La santità anticonformista di Charles de Foucauld

La santità anticonformista di Charles de Foucauld

Rai News

In Vaticano, Papa Francesco ha canonizzato10 beati. Tra questi Charles de Foucauld. “Con Teresa di Lisieux, Charles de Foucauld è uno dei due fari del 20° secolo”, scriveva il grande teologo Yves Congar. per approfondire la sua figura abbiamo intervistato il teologo italiano Brunetto Salvarani, autore del saggio, uscito da poco per l’editrice Cittadella, “Fino a farsi fratello di tutti. Charles de Foucauld”.

Professor Salvarani, un giorno davvero importante per la Chiesa Cattolica: è il giorno della canonizzazione di Fratel Charles de Foucauld. In estrema sintesi chi era De Foucauld?
Charles-Eugène de Foucauld nasce a Strasburgo, in Alsazia, il 15 settembre 1858, da un’antica famiglia nobiliare il cui storico motto è “Mai ritirarsi!”; morirà in circostanze drammatiche, nel deserto algerino in cui si era spinto (e non ritirato) per seguire quella che aveva finalmente intuito essere la sua definitiva vocazione, il 1° dicembre 1916. Ebbe una vita piuttosto breve, dunque, appena cinquantotto anni: eppure, le definizioni che gli si potrebbero attribuire sono tante, e variegate. Ufficiale di cavalleria ben disposto all’azione, brillante esploratore in terra africana, stimato geografo ed etnologo, meticoloso linguista, e naturalmente uomo dello Spirito, presbitero, monaco e poi eremita in Dar al-Islam. A dispetto di ciò e di un’esistenza quanto mai poliedrica, in realtà, di tutti gli obiettivi che si era dato, egli non ne raggiunse nemmeno uno: avrebbe voluto fondare un ordine religioso, o almeno un istituto di fratelli, ma nonostante ripetuti tentativi e sperimentazioni non ci riuscì. Rifiutò d’altra parte, inoltre, di diventare ciò che di volta in volta gli veniva richiesto dalla famiglia e dalle occasioni che gli si pararono davanti, dapprima studente modello e poi soldato di carriera, scegliendo di rimanere costantemente ai margini, per consegnarsi alla fine al silenzio, all’ascolto e alla preghiera. Pur abitando nel deserto profondo fianco a fianco con i Tuareg, tradizionalmente musulmani sunniti, non determinò in loro alcuna conversione al Vangelo, fino a trovare la morte, assassinato per futili ragioni, quando ancora era nel pieno della sua maturità intellettuale e spirituale. Per di più, infine, non lo si può dire un teologo in senso stretto, né un pensatore originale: quando morì, non aveva pubblicato nessuno dei suoi scritti spirituali né i suoi lavori di linguistica. Del resto, fu lui stesso a sceglierlo, sostenendo che le opere di misericordia da realizzarsi da parte dei futuri Piccoli Fratelli di Gesù si dovevano limitare a quelle che Gesù compieva a Nazaret: accogliere gli ospiti e dare loro l’elemosina. La sua è una biografia sicuramente inquieta, quella di un uomo ansioso che non ha mai smesso di cercare: il sale della vita, se stesso, Dio, e alla fine soprattutto, e sopra ogni altra cosa, Gesù.

La sua vita avventurosa si è sviluppata fino a diventare “piccolo fratello universale”. Perché “Piccolo fratello universale”? Un “carisma”, per usare una terminologia paolina, molto particolare… ed impegnativo…
Sin dall’inizio del soggiorno di de Foucauld in Algeria a Béni Abbès, nel 1901, emerge chiaramente la sua aspirazione a produrre germi di fraternità universale. Rivelativa, fra le altre, è una lettera per la cugina Marie, del 7 gennaio 1902: “Mi avete chiesto una descrizione della cappella… La cappella, dedicata al Sacro Cuore di Gesù, si chiama cappella della fraternità del Sacro Cuore di Gesù; la mia piccola dimora si chiama fraternità del Sacro Cuore di Gesù. Voglio abituare tutti gli abitanti, cristiani, musulmani, ebrei e idolatri, a considerarmi come loro fratello, il fratello universale… A poco a poco cominciano a chiamare la casa la fraternità, e ciò mi fa piacere…”. Una fraternità, per l’appunto, assai movimentata, stando alle sue confidenze all’abate di Notre-Dame des Neiges: “Tutti i giorni ospiti, a cena, a dormire, a colazione; non c’è mai stato vuoto; ce ne sono stati undici, una notte, senza contare una vecchia inferma che ormai si è stabilita qui: ho dalle sessanta alle cento visite al giorno: questa fraternità è un alveare”. Due anni dopo, nel luglio 1904, ancora a Marie, scriverà: “Gli indigeni ci accolgono bene. Quando sapranno distinguere i soldati dai preti e vedere in noi dei servi di Dio, ministri di pace e di carità, fratelli universali? Non lo so. Se io faccio il mio dovere, Gesù effonderà grazie abbondanti, ed essi comprenderanno”. Unico prete in un raggio di quattrocento chilometri di deserto sahariano, egli parla ormai esplicitamente della fraternità come della sua casa, un luogo aperto a chiunque nel quale tutti, cristiani, musulmani, ebrei, ma anche quelli chiama idolatri, si possano sentire accolti e mai giudicati. Un concetto di fraternità che risulta ancor più significativo se contestualizzato nella strategia missionaria elaborata dal papa dell’epoca, Leone XIII, basata sulla tesi che l’attività dei missionari cattolici deve nel contempo risultare evangelizzatrice e civilizzatrice, religiosa ma anche politico-sociale. E che troverà il suo compimento ideale quando Charles si porterà nell’Hoggar, nell’Algeria meridionale (duemila chilometri a sud di Algeri), a condividere la vita con i Tuareg a Tamanrasset. Che sarà la sua ultima dimora.

