Il testimone. Giovanni XXIII era per frère Roger «l’uomo più venerato sulla terra»

Nel nuovo volume sul Vaticano II di Ettore Malnati e Marco Roncalli frère Alois, priore di Taizé, ricorda il forte legame tra il fondatore della sua comunità e il Papa
Giovanni XXIII era per frère Roger «l'uomo più venerato sulla terra»

Un teologo e un saggista. Entrambi in larga familiarità con la storia del Vaticano II e del Pontefice che lo convocò. Sono Ettore Malnati (vicario episcopale per il laicato e la cultura della diocesi di Trieste) e il saggista e storico Marco Roncalli, autori di Giovanni XXIII. Il Vaticano II, un Concilio per il mondo (Bolis edizioni, pagine 160; 22 euro), che nell’arco di dodici capitoli, con ampi rimandi ai documenti originali, ripercorre l’intera vicenda conciliare durante il pontificato giovanneo, dall’ispirazione ai lavori, puntando l’attenzione naturalmente sui protagonisti e i problemi aperti nelle sessioni… insomma le opere e i giorni del “Magno Sinodo”. Il libro si apre con la prefazione di papa Francesco e la testimonianza di frère Alois di Taizé, che riportiamo quasi integralmente.

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Gli autori di questo libro mi hanno chiesto una presentazione e io sono onorato di farla. Perché? Il motivo principale è perché il santo pontefice Giovanni XXIII e il Concilio Vaticano II – che sono stati talmente determinanti per la Chiesa, per il suo sviluppo e il suo avvicinamento al mondo contemporaneo, per il suo cammino ecumenico – hanno anche segnato una svolta significativa per frère Roger e per la nostra Comunità di Taizé. Dunque sono riconoscente che mi sia stata offerta questa occasione per riaffermarlo e poterlo esprimere. Questo libro è frutto, che io trovo molto riuscito, della condivisione, fra loro e con i lettori, dei doni teologici e pastorali di monsignor Ettore Malnati di Trieste – che Papa Francesco l’anno scorso ha invitato a continuare «a vivere il suo sacerdozio con gioia ed entusiasmo, nel servizio del laicato e della cultura» e a «divulgare l’insegnamento dei Pontefici» – e delle competenze storiche e giornalistiche di Marco Roncalli, pronipote del Santo Padre che porta il cognome di questa famiglia benedetta, cresciuto alla scuola sapiente del vescovo e poi cardinale centenario Loris Francesco Capovilla, segretario particolare di Giovanni XXIII, che con lui ha scritto diverse opere. Pensando all’amicizia della nostra Comunità con la famiglia Roncalli, nata dopo la morte del pontefice, e con monsignor Capovilla, sono particolarmente contento di connotare queste righe anche come testimonianza della nostra relazione.

Marco Roncalli era ancora un ragazzino quando venne per la prima volta a Taizé, accompagnava suo nonno Giuseppe. Erano gli anni settanta quando Giuseppe (fratello di Papa Giovanni) fece visita alla nostra Comunità in due riprese con i membri della sua famiglia. Ed era già avanti negli anni. La prima volta osservò con grande attenzione tutti quelli che passavano sulla nostra collina, e rimarcò che i giovani – che cominciavano a venire numerosi a Taizé – erano alloggiati in maniera molto spartana. E una sera disse a suo nipote Fulgenzio alcune parole che sono rimaste per noi memorabili: «Quello che uscirà da Taizé è mio fratello, il Papa, che l’ha iniziato». Monsignor Malnati già da seminarista conobbe Taizé e vi si recava quasi ogni anno, venendo da Ars, per la preghiera della sera. Invitò per conto della diocesi di Trieste frère Roger per la Missione cittadina, ma purtroppo non fu possibile la sua presenza. Fu a Taizè per i funerali di frère Roger Questo libro è scritto in uno stile semplice ed è di agevole lettura. Non è una biografia di Giovanni XXIII, né una storia di tutto il Vaticano II, piuttosto è una narrazione avvincente e una ricostruzione attraente del modo in cui lo Spirito Santo ha posto nel cuore di un uomo e reso concrete, poco a poco, delle intuizioni che hanno portato al rinnovamento e alla trasformazione della Chiesa.

