Studiosi a confronto sul cinema e l’audiovisivo nella storia del cattolicesimo

Il convegno a Roma organizzato da Cast

In corso fino al 10 giugno a Roma il convegno internazionale “La storia del cattolicesimo contemporaneo e le memorie del cinema e dell’audiovisivo”, organizzato dal centro di ricerca Cast “Catholicism ad audiovisual studies”. Presentati gli studi in corso per la catalogazione e la conservazione di un patrimonio storico fondamentale

Offrire un primo “stato dell’arte” sulle fonti audiovisive e le pratiche di ricerca per lo studio della storia del cattolicesimo contemporaneo.  Questo si propone il convegno internazionale su “La storia del cattolicesimo contemporaneo e le memorie del cinema e dell’audiovisivo” organizzato oggi e domani a Roma, nel Centro Studi Americani di Palazzo Antici Mattei, dal Centro di ricerca Cast – “Catholicism and Audiovisual Studies” dell’Università Telematica Internazionale UniNettuno, con la collaborazione, tra l’altro, della Direzione generale Cinema e Audiovisivo del Ministero della Cultura.

Le sfide aperte dalla svolta digitale

Oltre quaranta relatori, da questa mattina, si stanno confrontando sulle sfide “e le frontiere aperte dalla svolta digitale sia per le politiche di conservazione del patrimonio storico legato all’audiovisivo, sia però anche per le scelte metodologiche che caratterizzano i nostri progetti di ricerca accademica” ha spiegato nel discorso introduttivo il fondatore e presidente di Cast, monsignor Dario Edoardo Viganò, vice cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze e di quella delle Scienze Sociali. Nel pomeriggio di giovedì, infatti, i direttori delle più importanti istituzioni cinetecarie italiane, dall’Archivio storico Luce alla Cineteca del  Centro sperimentale di cinematografia, moderati dal vicedirettore editoriale del Dicastero per la Comunicazione Alessandro Gisotti, dibattono proprio su questi argomenti in una tavola rotonda dal titolo “Il patrimonio cinematografico sul cattolicesimo: tecnologie digitali tra conservazione e descrizione, restauro e filologia del film”.

Protagoniste le istituzioni che conservano audiovisivi

Un importante appuntamento internazionale che ha chiamato anche a raccolta le istituzioni piccole e grandi di varia tipologia (cineteche, archivi, biblioteche) che conservano materiale audiovisivo legato a realtà cattoliche ed enti ecclesiastici “con l’intento – chiariscono gli organizzatori – di mappare l’esistente e procedere a un raffronto teorico e tecnico sulle pratiche d’archivio audiovisivo”.

Il caso mediatico di Don Vesuvio

Già nella mattina di giovedì, Massimiliano Gaudiosi, dell’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa ad esempio, ha presentato la ricerca avviata su documentari e programmi televisivi italiani e internazionali dedicati a “Don Vesuvio”, il soprannome del sacerdote napoletano Mario Borrelli, scomparso nel 2007, che nel secondo dopoguerra si travestiva da “scugnizzo” per vivere per alcuni mesi in mezzo ai senzatetto, fino a creare la “Casa dello scugnizzo” per aiutare almeno i più giovani ad inserirsi nella società. Di lui si occuparono a lungo media italiani e stranieri, aiutandolo così a raccogliere fondi per le sue opere benefiche. La ricerca di Gaudiosi, su documenti inediti dell’archivio privato del sacerdote, mira a far luce “su una figura il cui impatto sull’immaginario cattolico del dopoguerra è stato troppo trascurato”. “L’attenzione – spiega il ricercatore – sarà posta in particolare sulla grande disinvoltura con la quale un rappresentante del clero”, diventato rapidamente uomo di copertina e protagonista di film ed inchieste per cinema e tv, “sia riuscito a portare al centro dell’attenzione mediatica i problemi di Napoli e dei suoi giovani, mostrando però anche i progressi di un efficiente modello assistenziale”.

