Dossetti: Scrittura, conversione e storia

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In un momento storico così difficile e complesso (si pensi solo alla pandemia in atto per il Covid-19, la situazione politica italiana e non solo, la crisi ambientale, la lotta per il potere in atto nel mondo intero) alcuni libri arrivano come regali in qualche modo inattesi e come boccate di vera aria rinfrescante. È questo il caso della pubblicazione che è oggetto della presente recensione.

Si tratta della pubblicazione di un discorso tenuto da don Giuseppe Dossetti alla sua comunità il giorno 28 Dicembre 1990, corredato da due preziosissimi saggi ad opera dei curatori.

L’impegno politico: i cattolici e la storia

È opportuno osservare la data del discorso: fine 1990, circa a metà tra la ripresa di una certa presenza pubblica (con il Discorso per l’Archiginnasio d’Oro, nel 1986, ripubblicato recentemente dalle EDB con il titolo L’eterno e la storia) e la difesa della Costituzione negli ultimi anni della sua vita; segno che si può ipotizzare una certa profonda maturazione dell’itinerario personale e spirituale del professorino reggiano.

Questa osservazione porta a leggere il discorso (rivolto primariamente alla sua comunità) anche come una contemplazione molto ampia degli avvenimenti della storia umana nel suo complesso. E riporta ancora in luce il dibattito sul perché Dossetti abbia lasciato la vita politica attiva.

Il contributo di Galavotti aiuta a mettere in evidenza i nodi più decisivi della vita del nostro autore e lo fa in modo molto creativo, scegliendo, per ogni fase, un testo che aiuti a capire scelte e motivazioni. Rimane da contemplare l’esito complessivo della vita di questo personaggio che ha avuto in sorte di partecipare da protagonista sia alla nostra Costituente sia al Concilio Vaticano II.

Personalmente, ho a lungo pensato che Dossetti avrebbe fatto più bene all’Italia e forse al mondo rimanendo nella politica attiva. La mia valutazione non ha alcun valore, se non quello di evidenziare una mancanza clamorosa nell’impegno pubblico dei cattolici da molti decenni a questa parte.

Non vi è dubbio che il suo itinerario, oggi, ci consente di cogliere alcuni nodi di fondo che legano i discepoli del Cristo con la storia cui stanno partecipando. E non vi è dubbio che questo discorso arricchisce tale panorama, accostandosi ad altri forse più noti come – oltre quelli citati più sopra – il discorso per il Congresso eucaristico bolognese del 1987 Per la vita della città, ripubblicato recentemente sempre da Zikkaron, e il discorso Tu sei re? Quest’ultimo testo venne pronunciato il 27 novembre 1994 in occasione di una serie di incontri organizzati, nell’autunno-inverno 1994-1995, dall’Azione Cattolica e dal Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale di Bologna, per riflettere sui fondamenti della Costituzione italiana. L’intervento è ora ripubblicato in una raccolta Il Vangelo nella storia presso le Paoline.

Clima, potere, catastrofe

Quello che stupisce in Il Signore della gloria è la capacità di toccare nodi che oggi, più che allora, possono segnare il futuro della nostra vita, della nostra umanità. È merito soprattutto della riflessione di Fabrizio Mandreoli se queste cose sono recepibili in questa lettura.

Vorrei illustrare questa ricchezza a partire dalla bibliografia che viene riportata nelle note del contributo del teologo bolognese. Compaiono, tra gli altri, i seguenti libri: S. Zuboff, Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri (Luiss Universiy Press 2019), J. Franzen, E se smettessimo di fingere? Ammettiamo che non possiamo più fermare la catastrofe climatica, Einaudi 2020, B. Latour, La sfida di Gaia. Il nuovo regime climatico, Meltemi 2020. A nessuno sfugge che il nostro futuro si gioca su queste parole: clima, potere, catastrofe.

