Aborto, i roghi in chiesa fanno paura all’America

Crescono dopo la sentenza della Corte Suprema gli episodi di intolleranza, con gli incendi e le profanazioni di luoghi di culto da parte degli estremisti pro-choice
La Winding Blade Holiness Church  è bruciata nella contea di Laurel  in Kentuky

La Winding Blade Holiness Church è bruciata nella contea di Laurel in Kentuky – Wkyt.com

Precipita nel vandalismo delle chiese cattoliche la protesta dell’America che si oppone alla sentenza della Corte Suprema che, la scorsa settimana, ha messo al bando l’aborto a livello federale. A New Orleans, in Louisiana, la statua della parrocchia di Santa Maria votata ai bambini mai nati è stata imbrattata di vernice rossa. Graffiti osceni e pacciame incendiato hanno messo in allarme anche la comunità di St. John Neumann a Reston, in Virginia. Il teppismo di matrice antireligiosa non è nuovo nel panorama statunitense. Ma la serialità degli incidenti avvenuti all’indomani dello storico pronunciamento ha portato a pubblica condanna anche la Casa Bianca.

Il monitoraggio degli atti vandalici contro le chiese tenuto dalla Conferenza episcopale cattolica degli Stati Uniti conta, da maggio 2020, 143 episodi in 36 Stati. Lo scorso anno sono stati 62 in totale.

L’elenco, curato dalla Commissione per la libertà religiosa, evidenzia che quelli registrati negli ultimi due mesi, quando la bozza della sentenza pro-life ha cominciato ad agitare il Paese, sono una ventina. Nella chiesa texana di San Bartolomeo è stata tentata la rimozione del tabernacolo. La mano degli ultrà pro-choice potrebbe essere all’origine anche dell’incendio doloso che a Shady Spring, in West Virginia, ha portato alla distruzione dell’antica chiesa irlandese di St. Colman. Raggelante è la scritta comparsa sui muri della chiesa All Saint di Portland, in Oregon: «Se gli aborti non sono sicuri neppure tu lo sei». Frase vista anche alla basilica dell’Ascensione di New York. Chiesa in fiamme anche nella contea di Laurel in Kentuky. La mappa delle profanazioni, sovrapponibile in parte a quella degli Stati in cui la stretta sull’aborto è più severa, comprende anche Florida, Washington, Colorado, Indiana, Virginia e Pennsylvania.

Le autorità chiamate a investigare i casi più gravi non trascurano il Web. Un’inchiesta del Washington Post ha messo in chiaro come in rete l’estremismo di sinistra, quello che minaccia «non è finita qui» e inneggia a «notti di rabbia», si intreccia a quello di destra. Di cui sono invece protagonisti i «patrioti» pronti a difendere le proprie chiese «con uomini e fucili».

Retorica già sentita. Non è nuovo neppure il «no» con cui due senatori dem, Joe Manchin e Kyrsten Sinema, hanno bocciato la soluzione più volte ventilata dal presidente Joe Biden per ribaltare la sentenza della Corte di Washington: modificare i regolamenti del Senato sull’ostruzionismo, il meccanismo che consente alle minoranze di portare all’infinito il dibattito a meno che non si raggiunga una maggioranza di sessanta voti. Senza questo aggiustamento, che Biden chiede da gennaio, le possibilità di ripristinare la legittimità federale dell’aborto sono nulle. «Non abbiamo i voti», ha ammesso ieri il presidente che ha ripetuto l’invito a votare democratico al Midterm di novembre perché «non è finita» e perché «ora sono a rischio anche le nozze gay e i diritti alla contraccezione». Sullo scenario di un Paese in cortocircuito l’impotenza della Casa Bianca è forse ancor più visibile.

Biden ha discusso ieri le possibili mosse con nove governatori democratici. Tra cui Kathy Hochul, dello Stato di New York, e Gavin Newsom, della California, entrambi attivi nel difendere la libertà delle donne di viaggiare da uno Stato all’altro per interrompere la gravidanza. Californiana è la deputata dem, Judy Chu, finita tra le 181 persone fermate dalla polizia per aver bloccato il traffico con un sit-in di protesta dinanzi alla Corte Suprema. La sentenza che ha diviso l’America, applaudita ieri dal presidente brasiliano, Jair Bolsonaro, continuerà ad essere a lungo al centro della cronaca.

