Il Natale dei “convertiti”

Auguri di Natale religiosi, frasi di Papa Francesco e non solo -  Studentville

di: Vincenzo Bertolone – settimananews.it

«Ricordati la gloria del Padre, e i divini splendori che tu lasciasti, esiliandoti sulla terra per riacquistare tutti i poveri peccatori. Oh, Gesù! Abbassandoti verso la Vergine Maria tu velasti l’infinita tua gloria e grandezza. Oh, Gesù, ricorda i pastori e i Re Magi, che ti offersero in gioia i loro doni ed il cuore: e la schiera degli innocenti, che ti dettero il sangue».

I versi di Teresa di Lisieux ricordano la sua “conversione” avvenuta la notte di Natale 1886 che segnò una svolta nella sua vita: riterrà quel Natale «il più bel periodo (della sua vita), il più colmo di grazie del Cielo». La trasformazione è tale che, nel giro di quindici mesi, la ex bambina piagnucolona di un tempo potrà prender posto fra le figlie di Teresa d’Avila, la quale esigeva per le Carmelitane persone robuste.

Si può allora comprendere l’importanza attribuita da Teresa alla «conversione» di quel Natale 1886.

È sintomatico che ella associ il Natale di Gesù alla schiera degli innocenti. Una macchia di sangue innocente, oggi come ieri, accompagna le luci e le dolcezze del Natale. Gli appelli di Save The Children si moltiplicano, per ricordare le centinaia di bambini vittime della sciagurata guerra aperta dalla Russia in Ucraina.

Già il rapporto del 2021, “Garantire il futuro dei bambini”, raccoglieva prove da 14 Paesi europei e forniva informazioni sulla povertà infantile e sulle famiglie in difficoltà, rilevando che milioni di bambini non hanno accesso all’educazione e alla cura, oppure ne hanno un accesso limitato e di scarsa qualità.

Intanto stiamo assistendo a una crisi alimentare che, sia per la pandemia, sia per gli effetti della guerra, sta colpendo e devastando giovani vite in tutto il mondo, la più grave del ventunesimo secolo: oltre 13,5 milioni di bambine e bambini con meno di 5 anni sono in pericolo di vita a causa della malnutrizione acuta e grave, mentre ben 59 milioni sono a rischio di essere gravemente malnutriti.

Dalla stessa fonte sappiamo che sono 452 milioni i bambini e le bambine in tutto il mondo – uno su sei – che vivono in aree colpite da conflitti; tra questi, 200 milioni vivono in zone di guerra ad alta intensità di violenze.

Questi dati gettano un’ombra pesante sul futuro e contrastano con l’attesa festosa del natale: il rituale consumistico degli acquisti è preponderante, rispetto al significato religioso della festa, che è quasi irrilevante agli occhi dei più. Ai più basta il pellegrinaggio verso i negozi, le luminarie del centro, i preparativi per la festa, le imminenti vacanze.

A fronte di questo vi è la sfida, tutta cristiana, che invita a riflettere sul senso cristiano del Natale e dare senso alla propria vita personale e sociale. Ogni Natale – l’attualità lo conferma drammaticamente – è sospeso tra due estremi: Betlemme e il Calvario, tra il nascere e il morire di Cristo. Ma il suo nascere diventa per noi un rinascere e il suo morire un risorgere.

Questo è il Natale cui tutti dobbiamo guardare, il Natale dei “convertiti”, come Teresa. È lo stesso Natale che celebrarono, con eguale stupore e sconvolgimento, Paul Claudel, Alessandro Manzoni e Charles de Foucault; un Natale che è vera Pasqua verso la vita nuova, nell’accoglienza finalmente “indifesa” di quel Dio che vuole farsi uno di noi.

Proprio su questo, per di più in un momento delicato della storia del mondo, si è tenuti a riflettere, puntando sul da farsi per sconfiggere il pessimismo della ragione con l’ottimismo della volontà, di gramsciana memoria, per fare ciò che si può ed al meglio; per combattere l’indifferenza che è odio, mancanza di amore, disprezzo dei valori morali; per ricordare ai cristiani, nonostante tutto, di amare, operare, testimoniare ed essere sale, luce e lievito; per accendere una fiaccola nell’oscurità, per riaccendere nuovi cominciamenti e nuove possibilità per noi e per l’avvenire.

