Dio è sempre con noi, come ci ricorda la figura di Giuseppe

di SILVIA CALABRÒ – vinonuovo.it
«La vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele». Dio è sempre con noi

Un uomo giusto, ebreo, della casa di Davide viene travolto da uno dei problemi più grossi dell’epoca: la sua promessa sposa è incinta. La legge dell’epoca era alquanto impietosa di fronte a tale situazione disonorevole.
Il disonore, oltre a cadere su Giuseppe, che poteva rivendicare il ripudio e l’accusa pubblica con la condanna di Maria, ricadeva anche sulla stessa famiglia di Maria, che vedeva un patto sciolto e una figlia non più adatta al matrimonio… Sono problemi grossi da affrontare e diciamo che la nascita del figlio di Dio non è avvenuta proprio in un contesto troppo sereno. Preoccupazioni, problemi familiari e sociali, il buon nome di persone che vengono messe a rischio… cosa fare?
Tutto questo farebbe perdere il sonno anche a noi e spesso sappiamo quanto il peso di scelte e preoccupazioni invadano con prepotenza la nostra vita, senza che noi ne siamo colpevoli.
Così il povero Giuseppe, travolto da una situazione più grande di lui, si trova a dover scegliere fra due situazioni. Decide, per il bene che riponeva in Maria, di ripudiarla in segreto: questo era l’unica soluzione che permetteva il male minore… più di così non poteva fare.

Ma proprio nel pieno dei suoi pensieri, Dio interviene mostrando a Giuseppe una terza via: portare avanti il matrimonio con la sua sposa. Certo non una soluzione facile da prendere e da portare avanti, ma l’invito a ‘non temere’ nasce da un senso più grande della sua vicenda personale. I problemi si supereranno, anche con fatica, ma Maria potrà portare a termine la sua missione con l’aiuto di questo uomo che la accoglierà e si prenderà cura di lei e del bambino.

Che storia! Molto simile a tante altre che si intrecciano nella nostra storia di oggi.
Anche quest’anno si celebra il Mistero dell’Incarnazione. Qualcosa che non nasce dal nulla, ma che entra nella storia complessa degli uomini di allora e di oggi. Proprio così, Dio scende fino a noi perché così noi possiamo sentirlo tanto vicino da non temere il mondo e i problemi che ci circondano. Dio giunge con la voce di un angelo a chiederci di non temere, di accogliere anche questa realtà strana e di viverla, proprio come Giuseppe, e di fidarci che anche quest’anno che per noi giungerà di nuovo un bambino, che porta in sé la salvezza per tutti. Egli è l’Emanuele, cioè quel Dio che si fa dono per noi. Questo è il segno che Dio sta dando a tutti, sia dall’altro dei cieli che dagli inferi. Un segno. Tutta la creazione e tutti gli uomini posso accogliere questo segno profetico di una vergine che darà vita a un figlio per noi. Spesso, però, siamo così ripiegati nei nostri problemi da non ricordare un elemento fondamentale della redenzione: la volontà di Dio di essere con noi. Come il re Acca, abbiamo paura di tentare Dio con un segno; ma Egli stesso aspetta una nostra richiesta di aiuto. Giuseppe ascolta quella voce che parla dentro di sé, mentre Acaz non farà altro che rifiutare la parola data dal profeta.

La nostra vita spesso è complessa e difficile, ma non dimentichiamo che Dio e con noi e non contro di noi.

MERCOLEDÌ 21 Dicembre 2022 ORE 20,45 – Sant’Agostino PREGHIERA DI ATTESA (NOVENA) Animata dalle famiglie

Scegliamo uno di questi brani suggeriti, leggiamo e meditiamo in famiglia, tutti insieme.

