Grandi film in prima serata su Tv2000

Persuasione (dal romanzo di Jane Austen)
Domenica 13 febbraio ore 21.20

Claret (Prima tv)
Lunedì 14 febbraio ore 21.10

Il figlio dell’altra (ciclo ‘Terre lontane’)
Giovedì 17 febbraio ore 21.10

Una prima serata tutta da vivere su Tv2000 con grandi film d’autore e registi internazionali. Questa settimana segnaliamo Persuasione (domenica 13 febbraio ore 21.20) per il ciclo di film dedicato alla scrittrice Jane Austen, figura di spicco della narrativa neoclassica, è una delle autrici più famose del panorama letterario del Regno Unito e mondiale.
Tratto dal romanzo del 1818 della scrittrice inglese Jane Austen, pubblicato postumo dal fratello e composto tra il 1815 e il 1816. La scrittrice inizierà a lavorare a questo romanzo immediatamente dopo aver finito Emma. È l’ultima opera completa scritta poco prima dell’aggravarsi della malattia di Addison che la porterà alla morte nel luglio del 1817.
Cast: con Sally Hawkins, Alice Krige, Rupert Penry-Jones, Anthony Head, Julia Davis, Michael Fenton Stevens, Mary Stockley, Peter Wight.
Tra le prime tv c’è invece Claret (lunedì 14 febbraio ore 21.10) film del regista spagnolo Pablo Moreno, in cui viene raccontata la vita straordinaria e la forza spirituale di Antonio María Claret, fondatore dell’ordine dei missionari claretiani ed eroe dei diritti umani.
E per il ciclo ‘Terre lontane’ da non perdere il film Il figlio dell’altra (Giovedì 17 febbraio ore 21.10). La regista francese Lorraine Lévy racconta uno scambio di identità già drammatico, acuito dal conflitto economico e religioso. In un territorio segnato dalla guerra, al confine tra Israele e Palestina, all’ombra del muro che separa Tel Aviv dai territori arabi della Cisgiordania, due neonati, uno ebreo e l’altro musulmano, vengono scambiati per errore alla nascita. Diventati ragazzi, vivono inconsapevolmente uno la vita dell’altro.

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Storie di madri e di vite carcerate

Il carcere apre le sue porte al cinema per raccontare, fra tanto dolore, anche la speranza, che sia la luce portata dalla nascita di un figlio, l’amicizia con un volontario, il rispetto umano fra una guardia e un condannato. Tutto questo si vede in questi giorni al Lido fra le pieghe più scintillanti del glamour che circonda la 78ª Mostra del Cinema di Venezia. Ad aprire la carrellata è stato ieri 107 madri, fortissimo docufilm del regista ungherese Peter Kerekes girato in presa diretta in un carcere femminile di Odessa in Ucraina. Centosette sono le madri carcerate che Kerekes ha intervistato e immortalato in un film che sembra un album fotografico, nitido, vero e umanissimo. Un film verità in cui donne che hanno commesso anche delitti atroci, raccontano le loro paure, il loro pentimento o la loro durezza, trovando un momento di riscatto e di libertà interiore nelle poche ore quotidiane concesse per stare con i loro bambini. Si segue in particolare la storia vera di Lesya (l’unico ruolo interpretato da un’attrice) condannata a 7 anni per aver ucciso il marito per gelosia. Ha appena partorito il suo primo figlio in carcere, e ora sta entrando un mondo popolato solo da donne: detenute, infermiere e guardiane, donne incinte e donne con bambini.

«La prima idea era quella di seguire la vita di una guardia carceraria – spiega il regista – . Poi ci siamo ritrovati ad incontrare centinaia di mamme e bambini, seguendo le loro giornate. Quest’esperienza mi ha cambiato la vita, non sono più lo stesso». Lo sguardo del film è quello di Irina che lavora come direttrice del carcere femminile. Lei è un guardiano, confidente, e amico, ma anche pubblico ufficiale incaricato di amministrare la pena. «Dall’altra parte di questo microcosmo vivono le madri e i loro figli – aggiunge Kerekes – . Le loro vite sono state distrutte. Hanno destini diversi e futuri incerti, ma l’unica cosa tenerle a galla sono le loro relazioni con i loro figli, qualche ora di beatitudine autorizzata ogni giorno. Ma c’è anche il dramma di cosa succederà a questi bambini quando avranno compiuto 3 anni, destinati in molti all’orfanotrofio. Abbiamo trascorso diversi anni con loro cercando di filmarle non come oggetti passivi, ma piuttosto come soggetti partecipanti».