Vaticana News

Di fronte alle tante guerre che come croci costellano ancora la storia, guardiamo al Cristo crocifisso e al suo gesto di amore che vince l’odio

Cari amici lettori, stiamo per vivere la Settimana santa, che si apre con la Domenica delle Palme. Accingendoci a contemplare e rivivere gli ultimi giorni terreni di Gesù, culminati nella sua morte in croce, il pensiero corre spontaneo alla sofferenza e al male che purtroppo, come tanti croci, costellano la storia anche oggi. Fa male nell’anima leggere, ad esempio, sul sito della comunità di Sant’Egidio, che – oltre all’orribile guerra tra Russia e Ucraina – ci sono almeno altri 30 conflitti nel mondo, con tutto il corteo di sofferenze annesse. Torna alla mente la famosa frase del filosofo Blaise Pascal su Gesù nel Getsemani: «Cristo sarà in agonia fino alla fine del mondo. Non possiamo dormire tutto questo tempo». Cristo soffre nei crocifissi di oggi: donne, bambini, anziani e disabili bombardati senza aver fatto nulla di male, profughi dai diversi inferni in terra…. «Siamo testardi come umanità. Siamo innamorati delle guerre, dello spirito di Caino», ha detto papa Francesco a Malta.

Mi sono chiesto – come forse molti di voi – dove sia la speranza cristiana in tutto questo. Confesso che la risposta è difficile anche per me, si rischia di “indorare” la pillola, di giustificare ogni cosa. Eppure, guardando a Cristo crocifisso, un barlume di speranza lo intravvedo. Gesù, come i tanti crocifissi di ogni tempo, ha subìto una violenza ingiusta, una condanna infamante senza avere colpa. La sua risposta alla violenza però è non è stata altra violenza.

L’intuito della fede ci suggerisce che sulla croce il Signore ha risposto alla violenza con un atto d’amore, “deponendo” la vita per gli amici e per i nemici. Specchio della compassione di Dio per il mondo, ha assunto su di sé la “maledizione” che grava sul mondo, il nostro peccato. A un atto di odio ha risposto con un amore senza limiti. È qui che vedo l’inizio di una speranza, quella speranza che deve animare coloro che si dicono discepoli di “questo” Signore: i credenti in un Crocifisso devono sentire come propria la sofferenza di Cristo e imparare da Lui l’amore, la “sim-patia” (il saper soffrire con gli altri) e l’empatia, lasciandosi com-muovere dalle sofferenze degli altri. Anche noi dobbiamo chiederci in questi giorni dove stiamo e cosa possiamo fare.

Nel racconto della Passione di Gesù compaiono tante figure in cui possiamo ritrovarci: le guardie, i sommi sacerdoti, i discepoli addormentati e quelli che fuggono, il vigliacco Pietro, l’indeciso Pilato… Forse possiamo ritrovare qualcosa di noi anche tra quelli che hanno intuito ciò che si nascondeva dietro lo “scandalo” della croce: Maria, le donne sotto la croce, il centurione, il ladrone pentito, il discepolo prediletto, Simone di Cirene…

Dunque, anche noi possiamo partecipare ancora oggi alla Passione del Signore e diventare “com-partecipi” della sofferenza del mondo se vogliamo vivere una Pasqua autentica. E tra i tanti modi con cui possiamo fare qualcosa per chi è nel bisogno, mi permetto di suggerire l’iniziativa “Un gesto di cuore” (vedi pagg. 44-45), l’abbonamento solidale a Credere per gli anziani soli e fragili, che è sempre stato sostenuto da voi, cari amici lettori, con grande generosità. Un modo piccolo e silenzioso per partecipare, insieme a tutto il popolo di Dio, alla Passione di Cristo, «fino alla fine del mondo».
Famiglia Cristiana 

«Una nuova social card per arginare la povertà»