Mancano, nei titoli dei volumi citati, politica e migranti: ma il quadro dei problemi attuali è sufficientemente presentato. Ovviamente Dossetti non dà risposte puntuali ai singoli problemi, ma va alla ricerca della struttura salvifica di fondo che Dio ha desiderato e costruito per ribaltare gli equilibri delle vicende umane.

La risposta è molto semplice da esporre: il mondo si salva attraverso la gloria di Dio che si manifesta nella gloria del Signore Gesù, nella sua kènosi, nel suo svuotamento radicale. Il paradosso è contenuto nel libro dell’Apocalisse, che Dossetti rilegge attraverso le parole del grande Hans Urs von Balthasar: «L’ultimo libro della Scrittura presenta in ogni pagina un’incomprensibile simultaneità fra persecuzione, traviamento e distruzione sulla terra e giubilo di vittoria in cielo e grida d’esultanza intorno all’agnello che, come immolato, è ritto in mezzo al trono» (H. U. von Balthasar, Cattolico, Jaka Book 1977, 144).

Approccio paradossale

La kènosi deve diventare il parametro per ogni forma di conversione nel riplasmare il nostro rapporto con il creato, con l’uomo, con le Scritture con il mistero dell’uomo Gesù. Non vi è altra via.

Approccio paradossale, ma proposto da un credente immerso nella contemplazione del mistero. E assolutamente attuale anche per la Chiesa di oggi. Anzi, è un approccio che deve essere ulteriormente approfondito e meditato anche alla luce del magistero di papa Francesco, in particolare su due traiettorie: la prima, è costituita dai suoi quattro principi (espressi in modo definitivo in EG 221), che raccontano il suo desiderio di ricomprendere il sociale, sempre immerso nelle sue strutturali dicotomie.

Il pensiero del monaco reggiano potrebbe aiutarci a vedere quali tensioni salvifiche Dio abbia posto nella nostra attuale storia, per capire quali scelte possiamo operare per anticipare la venuta del regno in mezzo a noi. Occorre abitare la storia in estrema concretezza, ma capendone le strutture di fondo, per compiere assieme al Signore della gloria i passi della nostra esistenza.

La seconda traiettoria è contenuta in Veritatis gaudium al n. 3, dove, parlando degli studi teologici, ci lascia intuire che lo studio delle scienze sacre deve portare ad un nuovo progresso, a un vero sviluppo. Mi pare di poter dire che Dossetti sarebbe d’accordo nell’impostazione di fondo, magari con attenzioni e accentuazioni un po’ diverse dall’attuale pontefice. Ma sarebbe, su questo punto, un confronto molto fecondo. Anche per molte scelte ecclesiali che, come precisato dai curatori del volume, all’inizio del nuovo millennio hanno privilegiato ancora una occupazione del potere piuttosto che una sua critica profetica, per arrivare, come strategia pastorale di fondo, un suo radicale abbandono.

In conclusione, è un libro fin troppo utile per l’oggi, soprattutto se letto seriamente alla luce delle crisi del nostro tempo e della catastroficità ecclesiale che ancora ci accompagna. Dossetti è ancora un sapiente compagno di viaggio.

Recensione al libro G. DossettiIl Signore della gloria. Un discorso su conversione e storia, il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2021 (a cura di E. Galavotti e F. Mandreoli).

Settimana News

Inediti. La questione mediorientale secondo Dossetti

Giuseppe Dossetti (1913-1996) è stato teologo, giurista e politico (Ansa)

Giuseppe Dossetti (1913-1996) è stato teologo, giurista e politico (Ansa)

Era il 1972 quando don Giuseppe Dossetti si trasferì in Terra Santa, a Gerico, città a maggioranza araba dove continuò a ruminare la Bibbia e a interrogarsi sul cristianesimo. Salvo alcuni rientri in Italia, visse lì una decina d’anni, con la maggior parte dei fratelli della Piccola Famiglia dell’Annunziata, mentre le sorelle stavano a Gerusalemme. Poi, fra l’ ’83 e il ’95, lo si sarebbe potuto incontrare – come capitò a chi scrive nelle nuove case “miste” della comunità da lui fondata: a Main (Giordania) o Ain Arik ( Territori Occupati). Ora a quegli anni di “vita monastica” lontano dall’Italia, è dedicato il nuovo numero della rivista Egeriaedita da Nerbini.