Le guardie carcerarie sono anche al centro di Ariaferma di Leonardo Di Costanzo, girato nel carcere dismesso San Sebastiano di Sassari, che verrà presentato domani Fuori concorso e sarà nelle sale dal 14 ottobre. Un vecchio carcere ottocentesco è in dismissione. Per problemi burocratici i trasferimenti si bloccano e una dozzina di detenuti rimane, con pochi agenti, in attesa di nuove destinazioni. Toni Servillo è l’ispettore di Polizia Penitenziaria Gaetano Gargiulo, accanto a lui Silvio Orlando (i due attori recitano assieme per la prima volta). In un’atmosfera sospe- sa, le regole di separazione si allentano e tra gli uomini rimasti si intravedono nuove forme di relazioni. Come scrive il regista Di Costanzo questo è «un luogo immaginario, costruito dopo aver visitato molte carceri. Quasi ovunque abbiamo trovato grande disponibilità a parlare, a raccontarsi insieme agenti, direzione e qualche detenuto. Poi, tutti rientravano nei loro ruoli e gli uomini in divisa, chiavi in mano, riaccompagnavano nelle celle gli altri, i detenuti. Di fronte a questo drastico ritorno alla realtà, noi esterni avvertivamo spaesamento. Ariaferma è forse un film sull’assurdità del carcere ». L’umanità emerge anche in Rebibbia Lockdown nato da un’idea di Paola Severino con la regia di Fabio Cavalli che verrà presentato all’interno di Venice Production Bridge. Quattro universitari sono incaricati dalla Luiss Guido Carli di seguire i detenuti-studenti del carcere romano nel percorso universitario verso la laurea in Giurisprudenza. Il virus all’improvviso blocca ogni incontro. Nasce un fitto rapporto epistolare. Per mesi i ragazzi e i carcerati si svelano gli uni agli altri per i tortuosi sentieri del dolore, fra paure e speranze. Si incontreranno, infine, ragazzi e carcerati, nel luogo del sapere: l’aula universitaria di Rebibbia. La realtà del carcere di San Vittore a Milano sarà invece al centro di Exit, il docufilm diretto da Stefano Sgarella con Loris Fabiani, Daria Bignardi e Alessandro Castellucci che racconta le realtà del reparto La Nave di San Vittore e del Refettorio Ambrosiano di Milano. L’impegno del volontariato, la cultura, la musica e la bellezza come “chiave” per la libertà, il blocco traumatico causato dal Covid, la fiducia e la volontà della ripresa. Il tutto attraverso lo sguardo di Alex, un ragazzo che ha perso il fratello per una storia di droga e che al recupero di chi ha sbagliato non crede affatto, almeno all’inizio. Exit sarà presentato in anteprima a Venezia alle 11 del 9 settembre 2021, presso la sede della Fondazione Ente dello Spettacolo. Parteciperà in diretta streaming il ministro della Giustizia, Marta Cartabia.

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Dopo l’intenso docufilm “107 madri” dell’ungherese Kerekes, al Lido sbarcano altre pellicole ambientate nei penitenziari: da “Ariaferma” a “Rebibbia Lockdown”, fino al San Vittore di “Exit”

Una scena del film di fantascienza “Dune” diretto da Denis Villeneuve

Nella foto il docufilm “107 madri” del regista ungherese Peter Kerekes, presentato ieri alla Mostra di Venezia

PUNTO CNVF-SIR “Come un gatto in tangenziale 2”: una commedia brillante che indaga le fratture della società, con una bella pagina di Chiesa missionaria

Giovanni e Monica, atto secondo. La loro storia potrebbe essere benissimo una versione rivista e aggiornata ai nostri giorni di “Romeo e Giulietta” di William Shakespeare, dove le due fazioni familiari sono sostituite da steccati sociali, da fratture e pregiudizi sedimentati tra centro e periferia di Roma, metafora di un Paese stanco, arrabbiato, caotico, ma che sa trovare comunque la voglia di sorridere e sì di rialzarsi. Parliamo di “Come un gatto in tangenziale. Ritorno a Coccia di Morto”, commedia diretta da Riccardo Milani e interpretata da Paola Cortellesi (anche sceneggiatrice) e Antonio Albanese

Giovanni e Monica, atto secondo. La loro storia potrebbe essere benissimo una versione rivista e aggiornata ai nostri giorni di “Romeo e Giulietta” di William Shakespeare, dove le due fazioni familiari sono sostituite da steccati sociali, da fratture e pregiudizi sedimentati tra centro e periferia di Roma, metafora di un Paese stanco, arrabbiato, caotico, ma che sa trovare comunque la voglia di sorridere e sì di rialzarsi. Parliamo di “Come un gatto in tangenziale. Ritorno a Coccia di Morto”, commedia diretta da Riccardo Milani e interpretata da Paola Cortellesi (anche sceneggiatrice) e Antonio Albanese. È il riuscito seguito – chiariamolo subito, il sequel funziona, e anche molto! – di “Come un gatto in tangenziale”, film rivelazione nella stagione 2017-18 con 10milioni di euro al botteghino e il Nastro d’argento come miglior commedia. Ora a distanza di tre anni, resi ancora più lunghi dall’ingombrante presenza della pandemia,ritroviamo tutti i personaggi ma anche nuovi ingressi come don Davide, Luca Argentero, un prete di periferia che conquista tutti per la sua immediatezza e il suo essere espressione di quella Chiesa in uscita cara a papa Francesco.Ecco il punto Cnvf-Sir.

