Una marca di chips ambienta il suo grottesco trailer in un convento e finisce per ironizzare persino sulla Sacra Particola senza alcun rispetto per i credenti

«La pubblicità è una grande fabbrica di sogni per la nostra società», teorizzava anni fa il novantenne Jacques Seguela, tra i creativi pubblicitari più famosi al mondo. E Federico Fellini, uno dei più grandi maestri del nostro cinema confidava: «Per me la pubblicità è la cosa che risveglia la mia curiosità la mattina». La china presa dagli spot odierni però va in tutt’altra direzione al trasformare con l’immaginario la banalità di un acquisto quotidiano si preferisce far parlare del brand con la provocazione, la volgarità, il gergo e le allusioni scorrette, se non offensive. A ciascuno di questi spot sguaiati si spera che si sia toccato il fondo ma non è così. Lo prova quello mandato in onda per la prima volta in questi giorni di una marca di patatine (la non citazione del brand è voluta per non fare il gioco di chi l’ha ideato), già nota per aver subito nel 2006 la censura dell’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria per una “creazione” con pesanti allusioni sessuali snocciolate dal testimonial Rocco Siffredi e una squallida conclusione: «Fidatevi di uno che le ha provate tutte». Questa volta però alla volgarità e al pessimo gusto si unisce anche la totale mancanza di rispetto per il credo religioso della maggior parte degli italiani (secondo i dati Ipsos nel 2023 il 61% degli italiani, pari a circa 35 milioni di persone, si dichiarava cattolico).

Ebbene lo spot realizzato dall’Agenzia Lorenzo Marini Group, con tanto di sottofondo dell’Ave Maria di Schubert, è ambientato in un convento. Dal chiostro si passa all’altare della cappella in cui una suora, piuttosto in carne, si accorge che sono finite le particole. La scena successiva è il sacerdote che dà la Comunione a un’altra religiosa, snella e compunta, ma lo sguardo di quest’ultima e quello del sacerdote s’incrociano attoniti per lo scrocchiante suono emesso da quest’ultima nel masticare la “particola”. In realtà, si tratta di una patatina della solita marca e lo rivela la zoomata finale sulla pisside e poi sulla suora rubiconda che acquattata in un angolo della cappella mangia direttamente dal sacchetto, durante la Messa.

Per un credente l’Eucarestia è l’incontro col Cristo, il partecipare al sacrificio d’amore che ha voluto eternare per la salvezza dell’umanità, forse il momento più sacro e alto della fede cattolica, come si può tollerare che venga irriso e vilipeso in un canovaccio del genere? Si può certamente non aderire a un credo, ma altra cosa è lasciarsi andare al vilipendio in nome del dio denaro. Si spera vivamente in un nuovo immediato intervento dell’Istituto di Autodisciplina. Una volta per invogliare all’acquisto di pannolini o detersivi si inventavano buffi personaggi, ippopotami, calimeri, susanne, oggi si punta sulle sconcezze e persino sulle bestemmie, è ora di mettere un argine.

famigliacristiana.it

Tra ‘Corpus Domini’ e festa del ‘Sacro Cuore’: cosa dicono a noi, oggi, queste feste?

In questi giorni la liturgia ci fa attraversare due feste un po’ particolari, a prima vista difficili da decifrare e quasi appartenenti ad un tempo e forse una fede diversi: la festa del ‘Corpus Domini’ (il pane consacrato, segno vivo e reale dell’Eucaristia celebrata) e la festa del ‘Sacro cuore di Gesù’ (da cui sgorgano “sangue e acqua”, sulla croce).
Se oltrepassiamo il linguaggio, anzi in realtà se ci entriamo dentro, scopriamo che la realtà di queste due feste è profondamente antropologica: l’esperienza cristiana – che trae origine da un mistero di incarnazione – non si accontenta di offrire parole e riti, sguardi al Cielo e gesti ‘sacri’, ma si contamina con la verità della nostra esistenza. E noi siamo fatti di carne, sangue, cuore, cibo che ci alimenta e che diviene segno profondo di condivisione e di cura, di dono ricevuto e offerto.

