tira l’altro. Se uno passa oltre, il cuore si raffredda. La misericordia ci fa sperimentare la nostra libertà ed è lì dove possiamo sperimentare la libertà di Dio, che è misericordioso con chi è misericordioso, come disse a Mosè. Nella sua misericordia il Signore esprime la sua libertà. E noi la nostra”.

Sporcarsi le mani
“Possiamo vivere molto tempo ‘senza’ la misericordia del Signore”, ma essa – assicura Francesco – non agisce davvero in un’anima se non si arriva a “toccare il fondo” di quella “miseria morale” che annida in ognuno e dunque a desiderare e a sperimentare il perdono di Dio:

“Il cuore che Dio unisce a questa nostra miseria morale è il Cuore di Cristo, suo Figlio amato, che batte come un solo cuore con quello del Padre e dello Spirito. È un cuore che sceglie la strada più vicina e che lo impegna. Questo è proprio della misericordia, che si sporca le mani, tocca, si mette in gioco, vuole coinvolgersi con l’altro, si rivolge a ciò che è personale con ciò che è più personale, non “si occupa di un caso” – non si occupa di un caso – ma si impegna con una persona, con la sua ferita”.

Nessuna ingenuità, molta speranza
Qui, il Papa critica il “clericalismo” che induce a ridurre una persona con le sue sofferenze a un “caso”. Così, nota Francesco con ironia, “mi distacco e non mi tocca. E così non mi sporco le mani… E così faccio una pastorale pulita, elegante…. dove non rischio  niente”. Non rischio neanche, soggiunge a mo’ di provocazione, “un peccato vergognoso”. Ma così, prosegue, non è possibile capire come la misericordia vada “oltre la giustizia”, come restituisca “dignità” elevando “colui verso il quale ci si abbassa”. Inoltre, sostiene Francesco, la misericordia, pur vedendo il male in modo oggettivo, gli “toglie il potere sul futuro”:

“Non è che non veda il male, ma guarda a quanto è breve la vita e a tutto il bene che rimane da fare. Per questo bisogna perdonare totalmente, perché l’altro guardi in avanti e non perda tempo nel colpevolizzarsi e nel compatire sé stesso e i motivi del suo errore e rimpiangere ciò che ha perduto. Mentre ci si avvia a curare gli altri, si farà anche il proprio esame di coscienza e, nella misura in cui si aiutano gli altri, si riparerà al male commesso. La misericordia è fondamentalmente speranzosa. E’ madre di speranza”.

Eccessi di misericordia
Francesco termina citando i tanti “eccessi della misericordia” del Vangelo – il paralitico calato da un tetto, il lebbroso guarito che lascia i nove per tornare a inginocchiarsi davanti a Gesù, il cieco Bartimeo che vince, dice, “la dogana dei preti” per farsi sentire da Cristo, la donna emorroissa che “si ingegna” pur di toccarne il mantello e quella peccatrice che gli asciuga i piedi con i capelli – e ne trae questa conclusione:

“Sempre la misericordia è esagera, è eccessiva! Le persone più semplici, i peccatori, gli ammalati, gli indemoniati… sono immediatamente innalzati dal Signore, che li fa passare dall’esclusione alla piena inclusione, dalla distanza alla festa. E questo non si comprende se non è in chiave di speranza, in chiave apostolica e in chiave di chi ha ricevuto misericordia per dare a sua volta misericordia”.

GIUBILEO DEI SACERDOTI, SERVONO PRETI AMICI DELLA GENTE

Hanno troppo da fare, trascurano quella “pastorale del sagrato” che, alla fine, è decisiva. Dei sacerdoti ha parlato di recente l’assemblea generale della Conferenza episcopale italiana. Dal primo al 3 giugno, a Roma, si celebra il loro Giubileo. Presente papa Francesco.

Impiegato dello Spirito Santo? Professionista del sacro? «Sì, il rischio c’è», ammette don Domenico Dal Molin, che dirige l’Ufficio nazionale per la pastorale delle vocazioni della Cei: «Oggi sul prete grava un carico amministrativo eccessivo. I preti hanno troppo da fare, i parroci ancora di più. E a perdere di vista l’essenziale si fa in fretta». Per due giorni, a maggio, oltre 200 vescovi italiani hanno fatto il punto sulla formazione dei sacerdoti, su come rinnovarla, renderla più profonda e, soprattutto, su come immaginare un sacerdote più amico della gente. Papa Francesco ha aperto l’assemblea della Cei con un ragionamento che è partito da quanto Paolo VI scrisse esattamente 41 anni fa nella Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, della quale ha citato un brano in cui del prete si dice che deve essere “ministro del Vangelo”.