Cuori nella tempesta del Covid

Nel primo film abbiamo lasciato Giovanni (Albanese) e Monica (Cortellesi) seduti su una panchina al centro di Roma, emozionati e anche un po’ spaventati da quel loro amore inaspettato. Tre anni dopo l’amore purtroppo è “scoppiato”, o almeno così pare… Monica è finita erroneamente in prigione, messa nei guai dalle gemelle cleptomani Pamela e Sue Ellen (Alessandra e Valentina Giudicessa). Decisa ancora una volta a non arrendersi, la donna ricontatta Giovanni e gli chiede un aiuto, lui che ha un incarico politico così in vista. Nonostante i suoi fermi principi, Giovanni riesce a farle commutare la pena in lavori socialmente utili presso la parrocchia di don Davide (Argentero) a Roma. Sulle prime Monica si oppone, non si fida affatto di preti e suore, anzi li guarda con sospetto persino scaramantico.A contatto però con don Davide e la sua comunità di parrocchiani la donna scopre un confortante fermento di solidarietà, soprattutto in una periferie ancora più deragliata per via della pandemia.In tutto questo i sentimenti verso Giovanni non sembrano poi così dissolti; e anche per l’uomo a ben vedere ritrovarsi a contatto con l’urgano Monica, al di là dei continui problemi, gli fa assaporare il senso di una vita migliore…

L’istantanea di un Paese caotico ma solidale

“Monica e Giovanni sono, e continuano ad essere, due anime dello stesso Paese. Il nostro.E sono per me il modo di raccontare, attraverso il filtro popolare della commedia, da una parte l’amarezza nel vedere il mio Paese così spaccato, dall’altra il grande potenziale di condivisione e di senso della comunità che in esso vive e sopravvive, ed è lì pronto a esplodere anche più della rabbia sociale”. Sono le parole del regista Riccardo Milani che ben racchiudono il senso del film “Come un gatto in tangenziale. Ritorno a Coccia di Morto”, commedia che ci consegna un ritratto deformato, a tratti grottesco, del nostro presente, dell’Italia, un ritratto puntellato da furbizie, scorciatoie, indifferenza e pregiudizi diffusi. In questo scenario tragicomico, però, si colgono anche luminosi segnali di speranza, testimonianze di un’umanità pronta a rimboccarsi le maniche e a rimettersi in piedi in chiave solidale.

Tra gli ancoraggi sociali nella tempesta c’è anzitutto la Chiesa.

È lo stesso regista Milani ad affermarlo in conferenza stampa, cui si aggiunge la voce della protagonista Paola Cortellesi. Hanno indicato di aver avuto l’idea del sequel in primis visitando una parrocchia milanese, scoprendone l’attivismo verso la comunità, e poi registrando il grande impegno della Chiesa nel corso della pandemia, la sua immediata risposta missionaria. Così la storia di Giovanni e Monica si è spostata sul terreno di una parrocchia di periferia di Roma, un vero e proprio presidio di frontiera animato da un sacerdote fuori dal comune, don Davide, che Luca Argentero tratteggia con leggerezza e insieme spessore.

Don Davide si fa racconto di quella Chiesa che non abbandona il territorio, ma lo anima e lo sostiene, soprattutto nella difficoltà.È la Chiesa raccontata dagli spot dell’8xmille, solo che qui la cifra del racconto si irradia dei colori accesi della commedia che spesso sconfina nello sberleffo.Ma il messaggio è lo stesso, una Chiesa missionaria e solidale.