Introdotta da Marco Giovannoni, la monografia scandaglia quel periodo attraverso contributi differenti. Di carattere teologico e storico sul pensiero di Dossetti a proposito del «mistero di Israele» (Fabrizio Mandreoli) e dell’«islam enigma post-cristiano » (Ignazio De Francesco); di taglio geopolitico (Enrico Galavotti) e biblico (Giuseppe Ferretti e Nicola Apano); infine in relazione alla «scoperta delle Chiese orientali» ( Tommaso Bernacchia).
Si tratta di saggi che offrono testi inediti o poco circolati, avendo Dossetti connotato la sua presenza laggiù con nessun altro fine che «l’incoraggiare i cristiani a restare»,«l’attestare ascolto e attenzione verso non poche rivendicazioni islamiche». Ed essendosi impegnato a rompere il silenzio solo quando necessario: cosa verificatasi più volte come documentano qui in particolare i saggi di De Francesco e Galavotti.

Il primo, ad esempio, restituendoci la forte consapevolezza degli effetti del conflitto arabo-israelianosull’inasprirsi del radicalismo islamico e la sopravvivenza delle locali comunità cristiane, come pure unalettura dossettiana della politica di Israele nella sua «funzione catalizzatrice di ogni contrasto fra cristiani e musulmani »(8 novembre ’78): nella previsione di una radicalizzazione dell’islam – effetto degli sconvolgimenti geopolitici nell’area – diventerà denuncia pubblica nel ’90, con una lettera non firmata al Regno all’avvio della Guerra del Golfo. «L’islamismo radicale aveva bisogno di questo e ne trarrà vantaggio. Anche se Saddam Hussein fosse eliminato, l’Occidente si troverà di fronte un islamismo radicale più difficile da combattere e ideologicamente più inestirpabile, sia nei paesi musulmani che nell’Europa stessa. Vi saranno conseguenze evidentissime per la chiesa… ».

Il tema, dilatato agli effetti dei flussi migratori musulmani verso Occidente, insieme alla questione del risveglio politico dei popoli arabi e alla ripresa del loro messaggio religioso, costituirà riflessione costante nell’ultimo periodo della vita di don Giuseppe. Spesso in un intreccio fra teologia e geopolitica. Basterà qui ricordare l’inedito discorso ai seminaristi di Venegono il 30 marzo ’93. Disse in quell’occasione: «Non so se voi vi rendete conto di quel che significa per il nostro paese inserito nel Mediterraneo a poche centinaia di chilometri dalla sponda africana, l’islam […]. L’islam ha una formulazione religiosa incomparabile, di una semplicità che può soddisfare i bisogni fondamentali dell’uomo e la sua intelligenza razionale […].È un monoteismo puro nella sua espressione più radicale, facilmente convertibile in una forma di secolarizzazione aggressiva. Quindi con una carica poi demografica enorme e con una esigenza di espansione incoercibile. Altro che comunismo! […]. So che ci possono essere formule più domestiche o addomesticabili, ma non il nocciolo duro dell’Islam».

Commenta De Francesco che è difficile concludere da queste parole se Dossetti davvero pensasse a una conversione dell’Europa all’islam, come sistema dottrinale potenzialmente sostitutivo di ideologie precedenti. Di certo si tratta di espressioni forti. Resta, ciò nonostante, il suo interrogarsi mite innanzi all’islam «enigma della storia», insieme al suo «essere lì dove i musulmani sono»; resta, innanzi a questo «mistero tremendo», l’impegno affidato in tre frasi dettate nell’introduzione a Main dell’adorazione eucaristica comunitaria al venerdì, al contempo intenzioni di preghiera e programma d’azione: «1. Per i credenti dell’islam e la loro piena conversione al Signore Gesù; 2. Per la nostra comprensione e discernimento più profondo in merito all’islam; 3. Per il rapporto della Chiesa e delle chiese con i musulmani».

