Un presepe in ogni casa

Cari fratelli e sorelle,
sebbene ancora distanti dal periodo natalizio, vi raggiungo con questa mia per promuovere l’iniziativa della CEI “un presepe in ogni casa”, ispirata alle parole del Santo Padre Francesco nella Lettera Apostolica Admirabile Signum, affinché ogni Unità Pastorale possa diffondere questa bella proposta.

In questo anno si celebrano gli 800 anni dall’invenzione del primo presepe di Greccio, grazie al quale il Santo Poverello di Assisi ha avvicinato tanti credenti al Vangelo. Le condizioni di povertà del popolo e la difficoltà nel reperire e leggere la Sacra Scrittura hanno inizialmente favorito la diffusione del presepe nelle case, ma ciò che la rende una tradizione ancora oggi è il fatto che – come scrive Papa Francesco – “aiuta a rivivere la storia che si è vissuta a Betlemme” attraverso l’immaginazione e gli affetti e “invita a sentirsi coinvolti nella storia della salvezza, contemporanei dell’evento che è vivo e attuale nei più diversi contesti storici e culturali”.

Pertanto, mi auguro che in questa particolare ricorrenza possiate sollecitare tutti i vostri parrocchiani a continuare questa santa tradizione.
I miei saluti insieme alla mia benedizione.

+ Giacomo Morandi

La lettera del Vescovo

Catasto. Case tassate del 66% in più con l’addio alle vecchie rendite

Secondo l’Unione giovani dottori commercialisti l’adozione dei valori correnti come base per il calcolo dell’Imu portrebbe ad aumenti consistenti con picchi del 134% a Milano
A Milano l'Imu sulle seconde case potrebbe aumentare del 134%

A Milano l’Imu sulle seconde case potrebbe aumentare del 134% – Fotogramma

Avvenire

La riforma del catasto porterà un aumento consistente delle tasse sulla casa. L’ultimo grido d’allarme arriva dall’Unione giovani dottori commercialisti ed esperti contabili che hanno presentato un’indagine realizzata dallo loro Fondazione e condotta su sette regioni italiane (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Abruzzo, Campania e Calabria). All’interno di ogni regione sono state individuate città rappresentative e presi a campione immobili del centro e delle zone periferiche per indagare il differente impatto in funzione della collocazione dell’immobile. I risultati non sono incoraggianti per i proprietari di case. «L’adozione di valori correnti in luogo delle rendite catastali avrebbe sulla tassazione della proprietà degli immobili un impatto dirompente. L’incremento dell’imposta sarebbe del 66%, nel caso in cui si dovesse utilizzare come base imponibile il valore corrente dell’immobile, con un aumento minimo del 30% e uno massimo del 100%» sottolinea il presidente Matteo De Lise.

La suddivisione territoriale dei risultati evidenzia una maggior crescita nelle regioni del nord (+73%), con valori inferiori al centro (+64%) e al Sud (+54%), aggiunge Francesco Puccio, presidente Fondazione Centro studi Ungdcec.«In particolare, l’indagine circoscritta alle singole città evidenziaun incremento minimo del 31% a Pescara ed un incremento massimo del 134% rappresentato dalla città di Milano – continua Puccio – Analizzando la misura dell’incremento distinguendo la collocazione, centrale o periferica, dell’immobile si evidenzia come l’effetto è più accentuato negli immobili situati nelle zone centrali (70%) rispetto alle zone periferiche (50%) a conferma del disallineamento presente nelleattuali rendite catastali».

Ucraina. I russi mettono i soldi sul mattone. Caccia agli affari immobiliari a Dubai



I «sudditi» di Putin più facoltosi nascondono il 60% della loro ricchezza fuori dal Paese: 40 tra uomini d’affari e funzionari (sei sotto sanzioni) hanno proprietà negli Emirati
Passeggiata a Dubai

Passeggiata a Dubai – Reuters

Avvenire

In fuga in costume da bagno, travestiti da vacanzieri per allontanarsi il più possibile da una guerra che sta distruggendo i loro patrimoni. A Marina Beach, sul lungomare più frequentato di Dubai, in questi giorni l’idioma più diffuso è il russo, ostentato senza alcun timore. Dicono che alcuni siano oligarchi, ma quelli vivono al largo sui loro yacht di metratura imbarazzante. L’impressione invece è che parecchi siano semplicemente ricchi, con moglie e figliolanza al seguito, a caccia di un posto dove stare senza che l’Occidente possa disturbarli. Secondo una stima del National Bureau of Economic Research, i russi più facoltosi nascondono il 60% della loro ricchezza – pari a un trilione di dollari – fuori dal Paese. Finché non si capirà dove, le sanzioni non potranno mai essere del tutto efficaci.