Vale anche per la Calabria e per tutto il Meridione: non serve soltanto recitare, a mo’ di litanie, le statistiche che parlano di disoccupazione inquietante, emigrazione in ripresa, giovani in fuga, povertà in aumento. Neppure serve scomodare le cronache per avere contezza di quanto siano arrembanti la ‘ndrangheta e la corruzione.

È vero: si vivono giorni in cui, a volte, pare che il sole non trovi spazio, scacciato com’è tra le nubi di miseria umana e materiale, tra la prepotenza dei pochi e la disperazione dei più. Eppure, è proprio in questo terreno, all’apparenza arido, che la speranza attecchisce coi suoi semi già messi a dimora: accanto all’egoismo, all’indifferenza e alla vacuità di molti, c’è una moltitudine di persone che con umiltà, determinazione e senso del dovere, si dedicano silenziosamente ai miseri della terra, all’affermazione della legalità, alla costruzione di una prospettiva diversa.

Gli esempi non mancano, e dimostrano, come scriveva Anatole France, che «per compiere grandi passi non dobbiamo solo agire, ma anche sognare; non solo pianificare, ma anche credere».

È, questo, anche un auspicio per l’anno che sta per nascere insieme con il Bambino di Betlemme, affinché gli uomini e le donne usino meno le forbici della divisione e prendano invece tra le dita l’ago, infilandolo con i fili del dialogo in una matassina formata dai tanti colori dell’ascolto, dell’accoglienza, della solidarietà, dell’amore.

Santo del Giorno 25 Gennaio

CONVERSIONE DI SAN PAOLO APOSTOLO

Grado della Celebrazione: FESTA
Colore liturgico: Bianco

Oggi vediamo la potenza di Dio in san Paolo, divenuto da persecutore Apostolo che ha accolto la fede in Cristo e l’ha diffusa, con una fecondità apostolica straordinaria, che non è ancora cessata.
Ma poiché siamo ancora nella settimana dell’unità, riflettiamo su alcuni aspetti della conversione di Paolo che si possono mettere in relazione con l’unità.
San Paolo si preoccupava al massimo dell’unità del popolo di Dio. Fu proprio questo il motivo che lo spingeva a perseguitare i cristiani: egli non tollerava neppure il pensiero che degli uomini del suo popolo si staccassero dalla tradizione antica, lui che era stato educato, come egli stesso dice, alla esatta osservanza della Legge dei Padri ed era pieno di zelo per Dio. Ai Giudei che lo ascoltano dopo il suo arresto egli paragona appunto il suo zelo al loro: “… pieno di zelo per Dio, come oggi siete tutti voi”.
E dunque possibile essere pieni di zelo per Dio, ma in modo sbagliato. San Paolo stesso lo dice nella lettera ai Romani: “Essi hanno molto zelo, ma non è uno zelo secondo Dio”, è uno zelo per Dio, ma concepito secondo gli uomini (cfr. Rm 10,2).
Ora, mentre Paolo, pieno di zelo per Dio, usava tutti i mezzi e in particolare quelli violenti per mantenere l’unità del popolo di Dio, Dio lo ha completamente “convertito”, rivolgendogli quelle parole che rivelano chiaramente quale sia la vera unità. “Chi sei, o Signore? Mi disse: Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti”. Nelle tre narrazioni della conversione di Paolo molti dettagli cambiano: alcuni vengono aggiunti, altri scompaiono, ma queste parole si trovano sempre, perché sono veramente centrali. Paolo evidentemente non aveva coscienza di perseguitare Gesù, caricando di catene i cristiani, ma il Signore in questo momento gli rivela l’unità profonda esistente fra lui e i suoi discepoli: “Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti”. Forse proprio allora Paolo ebbe la prima rivelazione del corpo di Cristo, del quale ha parlato poi nelle sue lettere. Tutti siamo membra di Cristo per la fede in lui: in questo consiste la nostra unità.
Gesù stesso fonda la sua Chiesa visibile. “Che devo fare, Signore” chiede Paolo, e il Signore non gli risponde direttamente: “Prosegui verso Damasco; là sarai informato di tutto ciò che è stabilito che tu faccia”. Lo manda dunque alla Chiesa, non vuole per il suo Apostolo una conversione individualistica, senza alcun rapporto con gli altri discepoli. Egli deve inserirsi nella Chiesa, Corpo di Cristo, al quale deve aderire per vivere nella vera fede.
Dopo la sua conversione Paolo ha conservato in cuore il desiderio di essere unito al popolo di Israele. Lo scrive nella lettera ai Romani con parole che non si possono leggere senza profonda commozione: “Dico la verità in Cristo, non mentisco, e la mia coscienza me ne dà testimonianza nello Spirito Santo: ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua. Vorrei infatti essere io stesso anatema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne. Essi sono Israeliti e possiedono l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi; da essi proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli”.
Ogni cristiano dovrebbe avere questa tristezza continua, che non impedisce di essere gioiosi in Cristo, perché è una tristezza secondo Dio, che ci unisce al cuore di Cristo. E la sofferenza per il popolo di Israele che non riconosce Cristo, per i cristiani che sono divisi e non giungono all’unità che il Signore vuole.

