La proposta teologica di Erik Peterson

Cinquant’anni fa moriva il teologo tedesco Erik Peterson, la cui opera, più nota che studiata, è importante per meglio comprendere alcuni crocevia del pensiero del Novecento. Lo scorso maggio l’Istituto di Teologia Dogmatica della Pontificia Università Salesiana gli ha dedicato il simposio "Erik Peterson. Il tempo vissuto, il tempo pensato". In questa pagina presentiamo – attraverso i contibuti dei curatori – la pubblicazione del volume Ekklesìa. Studien zum altchristlichen Kirchenbegriff (Würzburg, Echter, 2010) che raccoglie gli studi preliminari portati avanti da Peterson per un suo progettato e mai realizzato volume sull’ecclesiologia. A coronamento di questo cinquantenario, dal 24 al 26 ottobre si terrà a Roma – al Pontificio Collegio Teutonico di Santa Maria in Campo Santo e all’Augustinianum – il simposio internazionale "Erik Peterson. La presenza teologica d’un outsider". di Karl Lehmann Cardinale, vescovo di Mainz A partire dagli anni Trenta Peterson è vissuto a Roma. Per lungo tempo il suo fu un nome riservato a una stretta cerchia di interessati ai lavori. Ciononostante egli esercitò un notevole influsso sulla teologia evangelica e cattolica. È importante conoscere in modo approfondito la sua vita e la sua opera. Convertitosi dalla Chiesa evangelica a quella cattolica (1930), si sarebbe trovato coinvolto tra le forti tensioni di tempi estremamente difficili in termini storico-politici e, soprattutto, di realtà ecclesiali sconvolte da acerbi contrasti. Da parte cattolica fu per lungo tempo oggetto della diffidenza allora prevalente nei confronti dei convertiti del suo profilo; dure furono pertanto le difficoltà da lui incontrate quando, nel periodo immediatamente successivo alla conversione, chiese di essere ordinato sacerdote secolare in una diocesi. Soprattutto in ragione della personalità di Peterson, e della sua significativa posizione teologica, persistente fu nel mondo evangelico l’attitudine a marcare la sua decisione con lo stigma del "traditore". L’atteggiamento critico assunto da Erik Peterson nel confrontarsi con la teologia protestante del suo tempo non può essere d’altronde frainteso e utilizzato, come qualcuno vorrebbe, quale testimonianza da addurre a favore di una tendenza antiecumenica. Le riflessioni da lui maturate a partire dagli anni Venti nell’ambito della teologia, del dogma, della liturgia e della Chiesa anticipano varie posizioni che nei decenni successivi, non di rado, sarebbero state oggetto di un laborioso processo di assimilazione. Alcune di queste posizioni vanno tuttora precisate e approfondite, comportando esse, in vario senso, una certa distanza critica. Grazie all’approfondito sforzo di porre in luce l’essenza della rivelazione, della Scrittura e della Tradizione, della Chiesa, della liturgia e del diritto, Peterson ci guida, non senza una certa radicalità, verso il nucleo centrale della teologia, individuato peraltro al di là o al di qua di posizioni estreme o di schemi interpretativi correnti. Questo sforzo di differenziazione è necessario per quanto concerne, in particolare, il tentativo fatto da Peterson nei testi degli anni Venti sulla nozione di Ekklesìa, di comprendere in termini nuovi l’apostolicità della Chiesa e la successione apostolica. Nell’opera di Erik Peterson la saldezza dei principi convive con un’attenta flessibilità. È questo uno stile chiaramente avvertibile nella definizione che egli elabora della successione apostolica e della sequela, soprattutto quando afferma che "una parte del mandato dei Dodici si perpetua nella successione apostolica e con la successione degli apostoli – con la successione della predica apostolica nel Vangelo scritto entriamo comunque nel mondo storico". È un esempio che documenta quanto stretto sia il nesso da lui individuato tra la predica di Gesù e il mandato dei Dodici, tra la predicazione degli apostoli e la Scrittura; si tratta per lui di componenti che vanno colte nel nesso che le vincola alla categoria della Tradizione. I nuovi documenti ecumenici convergono in alcuni punti con i tentativi fatti da Peterson, per quanto diversi possano poi essere gli sviluppi impressi di volta in volta a tali posizioni. Ciò vale a esempio per quanto concerne sia le riflessioni fatte da Peterson sulla natura dell’apostolato e sulla apostolicità della Chiesa, sulla teoria e sulla realtà dei ministeri nella Chiesa antica, sui problemi ermeneutici inerenti alla nozione di "successione apostolica", sia sul significato che possano avere negli odierni dibattiti teologici le figure argomentative della sua pneumatologia. È inoltre interessante analizzare l’attenzione prestata da Peterson, grazie alla sua recezione del pensiero giuridico dell’antichità, alla partecipazione e all’influsso che il popolo può avere nella fase di accettazione e di acclamazione di decisioni di varia natura. Le riflessioni di Erik Peterson, non ultime quelle relative ai fondamenti della Chiesa, contengono numerosi elementi che possono tuttora costituire termini di una proficua scoperta per l’ecumene. Le posizioni da lui espresse rappresentano uno stimolo a procedere nell’instancabile sforzo teologico di aprirsi davvero alle domande che emergono dalla profondità di una fede cristiana biblicamente fondata senza ignorare la storia della Chiesa. (L’Osservatore Romano – 23 luglio 2010)