Sappiamo che il Papa Francesco nella sua enciclica Fratelli tutti cita, come pilastri “architettonici” della fraternità, Francesco d’Assisi e Charles de Foucauld. Da dove viene questo amore di Bergoglio per Fratel Charles?
In effetti l’attenzione per lui, da parte del papa, viene da lontano. Sappiamo, ad esempio, che nel marzo 2006 l’allora cardinale di Buenos Aires, parlando ai giovani, li esorta al sogno che può consentirci di “camminare alla presenza amorosa del Padre, abbandonandosi a Lui con infinita fiducia, come hanno saputo fare santa Teresina o il fratello Charles de Foucauld”. Il discorso si conclude fra l’altro con un passaggio sulla fraternità e l’amicizia sociale, assi portanti dell’enciclica Fratelli tutti. Eletto nel 2013, il 2 marzo 2015 Francesco riceve, per la visita ad limina, i vescovi della Conferenza regionale del Nord Africa. Qui egli presenta la vicenda di quella terra come “segnata da numerose figure di santità, da Cipriano e Agostino, patrimonio spirituale di tutta la Chiesa, al beato Charles de Foucauld, di cui il prossimo anno celebreremo il centenario della morte”. Due mesi più tardi, l’uscita dell’enciclica Laudato sì conferma questa attenzione privilegiata. Al n.125 si legge: “La spiritualità cristiana, insieme con lo stupore contemplativo per le creature che troviamo in san Francesco d’Assisi, ha sviluppato anche una ricca e sana comprensione del lavoro, come possiamo riscontrare, per esempio, nella vita del beato Charles de Foucauld e dei suoi discepoli”. Passata l’estate, il 3 ottobre, in preparazione all’atteso Sinodo sulla famiglia, in Piazza San Pietro si tiene una veglia di preghiera. Nell’omelia papale la figura del fratello universale rifulge largamente: “Charles de Foucauld, forse come pochi altri, ha intuito la portata della spiritualità che emana da Nazaret. Attraverso la vicinanza fraterna e solidale ai più poveri e abbandonati, egli comprese che alla fine sono proprio loro a evangelizzare noi, aiutandoci a crescere in umanità”. L’anno seguente, nella memoria liturgica del beato Charles, in coincidenza con i cent’anni dalla morte, al termine della messa a Santa Marta del 1° dicembre 2016, egli sceglie di indicare la sua testimonianza concreta per sollecitare a “camminare sulle sue tracce di povertà, contemplazione e servizio ai poveri”. De Foucauld, sostiene Francesco, è “un uomo che ha vinto tante resistenze e ha dato una testimonianza che ha fatto bene alla Chiesa”. Successivamente, un nuovo accenno lo troviamo nell’Esortazione Gaudete et exsultate (19 marzo 2018). Al n.155, in una rassegna sulle caratteristiche della santità nel mondo attuale, soffermandosi sul bisogno di una preghiera costante, leggiamo: “Se veramente riconosciamo che Dio esiste, non possiamo fare a meno di adorarlo, a volte in un silenzio colmo di ammirazione, o di cantare a Lui con lode festosa. Così esprimiamo ciò che viveva il beato Charles de Foucauld quando disse: «Appena credetti che c’era un Dio, compresi che non potevo fare altrimenti che vivere solo per Lui»”. Ancora. Il 30 e 31 marzo 2019 Francesco si porta in pellegrinaggio apostolico in Marocco: un banco di prova dopo la firma, il mese prima, del Documento di Abu Dhabi. Nella cattedrale di Rabat, il suo discorso è tutto dedicato al dialogo interreligioso: “Il cristiano, in queste terre, impara a essere sacramento vivo del dialogo che Dio vuole intavolare con ciascun uomo e donna, in qualunque condizione viva. In questo spirito, troviamo dei fratelli maggiori che ci mostrano la via, perché con la loro vita hanno testimoniato che questo è possibile, una misura alta che ci sfida e ci stimola. …come non menzionare il Beato Charles de Foucault che, profondamente segnato dalla vita umile e nascosta di Gesù a Nazaret, che adorava in silenzio, ha voluto essere un fratello universale?”. Non stupisce, alla luce di tutti questi riferimenti, l’ennesimo rilancio del paradigma de Foucauld che campeggia nelle conclusioni della Fratelli tutti. Che conferma ulteriormente la centralità del fratello universale nella sua strategia ecclesiale.

De Foucauĺd viene richiamato spesso nel dialogo tra cristiani e musulmani. Al riguardo, per un attimo approfondiamo il suo rapporto con Luis Massignon. Massignon, il grande islamista francese, che segnerà in modo decisivo il cambiamento di approccio della Chiesa Cattolica nei confronti dell’Islam. Perché è così importante questo rapporto tra Massignon e Foucauld?
Nel dialogo cristiano-islamico è sempre possibile custodire una spiritualità dell’ospitalità. L’aveva colto a fondo uno dei primi pionieri di tale dialogo, appunto Louis Massignon, il cui slogan potrebbe essere: “per capire l’altro devi diventare suo ospite”. In realtà, l’intera avventura umana e spirituale di Massignon porta iscritto il paradigma dell’ospitalità: egli sperimenta, infatti, l’ospitalità sacra riservatagli dagli amici musulmani (per i quali l’ospitalità è diyafa, dovere sacro), ed è questo che gli permette di interpretare in maniera chiara la lezione di Abramo e dei suoi tre ospiti nel racconto della Genesi (18, 1-16). Alla scuola della mitologia biblica e della vita accolta, Massignon apprenderà che l’ospitalità non è solo un semplice gesto di ambito etico, ma rappresenta, molto di più, la possibilità di capire la vita dell’altro quando ci si lascia ospitare al suo interno. Siamo a conoscenza di un suo rapporto fraterno con de Foucauld. Massignon incontra frère Charles una prima volta nel 1909, restando poi in contatto epistolare con lui, prima per ragioni di studio e poi con l’intenzione di divenirne discepolo, fino alla sua morte. Di conseguenza, egli farà di tutto per mantenere viva l’Unione voluta dal suo fratello maggiore: pubblicherà il Direttorio e avvierà l’Associazione Charles de Foucauld, per la quale ottiene l’autorizzazione dal cardinale Léon-Adolphe Amette, arcivescovo di Parigi dal 1908 al 1920. Il suo ruolo nel custodire e trasmettere la memoria di quello che chiamava anche il suo amico del deserto è dunque cruciale. L’ultima lettera inviata da frère Charles a Massignon è datata 1° dicembre 1916: quella stessa sera egli sarà ucciso, nel corso di un assalto al suo fortino, da una banda isolata di Tuareg alleati ai Senussiti libici. Era un venerdì, il primo venerdì del mese, e la sua intenzione di preghiera per quel dicembre era la conversione dei musulmani. E’una lettera commovente e densa di emozioni…

