Medicina, troppe parole e dimenticanze. Il codice di deontologia medica: non cediamo al disamore

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Il Codice di deontologia medica è sul punto di cambiare: la nuova versione ha aspetti positivi e punti nevralgici da migliorare, ma c’è una domanda che lo mette sotto giudizio: perché per secoli è bastato un codice ippocratico di dieci righe e ora serve un documento di 80 articoli? Già: l’attuale Codice è un lungo insieme di mansioni, impegni e clausole con tante pagine e articoli a ribadire quello che già la legge o il buon senso prescrivono: infatti c’è davvero bisogno di sancire che «il medico fonda l’esercizio delle proprie competenze tecnico­professionali sui principi di efficacia e appropriatezza», o che «persegue l’uso ottimale delle risorse pubbliche e private», come se questo non fosse un presupposto intrinseco e ovvio? Ma tanti dettagli normativi servono a far fronte a una perdita di unità, cioè di un’etica che si condensava in poche parole riconosciute e accettate da tutti: onorabilità, rispetto della vita, discrezione, sapienza. Scompare anche la parola «coscienza» (articolo 22) quando si parla di far valere le proprie convinzioni, lasciando solo il riferimento ai «propri convincimenti etici», come se la coscienza non ne fosse una necessaria integrazione. Ora per portare il flusso dell’attività medica negli stessi argini occorrono lunghi discorsi, e si cerca di far fronte con tante regole a un unico disamore. Già, il disamore: la deontologia medica dovrebbe risolvere, in primis, il paradosso di una professione che si è burocratizzata, ma che al tempo stesso tratta intimamente e drammaticamente con la vita e la sofferenza: cosa disorientante e ambivalente per i medici e i malati. E che provoca, appunto, disamore. Urge formare e supportare un medico che unisca – non per contratto, ma per passione – il saper curare col saper comunicare (anzitutto saper comunicare se stessi per dare fiducia). Ma c’è traccia di questo nel nuovo Codice deontologico medico? Si prova a invogliare alla comunicazione col paziente, ma il Codice sembra annoverarla minuziosamente nell’orario di lavoro (articolo 20) lasciandola in un quadro di freddezza e distacco. D’altronde questo è quasi ovvio in un Occidente dove gli ospedali diventano aziende, i pazienti si trasformano in «utenza», i medici sono «fornitori di servizio» o «dirigenti»’. Ma è di questo che c’è bisogno? Di medici-capitreno (con tutto il rispetto per i capitreno) che ti portino laddove per contratto stabiliscono di portarti? Qualche volta si pensa che già questo sarebbe tanto, ma equivarrebbe ad abbassare il tiro. Dalla deontologia medica ci aspetteremmo una riaffermazione di poche cose, ma chiare: che curare vuol dire ‘avere a cuore’, che guarire significa ‘fare schermo al debole’, che la salute non è un utopico completo benessere psicofisico, ma sentirsi a proprio agio anche nel caso la malattia non sia guaribile e la disabilità non si risolva. Oggi davvero pochi sono quelli che insegnano tutto questo. Troppo facile, come fanno molti, è identificare il medico con ‘colui che fa passare il male’, e se non ce la fa ha fallito o delega ad altri il cammino accanto al paziente che i medici di un tempo si ostinavano con coerenza e vigore a chiamare ‘cura’. L’antico giuramento di Ippocrate riassumeva l’arte medica in queste parole: «Con innocenza e purezza io custodirò la mia vita e la mia arte», con la promessa di rispettare vita e salute, di non rivelare segreti dei pazienti e di regolare «il tenore di vita per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio». Queste poche parole sono bastate per secoli. I tempi cambiano, e le parti ‘non politicamente corrette’ del giuramento sono sparite, si sono moltiplicati i precetti e gli articoli. Come avviene quando si perde la semplicità di un’arte, e si resta obbligati a sostituire smarriti la passione con le regole.

