Politica / Prendersi cura della democrazia

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La democrazia è in crisi. La frase la sentiamo ormai ripetere molto spesso ma ha, purtroppo, un solido ancoraggio nella realtà. La democrazia è in crisi in tutto il mondo: dopo decenni in cui il numero degli stati democratici è stato in costante aumento, ora ci troviamo di fronte a una preoccupante involuzione. E anche le democrazie storicamente più stabili – si pensi agli Stati Uniti – sono in una fase di grande difficoltà.

E da questa crisi non è certo immune nemmeno l’Italia. Per capirlo è sufficiente osservare il tasso di astensionismo e il drammatico calo della partecipazione: milioni di italiani non credono più che la democrazia possa essere uno strumento per migliorare le loro vite. Pensano – non sempre a torto – che i politici abbiano ormai strumenti spuntati per agire e che le grandi decisioni vengano comunque prese altrove. I partiti sono ormai dei comitati elettorali permanenti, incapaci di produrre idee coraggiose e innovative, o di selezionare una classe dirigente valida e in grado di affrontare le sfide del nostro tempo.

Cosa fanno i cattolici?
Qual è il ruolo dei cattolici in questo quadro così fosco? Anche nella Chiesa e tra i credenti si è purtroppo diffusa una forma di disillusione che produce frutti amari: da una parte la tentazione di relegare la fede a una sfera meramente privata, dall’altra azioni che mescolano sacro e profano, impegno democratico e spirito di crociata. Tanti preferiscono semplicemente tenersi alla larga dalla politica.

In una intervista[1] dello scorso 2 marzo, il sondaggista Nando Pagnoncelli ha spiegato che, quando vanno a votare, coloro che si dichiarano cattolici praticanti «appaiono poco o per nulla ispirati dal credo religioso: lo dimostra il fatto che il partito più votato dai praticanti assidui è risultato il PD alle europee del 2014, il M5s alle politiche del 2018, la Lega alle europee del 2019 e Fratelli d’Italia alle politiche del 2022». Vale a dire gli stessi partiti scelti dalla maggioranza degli italiani.

«Si ha una conferma – continua Pagnoncelli – di quello che Papa Francesco ha definito “uno scisma tra l’io e il noi”: perché, di volta in volta, l’orientamento del voto è determinato dall’aspettativa di un miglioramento della propria situazione individuale e familiare, in caso di successo di un dato partito (aspettativa che regolarmente viene poi delusa). Prevale un disinteresse per il bene comune, in antitesi al concetto di “politica come forma più alta di carità” (un’idea particolarmente cara a Paolo VI, ma già presente nel magistero di Pio XI). Insomma, fede e politica sono frammenti in larga misura sconnessi dell’identità individuale».

Verso la Settimana sociale di Trieste
Se c’è una crisi della democrazia anche i cattolici non possono dirsi immuni da quanto sta accadendo. Per questo è ancora più significativo il percorso che porterà alla Settimana sociale dei cattolici in Italia, in programma a Trieste dal 3 al 7 luglio 2024. Una settimana che – come suggerisce il titolo – cercherà di portare i cattolici «al cuore della democrazia», rimettendo al centro il tema della partecipazione politica.

In vista di questo importante appuntamento, le pastorali sociali e del lavoro di Modena e Carpi, in collaborazione con il Centro F.L. Ferrari, hanno proposto una serata di dialogo fra il prof. Leonardo Becchetti e il vescovo Erio Castellucci, moderata dal direttore di TRC Ettore Tazzioli.

«Il problema – ha spiegato Becchetti – è che siamo entrati in un’era completamente diversa, quella del digitale. Il mondo sta andando a una velocità incredibile e non ci rendiamo conto di quanto il digitale ha cambiato la persona». Secondo Becchetti la grande offerta di contenuti legata alle nuove tecnologie porta a un calo della partecipazione. Perché uscire la sera, partecipare a riunioni, partecipare a comizi se tutti i contatti posso averli direttamente sul mio smartphone? Per altri versi il digitale crea nuove forme pericolose, perché «sui social l’obiettivo è trasformarti in una bandierina e farti litigare».

Ci sono poi problemi strutturali: «Studi dimostrano che, di fronte alle disuguaglianze, le persone partecipano meno e sono più facilmente preda di complottismo e populismo». Secondo Becchetti è possibile individuare una specie di «partito della paura, quello di chi continuamente specula sulle nostre paure: quella dei migranti, quella della sicurezza, quella della transizione ecologica».

