Il vescovo Gianotti: «Scandalo degli abusi. Impegnati a prevenire»

Il vescovo Gianotti: «Scandalo degli abusi. Impegnati a prevenire»

CREMA – A quattro anni e mezzo dal suo ingresso nel palazzo ocra di piazza Duomo, accetta di raccontarsi e di raccontare. E lo fa all’indomani del più corposo avvicendamento di parroci del suo mandato. L’ha deciso da guida, non solo spirituale, di una Diocesi che di sacerdoti ne conta ottanta ma che, sfiorando i centomila abitanti, non può certo vantare un surplus di vocazioni. Dai costi sostenuti per la ristrutturazione della Cattedrale, «siamo attenti alle spese, ma dormo sonni tranquilli in fatto di bilancio»; allo scandalo dei preti pedofili che fa tremare la Chiesa dalle fondamenta e porta il Papa a «vergognarsi». Monsignor Daniele Gianotti non fa mistero delle aspettative, ma pure delle incognite del piccolo universo di fede e organizzazione, che gravita attorno al Duomo romanico dedicato all’Assunta.

Eccellenza, la Diocesi di Crema pare in controtendenza rispetto a quanto accade a livello nazionale: negli ultimi anni i nuovi innesti non sono mancati. E sabato sera verrà ordinato un altro giovane sacerdote. Un fermento vocazionale che, evidentemente, è stato coltivato. Come?
«In realtà, purtroppo, non siamo esattamente in controtendenza: i profili di giovani che si mettono al servizio della Chiesa, negli anni, sono andati riducendosi. E ciò, più o meno in linea con quanto accade in tante altre Diocesi. Dobbiamo ringraziare Dio per chi accoglie la sua chiamata; ma al tempo stesso non possiamo permetterci di smettere di pregare, perché altri possano scoprire la bellezza di dedicarsi alla Chiesa. Certo, ho raccolto i frutti dell’impegno che altri, prima di me, hanno profuso. Ma voglio proseguire e lo ricorderò anche in una lettera, che sto per inviare alla Chiesa cremasca».

Il clero cremasco, se non in sofferenza marcata per numeri, accusa comunque l’età avanzata di molti dei suoi membri. Ritiene che la soluzione delle Unità pastorali, vale a dire l’unione di più parrocchie, possa rispondere a pieno alle esigenze di un territorio vasto?
«La popolazione della Diocesi è ormai scesa al di sotto dei centomila abitanti. È chiaro che la soluzione delle Unità pastorali sia legata alla rarefazione del clero, ma è anche una scelta che apre a un modo nuovo di pensare alle unità cristiane, nelle quali cresca la responsabilità di tutti. Perché il peso non può essere lasciato unicamente in capo al sacerdote. È la Chiesa in uscita, della quale parla il Papa».

Meno sacerdoti e più anziani. E la stessa sopravvivenza della Diocesi è stata, a più riprese, messa in discussione da voci più o meno accreditate. Come vede il futuro della casa vescovile cremasca?
«La nostra è la più piccola Diocesi lombarda. E la Santa Sede sta facendo scelte di accorpamento. Cosa ci sia in serbo per noi, onestamente, non lo so. Ma la Lombardia è la regione ecclesiastica più popolosa, con 10 milioni di abitanti. E ha solo dieci Diocesi. Pertanto, mi viene da dire che forse, prima di mettere mano a Crema, si voglia guardare in altre direzioni».

Il restauro della Cattedrale, indubbiamente, rappresenta un punto di forza per il consolidamento della sede vescovile; ma si parla di spese ingenti che, le indiscrezioni, vogliono aver messo a dura prova le casse. Solo illazioni?
«Le spese ci sono state, ma i conti della Diocesi non sono stati messi a repentaglio di certo. Dobbiamo stare attenti e proprio in questi giorni ho affrontato il tema con i miei collaboratori. Ma dal punto di vista economico, dormo sonni tranquilli, pur monitorando i conti. Da quando esiste l’8 per mille, comunque, è calata nelle comunità cristiane la consapevolezza della propria corresponsabilità nella gestione. In realtà, l’8 per mille dovrebbe essere il supporto estremo; purtroppo, però, non è così. Certo, le parrocchie vengono aiutate molto nei restauri di chiese e nelle ristrutturazioni degli oratori, ma tale sostegno dovrebbe esserci anche per le necessità diocesane».

