India, il primo cardinale Dalit: la mia missione è aiutare i bambini più poveri

Monsignor Anthony Poola, diventerà cardinale nel concistoro del 27 agosto prossimo

Il prossimo porporato, l’arcivescovo di Hyderabad Anthony Poola, racconta di aver appreso della sua nomina da amici italiani: nel mio Paese l’istruzione è via di riscatto per i piccoli “fuori casta” ma anche per chi è semplicemente in miseria

Deborah Castellano Lubov – Città del Vaticano – Vatican News

La parola “Dalit” deriva dal sanscrito, letteralmente significa “oppresso” ed è riferito a coloro che hanno uno status sociale così basso da essere emarginati, al di fuori del sistema delle caste della società indù. Spesso definite “intoccabili”, queste persone sono state nel tempo  sfruttate e oggetto di vere e proprie atrocità. A loro appartiene l‘arcivescovo Anthony Poola di Hyderabad, in India, che nel concistoro del 27 agosto sarà creato cardinale. Il primo porporato dalit della storia.

Nell’intervista rilasciata a Vatican News, il futuro cardinale sessantenne riflette su come il sistema delle caste, anche se tecnicamente abolito, non sia completamente scomparso, e su cosa significhi servire gli “intoccabili” indiani, oltre che soffermarsi sullo stato attuale della libertà religiosa per la piccola minoranza cristiana dell’India.

Come ha appreso la notizia del concistoro e della scelta di Papa Francesco di crearla cardinale?

Quel giorno mi trovavo nello stato del Kerala per partecipare alla cerimonia di premiazione del Giubileo d’Oro del CCR, il Rinnovamento Carismatico Cattolico. Alcuni amici sardi e catanesi mi hanno mandato un messaggio di congratulazioni per la nomina a cardinale. Il mio amico non capisce bene l’inglese, pensavo non avesse capito, gli ho ribadito che sono solo arcivescovo di Hyderabad e non cardinale, che sono 14 mesi che servo questa zona. Poi mi hanno mandato il link scrivendomi che  quello era ciò che Papa Francesco aveva annunciato, mi avevano detto che il mio nome era a 17 minuti, 12 o 13 secondi, o qualcosa del genere.

Che cosa significa per lei personalmente questa nomina e in che modo intende aiutare Papa Francesco?

Ero sotto shock. È stata una notizia che mi ha colto di sorpresa e che non mi sarei mai aspettato, nemmeno mai sognato. E’ la grazia di Dio, è la sua volontà, lui opera attraverso Papa Francesco. La considero una grande opportunità per me di servire il popolo, di servire tutto il popolo dell’India del sud e specialmente gli Stati Telugu di Telangana e Andhra Pradesh.

Come interpreta il fatto che Papa Francesco abbia scelto il primo cardinale “dalit” della storia? Quale messaggio crede che il Santo Padre stia cercando di inviare?

Ho capito fin dall’inizio del magistero di Papa Francesco che le sue priorità sono l’amore, la compassione, l’attenzione alle periferie, ai più poveri tra i poveri. È per questo che, dando sempre la priorità agli emarginati, possiamo offrire un forte messaggio di “una Chiesa povera per i poveri”. Posso dire che ogni volta che ci sono eventi come i cicloni, i disastri naturali, o recentemente lo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina, vedo la preoccupazione del Santo Padre verso tutti i popoli dell’universo. Forse il Papa si aspetta che in qualche modo possa aiutare a risolvere i problemi degli emarginati e forse anche dei dalit, ma è chiaro che da pastore non si ignorano le necessità di altre persone che non sono sotto la nostra cura.

Il sistema delle caste in India è stato tecnicamente abolito. Ma qual è la situazione?