Citando Fratelli tutti, Castellucci ha spiegato che «le forme non istituzionali come il volontariato siano molto importanti ed esprimano le energie più belle. Ma il volontariato non è la forma più piena di partecipazione, è la politica. Parola inquinata ma la partecipazione strutturata e progettuale alla vita di un paese è la forma più alta di carità. Il fatto che sia in crisi interpella la comunità cristiana perché qualche responsabilità ce l’ha anche la Chiesa».

Il vescovo di Modena ha richiamato, implicitamente, le scelte della stagione di Ruini. «Qualche decennio fa, quando sono caduti i partiti cosiddetti ideologici, forse la Chiesa in Italia si è assunta un compito di rappresentanza e quasi di sostituzione troppo diretto. In qualche maniera depotenziando l’iniziativa dei cattolici. Questo ha condotto ad una sorta di delega: quello che dicono i vescovi è la linea. C’è in mezzo una necessità di responsabilizzare i cittadini che probabilmente è stata in parte lasciata cadere». Per Castellucci anche il digitale impone sfide nuove. «Abbiamo l’illusione di essere in contatto con il mondo ma in realtà, si creano delle bolle in cui trovo chi la pensa come me. Ma la democrazia è basata su dialogo, confronto e tentativo di raggiungere un compromesso».

In cerca di possibili soluzioni
Quali soluzioni? «Oggi le risposte politiche ai problemi le abbiamo – ha dichiarato Becchetti – ma per poterle applicare serve un’azione da parte di tutti». Fra queste il dazio etico, per bloccare i prodotti che provengono da Paesi extra-UE, fatti senza rispettare norme ambientali e diritti. Altra questione è la global minimum tax, una tassa minima che impedisce lo spostamento dei profitti nei paradisi fiscali. Su entrambi l’Europa si sta muovendo.

«La Provvidenza scrive sulle righe storte della storia, a un certo punto si mettono in moto meccanismi. Pensiamo alla transizione ecologica, al di là di chi fa propaganda a partire dalla paura: oggi le fonti rinnovabili sono così più convenienti rispetto alle fonti fossili che sarebbe da stupidi continuare con petrolio e carbone». Senza considerare un altro tema, molto caro a Becchetti: il «voto con il portafoglio». I cittadini-consumatori hanno un enorme potere quando acquistano i prodotti e scegliendo quelli più «etici» possono contribuire a un grande cambiamento.

Per Becchetti è necessario mettere in contatto le migliori energie interessate al bene comune, anche non necessariamente cattoliche. Un’idea da cui è nato Piano B, «non un partito ma piuttosto uno spartito», come dicono i promotori del progetto, fra i quali lo stesso Becchetti, Cartabia, Giovannini, Rosina, Magatti e Zamagni.

Da questo progetto è nato un libro (uscito lo scorso febbraio) e un sito internet che vuole raccogliere le esperienze sui territori e aiutare la politica a seguire questi valori. Proprio in questi giorni si terranno importanti presentazioni del libro a Roma e a Milano, ma ne sono già state fissate molte altre in più di una decina di città italiane. Insomma, serve un’alleanza che, dal basso, riporti al centro della politica i temi della generatività, dell’economia sociale di mercato, dell’ecologia integrale.

Il percorso vedrà inevitabilmente coinvolto anche il mondo cattolico, il quale non può però essere l’unico attore in campo. Un modello da cui partire, secondo il vescovo Castellucci è quello dell’Assemblea costituente. «Se usciti da un ventennio di dittatura ci sono stati uomini e donne capaci in un anno e mezzo di arrivare alla nostra Costituzione, ci sono sicuramente speranze anche oggi. La nostra Costituzione è quasi commovente per come è arrivata a fondere insieme le istanze del cattolicesimo democratico, del mondo socialista-comunista e di quello liberale. Lì c’è stata una convergenza e una capacità di dialogo che ci devono sicuramente ispirare. E anche oggi ci sono tanti germi positivi da cui ripartire».