Cultura, avamposto che apre alla speranza

Altro elemento centrale nel film è la cultura: il bisogno di tornare a scommettere convintamente sulla cultura, balsamo per lenire gli strappi delle ingiustizie sociali e per lasciare filtrare il sogno del cambiamento, la presenza di quell’ascensore sociale ancora in funzione. È attraverso il personaggio di Giovanni/Albanese che questo messaggio trova eco nella storia. Per buona parte del film Giovanni è ridicolizzato, in primis da Monica, perché crede ancora che con la cultura ci si possa mangiare; lui dissipa ogni sua energia per convincere tutti del contrario, che di cultura ci si può campare benissimo, soprattutto in Italia, e che potrebbe essere la soluzione a tanti problemi atavici nelle nostre realtà.Toccante è poi lo sguardo di Monica/Cortellesi quando si accorge degli effetti benefici del teatro, della danza, del cinema o della poesia in quartieri abbandonati da tutto e tutti: è come assistere a una pioggia ristoratrice dopo un caldo torrido senza tregua.Tutto può cambiare, persino migliorare, in primis i rapporti umani.

Il valore della risata

Benedetta sia la commedia, soprattutto in tempi così elettrici e nuvolosi! Nella seconda estate al tempo del Covid, quando la luce in fondo al tunnel risulta ancora lontana, appare come un’oasi di spensieratezza il film “Come un gatto in tangenziale. Ritorno a Coccia di Morto”. Non si vuole amplificare il valore di un’opera, che di certo è buona e valida, ma il tempismo con cui esce in sala è assolutamente indovinato, pronto a travolgerci con una sana dose di umorismo leggero, leggerissimo, ma di senso.

I punti di forza del film.

Anzitutto la scrittura: una sceneggiatura compatta, dinamica, pur trattandosi di un seguito, attenta a cogliere lampi di realtà e a rielaborandoli però in chiave del tutto comico-grottesca. L’ironia a momenti è feroce, ma mai scollacciata, mantenendosi comunque nel solco di una narrazione brillante.Ancora, a imprimere forza al racconto sono i due capocomici Albanese e Cortellesi, che tratteggiano con simpatia e intensità gli innamorati tragicomici Giovanni e Monica;accanto a loro tengono bene il passo comprimari convincenti: Luca Argentero, Sonia Bergamasco, Claudio Amendola, Sarah Felberbaum, Mariano Rigillo e Angela Pagano, fino alle esilaranti gemelle Alessandra e Valentina Giudicessa.

Inoltre, nel racconto Milani e Cortellesi inseriscono anche gustose citazioni che rimandano a classici o cult della storia del cinema, ma ovviamente nel segno dello sberleffo: dallo “Shining” (1980) di Stanley Kubrick in chiave onirica al “Il settimo sigillo” (1957) di Ingmar Bergman, soprattutto per la celebre partita a scacchi con la morte: gli scacchi qui sono sostituiti da un mazzo di carte, il terreno di gioco è la “scopa”, e Monica/Cortellesi non teme nessuno!

In un umorismo che sposa l’alto e il basso, il colto e il popolare, “Come un gatto in tangenziale. Ritorno a Coccia di Morto” è una commedia brillante e godibile, che dal punto di vista pastorale risulta consigliabile, semplice e di certo adatta per dibattiti.

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Film in streaming da gustare sul divano in attesa del Natale

Come gestire la nostalgia per la sala cinematografica sotto Natale? È vero, i cinema sono ormai chiusi da un più di un mese causa pandemia, come del resto i musei e i teatri, ma le piattaforme streaming permettono di continuare a fare esperienza di buon cinema, così come di ottime serie Tv. Ecco allora quattro proposte appena rilasciate: il sorprendente “Mank” (2020, su Netflix) di David Fincher, viaggio alle origini del capolavoro hollywoodiano “Quarto potere” (“Citizen Kane”, 1941); l’incontro tra arte e fede nel documentario “Un luogo, una carezza” (2020, su VatiVision) di Marco Marcassoli dedicato alla cappella dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo; “L’incredibile storia dell’isola delle Rose” (2020, su Netflix), una colorata e frizzante istantanea dell’Italia del 1968 firmata Sydney Sibilia; infine, atmosfere zuccherose ma con un twist di ironia in “Fata madrina cercasi” (“Godmothered”, 2020, su Disney+) diretto da Sharon Maguire

Come gestire la nostalgia per la sala cinematografica sotto Natale? È vero, i cinema sono ormai chiusi da un più di un mese causa pandemia, come del resto i musei e i teatri, male piattaforme streaming permettono di continuare a fare esperienza di buon cinema, così come di ottime serie Tv.Ecco allora quattro proposte appena rilasciate: il sorprendente “Mank” (2020, su Netflix) di David Fincher, viaggio alle origini del capolavoro hollywoodiano “Quarto potere” (“Citizen Kane”, 1941); l’incontro tra arte e fede nel documentario “Un luogo, una carezza” (2020, su VatiVision) di Marco Marcassoli dedicato alla cappella dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo; “L’incredibile storia dell’isola delle Rose” (2020, su Netflix), una colorata e frizzante istantanea dell’Italia del 1968 firmata Sydney Sibilia; infine, atmosfere zuccherose ma con un twist di ironia in “Fata madrina cercasi” (“Godmothered”, 2020, su Disney+) diretto da Sharon Maguire. Il punto con la Commissione nazionale valutazione film della Cei (Cnvf) e il Sir.