Il caso della riduzione allo stato laicale di don Mauro Inzoli, con la condanna penale inflittagli, indubbiamente ha rappresentato una pesante tegola sul clero cremasco. Ritiene che il colpo sia stato ormai assorbito?
«L’ultimo rapporto, quello sulla Chiesa francese, ha messo in luce la vastità drammatica degli abusi. Più che parlare del caso singolo, oriento lo sguardo sul fenomeno e mi associo al sentimento di vergogna che Papa Francesco ha espresso. Come Chiesa cremasca stiamo prendendo molto sul serio questa problematica, attivando anche un servizio di tutela interdiocesano per i minori. È un’iniziativa di prevenzione, che vuole essere pure un luogo di ascolto e anche di raccolta di eventuali denunce».

La Diocesi può vantare realtà molto vitali, soprattutto dal punto di vista del coinvolgimento dei giovani: penso ad esempio, tra le tante, ad Offanengo e San Bernardino. Ritiene che sia quella la strada vincente per garantire il futuro delle parrocchie. Quindi, non essere soltanto un punto di riferimento spirituale?
«La Chiesa ha sempre associato la missione di testimonianza del Vangelo all’attenzione verso i problemi concreti delle persone, fondando ospedali e fornendo scuole per l’educazione. Qui in Lombardia, in modo particolare, è radicatala la bellissima istituzione degli oratori. E ciò che si fa lì, è parte della nostra realtà, attenta ai problemi concreti delle varie fasce di età. Ma dobbiamo anche andare a cercare chi non frequenta l’oratorio. Ed è una sfida».

Eccellenza, i rapporti con le amministrazioni locali paiono essere sempre stati improntati al reciproco rispetto, mai una frizione? Neppure sui temi più caldi… penso al riconoscimento anagrafico dei figli delle coppie omogenitoriali, avvenuto in città.
«La Chiesa, su questi temi, si è espressa molto chiaramente e in genere tendo a non tornare sulle cose già dette tante volte. I contesti a cui si rifà la visione cristiana della famiglia, del resto, vengono continuamente ribaditi. Come atteggiamento personale, preferisco non intervenire di fronte a una realtà singola. E su certe questioni, la presa di posizione non dovrebbe venire solo dal Vescovo, ma pure delle altre espressioni della Chiesa, come le singole commissioni pastorali, o le varie associazioni laicali a noi vicine».

Associazioni, delle quali, il Cremasco non difetta affatto. Come sono i rapporti con i movimenti cattolici che operano nella Diocesi; mi riferisco a gruppi come Mcl, tra i più radicati e con una vasta autonomia?
«I rapporti sono buoni: non ho mai avuto, in questi anni, ragioni di conflitto. Certo, possono nascere singoli problemi, ma si affrontano con spirito di collaborazione. Semmai, ad essere difficile, è la collaborazione tra le diverse associazioni, che pur hanno ambiti differenti di intervento. Esiste comunque un organismo di coordinamento, ossia la Consulta diocesana delle aggregazioni laicali: ha registrato un certo rallentamento a causa pandemia, ma intendo rimetterla in funzione a pieno, in questi mesi, per far camminare assieme questi movimenti. Del resto, rappresentano una grande ricchezza per la nostra Diocesi».

Ritiene che il depotenziamento del Seminario vescovile, eufemisticamente parlando, alla lunga possa rappresentare un problema per il futuro del clero cremasco, nonostante la vicinanza geografica a quello di Lodi e la collaborazione in atto con quest’ultimo?
«Certamente il fatto di non avere il Seminario è un problema, ma il primo pensiero, guardando ai futuri preti, è assicurare loro un contesto adatto. Una comunità di soli due o tre seminaristi non sarebbe affatto ottimale. Attualmente, a Lodi, ce ne sono quasi venti: una comunità nella quale la forma di vita è davvero d’aiuto ai futuri preti. Ovvio che rimanga il dispiacere di non avere il Seminario presente nella propria Diocesi. Ma il punto fondamentale è garantire le condizioni formative adeguate a chi diventerà sacerdote».