[1] https://labarcaeilmare.it/persone-e-societa/come-votano-i-cattolici-intervista-a-nando-pagnoncelli/

democrazia

Fonte. settimananews.it

Cattolici e politica. Possamai: «Spendersi per il bene comune vale, parola di sindaco»

Giacomo Possamai, 34 anni, è il più giovane primo cittadino della storia di Vicenza. «Non c’è più un partito cattolico ma i credenti hanno tanto da dire se sanno dare corpo al magistero della Chiesa»
Giacomo Possamai incontra i concittadini

Giacomo Possamai incontra i concittadini – Foto di archivio

Giacomo Possamai con i suoi 34 anni è il più giovane sindaco della storia di Vicenza. Ha fatto tutta la trafila nel Pd (responsabile giovanile provinciale e vice segretario nazionale, membro della segreteria con Enrico Letta, consigliere comunale, consigliare regionale, primarie) senza aver conosciuto i tradizionali filoni politici dei cattolici nel centro sinistra (Popolari, poi Margherita), già confluiti nel Pd. Ma ama definirsi cattolico in un partito in cui i cattolici lamentano di non essere tenuti nella dovuta considerazione e ritiene decisivo per la sua scelta politica l’impegno per il bene comune appreso da ragazzo nell’associazionismo. Conosce bene, da primogenito di 6 figli, il bello e le difficoltà di una famiglia numerosa, suo padre, Paolo, è stato direttore di diversi quotidiani locali del Triveneto.
Quanto ha inciso nella sua formazione l’esperienza associativa fatta?
Ho iniziato a 16 anni, a scuola. Fra le prime esperienze, che mi hanno forgiato, i week end socio-politici che l’Azione cattolica promuoveva, e promuove ancora, a Vicenza. Con un gruppo di giovani, ma non solo, si andava in una delle case dell’Ac in montagna, a Tonezza del Cimone. Si ascoltavano testimonianze, mi colpì molto quella di Giovanni Bachelet, il figlio dell’ex presidente di Ac ucciso dalle Brigate Rosse, autore di una celebre preghiera dei fedeli sul perdono ai funerali del padre.
Pagnoncelli e De Rita sostengono che è il senso del bene comune che si è smarrito. Oggi Moro e Bachelet forse farebbero fatica a farsi apprezzare…
Il fatto è che nella Prima Repubblica, e per una certa fase nella Seconda, i cattolici, anche attraverso i movimenti giovanili, svolgevano un ruolo importante nella formazione e selezione dei giovani. Erano luoghi di crescita, anche per chi poi non sceglieva l’impegno politico. Oggi questi luoghi scarseggiano o mancano del tutto.
I social sono un male o riempiono un vuoto?
Non so se sono un male, sicuramente manca un pezzo. Conoscere e frequentare esponenti della politica o della società civile impegnati è diverso dal leggere un articolo on-line o dal vedere un video su Instagram. I social hanno lati positivi, ma non possono essere l’unica fonte di approfondimento.
Chi si impegna in politica provenendo da quel mondo non è lasciato un po’ solo?
Io a Vicenza ho la fortuna di avere un confronto costante con gli ambiti in cui sono cresciuto. Le parrocchie restano una delle realtà più radicate e capillari delle nostre città, un luogo di confronto e stimolo fondamentale, ma anche di impegno sociale.
Quindi il “segreto” per la promozione del bene comune è restare ancorati al mondo da cui si proviene?
Per me lo è, ma dovrebbe esserlo per qualsiasi amministratore. Il mondo cattolico è così articolato e presente, chiunque dovrebbe confrontarsi con esso per le proposte che è in grado di offrire e il coinvolgimento dei cittadini che realizza.

Per chi vuole impegnarsi per il bene comune che suggerimenti dà?
Il primo suggerimento è di farlo. Impegnarsi in politica è bello, anche da semplici militanti: si dà un contributo, ma si cresce pure, si impara tanto. Il Papa sul tema dei beni comuni e della fratellanza è uno stimolo alla partecipazione per tutti.
Questa collaborazione ha prodotto già risultati visibili?
Ci sono settori, non solo a Vicenza, in cui senza la collaborazione della diocesi e dell’associazionismo non potremmo far fronte: penso ai senza fissa dimora, ma anche alle eccedenze alimentari messe a disposizione delle famiglie in difficoltà. Un altro ambito sui cui stiamo ragionando con la diocesi è una rete di spazi dedicati ai giovani, ma anche agli anziani, mettendo insieme i centri civici e gli oratori, in modo che in ogni quartiere ci siano luoghi di aggregazione. Perché il male del nostro tempo è la solitudine, serve un’alleanza forte per essere di aiuto.
E sulla denatalità?
È un altro impegno che ci siamo dati. In cinque anni vogliamo azzerare le rette per gli asili nido: siamo partiti da un primo taglio del 20 per cento. Certo servirebbero più risorse dello Stato, ma noi faremo la nostra parte. Stiamo poi anche pensando, sui servizi, di venire incontro alle famiglie numerose.
Ma allora non è vero che i cattolici non sono più incisivi, in politica?
Non esiste più un partito cattolico, ma i cattolici hanno tanto da dire, possono avere una marcia in più se il loro impegno è una testimonianza che dà corpo al magistero della Chiesa, che in questo momento è un’indicazione per tutti.
avvenire.it

Il teologo Massironi in un saggio pone domande radicali: quale futuro per i cristiani in un mondo sempre più lontano dal Vangelo? Perché in molti credenti vince l’apatia?

