Bioetica e religioni

di Padre Gonzalo Miranda LC
Decano della Facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum

ROMA, domenica, 22 gennaio 2012 (ZENIT.org).- Durante il processo di elaborazione della “Dichiarazione Universale su Bioetica e Diritti Umani” dell’UNESCO ci fu una sessione dedicata ad ascoltare i rappresentanti delle più importanti religioni nel mondo. Il giorno dopo, mentre si analizzava la bozza della dichiarazione, uno dei membri del Comitato Internazionale di Bioetica commentò il fatto che la stragrande maggioranza della popolazione mondiale si riconosce in una qualche religione e che pertanto non si poteva lasciare da parte le visioni religiose su temi importanti e delicati come quelli affrontati dalla Dichiarazione.

La bioetica, infatti, parla di vita e morte, di salute e malattia, di sofferenza, dignità della persona umana, ecc.. Tematiche che interessano anche in modo diretto la religione e le religioni. Prima di tutto nel senso del vissuto religioso personale come parte fondamentale dell’orizzonte di senso che ognuno da alla propria vita, e dunque anche alla propria morte, salute e malattia. E poi anche nel senso di confessione religiosa comunitaria, istituzionale. Le comunità di credenti delle varie religioni, i loro rappresentanti, si sono espressi e si esprimono frequentemente sulle tematiche della bioetica, proprio in quanto riguardanti il vissuto concreto dei membri delle proprie comunità.

Tra le diverse confessioni e visioni religiose ci sono tanti elementi comuni, profondamente radicati, sui temi della bioetica. essa costituisce pertanto un’interessante piattaforma per il dialogo e la collaborazione tra i fedeli delle religioni nel mondo e tra i loro rappresentanti. Un dialogo sincero e aperto su tematiche che interessano tutti i credenti e sulle quali si riscontrano importanti elementi di armonia e di intesa, può favorire la stima reciproca e promuovere di conseguenza la pace tra i popoli.

Quella “bioetica pacifica” auspicata per esempio da U. T. Enghelhart, non si raggiunge con la rinuncia banale alle proprie convinzioni, come pretende il bioeticista texano, ma con l’intesa sincera e convinta che può nascere dal dialogo sincero e aperto.

Sono questi i motivi che ci hanno portato la Facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum (APRA) ad organizzare due importanti convegni su “Bioetica e religioni” A Gerusalemme e a Roma. Studiosi di bioetica appartenenti alle tre religioni monoteistiche (ebrei, cristiani e musulmani) e non solo presenti nelle Città Sante Roma e Gerusalemme) si sono incontrati in un clima di sincera simpatia per condividere la propria visione della bioetica.

Gli incontri sono stati organizzati in collaborazione tra la FIBIP (Federazione Internazionale di Centri di Bioetica di Ispirazione Personalista) e la Cattedra UNESCO in Bioetica e Diritti Umani (legata alla facoltà di bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma). La cattedra UNESCO ha dedicato la sua giornata (intitolata “cultura della vita e religioni”) ai fondamenti, gli interessi e temi principali e i metodi utilizzati dalla bioetica ispirata da ognuna delle tre tradizioni religiose. La Cattedra ha iniziato nel 2009 a Gerusalemme una serie di incontri sul dialogo delle religioni in temi di bioetica, di cui la seconda sessione si è tenuta a Roma nell’ottobre 2011, allargando la partecipazione ad altre religioni. Da parte sua, la FIBIP ha incentrato il proprio congresso annuale internazionale sul tema “Bioetica, legge e religione sui temi di fine vita”.

Nel numero 3/2009 di “Studia Bioethica” abbiamo raccolto le relazioni di carattere fondativo presentate nelle due giornate del convegno di Gerusalemme. Il primo contributo affronta il rapporto tra etica, legge positiva e religione, in senso generale. Le altre conferenze presentano offrono una visione globale caratterizzante della bioetica nella tradizione ebraica, in quella cristiana e in quella musulmana.

Ci sembra interessante notare il terreno comune – profondo ed ampio -, sul quale mettono radice le riflessioni e le istanze etiche nelle tre religioni. La vita umana è per tutti noi un dono prezioso dell’unico Dio Creatore. Siamo dunque convinti della “sacralità della vita”, che non può essere soppressa a causa del proprio giudizio sulla sua “qualità”. Ogni essere umano, creato da Dio, gode di una dignità intrinseca eccelsa, che deve essere rispettata e promossa da tutti, anche in relazione agli interventi di ricerca, diagnosi e terapia medica.