Pregare in famiglia
Poi scriviamo una preghiera o un pensiero o una meditazione o una richiesta e portiamoli in Sant’Agostino Mercoledì 21 dicembre alle 20,45 per la Novena.
Tutto sarà presentato all’altare e pregheremo insieme, facendoci carico gli uni degli altri.
QUANDO NASCE UN BAMBINO In una famiglia, gli ultimi
giorni prima del parto sono i più intensi, pieni di attesa, di speranza, di gioia mista a timore. Nulla cambia quando a venire al
mondo è Gesù, tutti Lo aspettiamo, ognuno con un cuore diverso
e tutti noi gridiamo o sussurriamo o semplicemente pensiamo:
-VIENI SIGNORE GESU’. Cristo è venuto: eppure noi l’attendiamo ancora … (2 Cor 5,6)
-GIOISCE IL NOSTRO CUORE. Esulterà di gioia per te. Ti
rinnoverà con il suo amore (Sof 3,16-18) Sofonia
-PREPARIAMO LE VIE DEL SIGNORE. Sali su un alto
monte, tu che rechi liete notizie in Sion. (Is 40,9-11).
-RENDIAMO TESTIMONIANZA. “E io ho visto e ho reso
testimonianza che questi è il Figlio di Dio”. (Gv 1,32-34).
-UNA MISSIONE ALTISSIMA. Tutto questo avvenne perché
si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del
profeta: Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio (Mt. 1,22)
-L’ANCELLA DEL SIGNORE. Com’è possibile? Non conosco
uomo… Allora Maria disse: “Eccomi…”. (Lc 1,26-38).
-SI E’ FATTO CARNE. Pertanto il Signore stesso vi darà un
segno. Ecco: la Vergine concepirà e partorirà un figlio (Is 7,14).
-L’AMORE CHE SALVA. Egli ci ha salvati non in virtù di opere di giustizia da noi compiute, ma per sua misericordia (Tt 3,3-7)
lettera di S. Paolo a Tito
-CAMMINAVAMO NELLE TENEBRE. Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce;….
Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia. (Is 9,1-6).

Il disagio di una non-attesa

di: Giuseppe Savagnone – settimananews.it

Gli addobbi e le luci delle nostre città parlano già del Natale ormai imminente. Eppure, una rapida scorsa dei giornali offre scenari che contraddicono nel modo più stridente il clima natalizio: l’assurda guerra in Ucraina, con le migliaia di ragazzi morti dall’una e dall’altra parte, i massacri e le torture, le devastazioni; la corruzione all’interno del palazzo che dovrebbe rappresentare il cuore dell’Europa, quell’europarlamento la cui vicepresidente è stata sorpresa mentre teneva a casa settecentocinquantamila euro, frutto di corruzione; la crisi energetica che ci minaccia tutti, ma che, come al solito, sarà sofferta soprattutto dai più poveri; i cambiamenti climatici, che annunziano purtroppo un deterioramento del nostro ambiente naturale, causato dal riscaldamento globale; la ripresa minacciosa, anche se ancora sotto controllo, dell’epidemia di Covid.

«Homo Deus»
Ma ci sono anche i tanti episodi, piccoli e meno piccoli che ogni giorno ci ricordano la gravità della profonda crisi morale che sembra attraversare tutto l’Occidente e da cui l’Italia è ormai investita anch’essa in pieno.

Per citarne solo uno, assolutamente marginale, ma tristemente significativo, colpisce che un ex premier – protagonista di più di un ventennio della nostra storia nazionale e attualmente leader di uno dei tre partiti della coalizione di governo, oltre che senatore – per incitare i giocatori della squadra di calcio di cui è proprietario prometta loro come premio, in caso di vittoria, «un pullman di troie». Era uno scherzo, naturalmente, come il senatore ha tenuto a precisare, offeso, quando si sono scatenate le polemiche. Ma la sua storia personale è ben rappresentata dal livello di questo scherzo.

Fra grandi tragedie, vergognosi scandali e piccoli episodi di squallore morale, sembra clamorosamente smentita la tesi di un noto intellettuale emergente, Yual Noah Harari, che ha avuto enorme successo con il libro, Sapiens. Da animali a dèi, seguito dall’altro Homo Deus. Breve storia del futuro, nei quali descrive l’irresistibile ascesa del genere umano, grazie alla tecnica, verso traguardi che lo porterebbero a sostituire le vecchie e obsolete divinità, compreso il Dio cristiano (Harari è rigorosamente ateo).

Di questa ambiziosa (anche se, per sua stessa ammissione, problematica) prospettiva Harari parla appunto nella sua seconda opera, pubblicata nel 2018. Solo che, nella quarta di copertina, dove ne è sintetizzato il contenuto, si legge: «Nel XXI secolo, in un mondo ormai libero dalle epidemie, economicamente prospero e in pace, coltiviamo con strumenti sempre più potenti l’ambizione antica di elevarci al rango di divinità, di trasformare “Homo sapiens” in “Homo Deus”».

Un quadro che l’epidemia di Covid, la guerra in Ucraina e i problemi migratori legati alla sempre crescente desertificazione del pianeta, hanno reso, dopo appena due anni, ben poco corrispondente alla realtà effettiva delle cose. Il problema non sono solo i rischi, dall’autore previsti, insiti nel progresso tecnologico, ma le fragilità e le contraddizioni da cui l’Homo appare strutturalmente segnato e che rendono poco prevedibile la sua progressiva trasformazione in Deus.

