L’Italia e la Shoah

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Settimana News

In Olanda, è una realtà storica conosciuta e indagata, tanto che Primo Levi per elaborare il suo concetto di zona grigia – cioè di collaborazione delle vittime con i persecutori – ha studiato il neerlandese per leggere il libro di Jacob Presser “La notte dei girondini” ove si descrive la lotta per la vita ingenerata tra gli internati ebrei del campo di Westerbork.

Lo stesso storico ebreo Raul Hilberg ha sostenuto che uno sterminio di tali proporzioni non sarebbe mai stato possibile senza una collaborazione – diretta e indiretta – da parte delle vittime.

È un aspetto inquietante. Penso che Primo Levi abbia speso su questo delle parole insuperabili: non c’è tribunale umano che possa giudicare la lotta per la vita e ciò – a ben vedere – costituisce il peggior capo d’accusa nei confronti dei persecutori, ossia l’aver indotto al male anche le vittime.

Va detto, nel caso citato, che il notaio Arnold van den Bergh, membro del Consiglio ebraico di Amsterdam, non ha tradito singole persone – che peraltro non conosceva – ma ha fornito indirizzi risultanti dai registri: si è trattato di un’operazione impersonale nel tentativo di aver salva la vita, per sé e la sua propria famiglia.

In Italia il fenomeno della delazione tra ebrei ha avuto un’incidenza di gran lunga minore, perché di gran lunga inferiore, rispetto ad altre nazioni europee, è stato il numero degli ebrei arrestati.

  • Sono noti casi di collaborazione di ebrei italiani nei campi di concentramento?

È noto il caso dell’ebreo italiano Shlomo Venezia che ha scritto nel suo libro Sonderkommando Auschwitz di aver appunto fatto parte del Sonderkommando del campo di Auschwitz-Birkenau.

In questo caso la collaborazione era forzata, non volontaria. Il libro è stato pubblicato dapprima in Francia e poi in Italia nel 2007. Ci sono altre storie di ebrei italiani che sono stati costretti ad assumere la posizione di kapò nei campi, ma anche questo è un aspetto, in generale poco indagato pure perché la storia dei “colpevoli” è oggetto di ricerca da pochi anni.

La persecuzione degli ebrei in Italia
  • Si può parlare di Shoah in Italia?

Vanno ricordati i fatti essenziali. Sino alla svolta del 25 luglio del ’43, ossia sino all’arresto di Mussolini, il fascismo si era efficacemente adoperato ad applicare le sue leggi razziste del ’38 in tutti i settori pubblici e privati della società italiana. Le leggi razziste erano state fatte perché l’Italia potesse entrare a pieno titolo nel novero della nuova Europa di razza ariana, progettata da Hitler.

Il fascismo italiano avrebbe voluto entrarci senza arrivare a forme estreme di persecuzione degli ebrei. Peraltro – come sappiamo – neppure la Germania nazista aveva inizialmente previsto lo sterminio: la storia ci insegna che i tedeschi sono arrivati a decidere lo sterminio per tappe successive.

Si può quindi dire che in Italia viene messa in atto la persecuzione dei diritti degli ebrei, con provvedimenti amministrativi che hanno tolto loro la cittadinanza e tutto il resto: scuola, lavoro ecc.

Ricostruendo ora quella storia, è indubbio affermare che solo sulla base di quei provvedimenti amministrativi ha potuto, in buona misura, svilupparsi la successiva fase di deportazione e di sterminio al di fuori dell’Italia, cioè la persecuzione delle vite.

Prendiamo atto che – prima della svolta del ’43 – il governo fascista italiano ha difeso dalla deportazione gli ebrei italiani nei territori occupati da suo esercito e perfino nelle aree già occupate dall’alleato nazista.

Dopo il 25 luglio e dopo l’8 settembre, dopo l’arresto e poi la liberazione di Mussolini, si è costituito il nuovo governo fascista della Repubblica sociale di Salò (Rsi), con un’estensione territoriale che giungeva, inizialmente, sin poco sotto Roma, a fronte dell’avanzata delle forze Alleate occidentali dal sud.