Quello di Fratel Carlo, lì nel deserto algerino, a Tamanrasset, fu un apostolato della bontà. Ed è quello che sta attualizzando, tra mille conflitti, Papa Francesco. Si può dire, allora, che il papato di Bergoglio è nel segno di Charles de Foucauld: nel senso che la vera essenza del papato è quello di essere un “fratello universale”?
Certo, è così! Lo si può cogliere bene, al di là dei tanti gesti, viaggi e discorsi di papa Bergoglio, utilizzando con una preziosa bussola, la sua enciclica Fratelli tutti, cuore pulsante di un progetto che – mettendo a fuoco il complesso reticolo dei rapporti fra cristiani e musulmani – è in grado di fungere da cartina di tornasole di una Chiesa autenticamente, e coraggiosamente, in uscita. In entrambi i casi, per de Foucauld e Bergoglio, il solo metro di paragone, il Modello Unico (come lo chiamava il primo), è, e non può essere altrimenti, Gesù di Nazaret. Da qui, lo stretto rapporto che papa Francesco ha scelto di instaurare con l’eremita francese, eleggendolo a punto di riferimento ideale e stella polare del suo progetto di relazioni fraterne con il mondo musulmano. Un progetto, ovviamente, del tutto antitetico al ventilato scontro di civiltà che ha furoreggiato nella cultura occidentale all’indomani dei tragici attentati dell’11 settembre 2001. In tale ottica, Bergoglio sta tessendo una sistematica contro-narrazione rispetto alla ricorrente narrativa della paura. È a questo livello che si comprende il significato storico del suo impegno contro i muri e ogni forma di guerra di religione, nell’intento di svuotare dall’interno la macchina narrativa dei millenarismi settari che ombreggia una presunta apocalisse incombente e lo scontro finale. Facendoci comprendere che, come aveva ben inteso de Foucauld, in definitiva e nonostante le sirene contrarie, ospiti della terra nostra casa comune, siamo fratelli (e sorelle) tutti.

Ultima domanda: ai non credenti, o agli indifferenti, cosa ha dire una figura come di Charles de Foucauld?
Beh, un dato di fatto è che il nome di de Foucauld è divenuto, nel corso dei decenni, una bussola sicura – direi anzi imprescindibile – per orientarsi in molteplici ambiti: in particolare, per chi accetti di lasciarsi affascinare da una spiritualità del deserto accessibile sia ai credenti sia ai (cosiddetti) non credenti. “Nella sua immagine – scrive Franca Giansoldati – forse possono riconoscersi tutti i falliti della storia”. Ma già il suo primo biografo, René Bazin, aveva colto tale aspetto, presentandolo così: “E’ stato il monaco senza monastero, il maestro senza discepoli, il penitente che sosteneva, nella solitudine, la speranza di un’età che non doveva vedere…”. E soprattutto ha ragione il padre Bernard Ardura, suo postulatore nella causa di santificazione: se tanti amano frère Charles è “perché lo sentono vicino… Quelli che l’hanno scoperto lo sentono molto vicino perché incarna in qualche modo l’ideale della fede cristiana”. E “coloro che non sono particolarmente credenti vedono in quest’uomo certamente una grandissima umanità”. Frère Charles, infatti, fu un uomo che non sopportò le mezze misure, le mediazioni, gli equilibrismi, e tanto meno i compromessi, transitando spesso da un estremo all’altro, dagli abissi della dissipazione alla gloria mondana fino alla perfezione evangelica. Ecco perché, imbattendosi in lui e nella sua storia da moderno padre del deserto, è impossibile rimanere indifferenti: o ci si innamora ingegnandosi a conoscere tutto di lui, o ci si rifiuta di farsi coinvolgere, di fronte a quello che potrebbe anche apparirci un idealista un po’ folle, incapace di fare i conti con la dura realtà. Tutto e subito, come quando Charles, il cristianesimo, lo ri-scopre (letteralmente, nel senso che riesce a togliere il velo che ne faceva la depositaria religione di famiglia, alla quale era costretto ad adeguarsi). Tanto da ammettere, nel 1886, già ventottenne: “Appena ho creduto che Dio esiste ho capito che non avrei potuto fare altro che vivere solo per lui”.

Charles de Foucauld: un nuovo modo di vivere il Vangelo

di: Gabriele Ferrari settimananews

spiritualità

All’approssimarsi del giorno della canonizzazione di Charles de Foucauld (Fratel Carlo di Gesù), il prossimo 15 maggio 2022 – era stato proclamato beato il 13 novembre 2005 da papa Benedetto XVI –, non possiamo non chiederci come mai e perché quest’uomo è diventato un santo così attraente e simpatico nell’universo della santità cristiana del nostro tempo.