 

“Mank” (Netflix)

È uno dei film più attesi della stagione, e a ben vedere un’opera che conferma in pieno le aspettative. Parliamo di “Mank” diretto dal geniale David Fincher – tra i suoi successi “Seven” (1995), “Panic Room” (2002) e “The Social Network” (2010) –, che porta sullo schermo una sceneggiatura scritta dal padre Jack Fincher, il racconto della genesi di uno dei film più importanti di Hollywood, “Quarto potere” (“Citizen Kane”, 1941) di Orson Welles, opera nata dalla penna di Herman J. Mankiewicz.Accostarsi al mito di “Quarto potere” non è di certo impresa facile, un’opera che costituisce di fatto un saggio sociologico sul rapporto uomo-potere, media-politica, ma anche un manuale di storia del linguaggio cinematografico.Sfogliando il testo “Manuale del film” di Rondolino-Tomasi, il film di Welles viene citato diffusamente, per spiegare ad esempio il rapporto ambiente-figura (il comizio elettorale di Kane) oppure il montaggio ellittico (il rapporto di Kane con la prima moglie).
Fincher si getta dunque nell’operazione “ricordo” in maniera quasi “dissacrante”, ovvero ribaltando la prospettiva del racconto da Orson Welles a Herman Mankiewicz. “Mank” è infatti una ricostruzione, con uso suggestivo ed elegante del bianco e nero, di come è nato quel film, commissionato a uno degli sceneggiatori più richiesti e tra i più difficili del tempo, Herman Mankiewicz, detto appunto Mank. Un copione nato durante la convalescenza di Mank a seguito di un incidente, sotto le pressioni del giovane prodigio radiofonico Orson Welles desideroso di debuttare al cinema. A influenzare il genio creativo dello sceneggiatore, spesso sotto effetto di alcolici, è anche il mondo circostante di Hollywood, la lotta dentro e fuori gli Studios a cominciare dall’imponente Mgm, guidata dal temibile Louis B. Mayer; e ancora sempre sfondo, ma mai marginale, la controversa figura del magnate dell’editoria con velleità politiche William Randolph Hearst.
Fincher racconta quindi in “Mank” la Hollywood di ieri, tra produzioni, eccessi e strascichi della Grande depressione, insieme alla conflittualità tra due Autori con la maiuscola, ossia Welles e Mankiewicz.Il film è intenso, serrato, dai dialoghi densi e raffinati – e non sempre facili da seguire nei vari giochi di rimandi e citazioni –, sostenuto da una regia assolutamente presente e vigorosa.A suggellare il tutto è la bravura recitativa di Gary Oldman (già Oscar nel 2018 per il ruolo di Winston Churchill in “Darkest Hour”), che domina la scena e fa scomparire tutti gli altri (ottimi) interpreti: Oldman sagoma il personaggio di Mankiewicz con una gestualità meticolosa e un trasporto sorprendente. Da applauso! Nell’insieme, dal punto di vista pastorale il film “Mank” è da valutare come consigliabile, problematico e adatto per dibattiti (per i minori la visione è consigliata insieme a un genitore o educatore).

“Un luogo, una carezza” (VatiVision)
Una bella sorpresa è il documentario che la piattaforma VatiVision programma per l’Avvento. Si tratta di “Un luogo, una carezza” di Marco Marcassoli, opera che ricostruisce la cordata di artisti che si è costituita per dare forma alla nuova chiesa dell’ospedale Giovanni XXIII di Bergamo. Su tutti l’artista internazionale Andrea Mastrovito – insieme a lui Stefano Arienti, Lino Reduzzi e Pippo Traversi –, che ha risposto alla chiama del progetto sia mosso dalla sfida di creare un singolare habitus per il luogo religioso, sia come testimonianza per la sua terra, per le sue radici bergamasche. La realizzazione della chiesa è meravigliosa, e il documentario di Marcassoli ben rende questo percorso artistico.Un doc di cui si rimane quindi non poco affascinati, non tanto per lo stile di regia, che di fatto gioca in sottrazione, bensì per lo svelamento della fasi realizzative, per la capacità di rimarcare le “singole note” della “partitura”.Inoltre, “Un luogo, una carezza” viene proposto in un momento in cui la città di Bergamo è associata al volto di un’Italia sfiancata dalla pandemia; e sapere poi che questa chiesa è inserita nel tessuto di edifici dell’ospedale intitolato alla memoria di papa Giovanni rende la visione ancor più densa di emozioni. È un film di certo semplice, lineare, ma che si carica di un potente significato aggiuntivo: una contro-narrazione al dolore, alla disperazione, all’immagine di quei carri militari pieni di bare visti nella primavera scorsa. È l’immagine di un luogo di conforto e riconciliazione, dove non manca mai la luce della Speranza. Dal punto di vista pastorale “Un luogo, una carezza” è da valutare come consigliabile, semplice e adatto per dibattiti.