Il fatto di trovare – al principio della nostra via spirituale – il gesto di Cristo che prende se stesso, totalmente, e si fa pane (e vino) buono per la nostra esistenza, che ama al punto da consumarsi, da non tenere più niente per sé, e che – ogni volta che ci ritroviamo nel suo nome – spezza l’eternità di Dio nelle briciole della nostra finitezza, ci aiuta a non cadere nell’inganno di pensare che la fede sia anzitutto un esercizio di virtù, un coraggio nel compiere gesti ‘che Dio vuole’, una volontà che si piega e sottostà a Qualcuno che percepisco sopra di me, confusamente, impersonalmente.

Al principio sta l’obbedienza: non quella intellettuale o meccanica, ma quella dell’essere amati, chiamati, convocati. L’obbedienza del non aver scelto ma dell’essere stati scelti. L’obbedienza di trovare un dono che ci precede, un cibo che ci nutre e pretende di essere essenziale, necessario.
In questa obbedienza, in questo essere sopresi dall’Amore che Gesù ci mostra, intuiamo la profondità dell’animo di Dio, che si riversa nell’animo di suo Figlio, che ci inonda del dono dello Spirito. Il cuore di Gesù non è la sede dei buoni sentimenti, ma delle decisioni, della libertà che si radica e porta frutto, della passione che si apre al dolore e alla fragilità degli esseri umani e non si fa travolgere, ma con umiltà si mette a servizio.

Il discepolo guarda Gesù, le mani che accarezzano, guariscono, consolano; che spezzano il pane e versano il vino, che vengono inchiodate. E vede il cuore del Figlio dell’Uomo che lo chiama ad avere un cuore grande, non impaurito, non blindato, non ‘sclerotico’.
Come leggiamo nell’enciclica Deus Caritas est: “Tutta l’attività della Chiesa è espressione di un amore che cerca il bene integrale dell’uomo”. Non è un programma aziendale, ma un’esigenza, un’urgenza. È essere stati trasformati e non potersi sottrarre alla Parola che ci invia. È carne, sangue, cuore. È sovrabbondanza di vita.

Siamo, con te, Maestro,
come i discepoli in cammino verso Emmaus,
in cammino sui sentieri della storia.
Ci fai scoprire il senso vero del nostro vivere,
ci inviti a restare con te per scoprirti come amore che si dona.
Ti cerchiamo Maestro,
vorremmo incontrarti nelle piccole cose della nostra vita,
raggiungerti tutte quelle volte in cui ci sembri lontano.
Noi ti cerchiamo, affannati, e invece tu sei qui,
tu abiti in quel luogo che noi conosciamo così poco di noi:
il nostro cuore.
Un cuore affannato, distratto, stanco,
che noi abbiamo trasformato in pietra.
Tu invece lo conosci e ne hai compassione:
conosci le nostre paure, i nostri limiti,
le nostre incoerenze, le nostre debolezze.
Ci accogli così, senza chiederci niente,
ti fai nostro compagno di strada:
ti fai pane per noi!
Ti preghiamo, Signore: fa’ che stando davanti a Te
lasciamo spazio alla tua presenza.
Fa’ che anche il nostro cuore si faccia ardente,
e sappiamo riconoscerti sempre
sulle strade della vita.

vinonuovo.it

Alla tua cena mirabile. L’eucaristia nella vita della chiesa


Il vescovo di Novara Franco Giulio ha presentato nella mattina di sabato 27 giugno, in un incontro con sacerdoti e diaconi diocesani presso il Santuario di Boca, la sua lettera pastorale per l’anno 2020-2021 Alla tua cena mirabile. L’eucaristia nella vita della chiesa.