Queste intuizioni si sono sviluppate lentamente lungo la vita di un prete che si è tenuto umilmente alla scuola di Dio e nello stesso tempo ha aperto il suo spirito a tutti i suoi contemporanei. Un sacerdote che aveva studiato la storia della Chiesa, che sapeva quanto fossero stati importanti i concili. Aveva vissuto lunghi anni in Oriente, in Bulgaria, Turchia e Grecia, in contatto particolarmente con i cristiani ortodossi. Aveva acquisito delle esperienze diplomatiche e pastorali come nunzio a Parigi e infine come patriarca di Venezia. La decisione di annunciare un Concilio ecumenico fu un’ispirazione dello Spirito Santo che agì in lui appena divenuto Papa, come punto culminante di tutto il suo percorso. E fu così che il nuovo capo della Chiesa cattolica – anziano e considerato un Papa di transizione – in realtà stupì il mondo.

Colui che maggiormente si stupì fu senza dubbio il fondatore della nostra Comunità. Su richiesta del cardinale Gerlier, arcivescovo di Lione e buon amico di Taizé, Giovanni XXIII il 7 novembre 1958, già qualche giorno dopo l’incoronazione, ricevette frère Roger e frère Max Thurian. Il loro nomi sono in cima alla lista delle udienze private del nuovo Papa. Frère Roger fu completamente sorpreso di trovare un Papa spontaneo, gioioso, che batteva le mani per approvare ciò che Taizé intendeva come ecumenismo e appello alla riconciliazione. « Noi abbiamo avuto la certezza di essere amati, compresi. Giovanni XXIII impresse su di noi un segno indelebile. Ci permise di uscire dalla solitudine nella quale noi eravamo. Per lui si affacciava una nuova pri mavera sulla nostra Comunità». Così scrisse frère Roger. E perché il Papa settantasettenne fu così accogliente con un giovane priore? Il suo segretario monsignor Loris Capovilla ce l’avrebbe confidato cinquant’anni più tardi, quando, dopo la morte di frère Roger, desiderosi di incontrarlo, ci recammo numerosi a Sotto il Monte: «Frère Roger è stato il ragazzo Natanaele condotto da Filippo a Gesù che, vedutolo nell’intimo, lo amò con amore di predilezione ed esclamò “Ecco un ragazzo pulito”…» ( Vangelo secondo Giovanni 1,47). Sorpresa ancora più grande per frère Roger tre mesi dopo, nel gennaio 1959, quando, commentando l’annuncio del prossimo Concilio, Giovanni XXIII ne sottolineava la visione ecumenica e dichiarava in un discorso ai parroci di Roma: « Noi non faremo un processo storico, noi non cercheremo di sapere chi ha avuto torto o ragione; le responsabilità sono da ambo le parti; noi diremo solamente: riconciliamoci ». Sino alla fine della sua vita, mille volte frère Roger citò queste parole. È noto poi che anche degli osservatori non cattolici furono invitati al Concilio Ecumenico Vaticano II.

Fra questi anche frère Roger e frère Max. Inoltre c’è da dire che i due frères ogni anno furono ricevuti in udienza privata da Papa Roncalli. L’ultimo incontro con Giovanni XXIII ebbe luogo il 25 febbraio 1963. E colpì profondamente frère Roger: «Segnò esplicitamente per noi una svolta. A proposito del nostro posto nella Chiesa il Papa – facendo con le mani dei gesti circolari – affermò: “La Chiesa cattolica è fatta di cerchi concentrici sempre più grandi, sempre più grandi…”. In quale cerchio ci vedesse, Egli non lo ebbe a precisare. Ma fu allora che noi comprendemmo che per Lui noi eravamo all’interno di questi cerchi e che l’essenziale era già stato acquisito. Le sue parole ci hanno come inserito nella realtà della Chiesa. Nella situazione in cui si trovava la nostra Comunità, il Papa volle dirci: “Continuate sul cammino dove voi siete”». Queste parole di Giovanni XXIII hanno determinato tutto il cammino ulteriore di frère Roger.

