Al raduno degli eremiti…

Un momento del convegno a porte chiuse che si è tenuto nei giorni scorsi nel santuario di Castelpetroso (Isernia) (Luigi Narici/ Agf)

L’arcivescovo di Campobasso li ha chiamati a raccolta per discutere (strano ma vero) di comunicazione. Tra un caffè e una preghiera, ecco cosa ci hanno raccontato. Reportage

CASTELPETROSO (Isernia). Sembra un ossimoro, e invece è una realtà: il raduno degli eremiti. Ci troviamo al santuario di Castelpetroso, nel cuore del Molise, alle 9 del mattino del 18 settembre. Gli eremiti sono arrivati due giorni fa, ripartiranno domani. Il convegno è stato voluto e promosso dall’arcivescovo di Campobasso e Bojano, monsignor Giancarlo Bregantini. Ed è proprio dalla sua segreteria che abbiamo avuto il numero di suor Margherita, l’eremita che tiene insieme la logistica dell’evento. «Ha un cellulare?», sì, ci tranquillizzano dalla Curia. Proviamo a chiamarla, una volta lì, perché di eremiti non ne vediamo. O meglio: li riconosceremmo, se li vedessimo? In lontananza, un uomo in saio con una lunga barba bianca: ce li hanno sempre raccontati così, gli eremiti. Lo rincorro, il fotografo resta indietro, non vogliamo sembrare invadenti. «Sono un monaco solitario, venuto dall’Umbria per assistere al convegno. È un dono incredibile che il vescovo ci ha fatto. Gli eremiti sono una ricchezza che sembra appartenere al passato, e invece è del presente. Essendo soli, sono nell’obbligo di essere coerenti. Ecco perché la loro figura è universale e può migliorare il mondo».

L’arcivescovo Giancarlo Maria Bregantini (Fotogramma)

Quattro figlie e una suocera

Suor Margherita, intanto, ci dice che la conferenza sta cominciando, non può incontrarci. Se ne parlerà alle 10.30, quando usciranno per la pausa. Ma come sarà la pausa degli eremiti? Al bar del santuario, chiedo se per caso prendono il caffè: «Sì, qualcuno sì». Aspettiamo, appostati davanti alla piccola sala conferenze col cancello bianco, poi li vediamo uscire, finalmente, alla spicciolata. Passeggiano nel piazzale che guarda la natura. Ci avviciniamo quasi a tutti, con educazione. Con educazione, quasi tutti ci parlano, chiedendoci però di non essere fotografati, né menzionati. Solo Enrico si lascia andare: «Sono un eremita anomalo. Ho una moglie, quattro figlie e una suocera», confessa. In realtà, è un diacono di Reggio Emilia, che sette anni fa ha tirato i remi in barca e ha cominciato ad avvicinarsi alla prospettiva eremitica: «Una solitudine abitata, riempita dall’amore di Dio». Sessantaduenne, è venuto in Molise con un pulmino e altri eremiti. Si sono messi d’accordo su WhatsApp, il primo è salito a Verona, il secondo a Mantova, lui è stato preso per ultimo. Si fa fotografare: sorride, con un’enorme croce di legno al collo.

Enrico Grassi, 62 anni, di Reggio Emilia, uno degli eremiti al convegno. Sullo sfondo, il santuario Maria Santissima Addolorata (Luigi Narici/ Agf)

Nel frattempo, suor Margherita ci sta cercando. Se promettiamo di non disturbare, ci farà assistere a un pezzo di conferenza: «Oggi parliamo di silenzio e voi ci rompete le scatole!» scherza. È burbera, ma accogliente. Qualche giornalista l’ha fatta arrabbiare: «Hanno scritto cose inesatte». Perciò, oggi non rilascia interviste. Di lei sappiamo che vive nell’eremo di Sant’Egidio, vicino Bojano, a 1.200 metri d’altezza. Lì, per due mesi l’anno, neanche il sole riesce a raggiungerla.