La vita di fr. Carlo de Foucauld è stata relativamente breve, solo 58 anni, di cui ventotto di vita mondana e anche dissoluta (1858-1886) e trent’anni vissuti al seguito del suo «beneamato fratello Gesù» (1886-2016), conclusisi violentemente, ucciso da banditi locali il 1° dicembre 1916.

Dopo la conversione culminata nell’incontro con l’abbé Huvelin il 28 ottobre 1886 nel confessionale della chiesa di Sant’Agostino a Parigi, egli intraprende un singolare percorso spirituale che lo porterà a una forma inedita di santità e di vita consacrata.

Egli ha tentato diversi cammini spirituali, dalla Trappa alla vita solitaria a servizio di un convento a Nazareth e a Gerusalemme, alla formazione sacerdotale alla vita nel deserto nordafricano di Beni Abbés e di Tamanrasset, sempre alla ricerca di una vita che gli permettesse di rivivere la vita umile, povera e nascosta di Gesù negli anni di Nazareth.

Innamorato di Gesù e del mistero dell’incarnazione, egli è convinto che, una volta conosciuto Gesù, non può far altro che mettersi a imitarlo. Per questo fr. Carlo cerca di incarnarsi, a sua volta, nell’umano più semplice e più feriale, nel lavoro umile e nella comunione di vita con gli altri, riempiendo la sua giornata di ascolto della Parola e di lunghe adorazioni davanti al ss.mo Sacramento. Egli si è così avvicinato alle persone più semplici e povere senza fare distinzioni di razza o religione, modello di quella fraternità universale che papa Francesco ha proposto nell’enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale Fratelli tutti: «Voleva essere “il fratello universale”. Ma solo identificandosi con gli ultimi arrivò ad essere fratello di tutti. Che Dio ispiri questo ideale in ognuno di noi» (n. 287).

La vita e la morte di fr. Carlo sono diventati «un parametro su cui misurare un modo nuovo di essere testimoni di Cristo e del suo Vangelo e un modo nuovo di essere “martiri”» (Fratel MichaelDavide, Charles de Foucauld, San Paolo 2016, p. 151).

Non è possibile presentare qui il cammino umano e spirituale di Charles de Foucauld il quale, partendo da un’educazione religiosa e borghese e dal normale rifiuto di essa al momento dell’adolescenza, passando per la vita militare, giunge ad una crisi esistenziale che lo conduce a ritrovare la sua radice cristiana. Da essa è venuta la vita ascetica e mistica di fr. Carlo di Gesù, monaco atipico che vive nel deserto, in mezzo ai non cristiani, seguendo un progetto di vita che affascina ancora coloro che lo conoscono.

Qui si possono mostrare solo alcuni degli aspetti più significativi della sua spiritualità ai quali anche noi possiamo ispirarci nell’intento di vivere la parola di Gesù: «Imparate da me che sono mite e umile di cuore e troverete riposo per la vostra vita» (Mt 11,29), tre atteggiamenti che sono molto attuali in questo momento della storia del mondo e della Chiesa, in particolare della missione ad gentes.

Un uomo innamorato di Gesù e del Vangelo
Dal 28 ottobre 1886 Carlo de Foucauld si sente, come Paolo (Fil 3,12) catturato da Gesù e comprende che ormai non può fare altro che vivere per Dio. La sua vita diventa allora una continua adorazione del suo Mistero.

Innamorato di Dio e, specificamente, di Gesù, il Dio che si è fatto uomo, Carlo dedicherà tutto sé stesso alla conoscenza e all’imitazione del suo «beneamato Fratello e Signore Gesù».

Passa lunghe ore in adorazione del ss.mo Sacramento, legge il Vangelo, lo medita, lo trascrive e, soprattutto, cerca di viverlo. Desidera crescere nella conoscenza di Gesù per amarlo, imitarlo, obbedirgli, lasciandosi incontrare e toccare da Gesù nella certezza di poter vedere e toccare in lui il «Verbo della vita» (1Gv 1,1). Scrive infatti al suo amico Gabriel Tourdes: «Ecco il segreto della mia vita: ho perduto il mio cuore per questo Gesù di Nazareth crocifisso 1900 anni fa e passo la mia vita a cercare di imitarlo per quanto possa la mia debolezza» (7 marzo 1902).

Lo stile di vivere, di preghiera e di adorazione, è una scelta personale di fr. Carlo, che tuttavia non gli impedisce – anzi – lo porta a entrare in profondità nel cuore, nella cultura e nella storia delle persone in mezzo alle quali, come il Verbo di Dio, ha messo la sua abitazione (cf. Gv 1,14). Non per un interesse solo etnografico, ma per poter conoscere la ricchezza dei doni riversativi da Dio come preparazione evangelica.

L’adorazione del mistero di Gesù e l’amore per il popolo diventano il contenuto della sua preghiera e della contemplazione.

Leggere oggi le sue meditazioni sul Vangelo, frutto delle sue lunghe ore di preghiera e di adorazione davanti al ss.mo Sacramento nel silenzio dell’eremo, è una esperienza affascinante e coinvolgente. Sono parole semplici ma profonde che invitano a rifare un personale cammino di accostamento della sacra Scrittura per fare della Parola di Dio il nutrimento della propria vita spirituale e il criterio per le scelte della vita e della missione di ogni discepolo anche e, soprattutto, oggi. Papa Francesco non invita forse la nostra Chiesa a ritornare al Vangelo?

Come a Nazareth: trovare Dio nella vita nascosta e feriale
Un secondo aspetto caratteristico di fr. Carlo di Gesù è vivere la vita di Nazareth. Egli sceglie di vivere nel deserto in mezzo ai poveri a servizio di una piccola tribù nomade: i Tuareg. Lo fa per assomigliare a Gesù che ha vissuto i primi trent’anni della sua vita nell’oscura borgata di Nazareth, facendo il falegname per guadagnarsi il pane di tutti i giorni.

