LA DISTRUZIONE DELLA GUERRA, IL SOGNO DI DIO PER LA PACE

A 100 giorni dall’inizio dell’aggressione russa all’Ucraina tocchiamo con mano quanto è vero che «tutto è connesso». Solo lo sguardo alle tante vittime inermi potrà orientare una politica che miri alla pace

Cari amici lettori, abbiamo superato da poco il 100° giorno di guerra tra Russia e Ucraina. Ci passano sotto gli occhi le prime immagini di bombardamenti su Kiev, la fuga di tanti ucraini, gli orrori dei massacri insensati di civili, il timore per il possibile disastro per le centrali nucleari colpite da attacchi russi, i civili e militari chiusi nell’acciaieria Azovstal, l’uso di armi termobariche, lo spettro di una escalation nucleare, il rapimento di bambini ucraini portati in Russia, e da ultimo l’incombente spettro della fame in altre parti del mondo (Africa, Vicino Oriente) dipendenti dai rifornimenti di grano ucraino bloccati nei porti.

In Europa abbiamo vissuto la paura di essere privati del gas e petrolio russi: si è persino preso in considerazione un ritorno (“temporaneo”) al carbone (che sarebbe un grave passo indietro nella lotta contro il cambiamento climatico). In questa guerra più che mai tocchiamo con mano come «tutto è connesso», concetto chiave dell’«ecologia integrale» di cui parla papa Francesco in Laudato si’ (n. 138). I fattori ambientali, economici e sociali sono intrecciati: è la drammatica realtà anche della guerra. La guerra distrugge vite umane e rapporti familiari e sociali, distrugge la fraternità che è il sogno di Dio per l’umanità (Fratelli tutti, n. 26), distrugge le città e le attività industriali, mette in pericolo l’ambiente (vedi il disastro evitato per un soffio a Chernobyl e altre centrali nucleari) e i fragili equilibri tra le nazioni, dove quelle svantaggiate sono quelle che maggiormente patiscono le conseguenze “a distanza” del conflitto. Papa Francesco in Fratelli tutti richiamava il tema “ambiente” in relazione alla guerra: «Ricordo che la guerra è la negazione di tutti i diritti e una drammatica aggressione all’ambiente» (n. 257; cfr. LS n. 57).

Osservazione che poteva sembrare marginale, e invece ora si sta rivelando drammaticamente vera. Non si può che sottoscrivere integralmente quanto si legge poco dopo: «La guerra è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male» (FT n. 261). Qual è allora lo sguardo cristiano sulla realtà della guerra, che dovrebbe contribuire a costruire una politica che mira alla pace? «Non fermiamoci su discussioni teoriche, prendiamo contatto con le ferite, tocchiamo la carne di chi subisce i danni. Rivolgiamo lo sguardo a tanti civili massacrati come “danni collaterali”. Domandiamo alle vittime. Prestiamo attenzione ai profughi… Consideriamo la verità di queste vittime della violenza, guardiamo la realtà coi loro occhi e ascoltiamo i loro racconti col cuore aperto. Così potremo riconoscere l’abisso del male nel cuore della guerra e non ci turberà il fatto che ci trattino come ingenui perché abbiamo scelto la pace».

La guerra, male in sé, trascina con sé altri mali a cascata. L’unico vero realista, verrebbe da dire, è colui che cerca la pace. Preghiamo, cari amici, perché queste considerazioni facciano breccia anche in coloro che prendono le grandi decisioni della storia. 

Famiglia Cristiana

I cattolici e il ruolo in politica nell’era di Papa Francesco


Un 2020 che sarà difficile dimenticare, un anno di sofferenza e di riflessione che ha segnato la società civile, la politica. Partendo da questo assunto sin dalla dedica ai figli, il giornalista di Rai Vaticano Massimo Enrico Milone racconta con efficacia la Pandemia della politica, Guida Editori, in un saggio che è un focus sui cattolici nell’era di Papa Francesco.

Una bandiera fattasi mascherina la copertina di questa attenta disamina che vuole in ultima analisi spronare i cattolici italiani a fornire le risposte all’emergenza e a dimostrarsi all’altezza della straordinarietà del momento. “Lo slancio solidale dei cattolici, vissuto nei giorni difficili, potrebbe più che mai ‘servire’ al Paese – scrive nella prefazione Milone – . E per i cattolici si aprirà ancora una volta l’inderogabile quesito su come uscire dalla irrilevanza e marginalità politica “sporcandosi” le mani e dando risposte al Paese alla luce di una storia prestigiosa e di testimoni autorevoli”.

Nato come block notes nei giorni più duri della pandemia, il testo di 120 pagine affronta con stile semplice e divulgativo tra l’altro, più di un nodo, emerso da inizio anno ad oggi: la necessità del recupero delle competenze in una politica profondamente trasformata da internet e dai social. “Non si può – scrive Milone – oggi pensare che possa nascere un soggetto politico contenitore di cattolici, ma per il futuro prossimo emerge l’esigenza di un soggetto autonomo di ispirazione cristiana, che lavori per poter immaginare nuove forme di lavoro, di trasporto, di consumo culturale, di apprendimento, di cura personale e sanitaria, di accoglienza. Con forme di governo che esaltino la prossimità ed il ravvicinamento della decisione politica alla vita dei cittadini”.