Smartphone & lentezza

Una volta dentro, mentre il fotografo immortala l’oggettiva straordinarietà di un folto gruppo di eremiti (una trentina, fra donne e uomini), mi apparto con una di loro per qualche domanda. Quanti sono, in Italia? Il dato più recente lo dobbiamo a Isacco Turina: nel 2007, nel libro I nuovi eremiti, ne contava circa 250. Tuttavia, i numeri precisi li hanno solo le singole diocesi. La conferenza, intanto, affronta il discorso della comunicazione, della tecnologia. Perché gli eremiti hanno lo smartphone, lo usano. Ricevono le mail, rispondono ai messaggi. Ma con i loro tempi. Lo strumento che li tiene in connessione con il mondo non deve togliere nulla al silenzio. «Silenzio. Una delle parole cardine del nostro lavoro» spiega l’eremita con cui parlo, mentre ci chiudiamo in una cappella adiacente per non disturbare il gruppo. «Silenzio vuol dire soprattutto ascolto. L’eremita può cogliere uno sguardo, e cogliere un silenzio. E se ci metti un ‘ac’ davanti, diventa accogliere. Ecco, l’eremita accoglie l’altro. Come nell’immagine del Cristo Silente: la bocca serrata, le orecchie grandi, e le mani aperte, pronte a ricevere chi arriva. L’eremita non è un santo, ma un battezzato in cammino».

Tutte le voci sentite, in questa giornata, tornano sul bisogno di mettersi da parte per essere più in contatto col mondo. Di essere soli per poter stare a disposizione di tutti. Il pranzo alle 13, la cena alle 19.30. Insieme, sì. «Mangiamo anche noi, eh, e parliamo! Io per esempio sto parlando tantissimo mentre tu ascolti. Di solito è il contrario!». Nel salutarmi, l’eremita mi fa i complimenti per il vestito che porto: «È molto nel nostro stile» ride, «brava!».

Mi ritrovo col fotografo, ci resta da sentire Bregantini. Gli chiediamo come mai si è tanto parlato di questo raduno e non dei precedenti? «Perché non ce n’è mai stato uno così grande. Poi, perché gli eremiti ce li immaginiamo con la barba e con addosso il folclore dei santi, invece, pur mantenendo intatto il tessuto di Vangelo che li accompagna, sono moderni. La loro qualità spirituale sta diventando un monito per la Chiesa di oggi, e c’è un fatto singolare da considerare: il Vaticano è pieno di domande di eremiti che da tutto il mondo chiedono di fare questa vita».

Come alberi nelle coscienze

Come si diventa eremiti? «È una crescita spirituale della vita monastica. La vita in convento, maturando, si può aprire alla scelta eremitica. La comunità ti mette le ali sulle spalle per permetterti poi di volare da solo. Dal punto di vista pratico, invece, occorrono due permessi, e la Santa Sede sta preparando un documento ufficiale su questo tema. C’è sempre meno gente a messa nelle parrocchie, e sempre più nei santuari. Le persone hanno più stima dell’eremita, meno del parroco». Perché? «Forse perché il parroco lo si vede tutti i giorni, nel quotidiano. L’eremita invece lo vai a cercare nel momento in cui sei in crisi. Nel momento in cui hai bisogno di essere ascoltato. L’ascolto oggi vale tutto, i ragazzi che si ammazzano, per esempio, spesso lo fanno perché non trovano ascolto».

Perché questo raduno? «Per gratitudine, innanzitutto. Quando ero in Calabria, gli eremiti, insieme alle cooperative, mi hanno aiutato a combattere la mafia. Sono alberelli piantati nella coscienza della gente, hanno radici profonde. Questo non è un raduno, ma una provocazione santa che la Chiesa rivolge agli altri eremiti, per dire loro ‘Coraggio! Continuate!’; alle chiese locali, che devono essere accoglienti nei loro confronti; e alla politica». Cosa lega gli eremiti alla politica? «Un esempio: gli incendi che distruggono il nostro Paese ci sono perché nessuno custodisce il territorio come andrebbe fatto! La politica deve sapere che, soprattutto per le aree interne, schiacciate dall’abbandono, gli eremiti sono una risorsa. Amano la terra, la lavorano, curano gli animali. Celebrano la vita sobria, autentica, e accolgono sempre i poveri».

La Madonna che, secondo la tradizione, apparve a due contadine nel 1888, qui a Castelpetroso rimase in silenzio. Eccola, la parola che torna. «La Basilica Minore dell’Addolorata è stata costruita anche grazie alle monetine offerte dalla gente. E alle padelle di rame donate per realizzare la cupola» continua Bregantini. «Avremmo potuto scegliere un 5 stelle a Roma, ma abbiamo scelto il Molise. Che ha parlato, si è rivelato. Un luogo naturale che c’è, e c’è più degli altri».

Sul Venerdì del 1° ottobre 2021