Per le Acli la lotta alla povertà estrema deve aprire la stagione delle riforme. E ieri alla Cattolica, durante la seconda giornata della conferenza organizzativa, l’associazione dei lavoratori cristiani ha proposto una social card riveduta e corretta, che entro tre anni possa raggiungere le famiglie italiane – sono il 4,2% – sotto la soglia d’indigenza. Misura che unirebbe un contributo economico più alto (da 40 a 133 euro mensili a nucleo) a un pacchetto di servizi alla persona. E che sarebbe sostenibile per le casse dello Stato. Le Acli stimano una spesa aggiuntiva di 665 milioni all’anno fino al 2013, meno di due miliardi di euro. Fondamentale la sussidiarietà. Un ruolo chiave spetterebbe infatti ai Comuni, erogatori dei servizi, e al Terzo settore, coinvolto nell’identificazione dei bisognosi e nella fornitura di servizi in convenzione. Il progetto è stato elaborato con un gruppo di ricercatori dell’ateneo di largo Gemelli coordinata da Cristiano Gori. «Proponiamo un piano di tre anni contro la povertà – ha spiegato il presidente delle Acli Andrea Olivero – lo presenteremo nelle prossime settimane al ministro Sacconi e poi alle forze politiche. Speriamo in un accordo bipartisan su una misura che accompagnerà le persone fuori dalla povertà assoluta». Alle Acli non è piaciuta la prima Social card. «Vero – ha puntualizzato Olivero – andiamo a rinnovare dall’interno uno strumento che all’inizio non ci ha visti entusiasti. Si tratterebbe però della prima misura del genere in Italia. Chiediamo a tutti pragmatismo». Due le critiche messe in conto. La prima, nel Belpaese dei furbi, di aiutare falsi poveri. La seconda di varare misure assistenziali che non stimolino la ricerca di lavoro. «Occorre rigore supplementare nei controlli da parte dello Stato – ha ribattuto il presidente delle Acli – altrimenti non si farà mai nulla. Noi siamo per mantenere la presentazione del modulo Isee per accertare il reddito delle famiglie. Assistenzialismo? I servizi offerti devono riguardare anche istruzione e formazione professionale». Secondo Cristiano Gori, lo strumento così rivisto consentirebbe di varare un vero e proprio laboratorio di federalismo nel campo del welfare. «Nel settentrione – ha dichiarato lo studioso – il costo della vita è nettamente superiore, sino al 30% di differenza, ma la soglia di disponibilità economiche da non superare per ricevere la Carta e il suo importo sono i medesimi in tutto il paese. Questo significa, in termini reali, svantaggiare il Nord. La Card corretta prevede invece soglie d’accesso e importi differenziati in base al costo della vita dei territori». La Caritas italiana condivide l’idea. «L’interessante proposta delle Acli – ha dichiarato il vicedirettore Francesco Marsico – rappresenta un invito realistico al governo a essere coerente con gli obiettivi che si è dato nella lotta alla povertà assoluta». D’accordo anche la Cisl. «L’allargamento dell’utenza della Social card è positivo – ha detto Pietro Cerrito, segretario confederale per le politiche sociali – perché la povertà non riguarda solo gli over 65». Paolo Lambruschi- avvenire