È a quel punto che Mussolini individua un capro espiatorio che spieghi il suo fallimento e comincia a parlare del complotto ebraico-capitalista-internazionale. Ed è in quei mesi, che gli ebrei diventano decisamente il bersaglio dell’Italia del nuovo fascismo repubblicano: in quanto nemici della patria, gli ebrei andavano combattuti, arrestati, rinchiusi e deportati. Ciò ha consentito ai nazisti di procedere ai rastrellamenti e alle deportazioni – anche dall’Italia – per puntare ormai decisamente allo sterminio, alla Shoah, se vogliamo continuare ad usare questo termine.

  • Si può dire che l’Italia fascista abbia condiviso sino in fondo l’ideologia e il progetto geopolitico del nazismo?

Certo, si può dire. L’idea era quella della nuova Europa ariana in cui l’Italia avrebbe avuto il suo posto e i suoi territori di conquista.

Questa idea è stata presa così seriamente dalla Rsi che, quando sono iniziati, con acredine, i rastrellamenti degli ebrei in Italia, sono stati arrestati persino gli “ebrei cattolici”, perché la definizione prevalentemente “biologica” degli ebrei è risultata persino più rigida di quella della Germania nazista.

  • La responsabilità politica dello sterminio degli ebrei italiani va attribuita alla Repubblica sociale? 

Alla Repubblica sociale – sia pur non completamente autonoma rispetto alla Germania nazista – va attribuita la nuova organizzazione fascista e quindi la piena responsabilità della creazione, per esempio, dei luoghi di concentramento su tutto il territorio sotto il governo della Rsi.

Dai siti di concentramento provinciali, si è passati ai luoghi di raccolta nazionali: dapprima il campo di Fossoli di Carpi (Modena) e la risiera di San Sabba (Trieste), poi – dopo la chiusura del campo di Fossoli nell’agosto del ’44 -, il campo di Bolzano nel quartiere di Gries.

Con l’allestimento di questi campi è iniziata la deportazione sistematica degli ebrei dall’Italia verso Auschwitz-Birkenau, poiché gli ebrei occidentali erano destinati principalmente verso quel campo, divenuto a partire dal 1942 il principale campo di sterminio. Per riassumere, le prime azioni contro gli ebrei furono compiute dai nazisti, si pensi all’episodio del 16 ottobre 1943 a Roma, per fare un esempio. In seguito, gli arresti sono divenuti opera delle diverse polizie della Rsi.

I numeri
  • Quali sono state le proporzioni dello sterminio dall’Italia?

Si dice che la Repubblica sociale abbia governato per poco più di un anno e questo spieghi il numero inferiore di ebrei deportati dall’Italia, rispetto agli altri Paesi europei. Parliamo pur sempre di 8.625 persone, comprese quelle provenienti dalle isole Egee, sul totale di 48.656 ebrei, tra ebrei italiani, ebrei stranieri residenti o presenti in Italia e gli ebrei delle isole Egee occupate (circa duemila). Questi numeri significano una percentuale di deportazione che si aggira sul 19-20%, mentre in Olanda si può parlare, ad esempio, del 75%, oppure in Francia del 30-35%.

Io non concordo sulla tesi che in Italia ci sia stato poco tempo per procedere agli arresti e alla deportazione. Basti pensare che dall’Ungheria, nel giro di soli tre mesi, sono stati deportati, solo verso Auschwitz, circa 465.000 ebrei. Non è stato quindi il fattore tempo, a differenziare le sorti, bensì l’organizzazione dello Stato e soprattutto il rapporto degli ebrei con la popolazione italiana. Gli ebrei in Italia sono stati più capillarmente aiutati dalla popolazione, da alcune organizzazioni, ma anche da famiglie, dalle piccole comunità locali, da parrocchie e conventi. La maggior parte di loro sono stati nascosti e salvati.