E proprio i trasferimenti dei sacerdoti, da una parrocchia all’altra, vengono vissuti spesso dalle comunità come veri e propri traumi. Sono indispensabili, quando l’età ancora consente di esercitare il ministero a pieno?
«Si rendono necessari per diverse ragioni: i sacerdoti, raggiunti i 75 anni, sono invitati a dare le dimissioni. Certo, non sono obbligatorie e il Vescovo poi le valuta. Ma la seconda ragione è che nella nostra società, dove il cambiamento è una componente molto presente, anche per i preti approdare in un’altra realtà, dopo un certo numero di anni, tutto sommato è utile. Oggi i parroci vengono nominati per un minimo di nove anni, per dare continuità. In seguito, il Vescovo analizza le situazioni. Ma mi sembra di poter dire che per le parrocchie, i cambiamenti, certo non frequenti, rappresentino qualcosa di positivo. E se un prete dà le dimissioni e la parrocchia diventa vacante, comunque, bisogna andare a cercare da qualche parte. E le assicuro, che è una situazione complessa da gestire. Nella logica delle Unità pastorali dovremo fare un passo in più, per non legare la vita delle parrocchie esclusivamente ai singoli sacerdoti. Bisogna essere grati ai parroci che lasciano dopo tanti anni, ma è necessario muoversi nella prospettiva che la parrocchia non si identifica esclusivamente nel titolare. È un passaggio che si sta cercando di fare. E non soltanto qui da noi, a Crema.

Fonte: laprovinciacr.it

Sette giorni no social. Capire per educare

Giovanna Sciacchitano

Astenersi per una settimana dall’uso spasmodico delle piattaforme social è la proposta lanciata agli studenti delle classi del triennio dell’indirizzo multimediale del Liceo Artistico Munari di Crema. Una sfida che ha visto solo tre studenti su quarantasei partecipanti arrivare alla fine della prova. L’esperienza pilota in Italia è stata raccontata da Angela Biscaldi nel libro “Una settimana senza social. Per un’educazione digitale” (Edizioni San Paolo 2020, pp. 160, euro 17). L’autrice è docente di antropologia culturale nel dipartimento di scienze sociali e politiche dell’Università statale di Milano.

L’invito a fermarsi per riflettere sulle motivazioni che si nascondono dietro il bisogno continuo di comunicare, di fare selfie e di condividere, sulle emozioni e sui sentimenti che si provano se privati del cellulare si è rivelata un’opportunità di crescita e acquisizione di consapevolezza utile a qualsiasi età. Nel libro la ricercatrice esorta genitori ed educatori a confrontarsi con il nuovo tema dell’educazione civica digitale. Senza demonizzare facebook, instagram, youtube o whatsapp, ma anche senza minimizzare, mitizzando il progresso. Perché non tutto quello che la tecnologia consente è buono e va accettato acriticamente. L’autrice propone una terza via: conoscere i cambiamenti legati all’uso delle tecnologie e utilizzare le nostre conoscenze per potenziare le capacità dei nostri figli e insegnare a usare la rete e i social come una risorsa, senza abusarne ed esserne dipendenti. Per fare questo dobbiamo abbandonare l’ottica del controllo (proibire tutto) e quella, opposta, del permissivismo (abbandonarli a loro stessi) per puntare sulla responsabilizzazione e sulla condivisione con le nuove generazioni di un nuovo linguaggio, nuove competenze, nuove regole per la comunicazione in rete. E soprattutto una nuova etica della comunicazione social. Ai ragazzi che hanno accolto la proposta non è stato fornito alcun suggerimento su come impiegare la giornata. «La prima riflessione dei giovani sulla difficoltà a trascorrere una settimana senza social network è legata all’angoscia nel non sapere, senza social, come “occupare il tempo”, come “perdere tempo” – rileva Biscaldi –. Senza l’immersione nel flusso di connessioni, informazioni, distrazioni, i ragazzi avvertono un vuoto che sembra impossibile colmare. Il solo pensiero di poter essere inattivi genera una specie di panico». Per alcuni di loro è insensato rinunciare all’evoluzione tecnologica che ci consente di vivere meglio, altri si sentono dipendenti, ma la considerano una conseguenza inevitabile del fatto di essere nativi digitali. Insomma, tanti non sono riusciti ad accettare l’idea di mettersi in discussione e cogliere un’opportunità di introspezione individuale e di analisi sociale. Un aspetto interessante osservato è che l’allargamento delle reti sociali deboli porta a un “alleggerimento” dell’impegno della relazione. I giovani sembrano convinti che nelle amicizie mantenute in vita con connessioni continue sia importante “non disturbare”, non chiedere troppo agli altri. Succede così che quando si ha la necessità di contare sul favore di un amico non si ha il coraggio di chiederlo. Una riflessione utile a genitori e figli, poi, è che l’incapacità a trascorrere del tempo senza social derivi anche dall’iperstimolazione e dalle gratificazioni immediate che questi giovani hanno avuto da bambini. Sempre impegnati fra discipline sportive e corsi di musica, non hanno potuto imparare a organizzarsi, a fare i conti con le piccole frustrazioni e a cavarsela da soli. Scrive Biscaldi: «I momenti vuoti, liberi da occupazioni programmate e strutturate, che potrebbero diventare spazi di libertà, creatività, gratificante realizzazione personale vengono invece vissuti con angoscia perché manca completamente, nella crescita, la familiarità con i momenti di solitudine».