Cattolicesimo Il nuovo capro espiatorio

di J ean- Robert Armogathe
L
e crisi sono di moda – e che moda, visto che durerà a lungo! Il fatto è che si è dimenticato il significato originale della parola crisi, in senso medico: per Ippocrate la crisi è il momento esatto in cui la natura del malato soccombe o guarisce e, provvisoriamente, trionfa sulla morte. Quindi la crisi è un fatto momentaneo: è il punto di inflessione, un istante critico, quello della decisione; è il criterio nel quale si situa lo spartiacque fra morte e sopravvivenza. Uno strano uso della parola quello che fa durare le crisi del mondo contemporaneo come se esse stesse divenissero sinonimi di malattie e come se non si riconoscessero che a cose fatte!
  Passando dalla scienza medica a quella delle meteore, per la Chiesa si parlerà piuttosto di perturbazioni per indicare ciò che in questi ultimi tempi ha occupato la prima pagina dei giornali. È inutile ricordarle ora, ma una domanda invece si impone: esiste una relazione fra le perturbazioni della Chiesa e le crisi della società?
  Per le perturbazioni che la Chiesa affronta sono stati proposti tre tipi di spiegazioni discutibili, a volte anche dai cattolici stessi.
  La prima spiegazione, la più diffusa, ne attribuisce la responsabilità alla stampa. I media – si sostiene – sono anticattolici: in successione hanno complottato per pubblicare inopportunatamente l’intervista televisiva a monsignor Williamson, per
diffondere in tutto il mondo una falsa versione del dramma della giovane brasiliana incinta per gli stupri subiti da parte del compagno della madre, e infine per condannare il Papa per le sue dichiarazioni sulla radicale inadeguatezza dell’uso del preservativo.
  La seconda viene dai due estremi della Chiesa cattolica: l’insufficiente padronanza dei media e la comunicazione carente del Vaticano – si sente affermare – sono dovuti alla crisi del potere nella Chiesa o all’incompetenza all’interno del Vaticano. Si può anche aggiungere all’incompetenza l’animosità senza alterare la natura della spiegazione e indicare gli avversari del Papa nella Curia stessa: Benedetto XVI sarebbe circondato non solo da incompetenti ma anche da larvati avversari. Non c’è niente di nuovo: non c’è un solo Papa da secoli di cui non sia stato scritto questo!
  La terza spiegazione prende in causa la psicologia del Papa, la sua età, la sua formazione di professore, la sua leggendaria intransigenza e persino il suo temperamento di bavarese lo portano a rinchiudersi, a irrigidirsi, ad assumere le posizioni più reazionarie.
  Queste pretese spiegazioni politico­psicologiche sono alla portata di tutti: rimarrebbe da dimostrarne la validità. Mi sia dunque permesso di proporne un’altra, che si rifà alla natura stessa della Chiesa e più esattamente a ciò che definirei la sua consistenza: la libera adesione di coloro che credono che Gesù, il Figlio di Dio, crocifisso duemila anni fa, è oggi vivo e risorto. Questa fede, e insisto su questo, è libera, così come è libera l’appartenenza alla Chiesa. È la ragione per la quale questa società eminentemente paradossale – i cui principi non ubbidiscono alla stessa logica di quelli che reggono la nostra società, non sono cioè guidati dall’interesse – può essere per il mondo come uno specchio.
  Una società diversa di fronte alla nostra società nella quale questa si può scrutare.
  Nella Chiesa il mondo si contempla. Come spiegare altrimenti che tutti, a partire da coloro che si dichiarano non cattolici,
vogliano schierarsi su posizioni disciplinari che riguardano esclusivamente i cattolici? Che la scomunica divenga improvvisamente una questione così centrale e appassionante che tutti vogliono dare il proprio parere, dentro e fuori dalla Chiesa? (Beati quei partiti politici che riuscissero a interessare a tal punto i cittadini alle loro questioni interne). Che le indicazioni del Papa sulla morale sessuale e familiare in Africa siano immediatamente discusse dal mondo intero e che il suo discorso sull’uso del preservativo divenga oggetto di un’attenzione maggiore che non la questione del sapere quale è l’effettiva efficacia del preservativo? Le poche frasi del Papa sul preservativo sarebbero più importanti di sapere se il preservativo preservi, e da cosa?
  La Chiesa rinvia al mondo la sua immagine e il mondo vi scopre le sue fratture, le sue linee di rottura; vedendole nella Chiesa, può odiarle, se non può esorcizzarle. Con un meccanismo a lungo studiato da René Girard, il mondo allora rende chi le rivela – la Chiesa – responsabile di queste fratture. La Chiesa, allora, nella funzione mimetica che le è propria, assume il ruolo di capro espiatorio. Vediamo brevemente in quale modo.
  Le parole del Papa sull’uso del preservativo