Anche sui temi di fine vita abbiamo constatato un’armonia di vedute veramente notevole. Maggiori diversità sono emerse in relazione ai problemi riguardanti l’inizio della vita (aborto, riproduzione assistita, contraccezione, eccetera). Non nel senso che qualcuna delle tre religioni non consideri ogni vita umana sacra, ma in quanto ci sono diverse visioni, soprattutto legate alle proprie tradizioni, sul momento iniziale della vita della persona e conseguentemente sul rispetto dovuto all’essere umano nei primi stadi della sua esistenza.

Queste divergenze sono in buona parte dovute alle differenze di carattere metodologico. Da una parte, il riferimento ai testi sacri di ognuna delle religioni costituisce una piattaforma in fondo molto armonica. Cambiano però i modi di riferirsi ai testi, di attingere o meno ai dati offerti dalla ragione in base una lettura della cosiddetta “legge naturale”, il peso più o meno determinante delle proprie tradizioni, e il ruolo delle guide religiose di ogni comunità. Diverso è il senso del Magistero della Chiesa cattolica, quello delle guide spirituali all’interno delle altre confessioni cristiane, e il ruolo dei rabbini o delle guide spirituali all’interno dell’Islam.

Le differenze tra le tre religioni e la piattaforma comune nelle questioni di fondo e in molti temi specifici costituiscono una bella sfida per la riflessione personale e per il dialogo. Un dialogo che non si chiude negli orizzonti dei credenti ma, al contrario, si apre volentieri a tutti i membri delle nostre società, credenti e non.

Difesa della dignità umana da concetti contrari alla legge naturale

Pubblichiamo in una nostra traduzione italiana l'intervento pronunciato il 10 giugno, a New York, dall'arcivescovo Francis Assisi Chullikatt, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l'Organizzazione delle Nazioni Unite, durante la Conferenza di alto livello sull'Hiv/Aids (8-10 giugno) in occasione del trentesimo anniversario della scoperta del virus.

Presidente,

sull'adozione della Dichiarazione, la Santa Sede offre il seguente intervento di interpretazione. Chiedo che il testo di tale intervento, che spiega la posizione ufficiale della Santa Sede, venga cortesemente incluso nel rapporto di questa plenaria di alto livello dell'Assemblea Generale. Fornendo più di un quarto delle cure totali a quanti sono colpiti dall'Hiv e dall'Aids, le istituzioni sanitarie cattoliche conoscono bene l'importanza dell'accesso ai trattamenti, alle cure e al sostegno per milioni di persone che sono colpite dall'Hiv e dall'Aids e ci convivono. La posizione della Santa Sede sulle espressioni "salute sessuale e riproduttiva" e "servizi", "diritti riproduttivi", e sulla Strategia Globale per la Salute delle donne e dei bambini del Segretario Generale, deve essere interpretata in linea con le sue riserve al Rapporto della Conferenza Internazionale su Popolazione e Sviluppo (Icpd) del 1994. La posizione della Santa Sede sulla parola "genere" e sui suoi vari usi deve essere interpretata in linea con le sue riserve al Rapporto della Quarta Conferenza Mondiale sulle Donne. La Santa Sede ritiene che, in riferimento ai "giovani", definizione che non gode di un consenso internazionale, gli Stati debbano sempre rispettare le responsabilità, i diritti e i doveri dei genitori di offrire un orientamento e una guida adeguati ai loro figli, il che include avere la responsabilità primaria della crescita, dello sviluppo e dell'educazione dei propri figli (cfr. Convenzione sui Diritti dell'Infanzia, articoli 5, 18 e 27,2). Gli Stati devono riconoscere che la famiglia, basata sul matrimonio come rapporto paritario fra un uomo e una donna, e unità fondamentale e naturale della società, è indispensabile nella lotta contro l'Hiv e l'Aids perché è nella famiglia che i figli apprendono valori morali che li aiutano a vivere in un modo responsabile e ricevono la maggior parte della cura e del sostegno (cfr. Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, articolo 16,3). La Santa Sede non condivide i riferimenti a espressioni quali "popolazioni a rischio" e "popolazioni ad alto rischio" perché trattano le persone come oggetti e possono suscitare l'impressione falsa che certi tipi di comportamento irresponsabile siano in qualche modo moralmente accettabili. La Santa Sede non approva l'uso di profilattici come parte dei programmi di prevenzione dell'Hiv e dell'Aids né di programmi/corsi di educazione sessuale. I programmi di prevenzione o di educazione alla sessualità umana dovrebbero concentrarsi non sul cercare di convincere che comportamenti rischiosi e pericolosi facciano parte di uno stile di vita accettabile, ma, piuttosto, dovrebbero concentrarsi sull'evitare i rischi, il che è eticamente ed empiricamente sano. L'unico metodo sicuro e completamente affidabile per prevenire la trasmissione sessuale dell'Hiv è costituito dall'astinenza prima del matrimonio e dal rispetto e dalla fedeltà reciproci nel matrimonio, che è e deve essere sempre il fondamento di qualsiasi dibattito sulla prevenzione e sul sostegno. La Santa Sede non accetta i cosiddetti sforzi di "riduzione del danno" in relazione all'uso di stupefacenti. Questi sforzi non rispettano la dignità di quanti soffrono a causa della tossicodipendenza perché non curano né guariscono le persone malate, ma anzi inducono erroneamente a credere che non possono liberarsi dal circolo vizioso della dipendenza. A queste persone bisogna offrire il necessario sostegno familiare, psicologico e spirituale per liberarsi dal comportamento di dipendenza e poter così ripristinare la loro dignità e incoraggiare l'integrazione sociale. Durante i negoziati, la Santa Sede si è detta contraria a che le persone che esercitano la prostituzione siano definite "lavoratori del sesso" perché ciò suscita l'impressione erronea che la prostituzione possa, in un certo qual modo, essere una forma legittima di lavoro. La prostituzione non può essere separata dalla questione dello status e della dignità delle persone. I governi e la società non devono accettare questa disumanizzazione e cosificazione delle persone. È necessaria una modalità basata su valori per combattere le malattie dell'Hiv e dell'Aids, una modalità che offra la sollecitudine e il sostegno morale necessari per quanti sono infetti e che promuova un'esistenza da vivere in conformità con le norme dell'ordine morale naturale, una modalità che rispetti appieno la dignità intrinseca della persona umana. (©L'Osservatore Romano 17 giugno 2011)