Comprese così che, senza nulla rinnegare, senza alcun gesto di rottura con la sua famiglia confessionale di origine, poteva vivere nella comunione della Chiesa cattolica. Rivedendo in queste pagine gli anni di preparazione e poi la prima sessione del Concilio – la sola che Giovanni XXIII ha conosciuto prima della sua morte – si riesce a capire bene come il Papa abbia cercato di conciliare il suo ruolo di pastore universale e il rispetto per il pensiero e il lavoro dei vescovi. Egli volle risvegliare lo spirito conciliare nella Chiesa che allora alcuni consideravano come decaduto dopo la proclamazione dell’infallibilità pontificia (Concilio Vaticano I). Davvero volle invitare tutti i vescovi del mondo riuniti a Roma a una riflessione sul futuro della Chiesa. Li consultò, li ascoltò, lasciò ai vescovi e ai teologi la loro libertà di ricerca, intervenendo lui stesso quando necessario. Un esempio fra tutti è quello del progetto del documento conciliare sulle fonti della rivelazione a fine novembre 1962.

La votazione di una forte maggioranza dei padri fu negativa, ma il testo rimase nello stesso tempo all’ordine del giorno, perché per rigettarlo era necessario che la maggioranza fosse dei due terzi dei votanti. Alla fine il Papa con buon senso intervenne e chiese di fare una nuova redazione alla Commissione mista Sant’Uffizio e Segretariato per l’unità dei cristiani. È così che si è avuto il buon documento Dei Verbum che è conseguenza del buon senso di papa Giovanni. Uno degli aspetti interessanti del libro di Ettore Malnati e di Marco Roncalli è il costante riferimento, molto frequente, alle fonti dirette: alle pagine del diario personale del Santo Padre stesso, ma pure a quello di diversi protagonisti del Concilio, facendoci così conoscere le attese, le speranze, le inquietudini degli uni e degli altri. I lettori scopriranno o riscopriranno alcuni dei discorsi di Giovanni XXIII che hanno fortemente impressionato i suoi contemporanei (…) e avvertiranno l’eco di momenti difficili da dimenticare.

Come accadde nel mondo intero alla fine dell’ottobre del 1962 di fronte alla crisi di Cuba che avrebbe potuto trasformarsi in un conflitto nucleare e che l’intervento del Papa contribuì in grande misura a ricomporre. Questo fu il preludio dell’enciclica Pacem in terris alla vigilia della Pasqua del 1963, per certi versi il testamento del Papa poche settimane prima della sua morte. « La morte di Giovanni XXIII costituì per me una prova durissima » , disse frère Roger. E continuava: « In lui mi era stato dato un padre, un padre che amava ogni persona. Giovanni XXIII rimane l’uomo per me più venerato sulla terra. Senza rendersene conto ci ha fatto scoprire una parte del mistero della Chiesa. Egli aveva la passione della comunione. Noi abbiamo capito attraverso la sua vita che cosa significa il ministero di un pastore universale».

Dalla conciliarità risvegliata da Giovanni XXIII alla sinodalità promossa oggi da Papa Francesco vi è un percorso lineare che continua. Ecco perché questo libro appare ora. Infatti non ci offre soltanto uno sguardo storico, non richiama soltanto i sessant’anni dell’apertura del Concilio Vaticano II, porta così anche la sua pietra per la costruzione del cammino sinodale che è oggi nel pieno del suo sviluppo.

Avvenire

GIOVANNI XXIII E GIOVANNI PAOLO II ISCRITTI NELL’ALBO DEI SANTI

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Città del Vaticano, 27 aprile 2014 (VIS). Questa mattina, in Piazza San Pietro, mezzo milione di persone hanno assistito al rito della canonizzazione dei “due Papi Santi”: Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II e più di trecentomila persone hanno seguito la celebrazione sui maxischermi collocati in vari luoghi della città di Roma. Già dalle cinque di mattina, ora di apertura, la Piazza e le vie adiacenti erano gremite di pellegrini provenienti da tutto il mondo, fra i quali, quelli provenienti dalla Polonia, erano uno dei gruppi più numerosi. Erano presenti le delegazioni ufficiali di oltre 100 paesi, più di venti Capi di Stato e numerose personalità del mondo della politica e della cultura, fra cui, i Reali di Spagna, Re Juan Carlos e la Regina Sofia, il Re Alberto II e la Regina Paola del Belgio, il Principe Hans-Adam del Lichtenstein, il Granduca Enrico di Lussemburgo, l’ex Presidente della Repubblica di Polonia, Lech Walesa, il Presidente del Parlamento Argentino Julián Dominguez, il Presidente dell’Unione Europea, Hernan Van Rompuy e della Commissione Europea, José Manuel Barroso. Alla celebrazione hanno preso parte anche le due protagoniste dei miracoli di Giovanni Paolo II, Suor Adele Labianca e Floribeth Mora Díaz.