La Messa celebrata all’Aquila il 5 aprile scorso in ricordo delle vittime del sisma del 2009

avvenire.it

In un articolo fulminante lanciato sul sito francese Aleteia. org, il teologo Jean-Michel Castaing, autore del libro Pour sortir du nihilisme (Salvator), si chiede come sarebbe il nostro mondo se Gesù Cristo non fosse venuto sulla terra. Il debito dell’umanità verso il cristianesimo infatti è diventato oggi un tabù. Si legge nell’articolo: « Nel nostro morente Occidente, un buco nero tormenta le coscienze: l’immensa eredità della fede cristiana sul piano religioso, sociale, politico e culturale. L’occidentale medio sembra un bambino viziato che ha sbattuto la porta della casa dei suoi genitori e che, come il figliol prodigo della parabola evangelica, prende la sua parte di eredità senza una parola di ringraziamento ». E ancora: «In che stato sarebbe il nostro mondo se Cristo non fosse venuto a insegnarci la sollecitudine per i piccoli, il perdono delle offese, la promozione della donna, l’amore per i nemici, la dignità dei poveri e degli esclusi, la lotta contro l’ostracismo subito dai malati e dagli handicappati? In quale stato spirituale saremmo se le sanguinarie divinità del paganesimo, riflesso del nostro fascino per la forza e il successo, fossero rimaste oggetto del nostro culto? Non è molto difficile da indovinare, poiché col declino del cristianesimo il denaro, il culto del successo e l’individualismo hanno riacquistato il pelo della bestia ».

Un esercizio che si inserisce nella moda dei dibattiti storici, assai presenti nel cinema e nelle serie tv, sul diverso corso che potrebbe aver assunto la storia (se Alessandro Magno avesse conquistato Roma invece di rivolgersi a Oriente, se Hitler avesse vinto la guerra, eccetera), ma che in questo caso non è affatto un divertissement, considerata la crisi enorme che investe da decenni il cristianesimo in Europa, acuitasi negli ultimi anni. Sono temi che affronta senza sconti – e nessun cedimento all’apologetica – il teologo Sergio Massironi nel suo ultimo libro, Cattolico cioè incompleto  (Castelvecchi, pagine 186, con 5% sconto qui scheda amazon).

Il titolo riprende una considerazione del filosofo Silvano Petrosino riguardante il concetto di mancanza, la quale è congenita all’essere umano come spazio ineludibile per l’apertura all’altro. Armando Matteo nella prefazione così spiega la dissonanza ossimorica dei due aggettivi, dato che cattolico indica la totalità e incompleto la mancanza: «Non vi è nulla che non possa appartenerci e da cui non possiamo non sentirci toccati, da una parte; non vi è mai una condizione o un tempo dell’esistenza in cui ci si possa sentire finalmente saturi, dall’altra».

Le domande che Massironi si pone hanno una radicalità impressionante: dove sta andando la Chiesa e quale futuro è possibile immaginare per i cristiani in un mondo che sempre meno fa riferimento al Vangelo? Innanzitutto, essendo anche sacerdote, l’autore nota come non sia vero che le chiese siano vuote, nonostante l’abbandono della pratica religiosa sia cresciuto durante la pandemia. Ma è giusto chiedersi anche perché tante persone continuano a partecipare alla messa. Certo, c’è la fede del popolo di Dio, ma non basta questa prima risposta elementare. Come raccontano i Vangeli, anche per Gesù «la pastorale più difficile è stata con chi non ha bisogno del medico, con chi dice di non essere cieco. Con chi a messa ci va. È un patto col diavolo che stringiamo quando non solleviamo il velo su tanta apatia di quei non credenti praticanti che tutti possiamo diventare, persino salendo sull’altare. Un cattolicesimo di popolo non vive di poche chiese piene, non è compatibile con la rimozione delle domande, delle proteste, delle voci di dissenso, non resiste scansando le sfide spirituali del proprio tempo e tentando fino all’ultimo di perpetuare schemi ereditati da generazioni passate».