La «guerriglia legale» degli Stati, come Florida, Louisiana, Texas e Utah, determinati a sfidare il verdetto dei togati conservatori nei tribunali distrettuali è appena iniziata. L’esito dei ricorsi, che hanno sospeso l’entrata in vigore delle restrizioni, è atteso a metà mese. Molta il dibattito su quale sarà la prossima battaglia dei repubblicani: nozze omosessuali o, addirittura, limitazioni alla contraccezione? Il governo di Austin, tra i più rigidi sull’aborto, pare ora voglia rispolverare anche la legge locale contro la sodomia che fu abolita dalla Corte Suprema nel 2003 per proteggere la privacy tra partner dello stesso sesso.

Avvenire

Coronavirus. Promosse le Messe anti-Covid. E cade il limite dei 200 posti

A tre mesi dal protocollo che ha fatto tornare i riti a porte aperte, vinte le difficoltà di attuazione delle misure di tutela In Lombardia e Umbria già riviste le soglie sulle presenze
Promosse le Messe anti-Covid. E cade il limite dei 200 posti

Ansa

da Avvenire

Ormai quasi nessuno ci fa più caso. Ed è diventata una prassi che ha le sembianze della normalità entrare in chiesa dopo essersi igienizzati le mani con il gel oppure venire accompagnati al proprio posto da un volontario per partecipare alla Messa. Ancora: indossare la mascherina durante tutta la celebrazione; sostituire il gesto della pace con uno scambio di sguardi; ricevere la Comunione in mano restando fra le panche; donare un’offerta all’uscita. Persino il criticato accorgimento di distribuire l’ostia consacrata con i guanti non ha fatto storcere il naso più di tanto: e da qualche settimana l’obbligo di avere una protezione sulle mani è anche caduto. Vengono “promosse” le Messe anti-Covid, con le precauzioni contenute nel protocollo firmato dalla Cei e dal governo proprio tre mesi fa, che ha permesso da metà maggio di tornare ad avere liturgie a porte aperte dopo la sospensione dei riti comunitari nei mesi del blocco totale. «Quelle che sulla carta sembravano prescrizioni di difficile attuazione, si sono rivelate di gran lunga meno complicate da tradurre nel concreto all’interno delle parrocchie. E non solo vengono applicate con la dovuta accortezza ma si ricorre anche a una sana elasticità», spiega monsignor Angelo Lameri, docente di liturgia e sacramentaria alla Pontificia Università Lateranense di Roma, che è consultore della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti e dell’Ufficio celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice. L’impegno dei preti è stato corale nella Penisola, sostenuto da gruppi di laici che si mettono a disposizione per il servizio d’accoglienza e poi per l’igienizzazione delle chiese al termine di ogni rito. «Anche i fedeli sono molto disciplinati – aggiunge il sacerdote –: ad esempio viene rispettato il distanziamento fisico, ci si siede nei banchi seguendo le indicazioni, si osservano le misure previste. Tutto ciò non mortifica la celebrazione e non rende la partecipazione meno autentica benché manchino alcuni gesti di prossimità come lo scambio della pace».

Eppure le assemblee si sono assottigliate. Soprattutto nelle zone più colpite dalla pandemia, ma in generale in tutto il Paese le presenze alle Messe festive sono diminuite: mancano all’appello gli anziani, poi le famiglie e persino i ragazzi che i genitori hanno “trasferito” in vacanza. In Lombardia, epicentro italiano dell’emergenza sanitaria, si stima una riduzione di due terzi dei fedeli che prima del Covid erano presenti alle celebrazioni del sabato e della domenica. Ne è ben consapevole la Cei che in una lettera inviata a metà luglio ai vescovi italiani ha parlato di ritorno all’Eucaristia «segnato da un certo smarrimento». «Penso che si sommino due disagi – sostiene Lameri –: da un lato, c’è ancora una giustificata preoccupazione legata al virus; dall’altra, si teme che nelle chiese i posti siano esauriti e si debba tornare a casa». Perché, in base all’intesa fra Cei ed esecutivo Conte, la capienza di ciascun luogo di culto va drasticamente limitata per assicurare la distanza di almeno un metro fra una persona e l’altra. «Con ironia dico che in qualcuno prevale una singolare generosità che si traduce nella volontà di lasciare spazio agli altri restando a casa», sorride l’esperto. E prosegue: «Finché rimarrà il contingentamento delle presenze, esso rappresenterà un deterrente che frena la partecipazione».