Ritengo perciò enorme la responsabilità diretta della Repubblica sociale e delle sue polizie. Certamente questa è una responsabilità assunta da italiani, ma una parte minoritaria degli italiani.

Il numero ufficiale dei deportati è di 8.529. Io ho calcolato appunto 8.625 persone. Ma considero in 10.348 il numero complessivo di ebrei fortemente minacciato dalla scure della Repubblica sociale e della occupazione nazista.

  • Chi sono stati i criminali o persecutori italiani?

Tra i persecutori possiamo considerare anche figure del corpo dei carabinieri: una parte del corpo è entrata nella Resistenza, ma un’altra buona parte si è messa al servizio della Repubblica sociale.

Primo Levi ha consegnato alla nostra memoria il gesto del calcio ricevuto da un anonimo giovane carabiniere a Fossoli. Questi gli assestò un calcio perché si sbrigasse a salire sul carro merci che lo avrebbe condotto ad Auschwitz. Levi ha scritto di averlo guardato negli occhi e di avergli detto che avrebbe ricordato a lungo quel gesto.

Poi certamente bisogna dire dei diversi corpi di polizia della Rsi: le squadre d’azione, le brigate nere vere e proprie e i soldati della Xa MAS, e i corpi speciali di polizia, come la Banda Collotti a Trieste.

  • Quanto le figure dei persecutori italiani sono conosciute, studiate?

Il materiale a disposizione è scarso. Alcuni storici se ne sono occupati. C’è uno studio sui carnefici italiani e tedeschi nel campo di concentramento di Bolzano-Gries di Costantino di Sante.

C’è un altro studio dello storico romano Amedeo Osti Guerrazzi. Ci sono studi specifici su ufficiali italiani che non si sono limitati a servire le SS naziste. Ma non c’è molto. Queste figure non hanno lasciato diari e lettere delle loro gesta.

  • Quali tracce e memorie sono rimaste nei siti attivi della deportazione e dello sterminio dall’Italia?

Dopo le disposizioni riguardanti gli ebrei dettate dalla Repubblica italiana, come abbiamo detto, sono stati istituiti luoghi di concentramento un po’ in tutte le città in cui gli ebrei erano più presenti. Sono state adattate scuole, case di riposo e altri edifici di proprietà delle comunità ebraiche allo scopo. Di questi siti storici – usati temporaneamente come centri di raccolta o prigioni – è rimasto poco o nulla in ordine alla conservazione di questa specifica memoria, solo qualche lapide a ricordo.

Come ho detto, i campi o le principali tracce delle sedi di concentramento sono a Fossoli, nella risiera di San Sabba e a Bolzano-Gries.

A Fossoli sono stati eseguiti dei restauri che hanno fermato i crolli a cui anche il terremoto – che ha interessato la zona nel 2012 – ha contribuito. Tali restauri hanno inteso conservare e mostrare quello che c’era. C’è ad esempio una baracca completamente ricostruita: di per sé è un falso storico dichiarato, ma per mostrare appunto quello che c’era.

La risiera di San Sabba ha subìto – in tempi ormai più lontani – un restauro molto più pesante e perciò discutibile non solo con i criteri di oggi. È stato realizzato un restauro assai suggestivo ma che ha demolito buona parte di ciò che c’era al tempo della deportazione.

Ad esempio, c’è oggi una sala detta “sala delle croci” che è stata ottenuta con l’abbattimento di un pavimento, in maniera da evidenziare le colonne e le travi di legno a formare delle simboliche croci: ebbene quella sala è una di quelle in cui furono ammassati, in attesa della deportazione, tanti ebrei. La risiera non offre quindi un’immagine storica di quel che è stata. Vero è che attorno al sito si è lavorato con importanti studi, scritti di carattere scientifico e di grande pregio.

Per quanto riguarda Bolzano-Gries non c’è praticamente più nulla da vedere. Di fronte al muro – che deve essere stato il muro del campo – è stata posta una rotaia con un carro merci. Non c’è altro.