“L’incredibile storia dell’isola delle Rose” (Netflix)
Dopo la trilogia “Smetto quando voglio” (2014-17) il regista Sydney Sibilia e il produttore Matteo Rovere tornano a lavorare insieme nel film “L’incredibile storia dell’isola delle Rose” sotto la bandiera Netflix. Tratto da una vicenda vera, nell’Italia a cavallo tra il 1968 e il 1969, il film racconta il genio e l’azzardo utopistico dell’ingegnere Giorgio Rosa (Elio Germano) che progetta e costruisce una palafitta abitabile a largo di Rimini, fuori dalle acque territoriali dell’Italia. Lì, in quella che viene chiamata l’Isola delle Rose, nasce il sogno di un vero e proprio Stato indipendente. E per diverse settimane questo Stato esiste e fa rumore, non poco rumore, a livello politico-sociale, con una richiesta di riconoscimento persino dall’Europa. Il film racconta dunque questo desiderio di libertà sulla spinta del clima sessantottino, con le resistenze della politica del tempo, del governo guidato da Giovanni Leone (Luca Zingaretti).Il regista Sibilia disegna un film colorato, frizzante, con una bella atmosfera sull’Italia sulla soglia del cambiamento, gli anni ’70; a ben vedere però la narrazione non sempre risulta compatta, rischiando di inciampare in raccordi sbrigativi o superficiali.Elio Germano si conferma una garanzia. Dal punto di vista pastorale il film “L’incredibile storia dell’isola delle Rose” è da valutare come consigliabile, problematico e adatto per dibattiti.

“Fata madrina cercasi” (Disney+)

Se vi è piaciuto “Come d’incanto” (“Enchanted”, 2007) di Kevin Lima con Amy Adams e Patrick Dempsey, allora “Fata madrina cercasi” (“Godmothered”, 2020) di Sharon Maguire non deluderà. Una rilettura del mondo delle fiabe in chiave (quasi) realistica, zuccherosa ma anche simpaticamente irriverente, con un riuscito duetto comico tra le attrici Jillian Bell e Isla Fisher. Il film targato Disney racconta il bisogno di mantenere vivi i sogni di infanzia anche da adulti, non facendosi sopraffare da delusioni, dolori o smarrimenti.Un film, forte del clima del Natale, che si traduce in un invito a custodire le relazioni familiari, a riempire quei silenzi generati dalla frenesia della quotidianità odierna.Si tratta di un perfetto “feel-good movie” adatto a una visione in famiglia. Dal punto di vista pastorale “Fata madrina cercasi” è da valutare come consigliabile, semplice e adatto per dibattiti.

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La proposta. L’Avvento con i film: quattro titoli per quattro domeniche

Una selezione da guardare a casa: i suggerimenti nel nuovo sussidio della Commissione valutazione film della Cei
Sophia Loren in "La vita davanti a sé"

Sophia Loren in “La vita davanti a sé” – .

avvenire

Il sussidio della Commissione nazionale valutazione film della Cei Sguardi d’Avvento verso il Natale è strutturato in quattro tappe, legate ai Vangeli delle quattro domeniche di Avvento. Ogni settimana viene proposto un film con una scheda che lo approfondisce secondo una studiata articolazione. Anzitutto c’è un richiamo al Vangelo di Marco, al quale segue una suggestione di papa Francesco con una citazione breve quanto il testo di un tweet. La scheda prevede anche una parola chiave che ci porta nelle pieghe del commento pastorale della domenica. Cuore della scheda è lo skyline, o sfondo cinematografico, il momento cioè in cui si offrono le chiavi di accesso al film proposto, elementi utili per cogliere i vari richiami pastorali ed educativi (ogni film è anche trattato in maniera più estesa dalla Commissione film Cei nella scheda di valutazione pastorale disponibile sul sito Cnvf.it). In ultimo, un secondo consiglio di visione attraverso un titolo con maggiori potenzialità aggregative e dall’indubbio respiro familiare, scelto tra gli scaffali della storia del cinema.