Di grande interesse, poi, nel numero di Egeria, il contributo di Galavotti, che richiama tappe della biografia e del pensiero dossettiano utili a spiegarne l’evoluzione di posizioni. Ad esempio quella sfociata in unadesacralizzazione del blocco occidentale a guida statunitense, che si avverte nell’articolo «Inchiesta sull’America» uscito su Cronache Sociali nel ’47, sempre attribuito ad Alberto Toniolo, in realtà di Dossetti, dove addirittura registra la presenza «nel paese della libertà individuale e della felice stabilità sociale» di «alcune caratteristiche essenziali dei totalitarismi fascisti o del collettivismo marxista», nonché il profilarsi all’orizzonte americano del dilemma tragico sovrastante l’Europa «cioè la scelta tra una frattura rivoluzionaria o una reazione autoritaria all’interno e imperialista all’estero».

Altro passaggio su cui fermarci del testo di Galavotti quello dedicato alla reazione di Dossetti dopo le stragi di Sabra e Chatila. In quell’occasione, per non far passare il suo silenzio come condiscendenza o complicità scrisse che si era consumato nei campi profughi un «delitto senza ragione, nemmeno apparente di sicurezza militare, delitto a carico di vittime innocenti coperte poi dalla faccia della terra con i bulldozer» aggiungendo che «la responsabilità del governo israeliano e del suo esercito» era «palese a tutto il mondo», aggiungendovi l’aggravante dell’aver addossato l’esecuzione materiale del massacro a milizie ricordate per l’occasione come “cristiane”…».

Quando nel 1986, alla consegna dell’ Archiginnasio d’oro a Bologna, ripercorse la sua autobiografia, indicò nella sua persona da un lato «la memoria indelebile dell’olocausto ebraico e un’apertura e una sensibilità consonanti con la grande tradizione dell’Israele eterno – l’Israele spirituale…», dall’altro la «consapevolezza che il mondo intero, specialmente il nostro mondo occidentale (prima e più ancora che lo stesso Stato israeliano) ha commesso – e continua a commettere – nei confronti degli arabi palestinesi un’enorme ingiustizia (qualunque sia il loro errore o la loro colpa) e che la pace – nello stesso interesse dello Stato di Israele – non potrà esservi senza una riparazione effettiva delle ingiustizie consumate e senza la restituzione di una parte dei territori».

Galavotti ricorda anche le reazioni di Dossetti dopo il bombardamento della Libia del 1986 e Desert Storm, vaticinio sulle conseguenze portatrici di «tumultuose reazioni fra molti stati più o meno coinvolti»; «reazioni che nessuno sarà più in grado di dominare, e non solo in tutti i paesi arabi». Diversamente da occasioni precedenti, Dossetti invece lasciò circolare solo tra i membri della Piccola Famiglia la sua reazione all’attentato del ’94 presso la moschea di Hebron del colono Baruch Goldstein, dove morirono ventinove persone e centoventicinque furono ferite. Una strage che Dossetti dichiarò sacrilega, spiegabile a suo vedere «solo con l’aberrante cultura che ha dominato per anni gli inizi e il proseguimento sino ad ora dello Stato sionista», la cultura incarnatasi «nella politica degli insediamenti» e «nella prassi quotidiana dell’esercito israeliano» accusato di aver risposto per anni «a isolate azioni terroristiche arabe con i bombardamenti di massa indiscriminati e le sue implicazioni».

Parole giunte ad oltre vent’anni dall’arrivo in Medio Oriente e precedevano di due anni la sua morte. Bilancio di riflessioni di anni spesi nella convinzione che le grandi strutture ideologiche e politiche – pilastri del mondo non potevano accontentare i cristiani e dare loro pace: perché, come disse ad alcuni pellegrini in Terra Santa nel ’90 «consumano troppe ingiustizie e consumano troppa realtà umana».

da Avvenire