In definitiva, i segni della persecuzione e della deportazione operate dalla Repubblica sociale sono pochi. Ci sono lapidi un po’ dappertutto. Sono stati fatti libri importanti. Ma dal punto di vista rigorosamente museale è rimasto poco.

Siti della memoria e ricerca storica
  • Sono comunque visitati i siti italiani e ha valore farlo? 

Si è lavorato molto bene, sia a Fossoli che a Trieste, per rendere possibili e significative le visite. I siti si sono dotati di guide e di percorsi didattici ben delineati. Migliaia di studenti coi loro insegnanti – prima della pandemia – stavano visitando i siti italiani, sedi, peraltro, di importanti convegni. Ovviamente questo non era nulla di paragonabile a quanto avveniva presso il sito – divenuto simbolo – di Auschwitz, ove, prima della pandemia, andavano sino a 20.000-25.000 visitatori al giorno.

Certamente non posso che auspicare che si possa ritornare a visitare, numerosi, i siti italiani, così come quelli maggiori in Europa.

  • Quali opere culturali sono state espresse dall’Italia sull’Italia?

Ci sono canzoni italiane, musical, opere teatrali, film e naturalmente libri e romanzi su quanto avvenuto in Italia. Questa produzione è caratterizzata dal fatto che, per quanto ho detto, l’Italia non ha conosciuto direttamente lo sterminio come la Polonia, ad esempio.

I campi italiani di cui abbiamo parlato erano luoghi di transito per gli ebrei. Non ci fu in Italia un centro di sterminio. Ciò spiega perché le opere italiane sull’Italia siano più dedicate a singoli fatti e a singole figure piuttosto che a un sistema.

  • Qual è lo stato della ricerca storica italiana sulla persecuzione degli ebrei in Italia?

Sono collegato ad un portale di storici che rende conto delle ricerche che vengono prodotte ogni anno dalle università e dagli istituti di ricerca. Questo dice di un numero considerevole di lavori di ricerca anche in Italia. Ci sono professori che assegnano tesi importanti su storie locali. Ci sono giovani ricercatori molto impegnati. Questo è molto positivo perché le storie generali si possono costruire solo a partire da tante di queste ricerche locali.

Purtroppo, a questo sviluppo non corrisponde un’adeguata consapevolezza dell’importanza determinante della storia contemporanea nelle scuole e nella formazione dei giovani in genere. Certamente non bastano alcune pagine del manuale di storia e alcune ore spese per lo più attorno al Giorno della Memoria del 27 gennaio. Questo significa trascurare i significati profondi e i riflessi che questa storia ha sul presente.

  • Quale significato, per il presente, vuoi evidenziare?

Con Primo Levi dico che tutto ciò che è avvenuto è partito da una certa idea di xenofobia. Questa storia insegna che si è partiti dalla xenofobia e si è arrivati allo sterminio, all’eliminazione fisica di coloro che – secondo l’ideologia nazista e fascista – stavano inquinando le pure radici tradizionali dell’Europa.

Ora di xenofobia ne circola ancora tanta in Italia e in Europa: è tornata a visitarci con vigore. La paura dell’altro è ancora dietro ogni angolo. Ma ora abbiamo a disposizione strumenti di studio importanti che un tempo non c’erano. Tutti gli insegnanti e gli educatori dovrebbero senz’altro conoscerli e utilizzarli.

  • La ricerca storica della persecuzione degli ebrei in Italia ha subìto condizionamenti storici?

Certamente sulla ricostruzione storica di quanto avvenuto in Italia ha pesato il patto di normalizzazione del primo dopo-guerra, dai tempi di De Gasperi e Togliatti. Tale normalizzazione si era resa politicamente necessaria. L’Italia era uscita letteralmente in ginocchio dalla guerra. Ma ha evidentemente condizionato anche intellettuali del calibro di Cesare Pavese, Natalia Ginzburg, Elio Vittorini. Perché non hanno accolto il libro di Primo Levi in Einaudi nel 1947? Perché l’Italia di allora faceva molta fatica a riaccogliere i suoi reduci: i politici, i soldati, i lavoratori coatti e gli ebrei che erano sopravvissuti allo sterminio. Questo va detto chiaramente. È un’amara verità.