Invece è ormai superato il tetto dei 200 posti in ogni chiesa, indipendentemente dall’ampiezza. Tocca a ciascuna Regione decidere, su richiesta dei vescovi o delle Conferenze episcopali regionali. E le prime revisioni si sono avute: ad esempio, la Lombardia ha già portato il limite a 350; in Umbria non ci sarà alcuna soglia purché si rispetti il distanziamento previsto. «Sono molte le chiese, basti citare gran parte delle Cattedrali, dove le distanze sono garantite anche se l’assemblea supera quota 200 – avverte il liturgista –. Inoltre va compreso che il quadro sanitario è diversificato nel Paese. Se ci sono aree dove l’allarme Covid può essere ancora elevato e quindi i rischi sono maggiori anche per il rigurgito di alcuni focolai, abbiamo zone in cui la diffusione del virus è stata bassa. Pertanto avere un’identica norma che vale in tutta Italia è penalizzante». Intanto si fa strada anche l’ipotesi di un possibile ritorno dei cori.

Poi tiene banco il dibattito sulle Messe proposte in streaming oppure attraverso tv e radio locali. Numerose parrocchie – e diocesi – le hanno abolite; altre continuano con questo servizio. «Le celebrazioni in onda sui media hanno avuto un ruolo importante durante il lockdown – spiega il docente –. Ma una partecipazione virtuale non è piena e attiva, come chiede la Costituzione Sacrosanctum Concilium. Tuttavia non possiamo neppure dire che siamo di fronte a una situazione fittizia se si tratta di liturgie in diretta e non in differita. Comunque, conclusa la fase acuta, è bene compiere un passo indietro rispetto alle trasmissioni delle Messe. Perché potrebbero costituire un deterrente oppure un alibi a una presenza reale che quindi verrebbe scoraggiata».
Le Messe “ritrovate” sono il primo grande segnale di una ripartenza ecclesiale in Italia che avrà un ulteriore slancio a settembre con l’inizio del nuovo Anno pastorale, come ha annunciato il presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti. «Siamo ancora in un frangente di transizione – sottolinea Lameri –. Non possiamo dire di essere fuori dal tunnel ma vediamo la luce dell’uscita. Il periodo di chiusura totale ha aiutato a far apprezzare come una partecipazione vera alla liturgia si attui con la presenza del corpo, con i gesti, con il canto». E adesso possono riprendere «con accortezza» – dice la Cei – anche le celebrazioni dei sacramenti dell’Iniziazione cristiana, a partire dalle Prime Comunioni e dalle Cresime. «Certo, occorrerà evitare che si abbiano gruppi numerosi e quindi procedere suddividendo i ragazzi in più turni. Ma non si possono prospettare ulteriori rinvii – conclude il liturgista –. Lo stesso vale per le ordinazioni sacerdotali e diaconali che fra marzo e maggio si sono fermate. E in alcuni casi persino per le ordinazioni episcopali che sono tornate solo in queste settimane».

Per gli organismi ecclesiali a dimensione europea, è questo il tempo per rendere più solide le radici dell’Unione, intensificando la collaborazione

chiesse ue

Questa fase di iniziale uscita dall’epidemia da coronavirus ha visto la COMECE (Commissione delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europea) al centro di una serie di iniziative che segnano, insieme alla conferma di una linea di attenzione costante all’evoluzione dell’UE, il rafforzamento di una serie di rapporti con altre istituzioni che vanno nella direzione di un collegamento stabile e da uno stile di lavoro in rete.

Prima che dalle parole e dai documenti, dalla serie di iniziative traspare il messaggio di fondo che essa vuole mandare alle istituzioni della Unione Europea, ma anche alle conferenze episcopali nazionali e alle rispettive comunità ecclesiali.

E il messaggio che ne risulta è la richiesta di una maggiore cooperazione tra i Paesi dell’Unione come condizione per uscire dalla fase di crisi nella quale tutti siamo entrati.

In questa fase, tutte le criticità che accompagnano da anni il cammino europeo si sono come addensate determinando una situazione nuova che impone nuove scelte. L’epidemia ha fatto capire che uscirne veramente richiede una rimodulazione di tutte le questioni e dei tradizionali approcci. Per questa ragione ad emergere con maggiore chiarezza è la scarsa e instabile coesione che caratterizza in misura variabile i Paesi membri dell’Unione.