Sembrerebbe una cosa ovvia, ma non è così, perché gli impegni e un’agenda fittissima su ogni argomento sta trasformando il sacerdote in un uomo sussidiario che si occupa di tutto un po’ e fatica ad ascoltare le persone. La questione dell’agenda è stata sollevata proprio da Bergoglio, invitando a liberarsene, dando ragione ad Adriano Celentano che anni e anni fa si lamentava in una grandiosa canzone che all’oratorio non si trovava più neppure un prete per chiacchierare. Sorride don Dal Molin e spiega che di fronte ai rischi in Italia c’è più resistenza che altrove in Europa, ma «papa Francesco ha fatto bene a suonare la campanella». I vescovi italiani hanno convenuto sull’importanzadi una “selezione puntuale” dei candidati al sacerdozio e sulla “qualificazione degli educatori”.

I preti in Italia, oggi, sono circa 33 mila. Il saldo tra nuove ordinazioni e decessi è negativo, mentre gli abbandoni non hanno subìto impennate. L’emorragia delle vocazioni degli ultimi decenni del secolo scorso è stata fermata. Un problema è l’età media sempre più elevata, specialmente nel Norditalia,con relative fatiche: troppe Messe da celebrare, l’identità percepita come legata solo al culto, poco tempo per la preghiera e lo studio, pochissimo alla cosiddetta pastorale del sagrato, che poi, avvisa Dal Molin, «è quella che di solito fa la differenza». Decisiva è la formazione permanente, che deve essere intrecciata attorno a due aspetti: spirituale e culturale. E qui si apre un capitolo nonfacile.

Osserva Dal Molin: «La riflessione deve partire da un’analisi dei luoghi di selezione. Una volta il sacerdote maturava la vocazione nella comunità. La parrocchia contribuiva alla selezione, l’Azione cattolica e gli scout erano ottime palestre dove allenarsi a sentire la chiamata di Dio. Oggi quel bacino di utenza sta venendo meno.Molti nuovi sacerdoti si formano nei movimenti, dai neocatecumenali all’Opus Dei, mentre da Comunione e liberazione si vede un calo. Manca il respiro di una grande comunità, il respiro del territorio che sta accanto a chi sceglie e lo aiuta nello sforzo, senza nascondere nessun guaio. Un prete non può crescere in saldezza in un ambiente protetto». Ciò naturalmente non significa che le vocazioni maturate nei movimenti non siano altrettanto valide e preziose. Tuttavia qualche dubbio rimane: «Una vocazione che non si forma in una forte e costante, magari travagliata, esperienza comunitaria, va valutata con grande attenzione».

L’argomento è delicato e intreccia questioni spirituali e sociologiche. Ancora Dal Molin: «Siamo passati da una declinazione al plurale della vita del prete, il sacerdote sempre in piazza, a una forma forse troppo individualistica, che oggi purtroppo è molto diffusa tra le giovani generazioni di preti. Si mira alla vocazione come autorealizzazione di sé e la fine della vita in seminario è concepita come una liberazione che permette di tornare ai propri spazi». È l’altra faccia del problema: «Se si insiste troppo sul ruolo si finisce a fare i burocrati. Ma alla funzione positiva della comunità per la propria vita si deve essere allenati fin dal seminario, che oggi appare più un luogo conveniente di coabitazione che uno spazio comunitario di vita. In questo modo il prete non impara a essere uomo tra la gente».

L’ultima sfida sono le vocazioni adulte, per le quali in Italia vi sono anche seminari specifici. Osserva Dal Molin: «Dobbiamo stare molto attenti, perché si rischia di confondere la conversione con la vocazione. E anche qui notiamo che la mancanza di un cammino di base comunitario può essere causa di pesantezza e di autoreferenzialità». I laici sono fondamentali per una vita equilibrata del sacerdote. Ma anche in questo caso occorre prudenza da entrambe le parti: «Il prete non deve clericalizzarli per sentirsi più sereno e protetto e i laici devono resistere alla tentazione comoda di concepirsi come mezzi preti». I consigli sono semplici: «Ai giovani preti un po’ meno Facebook e qualche libro in più, e a tutti un segno, cioè la cura di avere sempre la chiesa aperta, anche materialmente, senza preoccuparsi degli arredi. Se avete cose preziose portatele al museo diocesano».

Famiglia Cristiana