 

Il sorriso del beato Giovanni XXIII illumina ancora gli orizzonti cristiani

Il 3 giugno 1963 si spegneva Angelo Giuseppe Roncalli . A cinquat’anni dalla morte resta intatta la devozione per il pontefice di Sotto il Monte

DOMENICO AGASSO JR.
ROMA

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Angelo Giuseppe Roncalli nasce a Sotto il Monte (Bergamo) il 5 novembre 1881. È il quarto dei tredici figli dei contadini bergamaschi Giovanni Battista Roncalli e Marianna Mazzola. Entra a 11 anni nel Seminario minore di Bergamo: come altri bambini, messi lì prima di avvertire una vocazione, per strapparli all’ignoranza. Poi la vocazione si fa chiara e costante, fino al 10 agosto 1904, giorno della sua ordinazione sacerdotale a Roma. Per dieci anni, poi, don Roncalli è segretario del vescovo di Bergamo, mons. Giacomo Maria Radini-Tedeschi, fino alla sua morte nel 1914. Egli presta poi servizio militare nella prima guerra mondiale – come militare di Sanità e poi come cappellano – e al termine di quel conflitto lavora all’Opera per la Propagazione della Fede. Il pontefice Pio XI lo crea poi vescovo e lo invia come Visitatore apostolico in Bulgaria. Di qui egli passa poi in Turchia fino al 1944, allorchè papa Pio XII lo nomina nunzio apostolico in Francia, sul finire della seconda guerra mondiale. Nove anni dopo, eccolo patriarca di Venezia per cinque anni e mezzo, fino alla elezione a pontefice, il 28 ottobre 1958, col nome di Giovanni XXIII.

Incominciano quel giorno cinque anni di straordinarie novità per la Chiesa e per il mondo: a partire dal Concilio ecumenico Vaticano II, da lui annunciato il 25 gennaio 1959 e aperto l’11 ottobre 1962. (Sarebbe stato poi ripreso alla sua morte e concluso dal successore Paolo VI). Arrivato alla guida della Chiesa nel pieno della cosiddetta “guerra fredda” tra le democrazie occidentali e i Paesi del blocco comunista capeggiati dall’Unione Sovietica e dalla Repubblica popolare cinese, papa Giovanni XXIII ha scosso il mondo con la sua amabile ma fermissima ed energica negazione della “inellutabilità” di un conflitto tra blocchi contrapposti di potenze. E con una dottrina della pace contenuta nei grandi documenti suoi, come le encicliche Mater et magistra e Pacem in terris. In esse sono da lui indicati rispettivamente i compiti e gli stretti doveri della Chiesa cattolica nel mondo contemporaneo, e gli itinerari e le mete di natura politica e sociale che devono portare il mondo dalla “coesistenza” sempre precaria fra gli Stati, alla “convivenza” tra regimi avversi e tra etnie diverse. Giovanni XXIII non solo predica che tutto ciò si deve realizzare: annuncia pure serenamente che si può fare. Così la sua voce diventa la voce dell’umanità in uno dei momenti più pericolosi del XX secolo. L’enorme popolarità che lo circonda già da vivo deriva dalla singolare sua capacità di comunicare speranza a tutti. Di indicare le vie di una pace che non è soltanto assenza di conflitti armati, ma è soprattutto orientata sull’essere umano, da proteggere e salvare nella vita materiale e nella dignità sotto ogni cielo e ogni regime.

Giovanni XXIII muore il 3 giugno 1963.

Il 3 settembre 2000 è stato proclamato Beato in piazza San Pietro dal pontefice Giovanni Paolo II.

vaticaninsider