Ma basta frequentare un qualunque hotel degli Emirati, dove il conflitto ucraino non è stato ancora condannato ad alto livello e non sono state perciò applicate sanzioni, per comprendere quale sia diventato il loro rifugio preferito. Mare, sole tutto l’anno, enormi appartamenti da acquistare in blocco in grattacieli che spuntano come funghi, e soprattutto zero domande: Dubai negli ultimi anni è diventata un parco giochi per i russi danarosi, grazie anche alla sua reputazione di non eccepire granché sulla provenienza dei soldi stranieri.

Al momento, almeno 40 tra uomini d’affari e funzionari – sei dei quali sono stati colpiti da sanzioni – hanno delle proprietà a Dubai per un valore totale pari a 314 milioni di dollari. E da quando è iniziato il conflitto in Ucraina, la meta è ancora più gettonata. Lo yatch del magnate dell’acciaio Andreij Skoch sarebbe posizionato al largo della città, due settimane fa sarebbe arrivato il jet di Arkady Rotenberg, mentre cresce la richiesta di sistemazioni di lusso offerte dai baracchini delle agenzie specializzare sulla passeggiata, simili a quelli che da noi vendono i gelati. A Dubai invece offrono ai passanti “occasioni” come gli appartamenti all’interno di uno dei 77 piani del grattacielo Address; suites sul lungomare da 15mila dollari al mese. O in alternativa, 960mila euro per acquistarne una di piccola metratura.

Le banche di Dubai intanto esultano: al momento – spiega un rapporto dell’agenzia Reuters – gli Emirati Arabi Uniti sono sulla lista grigia del Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale che sorveglia i reati finanziari globali, questo significa che le banche devono fare maggiore attenzione perché le loro attività sono già sotto inchiesta. «Accettiamo i soldi russi, ma non li usiamo per fare investimenti», conferma sempre a Reuters un anonimo istituto di credito di Dubai che assicura di offrire la possibilità di aprire conti deposito, ma non quella della gestione patrimoniale. Ma non è nemmeno così complicato spostarli, questi soldi. «C’è chi apre un conto in una filiale a Dubai di una banca di cui è già cliente in Europa, oppure apre un conto nuovo in un istituto di credito emiratino», conferma la fonte.

Tra l’altro, agli investitori stranieri che esportano più di 200mila dollari, dal 2018 gli Emirati offrono un permesso di soggiorno dalla durata di 10 anni. In questo modo, oltre al capitale, è possibile mettere al sicuro sé stessi e la propria famiglia. A Dubai invece nessuno ovviamente parla di guerra. Per trovare qualche segnale, nei giorni scorsi occorreva andare a Expo – che ha chiuso i battenti giovedì – nel padiglione ucraino, tappezzato esternamente di bigliettini e messaggi per invocare la fine delle ostilità, con un cartonato di Zelensky all’ingresso dove i visitatori posavano per dire no all’invasione di Putin. Fra i post anti-guerra anche quelli di diversi visitatori russi.

Nel padiglione della Russia invece, nessuna traccia. All’interno si parlava di «tecnologia che stupisce» e tutti i video e i messaggi erano centrati sul concetto di cooperazione e interconnessione, proprio in un momento nel quale il Paese è isolato dal resto del mondo.

Rapporto della Caritas Italiana sul diritto alla casa in Europa

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14 novembre 2020 – Osservatore

In Europa, pur nell’ambito di un quadro giuridico di spessore, la casa resta per molte persone una meta difficile da raggiungere e da mantenere. Oltre ventitré milioni di famiglie, circa il 10 per cento della popolazione totale dell’Unione europea, spendono più del 40 per cento del reddito per mantenere la propria abitazione, e quasi nove milioni di famiglie vivono in alloggi inadeguati. C’è poi chi un tetto non l’ha mai avuto: solo in Europa settecentomila persone sono senza dimora e il fenomeno è aumentato del 70 per cento in dieci anni. Sono i dati principali presentati nel dossier «Casa, bene comune. Il diritto all’abitare nel contesto europeo», pubblicato dalla Caritas Italiana in questo anno nel quale si celebrano i settant’anni dalla Dichiarazione Schuman, che ha dato il via al processo di integrazione europea.

