Monsignor Carlino da imputato in Vaticano a parroco della Basilica a Lecce

Vaticano monsignor Carlino da imputato a parroco a Lecce

Agi

Monsignor Mauro Carlino, imputato nel processo in corso davanti al Tribunale della Santa Sede per la vicenda dell’acquisto da parte del Vaticano di un lussuoso palazzo londinese su Sloane Avenue, diventa parroco della chiesa simbolo di Lecce, la basilica di Santa Croce.

Carlino, 46 anni, leccese di nascita, all’epoca dei fatti funzionario del Vaticano, fu sospeso dall’incarico da papa Francesco dopo il suo coinvolgimento nell’affare finanziario-immobiliare che avrebbe prodotto perdite per 217 milioni di euro in danno della Santa Sede.

Tornato nella sua città d’origine, monsignor Carlino fu nominato dall’arcivescovo Michele Seccia suo segretario personale. Ieri è arrivata anche l’ufficializzazione della sua nomina a parroco della basilica di Santa Croce, icona del Barocco leccese, vanto della curia locale e dell’intero Salento.

A dare l’annuncio è stato lo stesso arcivescovo Seccia nel corso della Giornata sacerdotale di fine anno pastorale, davanti al clero diocesano riunito a Roca, una località nelle vicinanze del capoluogo salentino. Il nome di monsignor Mauro Carlino figura nell’elenco dei parroci di nuova nomina diffuso nella stessa occasione.

È noto che negli ambienti ecclesiastici leccesi Carlino goda di grande stima, così come è assai diffusa l’idea che nel processo possa emergere la sua assoluta innocenza. La vicenda giudiziaria che vede coinvolto Carlino riguarda fatti avvenuti quando il sacerdote leccese era segretario dei sostituti per gli Affari generali, il cardinale Angelo Becciu (tra i principali imputati) e monsignor Edgar Peña Pena Parra.

Sotto la lente dei giudici è finita la gestione dei fondi della Segreteria di Stato, con particolare riferimento all’operazione finanziaria finalizzata all’acquisto del palazzo di Londra.

Monsignor Carlino, dopo avere avvertito la vocazione al sacerdozio, ha studiato al Seminario Romano e alla Pontificia Università Lateranense, per poi conseguire il dottorato in Storia della Chiesa alla Pontificia Università Gregoriana.

È stato ordinato presbitero il 28 marzo 2001 ed ha fatto ritorno nella diocesi di Lecce fino alla chiamata all’Accademia Pontificia di piazza della Minerva, a Roma, dove si è specializzato in Diritto canonico e si è preparato alla carriera diplomatica. Fu anche segretario personale dell’arcivescovo di Lecce, Cosmo Francesco Ruppi.

La sua prima destinazione è stata alla segreteria della nunziatura apostolica in Nicaragua, cui è seguito l’incarico nella segreteria di Stato, in Vaticano. Appassionato di calcio, monsignor Carlino è un grande tifoso del Lecce, di cui segue tutte le partite.

Il tema del Sinodo era: “Testimoni e annunciatori della misericordia di Dio”, declinato in cinque ambiti: la comunità cristiana, la famiglia, i presbiteri, i giovani e i poveri

di: Gabriele Ferrari – settimana news

Apertura del Sinodo diocesano

Da ventidue anni abito nella casa saveriana di Tavernerio (Como) e, concluso il periodo di insegnamento nel Seminario nazionale del Burundi, sono ora impegnato nella vita della diocesi di Como. Il Vescovo mi ha nominato delegato episcopale per la vita consacrata e, come tale,  faccio parte del Consiglio episcopale. Vivo quindi da vicino la vita di questa Chiesa. A partire dal 2017 il Vescovo mi ha chiesto di partecipare alla progettazione del XI Sinodo diocesano di cui sono poi diventato membro effettivo. In questa veste, ma a titolo del tutto personale, offro un primo sguardo incompleto e provvisorio, del Sinodo da poco tempo concluso.

Il XI Sinodo diocesano della Chiesa di Como, indetto il 31 agosto 2017 ed inaugurato dopo la fase preparatoria e la consultazione del popolo di Dio, il 12 gennaio 2020, è giunto alla sua conclusione il 4 giugno 2022.

Il tema del Sinodo era: “Testimoni e annunciatori della misericordia di Dio”, declinato in cinque ambiti: la comunità cristiana, la famiglia, i presbiteri, i giovani e i poveri. Ben presto ci si è resi conto di aver messo troppa carne al fuoco.