La vita di fr. Carlo, come quella di Gesù, normale nella sua ordinarietà, è fatta di cose semplici, di accoglienza di chi incontra, di lavoro compiuto con cura e precisione, di relazioni fraterne con i compaesani nell’ascolto, nell’aiuto e nella condivisione della vita. Una vita povera, semplice, ordinaria, che non lo allontana da quella dei suoi Tuareg.

Ma fr. Carlo è convinto che essa, come quella vissuta da Gesù nei suoi trent’anni a Nazareth, è una vita che, vissuta davanti a Dio, ha un valore salvifico come i tre anni di vita pubblica.

Questa sua intuizione aiuta anche noi, cristiani di oggi, a riscoprire il valore nascosto tra le pieghe della quotidianità e delle normali relazioni della vita di tutti i giorni, mentre troppo spesso consideriamo valida solo quella vita che è fatta di attività e di presenza visibile e volta all’efficienza immediata.

Fr. Carlo sa, invece, che proprio nei gesti semplici e ordinari della vita di ogni giorno possono germogliare l’amore, la cura, il senso profondo che Gesù vi ha immesso vivendo per trent’anni come un uomo qualsiasi.

Ogni gesto vissuto alla presenza di Dio diventa, per fr. Carlo, un gesto d’amore e d’incontro con Dio, carico quindi di eternità! Scrive infatti all’abbé Huvelin, suo padre spirituale: «Questa piccola vita di Nazareth che sono venuto a cercare… una vita di lavoro e di preghiere… [è quella che] faceva nostro Signore» (22 settembre 1893).

Conseguentemente, lo stile di vita di fr. Carlo vuole essere quello della bontà, della vicinanza, della prossimità all’altro. Si propone di imitare Gesù e, come lui, desidera testimoniare il volto buono di Dio: «Il mio apostolato dev’essere l’apostolato della bontà», scrive alla cugina Marie il 12 maggio 1902.

Anche la nostra vita, comunque e ovunque essa si svolga, può perseguire questa finalità: cercare che ogni evento e ogni incontro faccia trasparire un briciolo della bellezza dell’amore di Dio apparso in Gesù: solo questa, infatti, è «la bellezza che salverà il mondo» (F. Dostoevskij in L’idiota).

Essere un «fratello universale»
La scelta di fr. Carlo di vivere con i Tuareg per offrire loro la sua amicizia in modo gratuito sull’esempio di Gesù, che amava tutti e tutti accostava, soprattutto chi aveva bisogno della sua presenza, ha dilatato il suo cuore così che volentieri egli dichiarava di sentirsi e di voler essere «fratello universale». Alla cugina Marie de Bondy scriveva: «Voglio abituare tutti gli abitanti, cristiani, mussulmani, ebrei e non credenti a guardarmi come loro fratello, il fratello universale… Cominciano a chiamare la mia casa “la fraternità” (la Khaoua, in arabo), e questo mi è caro» (7 gennaio 1902).

Il primo passo per essere fratello di tutti, per Carlo, era quello di incarnarsi profondamente (per quanto possibile…) nel mondo culturale dei suoi fratelli, condividere lo stile della loro vita, le loro attese e le loro sofferenze.

Nel tempo passato in Algeria durante il suo servizio militare, egli aveva avuto occasione di osservare e studiare la cultura dei popoli berberi fino ad acquisire una vera competenza in questo campo. Questo gli ha dato la possibilità e gli strumenti per accostare con intelligenza la cultura delle popolazioni in mezzo alle quali viveva, in un tempo in cui non si dava molta importanza alle culture non occidentali, pensando che solo l’Europa potesse vantare una cultura!

A partire dalla carità di Cristo, attinta quotidianamente nell’adorazione e nella lettura orante del Vangelo, fr. Carlo di Gesù sentiva crescere in sé il desiderio di dedicarsi sempre più a Dio e ai fratelli.

Nell’adorazione la presenza di Dio si fa reale, e in quel momento di intima preghiera egli porta alla presenza di Dio quanti incontrava ogni giorno e le tante persone con le quali mantiene relazioni epistolari. Egli non solo lavora per assomigliare a Gesù e guadagnarsi il pane, ma apre la sua abitazione per accogliere le persone che, sempre più numerose, si presentano sulla soglia della sua casa, a partire dai Tuareg, tutti rigorosamente musulmani, ai militari francesi presenti nella colonia fino ai turisti che già allora viaggiavano nel deserto. A tutti offre una parola e, se richiesto, un aiuto.

È straordinario il numero di lettere che egli ha scritto in quei pochi anni dal suo eremo, tutte intrise della sua fede. A tutti, infatti, offre la presenza di Dio che ha scoperto nella preghiera e nella meditazione del Vangelo: un Dio buono, che non giudica e non condanna, che non vuol conquistare nessuno alla fede, che spinge alla promozione e al bene dell’altro, un Dio che si fa fratello e ci chiede di fare altrettanto.

«È impossibile amare Dio, voler amare Dio senza amare, voler amare gli uomini: più si ama Dio, più si amano gli uomini. L’amore di Dio, l’amore degli uomini è tutta la mia vita, sarà tutta la mia vita, lo spero», scrive al suo amico Henry Duveyrier, il 24 aprile 1890.

Fr. Carlo si impegna con rigore e dedizione nell’aiuto materiale e spirituale di quanti incontra: accoglie, ascolta, dialoga, offre cibo e medicine… si fa amico e fratello di tutti, perché vuole farsi fratello di tutti, a imitazione del suo (e nostro) Signore e Fratello, Gesù di Nazareth… fino al giorno in cui, per la sua fedeltà a rimanere in mezzo ai fratelli musulmani, giunge al dono di sé nel sacrificio della vita, il 1° dicembre 1916.