Un Natale senza dubbio diverso, ma comunque possibile. In un’Italia dove ancora imperversa la tempesta del coronavirus siamo entrati nel tempo dell’Avvento. Un cammino scandito da quattro domeniche, da quattro tappe, che ci conducono al Natale, all’incontro con la speranza che si rinnova nella nascita di Gesù. In un momento in cui anche gli stimoli culturali e aggregativi sono inevitabilmente ridotti, con cinema, teatri e musei chiusi, la Commissione nazionale valutazione film (Cnvf), espressione dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Cei, ha deciso di proporre un cammino cinematografico “differente” per questo Avvento, un modo per accostarsi al Natale attraverso una selezione di film da recuperare in ambito domestico semplicemente accendendo un computer, una smart-tv, un tablet oppure uno smartphone.

Si tratta del sussidio pastorale Sguardi d’Avvento verso il Natale (gratuito e scaricabile dai siti Cnvf.it o Comunicazionisociali.chiesacattolica.it oppure QUI), che ci aiuta a meditare sui Vangeli delle quattro domeniche di Avvento attraverso altrettante parole chiave: nostalgia, memoria, ricerca e incontro. A esse sono stati associati quattro titoli attuali, reperibili sulle piattaforme streaming: Tutto il mondo fuori (2020, su VatiVision) di Ignazio Oliva con la collaborazione di don Marco Pozza; La vita davanti a sé (2020, su Netflix) di Edoardo Ponti con Sophia Loren; L’altro volto della speranza (2017, su RaiPlay) di Aki Kaurismäki; e Bar Giuseppe (2020, su RaiPlay) di Giulio Base.

Curato da don Andrea Verdecchia, direttore dell’Ufficio comunicazioni della diocesi di Fermo e membro della Commissione film Cei, il sussidio permette di scandagliare la realtà odierna attraverso istantanee di un’umanità in affanno ma anche desiderosa di riscatto. «Un modo per accostarci al Natale stando più prossimi alla realtà – sottolinea Massimo Giraldi, presidente della Cnvf – e nel contempo nelle pieghe del Vangelo».

Si tratta dunque di un ciclo di visioni pronto a fornire occasioni di riflessione e dialogo per operatori pastorali e della comunicazione, educatori, catechisti e famiglie facendo i conti con un clima sociale difficile al tempo del Covid-19 ma anche con un diffuso spirito di resilienza. Come ricorda Vincenzo Corrado, direttore dell’Ufficio Cei, «dobbiamo provare a recuperare uno sguardo che sappia andare oltre l’emozione del momento e superare l’emergenza del tempo presente, per scorgere ancora una volta la stella».A questi lampi di realtà e di un’umanità stretta nelle fatiche del quotidiano, ma motivata da un desiderio di riconciliazione e di domani, il sussidio della Cnvf abbina anche alcuni grandi classici della storia del cinema e opere di anni più recenti accolte da ampio consenso. Un modo per allargare il campo della visione e coinvolgere tutti i componenti della famiglia, piccoli inclusi.

Ecco allora che a ogni tappa viene abbinato un secondo titolo da approfondire: si va da La vita è meravigliosa («It’s a Wonderful Life», 1946), di Frank Capra, a Tutti insieme appassionatamente («The Sound of Music», 1965), di Robert Wise, dal cartoon Disney-Pixar Up (2009), di Pete Docter, fino al più recente Nativity («The Nativity Story», 2006), di Catherine Hardwicke.

Sguardi cinematografici di oggi e di ieri, quindi, pensati per tutta la comunità come un’occasione per abitare al meglio lo spirito dell’Avvento, alternando lampi di cronaca a immagini di tenerezza e oscillando dalla favola “laica” sul Natale allo sguardo ravvicinato sul vero Natale: quello illuminato dalla Luce di speranza.

Segretario Commissione nazionale valutazione film della Cei

Festival di Venezia. Cinema, il regista Rau: «La Passione con i migranti»

Il regista svizzero presenta “Il Nuovo Vangelo”: «Quando Matera mi ha chiesto qualcosa per la città ho pensato a un film su Gesù che coinvolgesse gli esclusi dalla società»
Una sequenza del film di Milo Rau "Il Nuovo Vangelo", girato a Matera

Una sequenza del film di Milo Rau “Il Nuovo Vangelo”, girato a Matera – .

Che cosa predicherebbe Gesù oggi? Chi sarebbero i suoi discepoli? Cos’è rimasto del messaggio di salvezza di Gesù nell’epoca dello sfruttamento globale? Ambientato nella città di Matera, dove Pier Paolo Pasolini e Mel Gibson hanno girato i loro capolavori sulla vita di Cristo, il regista e drammaturgo svizzero Milo Rau, uno dei più importanti artisti del teatro internazionale, è tornato alle origini del Vangelo e ne ha reso protagonisti i rifugiati sfruttati nelle campagne del Sud. Sono loro gli apostoli del film Il Nuovo Vangelo, che ha per la prima volta per protagonista un Gesù nero, l’attivista e scrittore camerunense Yvan Sagnet.