Per questo il 26 settembre del 2020 (3a sessione sinodale) i sinodali hanno votato una mozione presentata dalla presidenza del Sinodo che concentrava l’attenzione su un unico tema: “Misericordia e comunità cristiana”. Tuttavia, come era facile prevedere, anche gli altri quattro ambiti, in modo surrettizio, sono rientrati nell’unico tema sinodale.

Il numero dei sinodali, gli eletti dalla base, i membri di diritto e quelli nominati dal Vescovo, era 288, di essi 199 erano uomini e 89 le donne, 174 i laici, 88 i presbiteri, 4 i diaconi permanenti, 21 i consacrati e le consacrate e un seminarista. La loro età media era 53 anni; i giovani tra i 20 e i 30 erano 22. Il Sinodo si è concluso lo scorso 4 giugno 2022, vigilia di Pentecoste, in Cattedrale, dopo quasi cinque anni dall’indizione e dopo 12 sessioni sinodali plenarie, due delle quali on line a causa della pandemia.

Il Documento finale, approvato dal Sinodo nella 12° sessione (21 maggio 2022), è composto di 136 proposizioni ed è stato presentato al Vescovo Oscar nel corso della celebrazione eucaristica conclusiva, il 4 giugno 2022. Esso sarà promulgato con apposito documento dal Vescovo Oscar, appena saranno conclusi gli impegni legati alla sua nomina a cardinale, annunciata dal Papa lo scorso 29 maggio.

Ripensando al cammino percorso, si possono già fare alcune prime considerazioni.

  • Il Sinodo è stato un tempo di grazia che ha fatto crescere la coscienza ecclesiale del popolo di Dio, nell’ascolto comunitario della Parola, nel bisogno di essere insieme. La consultazione previa della comunità diocesana è stata ben partecipata e coinvolgente, anche se non è riuscita a produrre una riflessione profetica, aperta non solo al mondo di oggi ma anche al futuro. Sarà un compito per il post-sinodo proiettare le proposte del Sinodo nel futuro della pastorale diocesana.
  • È stato tuttavia un esercizio di autocoscienza, prezioso ma impegnativo per mancanza di abitudine alla ricerca comune e all’ascolto reciproco. I sinodali divisi in oltre venti circoli territoriali, hanno via via affrontato gli argomenti che l’Instrumentum laboris proponeva e, sempre illuminati dalla Parola di Dio e dalle puntuali indicazioni del Vescovo Oscar, sono riusciti a superare la fatica del ricercare punti di equilibrio fra le molte opinioni, e la stanchezza prodotta anche dalla pandemia che ha accompagnato i lavori sinodali.
  • La fatica fatta nella elaborazione del documento finale e, prima ancora, nella conduzione dei lavori dell’assemblea, delle commissioni prima e dei gruppi territoriali di riflessione, è stata ampiamente ripagata anche se non tutti gli obiettivi sono stati pienamente raggiunti. Credo che si possa dire che è cresciuta coscienza di Chiesa, il senso di corresponsabilità e di comunione superando i limiti oggettivi della struttura geografica della Chiesa di Como molto estesa e composita che si estende su tre diverse province.
Che cosa ci ha insegnato il lavoro sinodale?

La prima “scoperta” (se così la si può chiamare) è stata la grande varietà di ambienti, di approcci pastorali e di persone e quindi di pareri e opinioni che caratterizza la diocesi di Como. Di qui il bisogno di “convenire”, di ascoltarsi e di dialogare per approfondire la comunione nella corresponsabilità, comunione che non è un’uniformità che livella, ma un comune sentire e volere, in una parola, la sinodalità della Chiesa.

È quindi emerso il bisogno di ascolto delle molte voci, prima di pretendere di armonizzarle in una sinfonia pastorale. Dalla lettura dei risultati della consultazione preliminare fino alle proposte di modifica nel corso dei lavori sinodali è emerso il bisogno di cercare ancora insieme e di discernere quello che riguarda il futuro della nostra Chiesa, per non rimanere vittime della passività, della dispersione e del clericalismo.

Di fatto il lavoro sinodale ci ha avvicinato mostrando – a chi la voleva vedere – l’azione discreta e silenziosa dello Spirito che ha trasformato il Sinodo in una “conversazione spirituale” tra i sinodali e tra di loro e il primo Interlocutore, lo Spirito, emersa anche nella votazione finale del Documento.