La sua maniera di essere cristiano in mezzo a coloro che non sono e non intendono diventare cristiani è diventato un nuovo paradigma della missione ad gentes, per questo tempo segnato dalla cultura del sospetto e della diffidenza, mentre si cerca di liberarla dalle incrostazioni colonialiste che l’hanno deturpata e resa ostica alle generazioni attuali.

Via Crucis con Charles de Foucauld

Charles de Foucauld sarà canonizzato il prossimo 15 maggio, più di cento anni dopo la sua morte (1 dicembre 1916), anch’egli vittima nascosta e ‘marginale’ di un conflitto sanguinoso. La sua vita – dalla conversione in Francia alla Trappa, dalla Palestina al deserto algerino – le sue parole, la sua scelta di sequela del Cristo, la sua spiritualità di Nazareth, la sua fratellanza universale come meta da raggiungere nel servizio e nella quotidianità erano profetici un secolo fa e sempre più dimostrano la loro attualità, in questo XXI secolo, bagnato da guerre, divisioni, disuguaglianze, sopraffazioni. Una vita continuamente spesa, la sua, per l’Altro e per gli altri, fino all’estremo dono di sé.
Se ci sono dei ‘modi’ per essere cristiani nel tempo di oggi, Charles de Foucauld senz’altro li ha intravisti, li ha vissuti, li ha intuiti quasi tutti.
Facciamoci guidare da lui nella meditazione della via crucis di oggi.

I stazione

Gesù nell’orto degli ulivi

Ti adoriamo o Cristo e ti benediciamo
perché con l’offerta della tua vita hai redento il mondo

Giunsero intanto a un podere chiamato Getsèmani, ed egli disse ai suoi discepoli: «Sedetevi qui, mentre io prego». Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia. Gesù disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate». Poi, andato un po’ innanzi, si gettò a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse da lui quell’ora. E diceva: «Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu».  Tornato indietro, li trovò addormentati e disse a Pietro: «Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare un’ora sola? Vegliate e pregate per non entrare in tentazione; lo spirito è pronto, ma la carne è debole».
(Mc 14, 32-42)

15 luglio 1904, Amra (in viaggio, in terra tuareg)

Ho questo come regola: fare le cose che ritengo assai utili alle anime e che le circostanze non permettono ad altri di fare… Penso quindi di rimanere in questo paese finché vi sarò tollerato, finché non verrò sostituito, finché vi potrò lavorare utilmente per il regno di Gesù… in questo momento sono nomade, sotto la tenda, e cambio continuamente di luogo; ciò va molto bene per iniziare, giacché mi fa vedere molte persone e molti posti; ma appena potrò stabilirmi in una residenza fissa in qualche luogo, io lo farò, perché credo che è la mia vocazione, e perché i viaggi devono essere per me solamente eccezioni: condurrò allora, in un angolo di terra tuareg, la vita di Nazareth, fino a quando sarò tollerato e non sarò più utile altrove, benché utile non lo sia da nessuna parte. Rimarrò finché crederò che è questa la volontà di Gesù e finché mi tollereranno.
Amatissimo padre, nessuno meglio di voi vede quanto è grande il bene da fare qui; nessuno meglio di voi conosce la miseria del vostro povero figliolo così fiacco, così debole, così indolente, così egoista, così vuoto, così sensuale, così poco interiore, ahimè! così tiepido, così poco fedele…
(Lettera a don Huvelin)

Amiamo Gesù,
che ci ha tanto amati,
che ci ha amati per primo,
Lui assolutamente amabile che ci ama,
noi miserabili,
più di quanto nessun altro cuore umano possa amarci.
(Meditazione sulla Passione)

II stazione

Gesù è condannato a morte

Ti adoriamo o Cristo e ti benediciamo
perché con l’offerta della tua vita hai redento il mondo

Era la Preparazione della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: «Ecco il vostro re!». Ma quelli gridarono: «Via, via, crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Metterò in croce il vostro re?». Risposero i sommi sacerdoti: «Non abbiamo altro re all’infuori di Cesare». Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso.
(Gv 19,14-16)

Tamanrasset, 20 luglio 1914

Non posso dire che desidero la morte; me l’auguravo in altri tempi; ora vedo tanto bene da fare, tante anime senza pastore, che vorrei soprattutto fare un po’ di bene e lavorare un poco per la salvezza di queste povere anime. Ma il buon Dio le ama più di me, e non ha bisogno di me. Sia fatta la sua volontà.
(Lettera a Maria de Bondy)

Amiamo Dio,
poiché ci ha amati per primo.
La Passione, il Calvario,
è una suprema dichiarazione d’amore.
Non è per redimerci che Tu hai sofferto tanto, Gesù!
Il più piccolo dei tuoi atti ha un valore infinito,
poiché è l’atto di un Dio,
e sarebbe stato sufficiente, anzi sovrabbondante,
per redimere mille mondi,
tutti i mondi possibili…
È per santificarci, è per indurci,
per spingerTi ad amarTi liberamente,
poiché l’amore è il mezzo più potente
per attirare l’amore,
poiché amare è il mezzo più potente
per farsi amare.
(Meditazione sulla passione)

III stazione
Gesù cade sotto la croce

Ti adoriamo o Cristo e ti benediciamo
perché con l’offerta della tua vita hai redento il mondo

Maltrattato, si lasciò umiliare
e non aprì la sua bocca;
era come agnello condotto al macello,
come pecora muta di fronte ai suoi tosatori,
e non aprì la sua bocca.
Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo;
chi si affligge per la sua sorte?
Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi,
per l’iniquità del mio popolo fu percosso a morte.
(Is 53, 7-8)

