Auguri «L’anno nuovo ci renda capaci di essere artigiani di pace»

Il testo integrale del messaggio di fra Marco Moroni, OFMConv, custode del Sacro Convento di San Francesco in Assisi. Un invito alla speranza e all’impegno in questo tempo di violenza e ingiustizia

Auguri da Assisi

Auguri da Assisi – Ansa – da avvrnire.it

Viviamo dei giorni, un tempo, contraddittori. Siamo nei giorni di Natale, la festa dell’incontro tra Dio e il suo popolo, la festa della fraternità fra gli uomini, la festa delle luci che risplendono nella notte, simbolo di quella luce – Cristo – che illumina ogni uomo e che per sempre ha donato a tutti quelli che lo accolgono nel cuore il calore e la gioia di scoprirsi amati, perdonati, in maniera incondizionata e infinita, come veri figli di quel Padre che sempre tutto dona e tutti accoglie. Eppure sono i giorni della guerra, delle città e dei villaggi dell’Ucraina in blackout per i continui bombardamenti delle infrastrutture energetiche; dell’odio fratricida che nell’est europeo come in tante altre parti del mondo continua a diffondere l’efficacia di quell’assioma tanto antico quanto crudele: mors tua, vita mea. Tra l’altro tanta ferocia è possibile anche perché in fondo gli artefici di queste continue distruzioni non hanno nessuna esperienza del dolore dei feriti, delle lacrime dei bambini, dello strazio dei morenti e dei superstiti dei bombardamenti. Non possiamo poi dimenticare la barbarie degli abusi sui bambini, della sistematica violenza sulle donne (e non solo purtroppo dove c’è la guerra, ma anche nelle nostre “pacifiche” città e campagne…) e l’aggressività fisica e verbale con cui siamo confrontati ogni giorno, nelle famiglie, come nel vicinato, nei condomini, nelle relazioni professionali, familiari, istituzionali, ecc. Questa non è pace, questo non è Natale, questa non è la promessa di Dio per l’umanità.

La cosa tuttavia che però più di tutte ci rattrista è assistere al contagio del male che – come, anzi peggio del pernicioso virus covid-19 – si diffonde e mette radici nei cuori e nelle menti delle persone, perfino di quelle comuni, delle vittime come anche dei soli spettatori, più o meno conquistati alla causa di una parte… La guerra infatti spegne l’amore nel cuore e lo sostituisce con il rifiuto e con la convinzione che – grazie all’eliminazione dell’altro – saremo più felici, la nostra vita sarà migliore, perché è l’altro il nemico, il cattivo, colui che ha tutti i torti e le colpe… E si tratta di un’esperienza che molti di noi fanno, anche se siamo lontani migliaia di km dalle bombe e dai missili. Cominciamo anche noi facilmente a sognare che quelli che riteniamo cattivi debbano in qualche modo essere umiliati, eliminati, resi impotenti e pensiamo che tutto questo alla fine lo si possa chiamare giustizia.

Questa invasione dell’Ucraina in particolare è una cosa tanto complessa; come ci ha detto papa Francesco, è la guerra mondiale a pezzi. E una guerra mondiale non finisce in pochi mesi purtroppo. Chissà cosa ci aspetta, cosa aspetta il nostro mondo nei prossimi mesi, nei prossimi anni… A cosa dovremo assistere ancora prima che gli uomini abbiano il coraggio di fermarsi e di dire: è troppo, non ha più nessun senso…

Ora, di fronte a tutto ciò sembra che il Natale non sia che una fiaba, che lascia buoni sentimenti e invita a essere più buoni, accoglienti, pazienti o piuttosto un mito, che serve a spiegare l’origine della festa – pressoché commerciale e culinaria.

Oppure il Natale – ed è ciò che la fede ci comunica – è festa perché ci fa fare ancora una volta esperienza che Dio non smette mai di credere in noi, nell’umanità, al punto di farsi uno di noi per essere il fermento di queste donne e uomini che si rinnovano non in base alle loro capacità individuali, ma riconoscendo di essere perduti senza gli altri, senza ogni altro. Il punto di partenza che il Natale di Gesù ci apre è proprio il riconoscimento che abbiamo un grande desiderio – sincero – di amicizia, pace, intesa, ma non siamo capaci, non ci riusciamo, ricadiamo sempre – in un modo o nell’altro, qualche volta in modo molto violenti – nell’esclusione, nel dire: “…senza di lui, senza di lei, senza di loro…, contro di lui, contro di lei, contro di loro”. Riconoscere questa realtà è l’inizio del grido della salvezza, che si accoglie e non si fa. Un grido che – se credenti – rivolgiamo a Dio e – insieme a ogni altro uomo e donna di buona volontà – ci rivolgiamo reciprocamente, perché la pace è artigianale – non ci sono ricette – e si edifica solo insieme, camminando insieme. E paradossalmente da questo punto di vista il cammino stesso è quasi più importante della meta, perché senza cammino non si raggiungerà mai la meta.