Carlo Bellieni – avvenire.it

Come mettere K.O. un medico cattolico. A proposito del nuovo Codice di Deontologia medica italiano

Qualche giorno fa durante una delle mie interminabili giornate di ambulatorio mi sono imbattuta in un curioso articolo sul nuovo codice di deontologia medica pubblicato sul sito di informazione cattolica “la nuova bussola quotidiana”.

Pochi colleghi ne sono al corrente ma è in via di preparazione una revisione direi strutturale (o meglio destrutturante) del codice di deontologia medica, che sconvolge subdolamente i fondamenti dell’atto medico.

Nella bozza del nuovo codice si attenta infatti alla libertà di coscienza del medico che diverrebbe un mero fornitore di servizi in balia delle richieste e dei capricci dell’assistito.

L’ operazione messa in atto è tanto più subdola perché sfrutta quelle che sembrano piccole modifiche grammaticali, ma non lo sono affatto.

Fino ad oggi, infatti, il medico al quale veniva richiesta una prestazione che entrava in conflitto con il proprio convincimento scientifico o morale poteva rifiutarsi di compierla appellandosi al principio di scienza e coscienza.

Il nuovo codice, invece, afferma che il rifiuto può essere accettato soltanto se la richiesta dell’assistito si oppone a una convinzione scientifica e morale.

L’atto medico verrà quindi praticato non più in scienza e coscienza ma solo inscienza.

In sintesi sarà obbligo del medico praticare tutto ciò che è e diverrà scientificamente possibile.(e desiderabile dall’assistito)

Ma non finisce qui; fino ad ora il medico è stato legittimato a rifiutare determinati atti che contrastavano con la propria morale a meno che ciò non fosse  “di grave e immediato nocumento per la salute della persona assistita”.

Nel nuovo codice il carattere di gravità e urgenza viene eliminato e basta ricordare la definizione OMS di salute (uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non meramente l’assenza di malattia o infermità) per capire che il semplice turbamento psichico del paziente di fronte alla scelta medica sarà condizione sufficiente per vedere il povero medico deferito dall’ordine.

Il medico sarà vincolato a sottendere qualsiasi richiesta del paziente

Infine -e qua sfociamo nel ridicolo- nel disprezzo delle più evidenti norme che regolano la teoria morale dell’azione, il medico non avrà più solo l’obbligo di fornire ogni utile informazione e chiarimento, ma anche quello di assicurarsi che il paziente possa fruire di quella stesse pratiche che egli ritiene immorale.

La mia preoccupazione è forte,

se il nuovo codice venisse approvato il medico cristiano non avrà più scelta, o rinunciare ai propri convincimenti etici (altro che benessere fisico psichico e sociale… a noi verrebbe tolto qualcosa di ancora più radicale: la libertà) o trovarsi a non poter praticare il proprio mestiere!

Ma la preoccupazione è mista a rabbia perché questa grave “manomissione”, ammantata di consensi mai acquisiti, sta avvenendo nel silenzio più totale, primo tra tutti quello dell’ordine dei medici.

Dove sono i colleghi cattolici? Nessun sito di medici cattolici accenna a queste modifiche.

Cosa aspettiamo? Che qualcuno finisca in tribunale per essersi rifiutato di praticare un aborto.

Ma che fine ha fatto il paese dei grandi medici di San Giuseppe Moscati o Santa Gianna Beretta Molla?

Chi combatterà la buona battaglia per la nostra libertà?

Svegliamoci e muoviamoci la dittatura del relativismo ci sta per stritolare e imbavagliare e noi?

Noi siamo tutti imbambolati.

Dott.ssa Lucrezia Piccolomini Adami

* Articolo originale per la FIAMC
** Bozza Codice  http://www.quotidianosanita.it/allegati/create_pdf.php?all=3022585.pdf

(Articolo tratto dal sito della Federazione Internazionale delle Associazioni dei Medici Cattolici)

(09 Settembre 2013) © Innovative Media Inc. – zenit.org

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