Il prete e la rockstar per il più bello dei catechismi

Don Luigi Ciotti e Vasco Rossi a confronto su RaiUno. Ed è umana poesia

Ci voleva un ministro di Cristo per spiegare una volta per tutte le canzoni, le parole di colui che per anni in Italia è stato considerato alla stregua di un Anti-Cristo. Ci voleva un uomo di Chiesa per far alzare le mani a Vasco Rossi, al dichiaratamente ateo Vasco Rossi, e fargli esclamare: «Complimenti, io non ho più niente da dire». E di sicuro ci vorrebbero più altari fatti così: non mediatici, ma nelle chiese, nelle parrocchie, in ogni posto dove si voglia veramente parlare di religiosità, di coscienza, di spiritualità.

I venti minuti finali della trasmissione “A sua immagine” andati in onda ieri pomeriggio su Rai Uno a un fan del Blasco nazionale probabilmente non hanno detto molto di nuovo. Ai detrattori del rocker, sperando abbiano avuto voglia di ascoltarlo, hanno insegnato molto. A chi conosceva già la straordinaria figura di don Luigi Ciotti, “intervistatore” d’eccezione, non hanno fatto altro che dare splendide conferme. A chi sapeva il suo nome ma non l’aveva mai sentito predicare hanno fatto spalancare la mascella. Sì, predicare. Perché quel dialogo incredibile, inimmaginabile tra il prete e la rockstar, tra l’acqua santa e il diavolo, tra il credente e il non credente, si è rivelato un meraviglioso catechismo, nel senso più bello, libero e profondo della parola.

Per l’onestà, innanzitutto. Per la totale libertà e lo sconfinato rispetto tra le due parti. Per la disarmante sincerità e profondità.

Grazie a Faber

Vasco Rossi e don Luigi Ciotti sono amici da una mezza vita, da quando nel 2000 a Genova li fece conoscere Dori Ghezzi. Vasco omaggiava l’amico Fabrizio De Andrè appena scomparso con una toccante versione di Amico Fragile, don Luigi era seduto in platea, tra gli ultimi, dove il cantore dei vicoli volle stare per una vita. Già, Faber e Dori. Le uniche due persone dello showbiz che ci misero la faccia e dimostrarono la propria vicinanza a Vasco nel momento della caduta più rovinosa, l’arresto per droga nel 1984, il momento in cui il mondo intero gli voltò le spalle.

La droga. La dipendenza. Quella che per don Ciotti è diventata il principale nemico da combattere, con quel Gruppo Abele dove lo stesso Rossi decise nel 2004 di presentare il suo disco “Buoni o cattivi”, perché quel titolo lì aveva bisogno di essere subito spiegato, subito fatto capire, subito immerso in un signor contesto.

La vita e i sogni

«Io sono spesso caduto – rompe il ghiaccio Vasco – ma mi sono anche sempre rialzato». «Hai cantato la vita spericolata, beh spericolata è stata anche la mia di vita» gli replica don Ciotti. Primo brivido.

«Io credo – continua il sacerdote – che sia spericolata la vita di chiunque provi inquietudine, intellettuale ed etica, di tutte le persone che cercano e spesso non trovano giustizia. Di chi cerca, perché ogni ricerca è spericolata». Vasco è quasi commosso: «Vedi? Sei uno dei pochi che ha capito che quello era un inno alla vita, un monito a non buttarla via».

È solo l’inizio di un leggiadro e mai stonato valzer dell’intelletto e dell’anima. Dalla vita, si passa ai sogni. Don Ciotti si confessa: «Io mi arrabbio, spesso. Ci si arrabbia per le cose che si amano perché si vorrebbe che non fossero così. Ecco, io mi arrabbio perché ai giovani hanno tolto la possibilità di sognare».

Vasco coglie appieno e fa a sua volta centro: «E infatti io alla fine dei miei concerti dico sempre “ce la farete tutti”, perché hanno bisogno di sentirselo dire, perché io alla loro età avevo paura e avrei voluto qualcuno che me lo dicesse».

Chi è chi?

Ma è quando il discorso si sposta sulla fede che scatta la scintilla, l’imperfetta meraviglia. Don Ciotti mette Rossi all’angolo: «Ti dichiari ateo, non credente e dici di aver perso la fede a 15 anni quando eri in un collegio gestito da religiosi. Eppure lo sai di aver scritto una delle più belle preghiere che io abbia mai sentito? Una profonda riflessione religiosa che piacerebbe un sacco al Dio in cui tu non credi? “Ti prego perdonami se non ho più la fede in te, ti faccio presente che è stato difficile abituarsi ad una vita sola e senza di te”».

Vasco risponde fermo, ma lo sguardo di un navigato sessantenne ritorna quello piccolo, quasi ingenuo, di un fanciullo. No, gli occhi di Rossi non mentono mai. «Io ero ironico… Per me non c’è nessun Signore. Capisci? – replica – Io sono convinto che quando muori non c’è più niente, che l’umanità è un casuale miracolo. Ma proprio per questo credo profondamente che bisogna avere ancora più coscienza e rispetto di noi stessi, soprattutto di noi stessi». «Lo sai cosa diceva il cardinale Carlo Maria Martini? Che Dio non è cattolico. Dio è di tutti – lo spiazza don Luigi – E quello che tu dici a me dimostra che il mio Dio è quell’amore che in modi diversi ci fa camminare nella stessa direzione».

Un incredibile gioco delle parti, che si risolve in un continuo, bellissimo, emozionante scambio dei ruoli. A tratti non sai dire chi scrive canzoni e chi spiega la fede, chi è la rockstar e chi l’uomo che sta con gli ultimi, chi predica e chi si confessa. Come quando Vasco sentenzia che «i buoni e i cattivi non esistono, siamo tutti un po’ dell’uno e un po’ dell’altro. Senza prima conoscere una persona a fondo non ci si può permettere di appiccicare etichette. Io? Sospenderei il giudizio…”. O come quella frase finale di don Ciotti: «Le tue parole graffiano, a volte inquietano, possono essere discutibili. Ma i dubbi sono più sani delle certezze».

Qualcuno nel suo Diario di Bordo il 2 novembre 1994 scrisse nervosamente: «Mi fido più dei dubbi che delle certezze». Quel qualcuno era Vasco Rossi.

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