Tamanrasset, 1 agosto 1910

Gli uomini sono inesorabili verso le colpe perché sono impotenti a riparare il male compiuto; Dio è misericordioso perché può ridare alle anime la loro primitiva bellezza e, per quanto in basso siano precipitate, può renderle così pure come se non avessero mai fatto delle cadute.
(Lettera a Maria de Bondy)

Dimenticarmi,
non pensare che a me e al prossimo,
a me soltanto in vista di Dio
e nella stessa misura che agli altri,
così come si addice a colui che ama Dio sopra ogni cosa
e il prossimo come se stesso.
(Meditazioni sul Pater)

IV stazione

Simone di Cirene aiuta Gesù a portare la croce

Ti adoriamo o Cristo e ti benediciamo
perché con l’offerta della tua vita hai redento il mondo

Mentre lo conducevano via, fermarono un certo Simone di Cirene, che tornava dai campi, e gli misero addosso la croce, da portare dietro a Gesù.
(Lc 23, 26)

Tamanrasset, 22 luglio 1907

La mia esistenza è molto semplice: è la vita monastica con preghiere, letture, lavori, con tutti i momenti della giornata regolati e con tutte le cose fatte ad ora fissa; il lavoro manuale è sostituito dagli studi di lessico tuareg. Come il fratello portinaio d’un convento, vengo spesso interrotto da qualcuno che mi chiama dal di fuori. Sono le uniche interruzioni della mia solitudine. Esse non sono lunghe.
In questo momento il paese si trova in piena carestia: non è piovuto, qui, da 18 mesi, e per un paese che vive soprattutto, spesso unicamente di latte, è un disastro; tutte le capre e cammelle sono magre e senza latte e i poveri soffrono in un modo che si legge loro sul viso. Sono essi che vengono a bussare di quando in quando alla mia porta: non ho altre visite in questo momento.
(Lettera a Maria de Bondy)

Essere ricco, a mio agio,
vivere dolcemente con i miei beni,
quando Tu sei stato povero, in ristrettezze,
vivendo penosamente di un faticoso lavoro,
in quanto a me non lo posso, o mio Dio…
io non posso amare così.
(Ritiro fatto a Nazareth, 1897)

V stazione

Gesù è spogliato delle vesti

Ti adoriamo o Cristo e ti benediciamo
perché con l’offerta della tua vita hai redento il mondo

I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti e ne fecero quattro parti, una per ciascun soldato, e la tunica. Ora quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca. Così si adempiva la Scrittura: “Si son divise tra loro le mie vesti e sulla mia tunica han gettato la sorte”. E i soldati fecero proprio così.
(Gv 19, 23-24)

Abbracciare la povertà con tutto il nostro cuore; le ricchezze non soltanto sono un bagaglio ingombrante, ma sono anche un pericolo: esse difficilmente sono compatibili col perfetto amore di Dio, di Gesù, perché sono diametralmente opposte all’imitazione di Gesù; esse difficilmente sono compatibili col perfetto amore del prossimo, perché ciò che si conserva per sé non lo si dà agli altri, e non si ama il proprio prossimo «come se stesso» quando si tengono le ricchezze per sé e si lascia il fratello morire di fame, quando non si divide quel che si ha con coloro che soffrono privazioni.
(Estratti dai santi Evangeli, 1899)

Non disprezziamo i poveri,
i piccoli, gli operai; non soltanto
essi sono nostri fratelli in Dio,
ma sono anche quelli che nel modo
più perfetto imitano Gesù
nella sua vita esterna.
Per noi, essi rappresentano perfettamente Gesù.
(Meditazioni sui santi Evangeli 1897-1899)

VI stazione
Gesù è crocifisso

Ti adoriamo o Cristo e ti benediciamo
perché con l’offerta della tua vita hai redento il mondo

Quando giunsero al luogo detto Cranio, là crocifissero lui e i due malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno».
(Lc 23, 33 34)

Nostra Signora delle nevi, 14 agosto 1901.

Non appena credetti che c’era un Dio, compresi che non potevo fare altro che vivere per Lui: la mia vocazione religiosa risale alla stessa ora della mia fede. Dio è così grande! C’è una tale differenza tra Dio e tutto quello che non è Lui… Agli inizi, la fede dovette superare molti ostacoli; io, che avevo tanto dubitato, non ci misi un giorno solo a credere; a volte i miracoli del Vangelo mi sembravano incredibili, altre volte volevo intercalare le mie preghiere con brani del Corano. Ma la grazia divina e i consigli del mio confessore dissiparono queste nubi… Desideravo essere religioso, vivere solo per Dio e fare ciò che era più perfetto, a ogni costo… Il mio confessore mi fece attendere tre anni; io stesso, pur desiderando «esalarmi davanti a Dio nella pura perdita di me stesso», come dice Bossuet, non sapevo quale Ordine scegliere. Il Vangelo mi insegnò che «il primo comandamento è amare Dio con tutto il cuore» e che bisognava racchiudere tutto nell’amore; tutti sanno che l’amore ha come primo effetto l’imitazione. Bisognava dunque entrare nell’Ordine in cui avrei trovato la più esatta imitazione di Gesù. Non mi sentivo fatto per imitare la Sua vita pubblica nella predicazione: dovevo dunque imitare la vita nascosta dell’umile e povero operaio di Nazareth.
(Lettera a Enrico de Castries)

Mio Signore Gesù,
falla splendere davanti al mio sguardo,
questa dottrina della croce,
e fa’ ch’io l’abbracci,
così come Tu vuoi da me…
Fa’ che anche io possa dire
di non sapere che una cosa:
“Gesù e Gesù crocifisso”.
(Meditazione sulla Passione)

VII stazione
Gesù e la madre

Ti adoriamo o Cristo e ti benediciamo
perché con l’offerta della tua vita hai redento il mondo

Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco il tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco la tua madre!». E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa.
(Gv 19, 25-27)