Il sistema delle caste è stato abolito ma ci sono alcuni fattori che non sono cambiati. Per quanto riguarda la situazione reale e la realtà sul campo ci sono alcune differenze. Ci sono persone che si battono davvero per il riconoscimento del loro talento e delle diverse attività che svolgono. Molto tempo fa, per gli “intoccabili” non c’era la possibilità di accedere alla scuola o all’istruzione. Ma ora il governo indiano, soprattutto nei nostri Stati Telangana e Andhra Pradesh, da cui provengo, offre maggiori opportunità agli emarginati, ai poveri e ai dalit, incoraggiandoli ad andare a scuola e a proseguire gli studi. Cerchiamo di sensibilizzare tutti verso queste particolari situazioni, portando avanti il concetto di uguaglianza.

C’è qualche episodio particolare verso il popolo Dalit o verso le persone più povere dell’India che l’ha particolarmente commossa?

La mia diocesi natale è quella di Kurnool, ho studiato nella diocesi di Kadapa, che è una diocesi vicina. Dopo la laurea sono entrato in seminario e sono poi diventato sacerdote; il mio interesse era quello di servire la gente. Ma ci sono villaggi remoti in ogni parrocchia, questi luoghi sono molto poveri e soggetti a siccità. Quando ci rechimamo lì, lo facciamo la sera perché le persone vanno a lavorare durante il giorno. Suoniamo la campana della chiesa, raduniamo i bambini e insegniamo il catechismo. E’ una cosa meravigliosa da vedere, che mi ha mosso a compassione, mi ha fatto comprendere la grande responsabilità che ho nei confronti dei bambini, nel dare loro il dono dell’istruzione, perché non hanno soldi o beni da vendere per studiare. L’istruzione è un grande dono. Nel parlare sto rivivendo la storia della mia vita.

In che senso?

Dopo la seconda media ho dovuto fermarmi a causa della povertà. Pensavo che la mia istruzione fosse finita lì. Ma sono stati soprattutto i missionari a interessarsi a me, a portarmi a Kadapa e ad aiutarmi a proseguire gli studi. Si sono presi carico di me, mi hanno aiutato a frequentare la scuola e mi hanno fatto diventare una persona valida. Questo è il motivo per cui poi ho scelto di entrare in seminario.  Ho studiato e la mia intenzione era allora, come oggi, di aiutare quanti più bambini poveri possibile. Così, ho interpretato la missione di sacerdote. È stato un momento bellissimo per me. Ogni volta che vedo i bambini poveri, io stesso li porto in macchina e li metto in case di accoglienza. Anche i missionari laici avevano una jeep, prendevano i bambini e li affidavano a chi poteva prendersene cura. Questo mi ha sempre molto colpito.

Questo ha ispirato il suo ministero?

Per tutta la vita sono stato un semplice sacerdote, un semplice missionario. Ho lavorato quasi dieci anni come missionario. Poi, per un paio d’anni, sono andato negli Stati Uniti per seguire alcuni studi, ma ho svolto soprattutto il lavoro parrocchiale. Quando sono tornato, sono stato nominato responsabile di tutte le scuole cattoliche della diocesi. Ho cercato di raggiungere tante persone povere, il 90% delle quali sono emarginate.

Quali tipi di discriminazione o maltrattamento ha visto?

C’è uno stigma sociale. Cosa possiamo fare? Non possiamo farci niente. Le nostre case si trovavano all’estremità nord del villaggio, all’angolo del paese. Quando andavamo dalle persone di casta superiore perchè avevamo sete loro, avendo un pozzo, ci versavano l’acqua in mano. Ma questo per me non era doloroso. Abbiamo accettato questo stigma sociale che ancora oggi si avverte soprattutto nei villaggi e non in città. Ora non esiste più bere dalla mano o usare piatti e bicchieri separati per i dalit ma allora questa era la discriminazione.

Si è mai sentito in pericolo facendo il suo lavoro?

Vede, noi abbiamo la libertà di religione. Ogni cittadino indiano ha la libertà di esercitare, di accettare qualsiasi religione e di vivere di conseguenza. Nell’India del Sud, nella mia particolare esperienza, posso dire che siamo molto liberi. Qualunque autorità ottiene la nostra piena collaborazione. Non ho avvertito pericolo nel mio lavoro, perché anche noi non mostriamo alcuna discriminazione nei confronti di indù, musulmani e cristiani. Li trattiamo allo stesso modo e li consideriamo tutti figli di Dio.