Un altro insegnamento emerso dai lavori sinodali è il bisogno che il Sinodo avrebbe avuto di un più puntuale e continuo discernimento. Questo è forse ciò che più è mancato nel lavoro sinodale. D’altro canto, il discernimento è un compito impegnativo perché richiede tempo e pazienza e perché non è un’operazione spontanea. Malgrado l’intervento di un gesuita esperto in materia, non abbiamo saputo mettere in pratica quello che egli ci ha insegnato: la teoria era per sé chiara, ma non lo è stata altrettanto la sua applicazione pratica.

Pur sapendo che lo Spirito parla attraverso i piccoli e i semplici, abbiamo anche compreso che Egli parla e istruisce la Chiesa attraverso competenze che non sono date a tutti. Soprattutto su temi complessi non si deve correre il rischio, verificatosi puntualmente anche nel nostro Sinodo, di pronunciarsi sulla base di sensazioni o emozioni o rappresentazioni non fondate o verificate nella realtà.

La più importante scoperta fatta durante il Sinodo è che esso è stato un evento di grazia, il cui metodo (la “sinodalità”) deve rimanere come un “modulo” per la vita delle comunità cristiane. Il Sinodo quindi non si è concluso il 4 giugno u.s. in Cattedrale. “Una conclusione, cioè un nuovo inizio” è stato il tema dell’omelia del Vescovo alla fine del Sinodo. Lo stile sinodale deve rimanere come stile e metodo della Chiesa di Como da mettere in atto ai diversi livelli di comunità, locale, vicariale e diocesana. La “sinodalità” come la comunione e la missione è lo spirito e il metodo della Chiesa nell’evangelizzazione.

Elementi di criticità emersi nel corso del Sinodo

Un primo elemento di criticità è stato il numero eccessivo dei sinodali. Una assemblea di quasi trecento persone è difficile da guidare in modo che ciascuno se ne senta davvero parte attiva. Questo spiega – almeno in parte – il diradarsi della partecipazione e una certa stanchezza o disaffezione che è progressivamente emersa fino a giungere ai 183 votanti nell’ultima assemblea. Anche la molteplicità dei temi e la metodologia cambiata in corso d’opera hanno distolto certi sinodali dal perseverare nel cammino.

Un altro elemento oggettivo di criticità, difficilmente rimediabile, è la composizione geografica e culturale della diocesi di Como che si estende su tre province, Como, Sondrio e Varese con sensibilità umane e pastorali molto diverse tra loro. Pensare a scelte uguali o omogenee è fuori della realtà. Del resto, anche a prescindere dalle differenze geo-culturali, le attese erano troppo disparate: chi dal Sinodo attendeva un codice di norme per tutti, chi soltanto una legge quadro, chi nessuna delle due ipotesi, ma solo una generica spinta profetica che aprisse gli orizzonti della nostra Chiesa.

Il risultato finale – presente però dall’inizio – ha rivelato una comunità cristiana abbastanza introversa, che rischia di dimenticare che la Chiesa esiste per gli “altri” (“Andate in tutto il mondo”) e non anzitutto per il benessere dei fedeli. Anche a Como ci sono molti non cristiani, molti cristiani indifferenti oltre a molti genuini cercatori di Dio che però rimangono al margine della nostra pastorale. A parecchie riprese il Vescovo ha richiamato il Sinodo a essere profetico, concreto e missionario, attento a chi non varca le soglie delle nostre chiese, a diventare una “chiesa in uscita”, come suggerisce Papa Francesco.

Una sorpresa e un frutto insperato

Il protrarsi del tempo del Sinodo, dovuto soprattutto alla pandemia, ha sicuramente complicato il lavoro sinodale e ha contribuito a diluire l’attenzione dei sinodali. Ma questo non è stato solo un elemento di criticità che si è aggiunto.

È stato anche un provvidenziale appello a cercare di comprendere ciò che Dio voleva dire alla Chiesa di Como, l’occasione per concentrarci sull’essenziale della fede, rendendoci conto della crisi già in atto nella Chiesa già prima della pandemia. Ci ha anche costretti a individuare vie nuove per la missione. “Nella fine è l’inizio” è stato uno slogan di questo tempo.

E il Sinodo potrebbe esserne la prova anche se cambiare è sempre impegnativo e la strada conosciuta è sempre un richiamo che pericolosamente attira più che la proposta di una nuova via.