San Francesco, in questo senso, è una grande fonte di ispirazione, perché è stato un grande artigiano di pace e riconciliazione nei suoi incontri e nei viaggi. Le fonti, per esempio, lo ricordano predicare il perdono nelle città del suo tempo, travagliate spesso da faide familiari o da conflitti politici intestini. Egli sapeva però che accanto alla preghiera e alla predicazione era poi spesso necessario offrire anche lo spazio per il dialogo, il confronto, che trasformasse le iniziali disponibilità di rappacificazione in un cammino comune di alleanza e sostegno reciproci: un cammino insieme. Ispirandoci proprio a san Francesco, noi frati desideriamo continuare a camminare come fraternità e come fratelli di ogni uomo e donna di buona volontà, che desiderano pace, riconciliazione, giustizia, per sostenerli con la nostra preghiera e soprattutto con la nostra amicizia. Nessuno – e men che meno noi frati – pare abbia la soluzione ai grandi e piccoli (ma talora non meno crudeli) drammi della convivenza umana, dalla violenza domestica – fisica e psicologica – alla ferocia della guerra. Possiamo e desideriamo però condividere con tutti il tesoro che la storia e la provvidenza ci ha affidato: san Francesco stesso, fratello universale, colui che per primo ha fatto la pace mettendo a tacere i demoni del suo cuore, proprio attraverso l’incontro con gli altri, soprattutto con gli scartati, e si è messo a servizio della riconciliazione ponendosi all’ultimo posto, senza rivendicare privilegi, vantaggi o ricompense.

Questa guerra mondiale è una realtà complessa in cui vediamo da un lato anche tanta luce di eroismo, forza, resilienza, onestà, ma anche fitte tenebre di bassezza, crudeltà, barbarie. Ha un’origine lontana e la sua stessa genesi è stata molto articolata. Certo coinvolge – magari anche solo per le sue conseguenze economiche – anche la vita delle nostre città e famiglie; tuttavia peggio ancora è il rischio di abituarci anche alla guerra, limitandoci a dire di tanto in tanto: “poveri bimbi!”…

Dio ce ne scampi! Che non piombi su di noi – come singoli e come società – la disgrazia dell’indifferenza e della superficialità!

Aiutiamoci insieme, piuttosto, nel nome di san Francesco – colui nel cui volto vediamo riflessa l’immagine della bontà stessa di Gesù, nato per noi – a non abituarci al male, all’ingiustizia, alla crudeltà. Si tratta di custodire il cuore inquieto, desideroso di pace vera – che è inseparabile dalla giustizia, diceva san Giovanni Paolo II – per tutti, per le vittime come anche per i responsabili, e di non perdere nessuna occasione. Non perdere l’occasione di condividere in solidarietà – con chi ha bisogno, con chi piange, con chi ha perso la speranza… –, di chiedere allo Spirito santo di continuare – tenacemente e magari per lo più invisibilmente – a operare nelle coscienze delle persone e, soprattutto, di cercare di vivere in prima persona la pace come stile.

Aiutiamoci insieme a cercare di resistere alla tentazione dell’offesa facile e gratuita (perché non c’è nulla che giustifichi il calpestare la dignità altrui) e della menzogna utile a proteggere i propri interessi (perché gli altri hanno diritto a poter credere alla nostra parola); aiutiamoci a essere gentili (perché la cortesia è il calore che riscalda ogni situazione difficile), a compiere gesti di servizio e attenzione gratuita verso chi ci è accanto o entra in qualche modo in relazione con noi.

Non possiamo “spegnere” la guerra con un pulsante, ma possiamo allenarci a vivere la pace e favorire il buon contagio che – speriamo – con il tempo arrivi lontano. Il vaccino contro la guerra siamo noi, se crederemo in ogni uomo e donna come fa lo stesso Dio, come ha fatto san Francesco.

Di cuore, allora, da parte di noi frati della basilica di Assisi, a voi sorelle e fratelli tutti, un felice anno nuovo riscaldato dall’amore e dall’attenzione che ognuno di noi saprà investire nelle relazioni che vive.

Auguri

Buon anno

fra Marco Moroni, OFMConv, custode del Sacro Convento di San Francesco in Assisi

 

Perché farsi gli auguri (e non solo per galateo)

«Auguro a te e famiglia… ». A Natale, ecco il rischio tremendo di banalizzare gli auguri riducendoli a una stanca litania senza contenuto. C’è un modo per ravvivare questo scambio di buoni auspici? Sì, basta pensare ai pacchi dei regali chiusi in carte diverse e multicolori messi ogni anno sotto lo stesso albero di Natale o accanto al medesimo presepe. Albero e presepe sono uguali ogni anno, ma i regali sono sempre diversi. Significa che abbiamo visto quella persona sotto una luce nuova, scoprendo qualcosa che non avevamo visto prima.