Difesa della dignità umana da concetti contrari alla legge naturale

Pubblichiamo in una nostra traduzione italiana l'intervento pronunciato il 10 giugno, a New York, dall'arcivescovo Francis Assisi Chullikatt, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l'Organizzazione delle Nazioni Unite, durante la Conferenza di alto livello sull'Hiv/Aids (8-10 giugno) in occasione del trentesimo anniversario della scoperta del virus.

Presidente,

sull'adozione della Dichiarazione, la Santa Sede offre il seguente intervento di interpretazione. Chiedo che il testo di tale intervento, che spiega la posizione ufficiale della Santa Sede, venga cortesemente incluso nel rapporto di questa plenaria di alto livello dell'Assemblea Generale. Fornendo più di un quarto delle cure totali a quanti sono colpiti dall'Hiv e dall'Aids, le istituzioni sanitarie cattoliche conoscono bene l'importanza dell'accesso ai trattamenti, alle cure e al sostegno per milioni di persone che sono colpite dall'Hiv e dall'Aids e ci convivono. La posizione della Santa Sede sulle espressioni "salute sessuale e riproduttiva" e "servizi", "diritti riproduttivi", e sulla Strategia Globale per la Salute delle donne e dei bambini del Segretario Generale, deve essere interpretata in linea con le sue riserve al Rapporto della Conferenza Internazionale su Popolazione e Sviluppo (Icpd) del 1994. La posizione della Santa Sede sulla parola "genere" e sui suoi vari usi deve essere interpretata in linea con le sue riserve al Rapporto della Quarta Conferenza Mondiale sulle Donne. La Santa Sede ritiene che, in riferimento ai "giovani", definizione che non gode di un consenso internazionale, gli Stati debbano sempre rispettare le responsabilità, i diritti e i doveri dei genitori di offrire un orientamento e una guida adeguati ai loro figli, il che include avere la responsabilità primaria della crescita, dello sviluppo e dell'educazione dei propri figli (cfr. Convenzione sui Diritti dell'Infanzia, articoli 5, 18 e 27,2). Gli Stati devono riconoscere che la famiglia, basata sul matrimonio come rapporto paritario fra un uomo e una donna, e unità fondamentale e naturale della società, è indispensabile nella lotta contro l'Hiv e l'Aids perché è nella famiglia che i figli apprendono valori morali che li aiutano a vivere in un modo responsabile e ricevono la maggior parte della cura e del sostegno (cfr. Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, articolo 16,3). La Santa Sede non condivide i riferimenti a espressioni quali "popolazioni a rischio" e "popolazioni ad alto rischio" perché trattano le persone come oggetti e possono suscitare l'impressione falsa che certi tipi di comportamento irresponsabile siano in qualche modo moralmente accettabili. La Santa Sede non approva l'uso di profilattici come parte dei programmi di prevenzione dell'Hiv e dell'Aids né di programmi/corsi di educazione sessuale. I programmi di prevenzione o di educazione alla sessualità umana dovrebbero concentrarsi non sul cercare di convincere che comportamenti rischiosi e pericolosi facciano parte di uno stile di vita accettabile, ma, piuttosto, dovrebbero concentrarsi sull'evitare i rischi, il che è eticamente ed empiricamente sano. L'unico metodo sicuro e completamente affidabile per prevenire la trasmissione sessuale dell'Hiv è costituito dall'astinenza prima del matrimonio e dal rispetto e dalla fedeltà reciproci nel matrimonio, che è e deve essere sempre il fondamento di qualsiasi dibattito sulla prevenzione e sul sostegno. La Santa Sede non accetta i cosiddetti sforzi di "riduzione del danno" in relazione all'uso di stupefacenti. Questi sforzi non rispettano la dignità di quanti soffrono a causa della tossicodipendenza perché non curano né guariscono le persone malate, ma anzi inducono erroneamente a credere che non possono liberarsi dal circolo vizioso della dipendenza. A queste persone bisogna offrire il necessario sostegno familiare, psicologico e spirituale per liberarsi dal comportamento di dipendenza e poter così ripristinare la loro dignità e incoraggiare l'integrazione sociale. Durante i negoziati, la Santa Sede si è detta contraria a che le persone che esercitano la prostituzione siano definite "lavoratori del sesso" perché ciò suscita l'impressione erronea che la prostituzione possa, in un certo qual modo, essere una forma legittima di lavoro. La prostituzione non può essere separata dalla questione dello status e della dignità delle persone. I governi e la società non devono accettare questa disumanizzazione e cosificazione delle persone. È necessaria una modalità basata su valori per combattere le malattie dell'Hiv e dell'Aids, una modalità che offra la sollecitudine e il sostegno morale necessari per quanti sono infetti e che promuova un'esistenza da vivere in conformità con le norme dell'ordine morale naturale, una modalità che rispetti appieno la dignità intrinseca della persona umana. (©L'Osservatore Romano 17 giugno 2011)