Com’è oggi la situazione della minoranza cristiana in India in generale?

Si stanno verificando alcuni incidenti in diverse parti dell’India, soprattutto nel nord e anche nel sud del Paese. Ci sono alcuni gruppi di fanatici. Ma quando ci rivolgiamo al governo, possiamo dire che è molto collaborativo e comprensivo. Cercano di risolvere i problemi. Ma in Karnataka, la distruzione di alcune statue e di altri simboli è stata una cosa che ci ha ferito. Quando ci siamo rivolti al governo, ci è stata assicurata la massima sicurezza.

Ha una devozione specifica o un santo che prega spesso e che la aiuta giorno per giorno?

Ho una grande devozione per la Beata Vergine Maria. Nel nostro villaggio c’era una cappella con una statua di Nostra Signora di Lourdes. Ho una devozione speciale per lei e nelle mie difficoltà prego, anche quando sono in ufficio. Da un lato la Madonna di Lourdes e dall’altra la Madonna di Velankanni, (Nostra Signora della Salute). Ho una devozione speciale per lei, fin dall’infanzia. Ogni volta che mi trovo in difficoltà, prego. Prego Maria e sperimento la consolazione. Dato che mi chiamo Antonio, sono devoto a Sant’Antonio di Padova. Ogni volta che prego, posso dire con certezza di essere stato aiutato dalla potente intercessione di Maria e anche dall’invocazione di Sant’Antonio di Padova.

Delitto di (dis)onore. India, 16enne dalit uccisa dal padre perché incinta

Il corpo decapitato della ragazza trovato semisepolto nello stato dell’Uttar Pradesh. Era scomparsa da settembre senza che i genitori ne denunciassero la scomparsa

Proteste in India per l'uccisione delle ragazze dalit

Proteste in India per l’uccisione delle ragazze dalit – Ansa

Il 7 ottobre, nel distretto di Shahjahanpur, nello stato indiano di Uttar Pradesh dove si vanno moltiplicando gli eventi delittuosi contro i gruppi esclusi dal sistema castale tradizionale, è stato ritrovato semisepolto presso un fiume il corpo decapitato di una giovane donna.

Le indagini sommarie hanno portato a identificarla come una 16enne di origine Dalit dispersa dal 23 settembre senza che la famiglia ne avesse denunciato la scomparsa. Alla polizia, diversi testimoni hanno confermato l’ostilità dei congiunti verso la ragazza per la gravidanza dovuta a una violenza sessuale. La “vergogna” ricaduta sulla famiglia avrebbe spinto il padre a picchiare, strangolare e poi decapitare la giovane con l’aiuto di uno dei figli.

Un “delitto d’onore” che nel contesto indiano sarà per l’ennesima volta difficile da provare e da giudicare. Perché, come confermato da Kathir Vincent, attivista alla guida di Evidence, Ong impegnata nella difesa dei Dalit e dei tribali, “la mancanza di una legge specifica per affrontare questi crimini porta alla loro denuncia e eventuale giudizio in base a una miriade di leggi che rende impossibile una statistica affidabile per i delitti d’onore” che Human Rights Watch definisce come “atti violenti, abitualmente, omicidi, commessi da esponenti maschi della famiglia contro componenti di sesso femminile che si ritengono abbiano disonorato la famiglia per il loro coinvolgimento romantico o matrimonio con un uomo estraneo alla loro casta, classe o religione”.

Crimini a volte sanzionati ma in molti casi addirittura sollecitati dai consigli di villaggio (gram panchayat) elettivi, che hanno quindi origine in una doppia discriminazione – di genere e di appartenenza sociale – di cui sono vittime donne nel 97 per cento dei casi.

Crimini spesso segnalati come “suicidi” dagli stessi parenti che si occupano anche di distruggere le prove, magari con un’immediata cremazione del cadavere. Com’è successo per un’altra minorenne uccisa dalla famiglia nell’ottobre 2019 nel Tamil Nadu, stato dove negli ultimi cinque anni sono stati 195 i casi registrati di “delitti d’onore”.

Avvenire