hanno toccato nel vivo la questione del corpo e della sessualità. L’opinione pubblica era già stata scossa dal caso tragico della ragazza brasiliana. Non è la dottrina della Chiesa a essere messa in causa: sono i comportamenti umani, la somma dei crimini e dei peccati che mettono sotto accusa la Chiesa. La liberazione sessuale degli anni Settanta non ha raggiunto il suo scopo: lungi dal procurare agli uomini un supplemento di felicità sembra aver avuto come conseguenza la diffusione panendemica di diverse malattie, dalla depressione all’Aids.
  La famiglia è passata dalla realtà naturale al fatto sociale che può essere fondato da persone dello stesso sesso a cui può essere affidata l’educazione di bambini.
  Contemporaneamente la sessualità è diventata una funzione organica: è quindi necessario ‘preservarsi’, ‘proteggersi’. Vi è un ‘diritto al figlio’ e un ‘diritto all’orgasmo’. L’Occidente ha raggiunto un grado di disfacimento del tessuto familiare apparentemente unico nella sua storia. Questa sconfitta si accompagna specularmente alla colpevolizzazione della Chiesa e del Papa. La campagna infondata e sconsiderata contro le parole del Papa è un mezzo rassicurante per spostare altrove la profonda inquietudine provocata dallo
sconvolgimento delle strutture parentali.
  Le affermazioni di monsignor Williamson che negano la realtà del genocidio sono false – e sono un oggetto di scandalo tanto più enorme dell’annullamento della scomunica che ha attirato su di lui l’attenzione. Ma proiettare questo scandalo sul Papa e sulla Chiesa rivela il malessere della nostra società riguardo alla sua memoria. A iniziare dal malessere di una parte, molto secolarizzata, dell’ebraismo moderno che a forza di rimuginare sull’orrore subito si trova in debito di avvenire e di speranza per le nuove generazioni. L’esistenza dello Stato di Israele accentua la crisi: è come se l’ebraismo continuasse a procedere speditamente abbandonando gran parte del suo vigore spirituale e riducendo il suo fattore esistenziale alla tristezza del passato e all’attaccamento a uno Stato del Medio Oriente. In tali condizioni concentrare l’attenzione sulla Chiesa permette un’unità illusoria e un recupero di attività: da qui nasce la funzione della questione ‘Pio XII e gli Ebrei’ o del ‘Papa tedesco’ che permettono all’intera società di costruirsi una buona coscienza denunciando l’antisemitismo cattolico.
  Di tutto il discorso del Papa all’Università di Ratisbona, è stata sottolineata una frase e giudicata offensiva per l’Islam. Ma anche qui, non si tratta innanzitutto di un problema interno all’Islam? Non è forse la grande difficoltà in cui si ritrova, di fronte alla secolarizzazione, una religione con dei tratti politici, geografici e linguistici così marcati?
  L’Islam oggi deve affrontare i problemi legati alla sua mondializzazione: in Asia è presente il 70% dei musulmani, mentre forti comunità si
sono insediate in Paesi di tradizione cristiana.
  I sussulti dell’islamismo radicale sono i segni di questo difficile passaggio verso la modernità. È comodo e anche naturale riversare gli effetti di questa crisi di adattamento sulla Chiesa cattolica, proprio su di essa che nel mondo è testimone della religione. Possiamo osservare un’analoga reazione nell’insofferenza della laicità: l’evidente fallimento di ‘un mondo senza Dio’ e il frequente ricorso a pratiche religiose sostitutive hanno messo in crisi la laicità ‘chiusa’ che trova nella Chiesa cattolica un aiuto eccellente per trovarsi una nuova ragione di esistere.
  Non c’è ancora stata una vasta campagna per addossare alla Chiesa cattolica la responsabilità della crisi economica. La dottrina sociale della Chiesa si è sempre dichiarata contro il tipo di manipolazione a cui il capitalismo ha sottoposto il denaro e la produzione. Ciò che è successo con conseguenze così gravi per tanti milioni di persone è il risultato dell’avidità, della ricerca senza freni del profitto, del disprezzo per la dignità delle persone e dei diritti dei lavoratori. La crisi economica deriva dal rifiuto opposto al punto centrale dell’insegnamento sociale della Chiesa.
  Gli elementi di analisi proposti mostrano la posta in gioco in questo tempo di crisi per la società e di prove che la Chiesa sta attraversando. Essa è l’ultima figura sociale coerente nel mondo; dispone di un corpo dottrinale, di un catechismo, di una gerarchia visibile e identificata. Senza essere del mondo essa è purtuttavia nel mondo. Proprio per quello che essa è, il mondo la odia. Se fosse diversa, il mondo cercherebbe invano una vittima per giustificare il proprio malessere ed espiarlo. A causa della sua visibilità, per la coerenza del suo insegnamento, per il suo sforzo di annunciare e vivere ciò che il Vangelo esige, la Chiesa cattolica è inevitabilmente esposta. Non è il caso di stupirsi. Non è il caso di affliggersi, anzi, al contrario, dobbiamo rallegrarcene: «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra rimpensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi» (Matteo 5,11-12).

(avvenire 10/1/2010)