L’opera è una riflessione in «quattro tempi» con il primo dedicato a una lectio sul capitolo VI del vangelo di Giovanni «in cui campeggia il discorso su Gesù pane di vita».

Il secondo mette in discussione la separazione tra esistenza e rito: «non c’è vita dell’uomo senza rito e non c’è vita cristiana senza eucaristia». Nel terzo, uno sguardo attento e profondo alla liturgia come forma pulsante della preghiera della chiesa.

Infine, l’approdo del quarto capitolo, con una catechesi comunitaria che colloca l’eucaristia nel cuore della domenica, il giorno del Signore, tempo della festa e della comunità.

Durante la mattina il vescovo ha anche consegnato un breve schema che riassume l’itinerario della lettera (scaricabile da questo link), che pubblichiamo di seguito.

 

Schema di Presentazione della Lettera pastorale

ALLA TUA CENA MIRABILE

L’eucaristia nella liturgia della Chiesa

Premesse

3 motivi per una Lettera pastorale:

  • La focalizzazione sul momento costitutivo della vita spirituale del cristiano
  • La pubblicazione della terza edizione italiana del Messale Romano
  • La sollecitazione derivante dal digiuno eucaristico nel tempo del coronavirus

Le articolazioni della Lettera pastorale:

3 articolazioni di una Lettera + una cornice

La prima articolazione contiene la Lectio di Giovanni 6 (capitolo 1)

  • Un vangelo che ricorre in cinque domeniche dell’anno B (e quindi il prossimo anno)
  • Un testo che consente un percorso spirituale di introduzione all’eucaristia come “mensa sia della parola di Dio che del Corpo di Cristo e di porgerlo ai fedeli” (DV 21)
  • Un percorso che parte dalla dimensione antropologica dell’uomo come desiderio e, passando per la dimensione teologica (“pane dal cielo”), ci fa incontrare il pane di vita nella storia di Gesù (dim. cristologica) e mangiare la sua carne e il suo sangue (dim. eucaristica) per approdare al volto della chiesa come chi dona il pane per la vita del mondo.

 

La seconda articolazione ci fa guardare al contesto socio-culturale (capitolo 2):

  • Per illustrare il rapporto tra la vita cristiana come culto spirituale e il culto rituale
  • La chiave di lettura è il rapporto tra uomo e rito: non c’è uomo senza rito e non c’è rito senza uomo
  • La crisi del rito negli anno 70-80 e la sua ripresa con una devozione/ritualità fai da te
  • riti omologanti e riti identificanti nella società di massa
  • la svolta del social media con una “ritualità proiettiva”

 

La terza articolazione è la proposta di catechesi e di riflessione che è svolta per due destinatari diversi: la prima pista per sacerdoti, gruppi liturgici, ministri della comunione, catechisti e consigli pastorali (capitolo 3); la seconda pista per la comunità cristiana e la catechesi a tutti durante l’anno, utilizzandolo come guida per la Lettera (capitolo 4).

  • La prima pista ripercorre tre temi: la liturgia “grammatica” della preghiera della chiesa, in cui si invita a custodire con cura la celebrazione della messa, con il suo programma rituale; l’“accordo rituale” con cui preparare e vivere una buona celebrazione dei testi, dei gesti e degli attori (ars celebrandi); l’“actuosa participatio” di cui dare una lettura profonda e non superficiale.
  • La seconda pista prevede una catechesi su tre punti: 1) l’eucaristia al centro 2) della domenica, 3) fonte di carità e missione (questa è la grande catechesi per il popolo di Dio):

La cornice si apre e si chiude con due testi della tradizione: dalla liturgia bizantina (e ambrosiana) del Giovedì Santo; della bolla Transiturus che istituisce la festa del Corpus Domini.

Gli Adempimenti (fascicolo a parte) sono indirizzati a diversi destinatari (parrocchie, UPM, Formazione Permanente, Diocesi) che dovranno scegliere, insieme nell’UPM e nel Vicariato, con sapienza un programma coerente.

