Commento al Vangelo Beato chi cammina sulla via del Signore Ermes Ronchi giovedì 26 gennaio 2023 IV Domenica Tempo ordinario – Anno A

Beato chi cammina sulla via del Signore
IV Domenica Tempo ordinario – Anno A

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia». Abbiamo davanti parole abissali, delle quali non riusciamo a vedere il fondo, le più alte della storia dell’umanità (Gandhi). È la prima lezione del maestro Gesù, all’aperto, sulla collina, il lago come sfondo, e come primo argomento ha scelto la felicità. Perché è la cosa che più ci manca, che tutti cerchiamo, in tutti i modi, in tutti i giorni. Perché la vita è, e non può che essere, una continua ricerca di felicità, perché Dio vuole figli felici. Il giovane rabbi sembra conoscerne il segreto e lo riassume così: Dio regala gioia a chi produce amore, aggiunge vita a chi edifica pace. Si erge controcorrente rispetto a tutti i nuovi o vecchi maestri, quelli affascinati dalla realizzazione di sé, ammaliati dalla ricerca del proprio bene, che riferiscono tutto a sé stessi. Il maestro del vivere mette in fila poveri, miti, affamati, gente dal cuore limpido e buono, quelli che si interessano del bene comune, che hanno gli occhi negli occhi e nel cuore degli altri. Giudicati perdenti, bastonati dalla vita, e invece sono gli uomini più veri e più liberi. E per loro Gesù pronuncia, con monotonia divina, per ben nove volte un termine tipico della cultura biblica, quel “beati” che è una parola-spia, che ritorna più di 110 volte nella Sacra Scrittura. Che non si limita a indicare solo un’emozione, fosse pure la più bella e rara e desiderata. Qualcosa forse del suo ricco significato possiamo intuirlo quando, aprendo il libro dei Salmi, il libro della nostra vita verticale, ci imbattiamo da subito, dalla prima parola del primo salmo, in quel “beato l’uomo che non percorre la via dei criminali”.
Illuminante la traduzione dall’ebraico che ne ricava A. Chouraqui: “beato” significa “in cammino, in piedi, in marcia, avanti voi che non camminate sulla strada del male”, Dio cammina con voi. Beati, avanti, non fermatevi voi ostinati nel proporvi giustizia, non lasciatevi cadere le braccia, non arrendetevi. Tu che costruisci oasi di pace, che preferisci la pace alla vittoria, continua, è la via giusta, non ti fermare, non deviare, avanti, perché questa strada va diritta verso la fioritura felice dell’essere, verso cieli nuovi e terra nuova, fa nascere uomini più liberi e più veri. Gesù mette in relazione la felicità con la giustizia, per due volte, con la pace, la mitezza, il cuore limpido, la misericordia. Lo fa perché la felicità è relazione, si fonda sul dare e sul ricevere ciò che nutre, cura, custodisce, fa fiorire la vita. E sa posare una carezza sull’anima. E anche a chi ha pianto molto un angelo misterioso annuncia: Ricomincia, riprendi, il Signore è con te, fascia il cuore, apre futuro. Tu occupati della vita di qualcuno e Dio si occuperà della tua.

(Letture: Sofonia 2,3; 3,12-13; Salmo 145; Prima Corinzi 1,26-31; Marco 5,1-12a)
avvenire.it

Il Vangelo III Domenica Avvento. Quella nuova creazione che passa nelle storie di chi vive ai margini

III Domenica Avvento – Anno A In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli…
San Giovanni in prigione

San Giovanni in prigione – G.di Paolo

III Domenica Avvento – Anno A In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».

Sei tu o dobbiamo aspettare un altro?

Giovanni Battista, il più grande tra i nati di donna, non ha più le idee chiare. Lui, “più che un profeta”, dubita e chiede aiuto. Non so voi, ma io credo e dubito al tempo stesso; e Dio gode che io mi ponga e gli ponga delle domande. Non so voi, ma io credo e non credo, in duello, come il padre disperato del racconto di Marco, che ha un figlio che lo spirito butta nel fuoco e nell’acqua per ucciderlo, e confessa a Gesù: “io credo, ma tu aiutami perché non credo” ( Mc 9,23). E Gesù risponde in modo meraviglioso: non offre definizioni, pensieri, idee, teologia, neppure risponde con un “sì” o un “no”, prendere o lasciare. Racconta delle storie. C’era una volta un cieco… e nel paese vicino viveva uno zoppo dalla nascita. Racconta sei storie che hanno comunicato vita, così come era accaduto nei sei giorni della creazione, quando la vita fioriva in tutte le sue forme. Sei storie di nuova creazione.