La conversione di Paolo che siamo chiamati a celebrare e a vivere, esprime la potenza della grazia che sovrabbonda dove abbonda il peccato. La svolta decisiva della sua vita si compie sulla via di Damasco, dive egli scopre il mistero della passione di Cristo che si rinnova nelle sue membra. Egli stesso perseguitato per Cristo dirà: ‘Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa’. Questa celebrazione, già presente in Italia nel sec. VIII, entrò nel calendario Romano sul finire del sec. X. Conclude in modo significativo la settimana dell’unità dei cristiani, ricordando che non c’è vero ecumenismo senza conversione (cfr Conc. Vat. II, Decreto sull’ecumenismo ‘Unitatis redintegratio’, 7). (Mess. Rom.)

Martirologio Romano: Festa della Conversione di san Paolo Apostolo, al quale, mentre percorreva la via di Damasco spirando ancora minacce e stragi contro i discepoli del Signore, Gesù in persona si manifestò glorioso lungo la strada affinché, colmo di Spirito Santo, annunciasse il Vangelo della salvezza alle genti, patendo molto per il nome di Cristo.

La festa liturgica della “conversiti sancti Pauli”, che appare già nel VI secolo, è propria della Chiesa latina. Poiché il martirio dell’apostolo delle Genti viene commemorato a giugno, la celebrazione odierna offre l’opportunità di considerare da vicino la poliedrica figura dell’Apostolo per eccellenza, che scrisse di se stesso: “Io ho lavorato più di tutti gli altri apostoli”, ma anche: “io sono il minimo fra gli apostoli, un aborto, indegno anche d’essere chiamato apostolo”.
Adduce egli stesso le credenziali che gli garantiscono il buon diritto di essere considerato apostolo: egli ha visto il Signore, Cristo Risorto, ed è, perciò, testimone della risurrezione; egli pure è stato inviato direttamente da Cristo, come i Dodici: visione, vocazione, missione, tre requisiti che egli possiede, per i quali quel miracolo della grazia avvenuto sulla via di Damasco, dove Cristo lo costringe a una incondizionata capitolazione, sicché egli grida: “Signore, che vuoi che io faccia?”. Nelle parole di Cristo è rivelato il segreto della sua anima: “Ti è duro ricalcitrare contro il pungolo”. E’ vero che Saulo cercava “in tutte le sinagoghe di costringere i cristiani con minacce a bestemmiare”, ma egli lo faceva in buona fede e quando si agisce per amore di Dio, il malinteso non può durare a lungo. Affiora l’inquietudine, cioè “il pungolo” della grazia, il guizzo della luce di verità: “Chi sei tu, Signore?”; “Io sono Gesù che tu perseguiti”. Questa mistica irruzione di Cristo nella vita di Paolo è il crisma del suo apostolato e la scintilla che gli svelerà la mirabile verità della inscindibile unità di Cristo con i credenti.
Questa esperienza di Cristo alle porte di Damasco, che egli paragona con l’esperienza pasquale dei Dodici e con il fulgore della prima luce della creazione, sarà il “leit motiv” della sua predicazione orale e scritta. Le quattordici lettere che ci sono pervenute, ognuna delle quali mette a nudo la sua anima con rapide accensioni, ci fanno intravedere il miracolo della grazia operato sulla via di Damasco, incomprensibile per chi voglia cercarne una spiegazione puramente psicologica, ricorrendo magari all’estasi religiosa o, peggio, all’allucinazione.S. Paolo trarrà dalla sua esperienza questa consolante conclusione: “Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, dei quali io sono il primo. Appunto per questo ho trovato misericordia. In me specialmente ha voluto Gesù Cristo mostrare tutta la sua longanimità, affinché io sia di esempio per coloro che nella fede in Lui otterranno d’ora innanzi la vita eterna”.
Autore:
Piero Bargellini – santiebeati.it