Il cattolicesimo dell’Italia di oggi

Consapevoli che il cattolicesimo dell’Italia di oggi – si chiede Milone – è profondamente diverso da quello, ad esempio, dell’Italia di Sturzo, dove devono guardare i cattolici? Ritrovare unità pare essere l’obiettivo, sia per quelli “che investono nel PD, erede di due grandi tradizioni culturali e politiche, per quelli che hanno scelto il centrodestra e per quelli che innalzano la bandiera della anticasta per rivoluzionare un sistema collassato da tempo”.

Il premier Conte

E Conte? Richiamando un discorso dal premier tenuto ad Avellino ad ottobre 2019, nel ricordo di Fiorentino Sullo, Milone non nasconde il richiamo del Presidente del consiglio attuale ai valori del necessario primato della persona, nel rispetto della laicità che – ha detto Conte – non esclude gli interessi cattolici. Una risposta ancora non la individua l’autore, a stretto giro, in una situazione ancora troppo fluida a causa della crisi sanitaria, ma è ottimistica la visione conclusiva di Milone. “La grande crisi – scrive – potrà essere una grande opportunità. Proprio il necessario investimento sulla persona umana e sulle sue potenzialità chiama infatti necessariamente i cattolici impegnati oggi nella società ad avere un ruolo primario da dire alla politica. Guardare al cielo – chiosa Milone – lavorare per la terra”.

ilsole24ore

Così come a scuola non si dovrebbe studiare (ed insegnare) per il ‘quanto basta’ ma per capire e scoprire, allo stesso modo e ancor meglio le realtà ecclesiali sono chiamate ad esprimere l’ansia pastorale per il bene comune

vinonuovo.it

Sulla vicenda della docente di Palermo, sospesa per diversi giorni per l’accostamento che alcuni suoi alunni avevano fatto tra le “leggi razziali” e il “decreto sicurezza”, avevo scritto un articolo per un quotidiano sul ‘fare o meno politica a scuola’. Qualche giorno fa, in occasione della presentazione di due miei libri in una parrocchia, una signora si avvicina alla fine per ringraziarmi e mi mostra la pagina con il mio articolo, chiedendomi quando ne avrei scritto uno sul ‘fare o meno politica nelle realtà ecclesiali’. Oggi, più ci rifletto più mi vengono in mente gli stessi concetti applicati alla scuola e quindi provo a convertirli ecclesialmente.

Innanzitutto è giusto o sbagliato? La politica che deve restare fuori è quella partitica – quella della militanza di destra, centro, sinistra, con i relativi estremi di qua o di là, tranne che non si dibatta sulla cronaca, a partire dai giornali, da un evento particolarmente significativo, e sempre mostrando tutte le sfaccettature. Non si può e non si dovrebbe fare a meno, invece, della politica come ‘ricerca del bene comune’ o come ‘la più alta forma di carità’. In tal senso, parrocchie, oratori, movimenti e associazioni sono state in passato un laboratorio politico e di politica, palestre in cui imparare nella libertà e con responsabilità ad essere “onesti cittadini e buoni cristiani”, costruttori della società! Di questo abbiamo tanto bisogno e forse tante realtà con tale prospettiva dovrebbero ritornare in campo un po’ dovunque.

Scrivendo sulla scuola, ho affermato – per quanti vogliono al contrario una totale asetticità e distanza dalla politica nelle classi – di non dimenticarsi che ci sono pagine e pagine di Storia dedicate, capitoli di Geografia, ore di Cittadinanza e Costituzione, dibattiti e teorie della Filosofia. E come parlare di Dante senza toccare il tema politico? Come trattare Machiavelli, Foscolo, Alfieri, Manzoni? E andando indietro, possiamo forse eliminare tutte le tragedie greche sul tema o alcune commedie di Aristofane? Oppure c’è modo di conoscere davvero Cicerone senza?

Scrivendo, ora, sulla Chiesa direi che alcuni degli Autori citati calzano perfettamente, ai quali è bene aggiungere la sfera della santità citando tra i nomi Tommaso Moro, Giorgio La Pira, Alberto Marvelli, Luigi Sturzo, Alcide De Gasperi, Robert Schuman, ma ci sono anche tanti re e regine dei secoli precedenti, molti “santi sociali”; è che dire dei papi come capi di stato, dei vescovi che hanno risposto a tutte le necessità della gente e dei parroci che in varie piccole realtà sono considerati più del sindaco. Certo, è vero che in diverse situazioni alcuni politici, formati in contesti ecclesiali, hanno sfruttato l’appartenenza per fini propri e di potere, nonché travisato gli insegnamenti, e persino tradito il Vangelo; ciò non vuol dire che non ci sia speranza, che è meglio non parlarne nei gruppi ecclesiali, che la politica resti fuori dagli oratori, che la Dottrina della Chiesa in tal senso si fermi ai convegni per gli addetti ai lavori o agli uffici di curia.

Così come a scuola non si dovrebbe studiare (ed insegnare!) per il ‘quanto basta’, per la ‘meno peggio’, per il ‘politically correct’, per sopravvivere e prendersi un pezzo di carta, bensì per capire e scoprire, per discernere e giudicare, per comprendere e desiderare di saperne di più, allo stesso modo e ancor meglio le realtà ecclesiali sono chiamate ad esprimere l’ansia pastorale per il bene comune, a testimoniare l’impegno per la cura del creato e della società, a scommettere sin dalla catechesi sulla formazione di “credenti credibili”, a mostrare la passione per il servizio responsabile nei confronti di ogni povertà. Tutto ciò è una scelta comunitaria oltre che personale, un’opzione pastorale fondamentale non secondaria, un altro modo di pregare e di servire il Vangelo.