Gesù parte dagli ultimi della fila, non comincia da pratiche religiose, ma dalle lacrime: ciechi, storpi, sordi, lebbrosi, morti, poveri…; da dove la vita è più minacciata. E fa per loro un vestito di carezze. Non guarisce gente per rinforzare le fila dei discepoli, per farne degli adepti, per tirarli alla fede come pesci presi all’amo della salute ritrovato, ma per restituirli a umanità piena e guarita, perché siano uomini liberi e totali. E non debbano più piangere.

La Bibbia è fatta soprattutto di narrazioni, Le storie dicono che senso diamo al mondo, cioè “che storia ci stiamo raccontando?” Tutte le grandi narrazioni dicono questo: come si affronta la morte, raccontano di come si fa a non morire, a ripartire. Sono iniziazione alla vita. Ai discepoli inviati da Giovanni Gesù chiede di entrare in una nuova narrazione del mondo. Entrano e vedono nascere la terra nuova e il nuovo cielo. E chiede loro di continuare il racconto: raccontate ciò che vedete e udite.

Poi il racconto si fa domanda: Cosa siete andati a vedere nel deserto? Un bravo oratore? Un trascinatore di folle? Un leader carismatico? Forse una canna sbattuta dal vento? Un opportunista che piega la schiena pur di restare al suo posto? Che cosa siete andati a vedere? Un uomo avvolto in morbide vesti?

Preoccupato dell’abito firmato? Del macchinone da far vedere? Che cosa siete andati a vedere? Perché Dio non si dimostra, si mostra. Nel deserto hanno visto un corpo marchiato, scolpito, inciso dalla Parola. Giovanni ha offerto un anticipo di corpo, un capitale di incarnazione e la profezia è diventata carne e sangue.

Noi tutti ci nutriamo di storie, e questa è la narrazione di cui la terra ha più bisogno per nutrirsi: storie di credenti credibili.

(Letture: Isaia 35,1-6a.8a.10; Salmo 145; Lettera di Giacomo 5,7-10; Matteo 11,2-11)

Commento al Vangelo. I domenica di Avvento Anno A

di Ermes Ronchi – Avvenire

Nel grembo del mondo lievita una vita nuova

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. […]».

Come nei giorni che precedettero il diluvio, mangiavano e bevevano e non si accorsero di nulla… i giorni di Noè sono i giorni ininterrotti delle nostre disattenzioni, il grande peccato: «questo soprattutto perdonate: la mia disattenzione» (Mariangela Gualtieri). Al vertice opposto, come suo contrario, sull’altro piatto della bilancia ci soccorre l’attenzione «che è la preghiera spontanea dell’anima» (M. Gualtieri). Avvento: tempo per essere vigili, come madri in attesa, attenti alla vita che danza nei grembi, quelli di Maria e di Elisabetta, le prime profetesse, e nei grembi di «tutti gli atomi di Maria sparsi nel mondo e che hanno nome donna» (Giovanni Vannucci). Avvento è vita che nasce, a sussurrare che questo mondo porta un altro mondo nel grembo, con la sua danza lenta e testarda come il battito del cuore. Avvento: quando Dio è una realtà germinante, colui che presiede ad ogni nascita, che interviene nella storia non con le gesta dei potenti, ma con il miracolo umile e strepitoso della vita, con la danza di un grembo, in cui lievita il pane di un uomo nuovo. Dio è colui che invece di porre la scure alla radice dell’albero, inventa cure per ogni germoglio, per ogni hinnon (Salmo 72,17), che è anche nome di Dio. Due uomini saranno nel campo… due donne macineranno alla mola, una rapita, una lasciata; due soldati saranno al fronte in Ucraina, uno sarà ferito, uno resta incolume. Perché questa alternanza di vita e di morte, di salvati e di sommersi? Gesù stesso non lo spiega. Sappiamo però che caso, fatalità, fortuna sono concetti assolutamente estranei al mondo biblico. Dio non gioca a dadi con la sua creazione. Io credo con tutto me stesso che, nonostante qualsiasi smentita, la storia, mia e di tutti, è sempre un reale cammino di salvezza. E il capo del filo è saldo nelle mani di Dio. Se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro… Un ladro come metafora del Signore! Di lui che non ruba niente e dona tutto. Se solo sapessi il momento… ma risposta non c’è, non c’è un momento da immaginare; il tempo, tutto il tempo è il messaggero di Dio, ne solleva le parole sulle sue ali insonni. Viene adesso il Signore, camminatore dei secoli e dei giorni, viene segnando le date nel calendario della vita; e ti sorprende quando l’abbraccio di un amico ti disarma, quando ti stupisce il grido vittorioso di un bimbo che nasce, una illuminazione interiore, un brivido di gioia che non sai perché. È un ladro ben strano: viene per rendere più breve la notte. Tempo di albe e di strade è l’avvento, quando il nome di Dio è Colui-che-viene, Dio che cammina a piedi nella polvere della strada. E la tua casa non è una tappa ma la meta del suo viaggio.