Brevetto di geni umani Uno stop dall’America

Non si può avere la proprietà della natura

DI GIUSEPPE O. L ONGO – avvenire

 Il 29 marzo scorso il giudice Robert W. Sweet, della Corte Distrettuale di New York Sud, ha emesso una sentenza che annulla i brevet­ti ottenuti nel 1991 dall’azienda Myriad Gene­tics su due geni, BRCA1 e BRCA2, che sarebbe­ro collegati a un aumento del rischio dei tumo­ri mammari e ovarici. È una decisione che po­trebbe avere effetti cospicui sull’industria bio­tecnologica e sulla ricerca medica basata sulla genetica. Grazie a questi brevetti, la Myriad Ge­netics si è assicurata da anni l’esclusiva dei test genici sulle donne, rifiutandone la concessione a chiunque altro. Il giudice Sweet ha accolto la tesi dell’Unione a­mericana per le libertà civili, secondo cui il mo­nopolio della Myriad danneggia le donne a ri­schio rendendo più oneroso e più complicato l’accesso agli esami (si parla di un costo di 4.000 dollari). Inoltre, i brevetti ostacolano la ricerca scientifica in questo importante settore. Ben­ché la sentenza sia molto significativa e segni u­na svolta nella politica brevettuale degli Stati U­niti, la controversia sulla brevettabilità dei geni umani non è affatto risolta: si prevede infatti u­na contromossa legale da parte dell’azienda e non ci si può certo aspettare che nell’immedia­to futuro il costo dei test sui geni BRCA dimi­nuisca. Si tratta comunque di un’indicazione impor­tante: se i criteri di brevettabilità finora adotta­ti si possono considerare adeguati per i prodot­ti medici tradizionali, compresi i farmaci, essi sono molto meno appropriati nell’era genomi­ca e post-genomica. Come si è giunti ad estendere la tutela brevet­tuale dalle invenzioni meccaniche agli organi­smi viventi? Lo strumento concettuale di base è stato il modello meccanicistico della realtà, che autorizzava l’equivalenza tra materia inorgani­ca e materia organica: gli organismi sono mac­chine e quindi, come le macchine, si possono brevettare. In tempi più recenti, con la messa in evidenza dell’informazione, la materia è stata ridotta al suo contenuto informazionale e ciò ha consentito di includere tra gli artefatti anche la lettura del codice genetico. In altre parole, come dietro la macchina c’è l’o­pera dell’ingegno umano costituita dal proget­to, così dietro i materiali biologici o genetici c’è l’opera del­l’uomo consi­stente nell’e­strazione o nella modifi­cazione del­l’informazio­ne rilevante sotto il profilo biologico o genetico.