Abbiamo verso la Vergine una fiducia assoluta ed invochiamola, senza esitare, con questa fiducia, in tutte le nostre necessità, in tutti i nostri desideri, in tutte le nostre azioni. […] È evidente d’altra parte che noi, che aspiriamo ad essere i fratelli di Gesù, non possiamo diventarlo se non a condizione di mostrare e di essere veramente i figli di Maria: per essere fratelli di Gesù, è assolutamente necessario essere figli di Maria.
(Meditazione sulla passione, 1897-1899)

Quelli che cercano
di far regnare la pace in mezzo agli uomini,
di essere in pace con tutti,
sono quelli che sanno
ciò che sono gli uomini:
una sola famiglia
nella quale tutti sono fratelli,
della quale Dio come creatore è il Padre.
(Meditazioni sui santi Evangeli relative alle cinque virtù, 1897-1898)

VIII stazione

Gesù muore in croce

Ti adoriamo o Cristo e ti benediciamo
perché con l’offerta della tua vita hai redento il mondo

Era verso mezzogiorno, quando il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Il velo del tempio si squarciò nel mezzo. Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Detto questo spirò.
(Lc, 23, 44-45)

Tamanrasset, 1 settembre 1910.

È la solitudine che aumenta. Ci si sente sempre più soli al mondo. Gli uni sono partiti per la patria, gli altri hanno la loro vita sempre più separata dalla nostra; ci si sente come l’oliva rimasta sola in cima a un ramo, dimenticata, dopo il raccolto. Alla nostra età, questo paragone della Bibbia torna spesso alla mente… ma Gesù rimane: Gesù, lo sposo immortale che ci ama come nessun cuore umano può amare; rimane ora, rimane sempre.
(Lettera a Maria de Bondy)

Padre mio,
io mi abbandono a te,
fa’ di me ciò che ti piace.
Qualunque cosa tu faccia di me
Ti ringrazio.
Sono pronto a tutto, accetto tutto,
purché la tua volontà si compia in me
e in tutte le tue creature.
Non desidero niente altro, mio Dio.
Rimetto l’anima mia nelle tue mani,
Te la dono mio Dio,
con tutto l’amore del mio cuore
perché ti amo,
ed è per me un’esigenza d’amore il donarmi
il rimettermi nelle tue mani senza misura
con una confidenza infinita
perché Tu sei il Padre mio.

IX Stazione

Gesù è deposto nel sepolcro

Ti adoriamo o Cristo e ti benediciamo
perché con l’offerta della tua vita hai redento il mondo

In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto.
(Gv 12, 24)

1 dicembre 1916
Il nostro annientamento è il mezzo più potente che abbiamo per unirci a Gesù e fare del bene… Quando si può soffrire e amare, si può molto, si può il massimo che è possibile in questo mondo. Si sente che si soffre; non sempre si sente che si ama ed è una grande sofferenza in più! Però si sa che si vorrebbe amare, e voler amare è amare.
(Lettera a Maria de Bondy)

Prega perché io ami,
prega perché ami Gesù,
prega perché ami la sua croce
non per se stessa,
ma come l’unico mezzo,
la sola via
per glorificare Gesù:
“Il chicco di grano porta frutto
solo morendo”
(Lettera alla sorella Maria de Blic, 27 febbraio 1903)

Conclusione

In questo spazio di riflessione sulla fraternità universale, mi sono sentito motivato specialmente da San Francesco d’Assisi, e anche da altri fratelli che non sono cattolici: Martin Luther King, Desmond Tutu, il Mahatma Gandhi e molti altri. Ma voglio concludere ricordando un’altra persona di profonda fede, la quale, a partire dalla sua intensa esperienza di Dio, ha compiuto un cammino di trasformazione fino a sentirsi fratello di tutti. Mi riferisco al Beato Charles de Foucauld.
Egli andò orientando il suo ideale di una dedizione totale a Dio verso un’identificazione con gli ultimi, abbandonati nel profondo del deserto africano. In quel contesto esprimeva la sua aspirazione a sentire qualunque essere umano come un fratello, e chiedeva a un amico: «Pregate Iddio affinché io sia davvero il fratello di tutte le anime di questo paese». Voleva essere, in definitiva, «il fratello universale». Ma solo identificandosi con gli ultimi arrivò ad essere fratello di tutti. Che Dio ispiri questo ideale in ognuno di noi. Amen.
(Papa Francesco, Fratelli tutti, 286-287)

Per i meriti della Sua Passione e Croce
il Signore ci benedica e ci custodisca. Amen

vinonuovo.it

Charles de Foucauld Maestro spirituale, apostolo del Sahara

Difficile definire l’identità del beato Charles de Foucald, vista la complessità della sua figura e della sua eredità. Ma di certo il cuore della sua storia sta nella ricerca dell’essenzialità. Proprio la ricerca dell’essenziale lo trasformò in un apostolo del deserto, missionario ai confini più estremi. Era nato nel 1858 a Strasburgo e tentò la carriera militare, ma la sua vita era troppo sregolata. Affascinato dall’Africa si dedicò a ricerche geografiche in Marocco; nel 1886 tornò in Francia e si avvicinò alla fede, decidendo poi di visitare la Terra Santa e di entrare tra i trappisti. Nel 1901 divenne sacerdote e andò a vivere tra Algeria e Marocco, dove fu apostolo del Sahara fino alla morte nel 1916. Dalla sua spiritualità nacque una ricca famiglia religiosa.
Altri santi. San Castriziano di Milano, vescovo (III sec.); beato Antonio Bonfadini da Ferrara, sacerdote (1400-1482). Letture. Is 2,1-5; Sal 121; Rm 13,11-14; Mt 24,37-44. Ambrosiano. Is 35,1-10; Sal 84; Rm 11,25-36; Mt 11,2-15.
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santo.di.oggi