Riflettendo sulla misericordia di Dio abbiamo scoperto che non è ciò che Dio fa, ma chi è Dio e ci siamo convinti che la misericordia deve essere, come detto dal Papa, “l’architrave che sorregge la vita della Chiesa”, anche della Chiesa di Como, chiamata ad essere una Chiesa che non giudica ma accoglie, che non esclude ma include, che non conta sui suoi mezzi e strutture ma una Chiesa povera e semplice che conta solo sulla misericordia ricevuta e offerta.

Ci siamo accorti di essere lontani da questo traguardo. Il vescovo Oscar l’aveva detto nella messa crismale del 2020: “Siamo sicuri che ne uscirà una nuova immagine di Chiesa più povera, più umile, meno dotata di strutture, ma forse più accogliente, non giudicante, amica degli uomini e in cammino con loro a immagine di Gesù”.

Lo stesso concetto è stato ripreso dal Vescovo nell’omelia della celebrazione conclusiva del Sinodo: “La Chiesa è infatti chiamata a diventare un segno vivo, una presenza semplice, ma trasparente della misericordia di Dio, della sua tenerezza e del suo amore di Padre”. Riuscirà la Chiesa di Como a diventare una chiesa più popolare e solidale e soprattutto una chiesa sinodale, come la desidera papa Francesco e come essa è e deve essere?

Il Sinodo della Chiesa di Como, pur precedente nella sua indizione, si sta intrecciando con il cammino sinodale della Chiesa italiana che, pungolata da Papa Francesco, ha finalmente messo in moto un proprio cammino sinodale e nello stesso tempo, non può ignorare il sinodo che il Papa ha proposto alla Chiesa universale che prevede addirittura due anni di sinodo.

Il Sinodo comasco si inserisce quindi in questo auspicato processo di rinnovamento e di “conversione pastorale e missionaria” della Chiesa di cui sentiamo il bisogno in questo tempo di transizione verso il “cambiamento d’epoca” che stiamo faticosamente vivendo.

Settimana News

Vaticano impone sospensione delle ordinazioni a Tolone/ Caso rarissimo: i motivi…

Papa, diplomatici Vaticano

Il Vaticano ha imposto la sospensione delle ordinazioni diaconali e sacerdotali che erano previste nella diocesi di Tolone il prossimo 26 giugno. I quattro futuri diaconi e sei futuri preti che avrebbero preso parte, dunque, dovranno attendere fino a data da destinarsi. La decisione della Santa Sede è stata annunciata in un comunicato firmato dal vescovo, mons. Dominique Rey.

Il motivo di questa presa di posizione, come riportato da Aleteia, sarebbe da ricondurre al fatto che il seminario di Castille, fra Toulon e Hyères, accoglie numerosi giovani da comunità nuove ed anche stranieri provenienti da paesi lontani. L’apertura verso una rinnovata evangelizzazione ha dato luogo a degli interrogativi in diversi dicasteri romani, seppure non sia stata richiesta alcuna misura di ristrutturazione del seminario né tantomeno siano stati presi dei provvedimenti disciplinari.

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Vaticano impone sospensione delle ordinazioni a Tolone:
Da Roma ci si continua a interrogare sul valore del discernimento e della formazione in un seminario in cui convivono circa settanta seminaristi tanto disparati per formazione come quello di Castille. La Santa Sede, come riportato da Aleteia, per rispondere a queste domande, ha dunque incaricato mons. Aveline, arcivescovo di Marsiglia (nominato cardinale la settimana scorsa), di condurre una «visita fraterna» sul posto. Il Vaticano nell’attesa ha però preso un provvedimento tanto importante quanto raro, imponendo la sospensione delle ordinazioni diaconali e sacerdotali previste per la fine di giugno a Tolone. Una data per il rinvio non è stata neanche fissata.

“Accogliamo questa richiesta con dolore ma con fiducia, consapevoli della prova che essa rappresenta soprattutto per coloro che stavano per ricevere l’ordinazione. Avremo a cuore di portarli nella preghiera e di continuare ad accompagnarli nel loro cammino (che va avanti da ben sette anni, ndr). Incoraggio ciascuno di voi a pregare anche per la nostra diocesi, in attesa che la situazione si chiarisca per il bene di tutti”, ha scritto mons. Dominique Rey nel comunicato.