Camaldoli, un’oasi di silenzio, preghiera e ospitalità

Ospitalità e accoglienza, ma anche silenzio, preghiera, condivisione della liturgia, approfondimento culturale, dialogo. È il mix vincente di Camaldoli che ogni anno accoglie nelle sue foresterie più di tremila persone. Ricco il calendario delle iniziative proposte anche per quest’estate 2017 tra esercizi spirituali, convegni, settimane teologiche e di studio, corsi di lingue bibliche. «C’è un risveglio di attenzione per i temi monastici e l’approfondimento della spiritualità monastica pur nella diversità dei cammini di fede» ci spiega il priore, padre Alessandro Barban.

Padre Barban, sono tutti «cercatori di Dio» quelli che vengono da voi?

«No certamente.
Oggi le ricerche personali e i cammini di fede sono molto plurali. 
La maggioranza cerca Dio ed ha bisogno di silenzio e preghiera. Chi cerca esercizi spirituali e corsi biblici o teologici di approfondimento, chi viene a Camaldoli per le celebrazioni liturgiche annuali come l’Avvento, il Natale, la Quaresima e la Settimana Santa della Pasqua. Ci sono coloro che sono interessati al colloquio annuale ebraico-cristiano che si tiene in dicembre. Altri vengono e partecipano ai weekend interreligiosi o ai temi di frontiera. Quest’anno abbiamo offerto diversi incontri sulla Riforma di Lutero».

Tra le diverse proposte estive anche dei corsi di ebraico biblico e di greco neotestamentario. Chi li frequenta e perché?

«Sono persone di diversa provenienza geografica e culturale, uomini e donne, direi più laici/che che religiosi/e o preti, che hanno compreso come sia importante conoscere le lingue originarie in cui sono stati scritti i testi biblici. Se uno impara l’ebraico può veramente entrare nel Primo testamento e scoprire tutta la ricchezza di un testo di Isaia, del libro dell’Esodo o i Salmi. Così pure se uno padroneggia il greco biblico può leggere e approfondire i Vangeli o le Lettere di S. Paolo dall’originale dentro la lingua nella quale sono stati scritti. È un mondo inaspettato che si apre… Sono persone che studiano queste lingue antiche non solo per aumentare la loro cultura biblica. Più spesso lo fanno per dare maggiore spessore alla loro esperienza di fede».

La domanda di senso e il bisogno di felicità abitano il cuore di ogni uomo, credente e non. Che risposte o che strumenti di ricerca offrite?

«Oggi l’esistenza delle persone è alquanto impegnativa per cominciare dalla famiglia e dal lavoro. La fede cristiana che ognuno cerca di coltivare e maturare chiede certamente una risposta di bene e comunione. Di pace e di realizzazione personale. Bisogna aiutare a fare un certo discernimento: non confondere o sovrapporre la felicità secolare che spesso si identifica col possesso di cose e di denaro, con la felicità che proviene da un cammino di fede. Come monaci crediamo che sia soprattutto la lettura e la meditazione della Parola di Dio – attraverso la proposta della Lectio divina – a far comprendere e gustare la felicità che giunge come grazia nella vita di un credente. Poi offriamo corsi di meditazione silenziosa, percorsi di accompagnamento spirituale…



».

Di fronte all’odierna povertà materiale, relazionale e di speranza, in che modo un’esperienza di fede condivisa con chi ha scelto una vita di silenzio e preghiera nel celibato e nella dimensione comunitaria può «parlare» all’uomo d’oggi?

«La nostra vita monastica suscita sempre molta attenzione. Già venendo a Camaldoli, in questo posto circondato da una foresta secolare, si percepisce e si entra in una atmosfera di silenzio e di pace che aiuta molto a ritrovare se stessi. Oggi c’è un grande bisogno di fermarsi: di decelerare i ritmi di vita, famigliari e di lavoro, di ascoltare se stessi facendo silenzio, di fare il punto della situazione del proprio cammino esistenziale, di ritornare alle domande di fondo e di trovare delle risposte autentiche e profonde.
Ma la nostra vita monastica “parla” soprattutto con la preghiera e nella preghiera.
Tutti coloro che arrivano a Camaldoli – sia all’eremo, sia al monastero – chiedono se possono partecipare alla nostra preghiera comunitaria nelle diverse ore della giornata. È questa l’esperienza di fede maggiormente condivisa che, dopo alcuni giorni, comincia a segnare una traccia nella coscienza e nella propria interiorità».

«Alla scuola di Gesù» è il titolo del corso di esercizi spirituali da lei guidato qualche settimana fa. Che senso e che valore ha oggi parlare di umiltà e mitezza?

«Gesù si presenta nel Vangelo di Matteo come colui che è mite e umile di cuore. Questo non significa remissività o neutralità. Anzi, Gesù è in qualche modo la sintesi delle stesse Beatitudini. Gesù era presente con un temperamento e una fisionomia molto precisi e direi significativi a cominciare dalla sua preghiera, dallo stile della sua accoglienza verso tutti, dalla proposta dei suoi discorsi che orientavano al regno di Dio. Ma tutto era vissuto e condiviso con una mitezza che esprimeva la bontà e la misericordia di Dio; tutta la sua persona doveva esprimere umiltà, cioè la semplicità/bellezza della terra, della relazione umana, del sensibile e della tenerezza. Ma egli sa anche presentare una parola forte in merito alla povertà, al perdono, alla giustizia. Ogni cristiano dovrebbe tenere uniti dentro di sé la mitezza e l’umiltà evangelica, e allo stesso tempo il riverbero significativo di coerenza delle scelte a cui impegna la fede pasquale».

Sono in corso le Settimane teologiche della Fuci; tra qualche settimana si svolgerà la Settimana teologica del Meic. Il vostro monastero ha visto la nascita del Codice di Camaldoli: in che modo la ricerca di spiritualità e la riflessione sulla fede può orientare l’impegno civile e politico?

«Credo che una fede e una spiritualità che non diventino Politica con la maiuscola, rischiano di cadere in un’estraneità dalla storia degli uomini, che trasforma la fede in superstizione e devozione, e la spiritualità in spiritualismo. Nei decenni sono passate a Camaldoli generazioni di giovani che hanno capito quanto fosse importante impegnarsi in politica per il bene comune di tutti… e come fosse la carità più grande, il servizio discepolare più cruciale. Quando Papa Francesco ci invita ad uscire, a vivere con gli altri condividendo la nostra fede cristiana ci dice di imparare a vedere e ad aiutare i poveri, coloro che sono scartati dalla nostra società, a tenere presente i giovani e gli anziani spesso ridotti ai margini, ci dice che è possibile in nome della nostra fede di impegnarci per un mondo più umano e più giusto.
Io credo che una fede non declinata con la giustizia finisca poi per diventare insignificante. Si svuoti e non sia più attrattiva.
Il problema è duplice: per quanto riguarda la fede bisogna ritrovare la sorgente del Vangelo e tutta la sua forza profetica; per quanto riguarda la politica, abbiamo bisogno di un nuovo impegno che nasca dal bene comune, che non tema di ipotizzare modelli alternativi di economia, di scuola e di formazione, di cura ecologica del nostro mondo.
Oggi la politica è solo politicante… deve ritornare ad essere pensiero, visione, progetto
per i molti che abitano e vivono nel nostro Paese e in Europa, in un rapporto di collaborazione e di sviluppo di una nuova umanità tra Nord e Sud del mondo».

Fonte: Sir