Il disagio di una non-attesa
Alla luce di questa evidenza, che getta un’ombra pesante sul futuro, sembra del tutto fuori luogo l’attesa festosa del prossimo Natale. E, in effetti, quasi nessuno lo aspetta veramente. Il rituale consumistico degli acquisti è ormai così preponderante, rispetto al significato religioso della festa, da rendere quest’ultimo, agli occhi dei più, quasi irrilevante. A consolare la gente sembrano bastare il pellegrinaggio nei negozi e le luminarie del centro, i preparativi dei festeggiamenti, la prospettiva delle imminenti vacanze.

Eppure tutti avvertiamo il disagio di un mondo dove le cose non vanno nella direzione della verità e giustizia, senza le quali anche l’apparenza della pace (che comunque non c’è) sarebbe un’illusione. Tutti portiamo nel cuore, più o meno consapevolmente, l’insoddisfazione per il presente. Ma senza che questo si traduca in una reale e fattiva attesa del futuro.

È come se fosse subentrata una sottile rassegnazione. È significativo il distacco di una percentuale sempre più consistente di italiani dalla politica, chiaramente espresso dall’astensionismo nelle ultime elezioni (36% degli elettori), già maggiore che nelle precedenti e immensamente più grande che in quelle del secolo scorso. Un modo di uscire dal gioco che rivela una sottile, inespressa disperazione. Perché è proprio la speranza che, in mezzo a questo chiassoso clima di festa, sembra la grande assente. Non aspettiamo più niente di veramente nuovo.

La nostra non-attesa ricorda quella di un famoso testo teatrale, della metà del secolo scorso, di Samuel Becket, Aspettando Godot. In esso l’autore mette in scena due poveracci, Vladimiro ed Estragone, che, a un angolo di strada, attendono l’arrivo di un misterioso personaggio, di nome Godot, che sembra incarnare, ai loro occhi, la risposta alle loro esigenze. E il nome stesso, in effetti, è allusivo: Becket, un inglese francofono, utilizza il termine God (Dio, in inglese), dandogli una coloritura francese. Ma già l’inconcludenza del dialogo dei due protagonisti – in realtà due monologhi dissennati, che si intrecciano senza veramente incontrarsi – lascia trasparire la vanità di questa attesa. Ne riportiamo solo qualche battuta:

«Estragone: “Dovrebbe già essere qui”. Vladimiro: “Non ha detto che verrà di sicuro”. Estragone: “E se non viene?”. Vladimiro: “Torneremo domani”. Estragone: “E magari dopodomani”. Vladimiro: “Forse”. Estragone: “E così di seguito”. Vladimiro: “Insomma…”. Estragone: “Fino a quando non verrà”. Vladimiro: “Sei spietato”. Estragone: “Siamo già venuti ieri”. Vladimiro: “Ah no! Non esagerare, adesso”. Estragone: “Cosa abbiamo fatto ieri?”. Vladimiro: “Cosa abbiamo fatto ieri?”. Estragone: “Sì”. Vladimiro: “Be’… (Arrabbiandosi) Per seminare il dubbio sei un campione” (…) Estragone: “Sei sicuro che era stasera?”. Vladimiro: “Cosa?”. Estragone: “Che bisognava aspettarlo?”. Vladimiro: “Ha detto sabato. (Pausa) Mi pare” (…) Estragone: “Ma quale sabato? E poi, è sabato oggi? Non sarà poi domenica? O lunedì? O venerdi?”».

Privi di memoria e incapaci di progettare il futuro (non sanno bene neppure esattamente cosa si aspettano da Godot), i due appaiono smarriti anche per quanto riguarda la loro collocazione nel presente, ma non fanno nulla per cambiare la situazione di disperata immobilità a cui sembrano condannati. Perciò, quando, alla fine, come prevedibile, un ragazzo porta la notizia che Godot non verrà, e uno dice all’altro: «Andiamo», la didascalia con cui l’opera si conclude avverte: «Non si muovono».

Una proposta alternativa
In questo contesto acquista un singolare significato la definizione che la tradizione cristiana ha sempre dato del periodo che precede il Natale: «tempo di Avvento». Un richiamo all’attesa di ciò che deve avvenire. Un richiamo che, alla luce di quanto si è appena detto, appare profondamente inattuale. Siamo ancora capaci di attendere qualcosa che non sia la crescita del Pil? Nel Sessantotto ci si batteva contro il “sistema”, nella convinzione che fosse possibile un futuro radicalmente diverso, migliore del presente. Oggi nessun partito, nessun uomo politico, nessun intellettuale ha la fantasia e il coraggio di avanzare una simile scommessa. La scena è dominata da influencer che sponsorizzano prodotti del mercato.