Il film verrà presentato domenica come Evento Speciale alle Giornate degli Autori al Lido e uscirà nelle sale il 24 dicembre. Il lavoro sposa il Nuovo Testamento e la crisi dei rifugiati in Europa, mostrando l’eterna attualità della figura del Cristo. I passi della Bibbia, narrati dalla voce evocativa di Vinicio Capossela che cura anche i brani del film, si alternano alle immagini di cronaca della Rivolta della Dignità, una vera campagna politica per i diritti dei migranti giunti in Europa avvenuta nel 2019 nel materano. Milo Rau ha filmato le dignitose proteste dei rifugiati costretti a lavorare come schiavi nei campi di pomodori della Basilicata e a dormire in condizioni disumane nei ghetti e ne ha fatto i protagonisti, con i loro volti vissuti e bellissimi, di una “sacra rappresentazione” capace di toccare i cuori.

Il nuovo progetto nasce grazie a Matera Capitale della Cultura 2019, come spiega il regista in anteprima ad “Avvenire”. «È da 20 anni che mi occupo delle contraddizioni dell’economia globale – spiega Rau –. Quando da Matera mi è stato chiesto di mettere in scena qualcosa per la città ho pensato a un nuovo film su Gesù con l’obiettivo di preservare lo spirito originario della storia rappresentata dalla Passione coinvolgendo gli esclusi dalla società, i poveri, i disoccupati, i reietti, i rifugiati. La nostra Maddalena è una vera prostituta».

Protagonista il primo Gesù nero del cinema europeo, il carismatico Yvan Sagnet che nel 2011 ha guidato il primo sciopero dei braccianti agricoli migranti nell’Italia meridionale. «Proprio come Gesù, “pescatore di uomini”, così Yvan è andato in cerca del suo gruppo di apostoli nei più grandi campi profughi italiani ed è lì che ha trovato i suoi discepoli», aggiunge il regista. Il quale nelle immagini mette in parallelo la figura del sindacalista che manifesta in piazza a un Gesù “rivoluzionario”, capace di dare una speranza agli oppressi che lo seguono. Nelle scene in abiti storici fra i Sassi, recitano fianco a fianco i migranti, i piccoli agricoltori in fallimento a causa delle multinazionali e i cittadini di Matera entusiasti (lo stesso sindaco, Raffaello De Ruggieri, veste i panni del Cireneo).

La chicca sono gli attori: oltre a Marcello Fonte nel ruolo di Pilato, appaiono Enrique Irazoqui, il celebre Gesù del Vangelo secondo Matteo di Pasolini che interpreta Giovanni Battista, e Maia Morgenstern, la Maria della Passione di Mel Gibson, nel ruolo della Madonna. «È fondamentale la scena dove il primo Gesù, lo spagnolo Irazoqui, battezza il primo Gesù nero – aggiunge il regista –. E quando Gesù viene frustato, è il corpo dei neri di oggi ad essere torturato».

«Chiunque lotti per la propria dignità e benessere, lotta per la dignità e il benessere di tutti gli esseri umani. E questo è un modo per comprendere i Vangeli anche sul piano religioso – aggiunge il protagonista Sagnet –. Con Il Nuovo Vangelo torniamo alle origini storiche della figura di Gesù: qualcuno che sosteneva la sua gente, che agiva contro l’ingiustizia. È il nostro modo per essere cristiani oggi, per rendere davvero concrete le parole di Gesù. E questo è per me, come cristiano, particolarmente importante per unire la mia fede con il mio profondo credo politico». Ma un riscatto e una “resurrezione” sono possibili. «Come si vede alla fine del film, è stata fondata la prima “Casa della Dignità” nei dintorni di Matera: un luogo dove alcuni protagonisti del film possono adesso vivere con dignità e nell’autodeterminazione. E tutto questo col sostegno della Chiesa cattolica» aggiunge il regista che ringrazia anche l’arcivescovo Giuseppe Caiazzo e don Antonio per il sostegno al film. Il 22 gennaio scorso, infatti, a Serra Marina di Bernalda, l’arcidiocesi di Matera-Irsina e la Caritas diocesana hanno inaugurato Casa Betania, la Casa della Dignità, struttura acquistata dall’arcidiocesi grazie ai finanziamenti 8xmille concessi dalla Cei e dalla Caritas italiana. Rau considera il suo film «un manifesto per le vittime della cosiddetta “economia di libero scambio”, quella stessa economia “che uccide” come ha scritto papa Francesco. Gli abbiamo mandato una copia del film, e sarei veramente felice di sapere cosa ne pensa».

Avvenire