Come è già stato detto, i social e la tecnologia non sono di per sé la causa dei problemi legati ai nuovi comportamenti giovanili. Permettono, invece, di vedere alcune tendenze e dinamiche relazionali che stanno prendendo piede. Come la mancanza di assunzione di responsabilità educativa da parte degli adulti, un sistema scolastico concentrato sulla misurazione delle competenze piuttosto che sulla trasmissione di responsabilità e un processo di generale mercificazione delle esperienze e delle relazioni in atto da diversi anni. Ecco perché serve un’educazione civica digitale, non diversa dall’educazione quotidiana, basata cioè sul riconoscimento dell’altro, sul significato del rispetto e della costruzione della fiducia, sul valore della comunità. Un passo fondamentale in famiglia è riservare spazi e momenti alla conversazione faccia a faccia con i nostri figli. Occorre saperci guardare in modo da non dover sentire la necessità di inseguire l’approvazione e l’ammirazione degli altri.

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Incarico in Cei per Mons. Gianotti. Ecco tutte le nuove nomine

Consiglio permanente della Cei (Foto Sir)

Nel corso dei lavori, il Consiglio episcopale permanente ha provveduto a una serie di nomine. Mons. Giovanni Intini, vescovo di Tricarico è stato nominato membro della Commissione episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi; mons. Douglas Regattieri, vescovo di Cesena-Sarsina, membro della Commissione episcopale per il servizio della carità e la salute; mons. Francesco Lambiasi, vescovo di Rimini, membro della Commissione episcopale per il clero e la vita consacrata; mons. Roberto Carboni, Ofm Conv., arcivescovo di Oristano e amministratore apostolico di Ales-Terralba, membro della Commissione episcopale per le migrazioni. Presidente del Comitato per gli studi superiori di teologia e di scienze religiose è stato nominato mons. Daniele Gianotti, vescovo di Crema. Membro della Presidenza di Caritas Italiana mons. Corrado Pizziolo, vescovo di Vittorio Veneto.

Nuove nomine anche per alcuni Uffici Cei: direttore dell’Ufficio catechistico nazionale mons.Valentino Bulgarelli (Bologna); direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni socialiVincenzo Corrado; direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della famiglia fr. Marco Vianelli, Ofm; responsabile del Servizio nazionale per la pastorale delle persone con disabilità sr. Veronica Amata Donatello (Suore Francescane Alcantarine).

E ancora: assistente ecclesiastico della Confederazione delle Confraternite delle diocesi d’Italia mons. Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale; assistente ecclesiastico nazionale per la branca Esploratori-Guide dell’Agesci don Luca Delunghi (Perugia-Città della Pieve); coordinatore nazionale della pastorale dei cattolici africani di lingua francese in Italia don Matthieu Malik Faye(Tambacounda, Senegal).

Inoltre la Presidenza, nella riunione del 23 settembre, ha proceduto alla nomina di Bruna Marrocome membro del Comitato per gli studi superiori di teologia e di scienze religiose.

Fonte: Sir