Nella cornice giuridica europea, sottolinea l’organizzazione cattolica, il diritto alla casa è di pertinenza esclusiva dei singoli stati. La condizione abitativa nel vecchio continente risulta pertanto eterogenea e diversificata a seconda della situazione reddituale delle famiglie e delle politiche abitative attive, tra le quali l’offerta di edilizia residenziale pubblica svolge uno dei ruoli prioritari. Nonostante alcuni paesi siano maggiormente strutturati rispetto alla dotazione di abitazioni sociali, le difficoltà economiche della crisi del 2008 e la crisi sanitaria dovuta al coronavirus, i cui esiti sono ancora difficili da prevedere, «hanno generato nuove fragilità abitative con differenti intensità». A fianco delle categorie sociali strutturalmente in difficoltà rispetto al tema dell’abitare — aggiunge la Caritas — come immigrati, senza dimora, famiglie con disabili o disoccupati cronici, «si sono aggiunti anziani con pensioni basse, famiglie con figli a carico oppure i cosiddetti working poor, che rischiano sempre più lo scivolamento in povertà con la conseguente possibilità di perdere la casa». Dinanzi a tali problematiche le politiche abitative “classiche” non riescono più a fornire una risposta, soprattutto nei paesi dell’Europa meridionale. Sono comunque presenti nel continente molte esperienze innovative, precisa la Caritas, «da cui trarre utili piste di lavoro per favorire una migliore esigibilità del fondamentale diritto a un degno abitare».

Fra gli Stati europei più sviluppati, l’Italia si distingue, oltre che per una delle più basse quote di edilizia pubblica, anche per una minore dimensione del patrimonio in affitto privato, pilastro dell’offerta in molte altre nazioni e, più in generale, per una scarsa disponibilità di alloggi con costi commisurati ai redditi. Lo Stato italiano, pur detenendo la responsabilità del settore dell’edilizia pubblica in concorrenza con le regioni, non eroga finanziamenti dal 1998. Le poche risorse non consentono una programmazione degli interventi tale da fornire una risposta socialmente significativa. Dal canto loro, le regioni non hanno adeguatamente sostenuto il settore abitativo destinando per lo più le risorse ottenute dallo Stato a situazioni emergenziali o per ambiti circoscritti. «Il modello italiano di privatizzazione del problema abitativo da tempo dimostra profonde strutturali debolezze — denuncia il dossier della Caritas — rivelando un arretramento rispetto a paesi europei dove la maggior parte del parco abitativo è pubblico o sociale, con affitti accessibili». In Italia, denuncia l’organizzazione, «da qualche decennio si spende troppo poco e male per l’emergenza abitativa: non si costruiscono più alloggi sociali o con canoni di locazione sostenibili, non si agisce sull’enorme patrimonio di abitazioni vuote e invendute. La costruzione di case popolari ha spesso marginalizzato le persone in casermoni edificati in periferie lontane e insane».

Secondo il recente «Rapporto sulla povertà ed esclusione sociale in Italia» della Caritas, nel paese oltre 1.800.000 famiglie sono in condizioni di povertà assoluta e chi vive in affitto ha una situazione più critica: sono circa 850.000 le famiglie povere in locazione, quasi la metà di tutte le famiglie povere. I senza dimora sono 51.000 e la loro condizione è stata aggravata dall’arrivo della pandemia. Ogni anno inoltre arriva l’assalto del gelo che crea situazioni ad alto rischio per chi non ha una casa o una sistemazione al coperto e riscaldata. La cosa che balza subito agli occhi in Italia, afferma in conclusione la Caritas, «è che la gran parte delle abitazioni, circa sette su dieci, sono case di proprietà. Siamo tra i paesi europei in cui questa quota è più alta. È un problema? Sì, perché questa situazione crea un mercato poco dinamico, in cui le abitazioni in affitto sono poche e, generalmente, care».

Il dossier si chiude con le parole pronunciate da Papa Francesco in occasione della sua visita alla Casa dell’accoglienza Dono di Maria , il 21 maggio 2013. La “casa”, disse il il Pontefice davanti alle missionarie della Carità, ai poveri assistiti e ai volontari che operano nel centro, «rappresenta la ricchezza umana più preziosa, quella dell’incontro, quella delle relazioni tra le persone, diverse per età, per cultura e per storia, ma che vivono insieme e che insieme si aiutano a crescere. Proprio per questo, la “casa” è un luogo decisivo nella vita, dove la vita cresce e si può realizzare, perché è un luogo in cui ogni persona impara a ricevere amore e a donare amore».

di Charles de Pechpeyrou