Guardando a chi abita le nostre città, la sensazione è quella di un fallimento. Lo ha ben detto l’arcivescovo di Milano Mario Delpini: «La Chiesa, esperta di umanità, sembra non possa dire più niente sull’uomo, sulla donna, sulla loro relazione, sulla convivenza nella società e sulla sua organizzazione, niente che sia di qualche utilità». Per questo secondo l’autore occorre ritrovare l’aspetto sovversivo del cristianesimo, «indicare alle Chiese lo scenario contemporaneo come un’occasione per tornare alla propria forma originale». E saper esprimere una via intermedia fra l’adeguamento al pensiero dominante e l’esercizio di una controcultura: «Incarnazione significa che non contro il mondo, ma assumendone l’opacità, Dio si rivela. La provocazione cristiana non può dunque che mantenere il duplice profilo di critica e di benedizione del proprio tempo ». Parole precise che invitano a non abbandonare il mondo illudendosi di potersi rinchiudere in oasi di perfezione ma sapendo anche che la sfida oltre che pastorale è culturale.

C’è un enorme deficit di cultura religiosa fra gli uomini del nostro tempo, soprattutto fra i giovani ed anche fra i cristiani. Lo intuisce bene Massironi, che annota in un altro passaggio: «Se il cristianesimo ha un problema, in Occidente, è la comune, pervasiva sensazione di averlo conosciuto a sufficienza, senza in realtà averne fatto l’esperienza e averne indagato le profondità. L’onnipresenza dei segni cristiani, nell’arte e nei costumi, pare stemperare il ritorno a Cristo come a un Nuovo. Contrappasso di quasi due millenni di cristianità». Freschezza e originalità paiono le risorse necessarie a una rivitalizzazione degli ambienti cattolici, a partire da una teologia troppo astratta e asfittica, spesso illeggibile e chiusa dentro le università pontificie. Ma non basta e le domande si fanno ancora più incalzanti: «Non ancora radicalmente investita dalla crisi degli abusi sessuali, la Chiesa italiana può chiedersi: come può una società cresciuta nei cortili dell’oratorio e all’ombra del campanile essere tanto invecchiata e corrotta? ». Giunge il tempo della proposta e della speranza. Prima di tutto, come già accennato, attraverso un’opera di rialfabetizzazione religiosa dinanzi al «vuoto creatosi con la rimozione dell’immaginario biblico dal discorso pubblico». Poi, con l’offerta di percorsi di perdono e riconciliazione dinanzi ai conflitti e alle lacerazioni delle donne e degli uomini del nostro tempo: «Fare pace con le ferite proprie e altrui; chiamare il male per nome; vederlo in sé, oltre che fuori; imparare a convivere con ciò che non si gradisce; lasciare a Dio il giudizio ultimo su ciò che non si può accettare o che al presente è irrisolvibile; dare a chi ha sbagliato nuove possibilità e gli strumenti per cambiare; riscattare quelli che da tutti sono emarginati e riprovati a causa di un difficile passato: c’è tutto questo in una cultura biblica della giustizia ».

Infine, un terzo suggerimento ha un carattere più pastorale: dimagrire. Troppe strutture dentro la Chiesa, spesso superflue e inutili: «Ne occorrono di meno, di nuove e più leggere ». Un’opera di spending review che deve toccare le curie e gli istituti religiosi ma che non può rispondere solo a una logica economicistica o aziendalistica, bensì deve servire a ritrovare l’essenzialità del Vangelo. Come si vede, tanti spunti autocritici ma anche idee per uscire dalla crisi che avvolge il cattolicesimo in Italia ed Europa è possibile rintracciare in questo volume di Massironi, al fine di costruire, come reca il sottotitolo, «un’identità estroversa» e «un’appartenenza antitotalitaria».

COME DEVE COMPORTARSI UN CRISTIANO DAVANTI AI RISCHI DELLA RETE

«Pur nelle difficoltà della rete» commenta Andrea Boscaro, esperto di tematiche digitali «questo è il tempo propizio per la responsabilità, di un uso consapevole della Rete e di una evangelizzazione. Astenendosi dal condividere le notizie false, dal segnalare le affermazioni dettate dall’odio, dall’assumere comportamenti improntati alla sostenibilità sociale ed ambientale del commercio elettronico»

Famiglia Cristiana

Alla luce del rapporto inteso che gli adolescenti hanno con le tecnologie e dall’uso pervasivo che ne fanno, una delle sfide per eccellenza dei genitori cerchiamo di capirne di più con Andrea Boscaro, esperto di tematiche digitali e partner della società di formazione per il marketing digitale The Vortex.