Ancora oggi si vorrebbe che il 27 gennaio portasse solo baci e abbracci nel ricordo della liberazione dei pochi sopravvissuti dal campo di Auschwitz: in realtà il ritorno da Auschwitz e dagli altri campi ha aggiunto alla vecchia disperazione una nuova disperazione. Quando le persone sono tornate, non hanno trovato spesso nessuno ad aspettarli e ad accoglierli, nessuno che avesse voglia di ascoltare i loro racconti, quand’anche avessero avuto la forza di farli. Quasi quasi i sopravvissuti sono stati accolti con fastidio.

Perciò, di fatto, in Italia, si è assistito a un condono generalizzato dei maggiori responsabili di quanto era accaduto. I militari inglesi avevano istruito processi contro i criminali, sia tedeschi che italiani in Italia, ma questi processi non hanno mai avuto seguito. Giustizia avrebbe voluto invece che le responsabilità fossero accertate e le condanne comminate, come è avvenuto in buona misura in Germania. Per questo non si può dire che l’Italia abbia ancora fatto bene i conti con questo suo passato.

La Chiesa italiana, gli ebrei, il fascismo
  • Nella Chiesa italiana si possono distinguere posizioni e comportamenti diversi rispetto alla persecuzione degli ebrei?

Penso che si possa distinguere tra una Chiesa del soccorso e una Chiesa istituzione politica, benché anche su questa io abbia più volte espresso un giudizio storico non negativo. Le Chiese locali – e soprattutto le piccole realtà locali – sono state molte attive nella protezione degli ebrei.

Gli stessi vescovi hanno preso parte al risveglio dal torpore e dal silenzio sul fascismo che ha per lo più regnato in Italia sino al ’43. Nella situazione di caos e di paura che ha seguito l’8 settembre, molti perseguitati politici, soldati in fuga ed ebrei hanno trovato aiuto e protezione negli ambienti della Chiesa e tra le persone mosse dal buon cuore.

Naturalmente ci sono state delle eccezioni. Cito qui in particolare il caso del vescovo austriaco Alois Hudal – già filonazista e critico del papa – che, dopo la guerra, dal Vaticano, si è impegnato moltissimo perché i gerarchi nazisti potessero riparare in Africa e in America Latina per sfuggire alla giustizia.

Lui pensava che questi potessero salvare le loro anime. Il mio giudizio storico sui criminali e anche su chi li ha protetti è chiaro: la loro responsabilità non può essere taciuta e resta imperdonabile, quanto meno davanti al tribunale degli uomini.

Giorno della memoria, Papa: ‘Una pagina nera della storia, non si ripeta più


“Penso ai genitori di fronte ai problemi dei figli”, “genitori che vedono orientamenti sessuali diversi nei figli: come gestire questo e accompagnare i figli e non nascondersi in un atteggiamento condannatorio”.

Lo ha detto il Papa nell’udienza generale.

“Mai condannare un figlio”, ha detto il Papa, nell’udienza generale, nella quale ha proseguito le catechesi su San Giuseppe e ha pregato in particolare per i genitori.

“Penso ai genitori di fronte ai problemi dei figli”, “figli ammalati, anche con malattie permanenti, quanto dolore”. “Ai genitori che vedono i figli che se ne vanno per una malattia”, “è triste”, ai genitori di “ragazzi che fanno delle ragazzate e finiscono in incidenti con la macchina”, “genitori che vedono i figli che non vanno avanti nella scuola”. Ci sono “tanti problemi dei genitori, pensiamo come aiutarli”. “A questi genitori dico: non spaventarti, c’è dolore, tanto” ma si può pregare, come ha fatto San Giuseppe, e chiedere l’aiuto di Dio. Il Pontefice ha ricordato quando era arcivescovo di Buenos Aires e provava “tanta tenerezza” quando “andavo nel bus e passavo davanti al carcere e c’era la coda delle persone che dovevano entrare per visitare i carcerati e c’erano le mamme lì e mi faceva tanta tenerezza”, “la mamma non lo lascia solo”. “E’ il coraggio delle mamme e dei papà che accompagnano i figli sempre”. “Chiediamo al Signore che dia questo coraggio”, ha concluso il Papa.