 

fonte: diocesinovara.it

I divorziati e l’eucarestia. La lettera del sindaco Sala e le risposte che dà la Chiesa

da Avvenire

È raro che un politico parli della sua vita di fede. Il primo cittadino di Milano lo ha fatto rivelando un’adesione di fede e una ferita

Giuseppe Sala, sindaco di Milano

Giuseppe Sala, sindaco di Milano – Fotogramma

È raro che un politico parli della sua vita di fede. Il sindaco Beppe Sala lo ha fatto rivelando un’adesione e una ferita. Un atto di coraggio e di chiarezza. Che non può che essere apprezzato da chi, come noi, da anni è impegnato a divulgare e promuovere la svolta pastorale voluta da papa Francesco all’insegna dell’accoglienza e della misericordia. Nella confessione spirituale che ha affidato, la vigilia di Natale, alle pagine de “la Repubblica”, il sindaco di Milano rivela «di non poter fare a meno del confronto con il Mistero» e di partecipare regolarmente alla Messa domenicale, ma di sentirsi «a disagio rispetto al momento della Comunione, essendo divorziato e in uno stato che non mi consente di accostarmi al Sacramento».

Se una persona seria e preparata come Sala, è costretta ad ammettere un disorientamento spirituale per la sua condizione di divorziato risposato, significa che la strada per trasformare in consapevolezza diffusa le indicazioni uscite dal doppio Sinodo sulla famiglia (2014 e 2015) voluto da papa Francesco e poi dall’esortazione apostolica Amoris laetitia, è ancora lunga.

In quel testo il Papa scrive in modo esplicito che nessuno deve sentirsi condannato per sempre e che la Chiesa è chiamata ad offrire a tutti, compresi i divorziati risposati a cui è dedicato un intero capitolo – l’VIII – la possibilità di vivere pienamente il proprio cammino di fede. In questo cammino si può comprendere anche l’aiuto dei sacramenti (nota 351).

Non è un’opinione. È quanto emerso da un cammino sinodale proseguito per oltre tre anni che il Papa ha sancito con la sua parola. Poi, di fronte alle critiche e ai distinguo, Francesco ha voluto che l’interpretazione da lui considerata più efficace, quella dei vescovi della regione di Buenos Aires, fosse inserita nei cosiddetti Acta apostolica sedis – gli atti ufficiali della Santa Sede – a ribadire che indietro non si torna e che tutte le diocesi del mondo devono incamminarsi lungo quella strada.

Milano non fa eccezione. Inutile far riferimento al rito ambrosiano e alle aperture del cardinale Carlo Maria Martini, che su questi aspetti non ci sono state, in quanto scelte che non si potevano e non si possono pretendere da una singola Chiesa locale.

Francesco, come detto, ha ritenuto necessarie due assemblee mondiali dei vescovi per gettare i semi del cambiamento. Una persona divorziata e risposata che desidera riaccostarsi alla Comunione – spiega il Papa – può chiedere l’aiuto di un sacerdote preparato per avviare un serio esame di coscienza sulle proprie scelte esistenziali.

Sei, in rapidissima sintesi, i punti da non trascurare: quali sforzi sono stati fatti per salvare il precedente matrimonio e ci sono stati tentativi di riconciliazione? La separazione è stata voluta o subita? Che rapporto c’è con il precedente coniuge? Quale comportamento verso i figli? Quali ripercussioni ha avuto la nuova unione sul resto della famiglia? E sulla comunità? Domande spesso laceranti e risposte non codificabili, che possono richiedere anche lunghi tempi di elaborazione e da cui non derivano conseguenze uguali per tutti. Ma anche modalità pastorali efficaci per metterle in pratica.

Trovare e attuare queste buone prassi è faticoso e Sala, con le sue parole, ha dato voce a un disagio e una sofferenza spirituale, ma anche a una speranza, che condivide con tanti altri credenti, divorziati e risposati.