(Letture: Isaia 2,1-5; Salmo 121; Romani 13,11-14; Matteo 24,37-44)

La lettera. Papa Francesco ai Memores Domini: «Stimo il vostro carisma»

Inviata in occasione della professione di 52 nuovi membri dell’associazione nata dal carisma di Comunione e Liberazione. Laici chiamati a vivere il proprio lavoro come «luogo della memoria di Cristo»
I Memores Domini sono una forma di esperienza di vita cristiana nata nel grembo di Comunione e Liberazione, fondata da monsignor Luigi Giussani.

I Memores Domini sono una forma di esperienza di vita cristiana nata nel grembo di Comunione e Liberazione, fondata da monsignor Luigi Giussani. – Archivio Avvenire/Olympia

Lo scorso 4 dicembre in un hotel di Lazise, sulla sponda veronese del Lago di Garda, 52 tra giovani donne e uomini hanno emesso la professione che segna la loro incorporazione definitiva ai Memores Domini, l’associazione che riunisce laici di Comunione e Liberazione chiamati a vivere il proprio lavoro come «luogo della memoria di Cristo», a praticare i consigli evangelici di obbedienza, povertà e verginità e a farlo abitando insieme, in piccole comunità.

Questo rito che da tradizione avviene nel corso del ritiro spirituale di inizio Avvento, per due anni non si è tenuto a causa della situazione interna all’associazione, con divisioni e tensioni che hanno portato dopo una serie di passaggi al suo “commissariamento”, lo scorso settembre, con la nomina da parte del Papa dell’arcivescovo di Taranto Filippo Santoro quale suo delegato speciale con pieni poteri e del gesuita Gianfranco Ghirlanda quale assistente per le questioni canoniche.

I nuovi Memores Domini provenienti da 7 Paesi (40 dall’Italia, 4 dal Brasile, 3 dalla Spagna, 2 dall’Argentina, 1 rispettivamente da Colombia, Kazakistan, e Portogallo) hanno ricevuto un messaggio speciale del Papa, consegnato a Santoro, che suona come un incoraggiamento in una delicata fase di transizione.

«Saluto tutti i membri dell’Associazione e soprattutto voi, cari giovani, che vi accingete a compiere un passo così importante» scrive Francesco all’inizio della sua missiva, disponibile sul sito ufficiale di Cl, «so che da lungo tempo attendete questo evento, che giunge ancor più desiderato dopo il travaglio vissuto dall’Associazione negli ultimi anni». «Don Giussani amava dire che con la forma stessa della vostra vita gridate a tutti che Cristo è l’unico per cui valga la pena di vivere – scrive sempre il Papa – la professione perciò rafforza la vostra presenza missionaria nelle realtà ordinarie della vita, nei diversi ambiti di lavoro e della società, nelle periferie esistenziali delle città e dei tanti Paesi da cui provenite. Siete laici e missionari, in perfetta linea con il mandato evangelizzatore proveniente dal Battesimo».

«Come ho avuto modo di manifestare in varie occasioni – continua il Pontefice – nutro grande stima per il carisma dei Memores Domini e sono vivamente grato allo Spirito Santo che lo ha suscitato». Così «in queste circostanze, cari giovani, la vostra professione assume un significato particolare: è segno di predilezione per voi da parte del Signore, ma anche espressione della vostra rinnovata fiducia nei confronti della Chiesa, che accoglie e accompagna il vostro carisma perché, docile allo Spirito e obbediente alla sua Sposa, porti frutti di apostolato e di santità nel mondo. Possiate dunque riconoscere e promuovere quell’unità concorde che, sola, rende bella e feconda la testimonianza».