Le Chiese cristiane e l’Unione

Un incontro delle Presidenze della COMECE e della CCEE (Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee) ha segnato la ripresa di rapporti, mai interrotti, nella prospettiva di una nuova stagione.

L’occasione era duplice: la valutazione dell’esperienza delle Chiese nel tempo dell’epidemia e la predisposizione di una serie di attività comuni da mettere in cantiere. Ne è risultata una visione condivisa delle fatiche e delle promesse che vengono fuori da questa fase particolare di storia europea e mondiale, tra le quali possono essere richiamati l’allentamento del rapporto con la Chiesa della fascia più anziana della popolazione, l’esperienza rinnovata dell’unità delle famiglie e della fede vissuta spesso anche nella preghiera domestica, la crescita di un senso di solidarietà che ha aperto il cuore e le mani ai più bisognosi nei territori, tornati a un senso nuovo di appartenenza e di protagonismo.

Nella differenza delle forme di rapporto istituzionale, nei vari Paesi si è lamentato lo scarso riconoscimento della libertà della Chiesa e dell’esercizio del culto. In questo senso, il recente ritorno di attenzione al tema della libertà religiosa nell’Unione Europea va salutato positivamente.

Nel quadro di questi rapporti si segnala l’iniziativa spontanea di un’alleanza tra organismi internazionali denominata Elsi’A (Alleanza Enciclica Laudato si’), il cui interesse dominante è costituito dalla “cura della casa comune” e alla quale guardano anche le due istituzioni episcopali europee, e in modo particolare la COMECE.

Più di recente la COMECE si è fatta promotrice di un passo avanti nel dialogo con l’UE incontrando insieme alla CEC (Conferenza delle Chiese Europee) la Presidenza tedesca dell’Unione che è appena entrata nel semestre di competenza.

L’occasione è particolarmente propizia per sollecitare a rinnovare l’impegno per il progetto europeo e i suoi valori fondanti al fine di rendere l’Europa più giusta, equa e sostenibile. Presentando un documento comune, l’iniziativa ecumenica ha ricordato quanto sia vitale l’apporto delle Chiese e delle comunità religiose per un progetto europeo che abbia un’anima ideale e valoriale.

chiese UE

COMECE: stimolare le Chiese cattoliche dell’UE

L’iniziativa più recente della Presidenza della COMECE riguarda l’invito rivolto ai presidenti e ai segretari generali delle conferenza episcopali dei Paesi dell’Unione per un incontro congiunto a fine settembre. L’incontro ha lo scopo di valutare la situazione che si è determinata a seguito della pandemia da Covid-19 e la «possibilità di un’azione comune della Chiesa in Europa per affrontare tale situazione, per aiutarci a vicenda, dando un segnale di unità e solidarietà, e per inviare un messaggio forte».

Si conferma così, attraverso lo sviluppo di un’azione propriamente ecclesiale, la volontà di stimolare uno stile e far giungere una sollecitazione che dica quanto sia indispensabile ai Paesi dell’Unione lavorare insieme per il bene di ciascuno di loro e di tutti insieme, senza dimenticare il ruolo delicato che la storia le affida in questa fase della sua storia.

Sono, questi, motivi presenti anche nella presa di posizione della Commissione per gli affari sociali della COMECE in occasione della presentazione del Piano di rilancio della Commissione Europea.

Legami solidali nell’UE

Sebbene in ritardo nel raccogliere il bisogno di aiuto dei Paesi più colpiti dall’epidemia, l’Unione sembra aver trovato la lucidità e la volontà di intervenire. Ora si richiede più che mai di agire insieme. Come dice il titolo del documento: “Nessuno può salvarsi da solo!”.

E infatti ciò che alla fine emerge prepotente è la consapevolezza che la necessità di dare risposta ad una urgenza improvvisa e drammatica, ripropone in modo nuovo la questione di fondo che riguarda, più che la sopravvivenza dell’Unione Europea, la sua capacità di darsi una forma compiuta di unione che non sia solo economica, ma anche politica, sociale e culturale.

Finché la coscienza e le occasioni per sentirsi richiamati a tale compito non mancheranno, si potrà rimanere fiduciosi; il dramma sarà quando verranno a mancare.