Al termine dell’udienza generale, Bergoglio ha invitato “a pregare per la pace in Ucraina, e a farlo spesso nel corso di questa giornata: chiediamo con insistenza al Signore che quella terra possa veder fiorire la fraternità e superare ferite, paure e divisioni”. “E’ un popolo che merita la pace”. “Le preghiere e le invocazioni che oggi si levano fino al cielo tocchino le menti e i cuori dei responsabili in terra, perché facciano prevalere il dialogo e il bene di tutti sia anteposto agli interessi di parte. Per favore mai la guerra!”. Preghiamo per la “riconciliazione e concordia”.

Il Papa ha ricordato che domani si celebra la Giornata internazionale della memoria delle vittime dell’Olocausto. “E’ necessario ricordare lo sterminio di milioni di ebrei e persone di diverse nazionalità e fedi religiose. Non deve più ripetersi questa indicibile crudeltà. Faccio appello a tutti, specialmente agli educatori e alle famiglie, perché favoriscano nelle nuove generazioni la consapevolezza di questo orrore, di questa pagina nera della storia. Essa non va dimenticata affinché si possa costruire un futuro dove la dignità umana non sia più calpestata”, ha sottolineato.

Il Papa oggi cammina a fatica e ha confidato ai fedeli, presenti all’udienza generale nell’Aula Paolo VI, di avere un problema al ginocchio. “Oggi non potrò andare fra voi per salutarvi perché ho un problema nella gamba destra: si è infiammato un legame del ginocchio ma scenderò e vi saluterò lì e voi passate per salutarmi. E’ una cosa passeggera”. Poi ha scherzato: “Dicono che questo viene solo ai vecchi e non so perché è arrivato a me”.

La foto. La storia di due non ebrei internati nel campo di Mauthausen

La storia di due non ebrei internati nel campo di Mauthausen

C’è una fotografia, oggi custodita nell’archivio del campo di Mauthausen, scattata il 30 luglio 1942 che ritrae Hans Bonarewitz mentre viene condotto al patibolo. Qualche settimana prima, Hans era riuscito a scappare dal campo nascondendosi in una cassa di legno; venne ripreso poco dopo e costretto a dormire in quella stessa cassa. Ora Bonarewitz, in piedi su un carretto con il corpo irrigidito per la paura, sta per venire portato tra due file di prigionieri verso il cappio che gli cingerà il collo. Hans non è ebreo, ma un Brauner, un austriaco gitano.

Tra i membri dell’orchestrina ritratta nella stessa foto, e che lo stesso comandante del campo, Franz Ziereis, ha voluto allestire per allietare le visite dei gerarchi e per commemorare gli anniversari del Terzo Reich, si intravede un uomo basso, in uniforme carceraria a righe bianche e azzurre, che suona la fisarmonica. È Wilhelm Heckmann, diplomato al conservatorio. Si esibiva in teatri e in concerti, ma nel 1937 venne internato prima a Dachau, poi a Mauthausen. Come Bonarewitz, anche Heckmann non è ebreo. È un Rosaroter, un omosessuale e per questo fu arrestato nonostante la sua famiglia fosse genuinamente nazionalista e simpatizzante del partito nazista. A differenza di Hans, Wilhelm si salverà dall’incubo concentrazionario, ma la foto in cui i due prigionieri sono ritratti mostra l’orrore e l’efferatezza raggiunta da un’ideologia che fece della purezza, non solo etnica, ma anche ‘etica’, un pilastro della propria dottrina.

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