«Osservando con quale dimestichezza oggi i teenager usi i dispositivi digitali, molti sostengono che siano più intelligenti delle generazioni precedenti: in realtà, a essere migliorati sono soprattutto la tecnologia e il design che hanno reso le interfacce più usabili e intuitive. L’educazione al digitale non è dunque necessaria solo per gli adulti, tanto per difendersene quanto per servirsene, ma anche per i più giovani, per accrescere la consapevolezza dei rischi derivanti dall’uso delle piattaforme digitali: fra questi vi sono la privazione relativa, l’effetto FOMO e la virtualità delle esperienze che vi si osservano».

La privazione relativa «da cui né i ragazzi né gli adulti possono sentirsi del tutto vaccinati, può nascere dalla continua esposizione a immagini e video che mostrano, senza avvertenze di finzione, momenti di vita e opportunità in grado di destare invidia e frustrazione: per ridurne il possibile impatto, da molte parti si richiede agli operatori che gli algoritmi introducano correzioni così da allargare la varietà dei contenuti visualizzati. Instagram ha lanciato lo scorso luglio, in sordina, nuovi strumenti per migliorare e rendere più sicura l’area “Esplora” riducendo o escludendo contenuti espliciti: sarebbe utile che invitasse in modo più efficace a scoprirne l’opportunità e l’utilizzo».

Altro tema centrale dei social è «in parte fattore di successo dei social media, l’effetto F.O.M.O. (“Fear of Missing Out” ovvero la paura di perdere) che ne alimenta la frequentazione, ma genera anche una sorta di ansia di essersi persi qualcosa, dal commento a una conversazione innescata al like a una foto postata. Ciò che per ciascuno di noi può essere, appunto, un’ansia, un vizio o un semplice divertimento è, infatti, la base del successo dei social media che da sempre hanno dato la sensazione che le cose accadano e che rischiamo di non esserne partecipi se non li frequentiamo con assiduità. Per questo, ci si deve augurare che la sperimentazione della funzione “Take a break” di Instagram sia di successo nei Paesi pilota e possa essere estesa al più presto anche in Italia insieme a, come promesso, maggiori strumenti di controllo e confronto per i genitori a partire dalla verifica del tempo speso online da parte dei propri figli».

E poi ci sono tutti gli effetti collaterali legati alla rete. «Se i problemi di contrasto ai fenomeni dell’odio in Rete, del bullismo e del revenge porn soffrono dei limiti degli algoritmi di comprendere i contenuti non scritti in lingua inglese e la responsabilità di questi atti sta di certo in capo a chi li ha commessi, è però degna di nota la crescente percezione che ciò che ha luogo online non sia del tutto reale, ma insista in una dimensione virtuale, rafforzata dalla quantità di contenuti deplorevoli o illegali a cui si può essere esposti. Da qui anche il fenomeno della “compassion fatigue” che spinge le organizzazioni del terzo settore a fare leva su messaggi sempre più forti per superare la barriera del suono di un’abitudine al dolore che la Rete ha reso ancora più continua e quindi meno capace di scuoterci».

Il digitale, lo comprende soprattutto chi non è nato al suo fianco, offre però «anche grandi spazi di libertà e, tanto più guardandosi indietro in questi due anni di pandemia, strumenti per unire le persone e le comunità. Per quanto sia difficile vedere nell’esperienza che abbiamo vissuto un’opportunità – troppo aspri i risvolti umani, economici e sociali vissuti – questo però è il tempo propizio per la responsabilità, anche di un uso consapevole della Rete e di una evangelizzazione che passa per un modo cristiano di viverla: astenersi dal condividere le notizie false, segnalare le affermazioni dettate dall’odio, assumere comportamenti improntati alla sostenibilità sociale ed ambientale del commercio elettronico sono solo alcune delle azioni che possiamo includere nella quotidianità della nostra vita. Il digitale, esattamente come la pandemia, ha un potere trasformativo: la nuova normalità che ci apprestiamo a vivere avrà sul piano individuale e civile, contorni che richiedono i valori della persona di cui sono portatrici la Chiesa e la comunità dei fedeli».