Musica: Roma l’ultima tappa italiana del tour di Bruce Springsteen

di Gaetano Vallini

Perché molte centinaia di persone, tra le migliaia e migliaia che affollano da sempre i suoi concerti, tornano ad ascoltare Bruce Springsteen? Perché alcuni di loro addirittura lo seguono di città in città in alcune tappe dei tour per non perdersi nulla di questo instancabile “apostolo del rock”, come l’ha definito qualcuno? Semplice: perché The Boss sa cosa vuol dire fare buona musica, come si sta sul palco anche a sessantatré anni suonati, come stupire i fan stravolgendo la sommaria scaletta del concerto ascoltando gli umori della sua gente e il particolare feeling che si instaura appena la musica esplode dagli altoparlanti. E ogni volta è diverso, è una novità.
Così anche giovedì sera a Roma, nell’arena allestita all’ippodromo delle Capannelle per l’ultima tappa italiana del tour 2013, per gli oltre trentacinquemila presenti è stato inutile fare ipotesi su cosa avrebbe cantato, nonostante ognuno si fosse costruito nella mente il concerto che avrebbe voluto ascoltare. Lui, salito sul palco, in ogni caso non ha scontentato nessuno. Perché è riuscito ancora una volta a creare quella magica atmosfera che fa di ogni suo concerto un’esperienza unica.
Così, dopo aver cantato la prima canzone Spirit in the Night, ha repentinamente chiesto al pubblico: Can you feel the spirit?. E si è subito capito che anche questa sarebbe stata una serata speciale: tre ore e mezza di grande musica, di rock vero e sano, sprizzante energia, tuttavia capace di spaziare tra le diverse sfumature della tradizione tipicamente americana, peraltro largamente esplorata in un repertorio personale ampio e di altissimo livello.
E allora via, a briglia sciolta, tra pezzi forti – a partire da Badlands, diventato l’inno degli springstiniani – e brani meno famosi ma non meno intensi e trascinanti. Con alcune rarità, come Roulette, e classici di altri, come Summertime Blues di Eddie Cochran. Una maratona che passa come tradizione anche dalle richieste del pubblico, con il Boss tra i fan a raccogliere i cartelli con le richieste. Per terminare con i generosi bis, fino all’ultimo fiato: lui solo sul palco, chitarra e armonica, a intonare Thunder Road.
Ma il vero gioiello è una inattesa, maestosa versione di NYC Serenade, mai eseguita in questo tour e raramente suonata in concerto. Invano, anche in Italia, soprattutto a Milano, i fan avevano invocato con cartelli e cori questo brano. Ieri sera sono stati esauditi: sul palco è salita una sezione di archi dell’orchestra Roma Sinfonietta e il piccolo prodigio si è compiuto. È stato il regalo di Springsteen al pubblico romano. E l’io c’ero, per gli irriducibili, sarà d’obbligo.
C’è un segreto per tutto questo? Certo, molto si deve all’affiatamento con la storica E Street Band, che oggi porta sul palco ben diciassette elementi; il sax di Clarence Clemmons, prematuramente scomparso, è stato sostituito dal nipote Jake e da una poderosa sezione di fiati. Ma la vera risposta l’ha data l0 stesso Springsteen rivolgendosi ai giovani musicisti che lo scorso anno ascoltavano il suo discorso di apertura di un festival in Texas: “Stasera, quando salirete sul palco per fare casino, fatelo come se fosse tutto quello che abbiamo”. In sostanza il Boss non ha mai abbandonato la sua fiducia nella capacità che la musica ha di offrire un po’ di speranza, di redenzione, si potrebbe dire. “Ricordo che da ragazzo – ha raccontato – andavo a vedere dei gruppi, guardavo i musicisti da vicino studiando il loro modo di muovere le mani, poi a casa cercavo di copiarli. Entrare in una band e suonare mi ha salvato dalla trappola di non riuscire a realizzare il mio potenziale”.
Inoltre non ha mai tralasciato l’impegno, lui che ormai da quarant’anni è considerato il cantore della working class. La sua musica richiama valori importanti, come la responsabilità, la lealtà, il senso del dovere, il rispetto. Anche per questo un concerto del Boss non è mai solo musica, ma qualcosa di più. Un di più che parla al cuore attraverso il racconto di storie vere, di gente concreta in cui riconoscersi; storie spesso dure, ma mai disperate. E nelle quali trovare qualcosa di rassicurante, nonostante tutto.

(©L’Osservatore Romano 13 luglio 2013)