A fronte di questo, la proposta dell’Avvento cristiano è la sfida a prendere sul serio la speranza di un autentico rinnovamento come prospettiva di senso per la nostra vita personale e sociale. Dove il termine «senso» raccoglie in sé la duplice accezione di «significato» e di «direzione»: non si può dare significato neppure al presente se non c’è una direzione in cui andare. Si può condividere o meno il valore religioso di questo richiamo, ma esso può avere almeno un valore di stimolo alla ricerca e all’impegno anche per il non credente.

A patto, però, di farci carico di tutta la fragilità e la contraddittorietà della condizione umana, che rende assi più plausibile che Dio si faccia uomo per condividerla e riscattarla, a partire dalle sue ferite e dalle sue oscurità, piuttosto che l’uomo, con il suo inarrestabile progresso, si faccia Dio.

Dal sito della Pastorale della cultura della diocesi di Palermo (www.tuttavia.eu), 16 dicembre 2022.

Avvento / La profezia che domanda ascolto…


Provare a interrogare la qualità del nostro ascolto, secondo una bella pagina di Bonhoeffer, in un tempo di Avvento in cui siamo invitati a scrutare l’azione dello Spirito
vinonuovo.it

In questo tempo di Avvento, in cui risuonano parole di antichi profeti, mentre il tempo che attraversiamo è segnato dalla sete e dalla ricerca di parole e gesti che indichino un presente vivibile e un futuro di speranza, siamo spesso invitati alla vigilanza e, di conseguenza, all’ascolto. Sempre la profezia domanda ascolto ma, spesso, non lo trova. Eppure non si chiude l’invito all’ascolto, che torna con insistenza nella Parola: «Ascoltatemi, voi che siete in cerca di giustizia, voi che cercate il Signore» (Is 51,1). Così l’invito è a scrutare, a porgere orecchio, per cogliere l’azione di Dio nella storia: «Udranno in quel giorno i sordi le parole di un libro; liberati dall’oscurità e dalle tenebre, gli occhi dei ciechi vedranno» (Is 29, 18). Difficile, molto difficile l’arte dell’osservare, del cogliere e del rac-cogliere.

Varrà la pena, forse, chiederci allora come è la qualità del nostro ascolto e anche, con lealtà, interrogarci se per caso abbiamo sete di profezia senza però aver il coraggio, il desiderio, la forza di metterci in ascolto della storia che abitiamo e delle relazioni che viviamo. La profezia si innesta là, nella vita quotidiana, e per accoglierla serve un orecchio attento.

«Il primo servizio che si deve agli altri nella comunione, consiste nel prestar loro ascolto»: così scriveva Dietrich Bonhoeffer in Vita comune (1937), quando la Gestapo aveva chiuso la fraternità di Finkenwalde. Prestare ascolto è ufficio primo del cristiano, dunque: per ascoltare Dio, gli altri e se stessi, secondo la classica triplice direttrice. «Chi non sa più ascoltare il fratello, primo a poi non sarà più nemmeno capace di ascoltare Dio, e anche al cospetto di Dio non farà che parlare. Qui comincia la morte della vita spirituale»: mentre le nostre giornate sono prese molto spesso dal parlare, dal dire, dallo scrivere, e mentre l’ascolto spesso si riduce ad ascoltare distrattamente vocali mandati al cellulare, una sosta silenziosa sulla consapevolezza dell’ascolto potrebbe essere un buon esercizio di Avvento, interrogandoci davvero sulla differenza tra sentire e ascoltare. Anche nella preghiera.

«C’è anche un modo di ascoltare distrattamente, nella convinzione di sapere già ciò che l’altro vuol dire. È un modo di ascoltare impaziente, disattento, che disprezza il fratello e aspetta solo il momento di prendere la parola per liberarsi di lui»: descrive bene qui, Bonhoeffer, l’atteggiamento di troppi cristiani, che già sanno, che già hanno le risposte, non raramente a domande che nessuno ha posto; troppi cristiani che sentono già pensando a dove sta l’errore, a dove è lo sbaglio da correggere. Troppi cristiani che hanno da insegnare il contenuto, nella paura che si perda le verità, senza auscultare i battiti esistenziali della persona che hanno davanti. Non così Gesù di Nazareth, che si invita a casa di Zaccheo prima della sua conversione, e che non chiede nulla al disonesto esattore delle tasse.

In Avvento la Parola ci invita alla vigilanza e all’ascolto: con una vera metanoia esistenziale potremmo essere capaci ancora di scorgere i segni dei tempi e i segni delle nostre vite, soprattutto oggi, quando le parole abbondano, dove la comunicazione è pervasiva. Dire poco, maturare il silenzio, radicarsi nell’ascolto come tensione verso l’umanità e Dio.