Il primo vero regalo è quello immateriale ma solido e realissimo del nostro pensare a quella persona, del lasciare che occupi un certo spazio nella nostra anima, nel nostro cuore e nella nostra memoria. Per fare ciò non occorre fare chissà che, ma è indispensabile prendersi del tempo. In questo modo affiorerà alla superficie della nostra consapevolezza un gesto sincero dell’anno trascorso, una stretta di mano in più, quella volta in cui abbiamo accettato un incontro che magari inizialmente ci pesava un po’ ma che poi si è risolto in maniera felice. Il tempo che dedichiamo a scegliere il modo di augurare Natale è il primo vero dono che facciamo a quella persona. Se non lo facciamo, qualsiasi frase suonerà falsa, ‘copia- incollata’.

Una volta non era così ma oggi come oggi dedicare tempo a una persona è il modo più vero di amarla. Agli amici dedichiamo tempo, non c’è dubbio. Magari accade di tanto in tanto ma anche se fosse una solo volta l’anno, quello degli auguri natalizi, il tempo è tutto. Scegliamo che sia così. Proprio questo è l’elemento decisivo per rispondere alla domanda su come riuscire a fare degli auguri di qualità, non banali. Dimmi a cosa dedichi il tuo tempo, e ti dirò qual è la tua scala di valori. Mentre per l’uomo è possibile esercitare un certo dominio sullo spazio, non è possibile fare altrettanto con il tempo. Mentre il movimento nello spazio è reversibile (posso andare e tornare da un posto), quello nel tempo è assolutamente irreversibile: in realtà, non si può ‘tornare’ dal passato o ‘andare’ verso il futuro. Si può solo vivere nel presente. Possiamo dilatare il nostro spazio esistenziale comprando case, terreni, e spostandoci più velocemente con i mezzi di trasporto; internet e i telefonini ci permettono di crederci un po’ ‘dèi’ rispetto al «qui», ma rispetto all’«ora» siamo inchiodati. Il tempo è lo spazio in cui realizzo la mia vita, «ci realizziamo» adesso e solo adesso. Il tempo è una morsa da cui nessuno di noi può sfuggire. Per questo dedicare tempo a una persona è il modo più vero di amarla.

Come si ringrazia a degli auguri di Natale? Non bisogna dimenticare la cosa più ovvia: si ringrazia ‘ringraziando’. Pare poco e ovvio ma non è scontato. Quando si ricevono gli auguri di Natale magari accompagnati da un dono, la prima cosa da fare non è pensare a come contraccambiare. Quello potrebbe essere solo baratto. E, se lo si sentisse come un obbligo doveroso, rischierebbe di far pensare addirittura al rapporto mafioso. Un semplice ‘grazie’ detto con il cuore vuol dire riconoscere di essere stati all’interno di relazioni non solo buone ma anche belle, umana, e implica la promessa di ricambiare, di fare qualcosa del genere quando ci sarà possibile. In questo modo anche il semplice farsi gli auguri diventa un dono, forse anche il più prezioso.

Avvenire

Tanti auguri scomodi

Carissimi, non obbedirei al mio dovere di vescovo se vi dicessi “Buon Natale” senza darvi disturbo. Io, invece, vi voglio infastidire. Non sopporto infatti l’idea di dover rivolgere auguri innocui, formali, imposti dalla routine di calendario. Mi lusinga addirittura l’ipotesi che qualcuno li respinga al mittente come indesiderati.

Tanti auguri scomodi, allora, miei cari fratelli!

Gesù che nasce per amore vi dia la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte verticali e vi conceda di inventarvi una vita carica di donazione, di preghiera, di silenzio, di coraggio. Il Bambino che dorme sulla paglia vi tolga il sonno e faccia sentire il guanciale del vostro letto duro come un macigno, finché non avrete dato ospitalità a uno sfrattato, a un marocchino, a un povero di passaggio.

Dio che diventa uomo vi faccia sentire dei vermi ogni volta che la vostra carriera diventa idolo della vostra vita, il sorpasso, il progetto dei vostri giorni, la schiena del prossimo, strumento delle vostre scalate.

Maria, che trova solo nello sterco degli animali la culla dove deporre con tenerezza il frutto del suo grembo, vi costringa con i suoi occhi feriti a sospendere lo struggimento di tutte le nenie natalizie, finché la vostra coscienza ipocrita accetterà che il bidone della spazzatura, l’inceneritore di una clinica diventino tomba senza croce di una vita soppressa.

Giuseppe, che nell’affronto di mille porte chiuse è il simbolo di tutte le delusioni paterne, disturbi le sbornie dei vostri cenoni, rimproveri i tepori delle vostre tombolate, provochi corti circuiti allo spreco delle vostre luminarie, fino a quando non vi lascerete mettere in crisi dalla sofferenza di tanti genitori che versano lacrime segrete per i loro figli senza fortuna, senza salute, senza lavoro.

Gli angeli che annunciano la pace portino ancora guerra alla vostra sonnolenta tranquillità incapace di vedere che poco più lontano di una spanna, con l’aggravante del vostro complice silenzio, si consumano ingiustizie, si sfratta la gente, si fabbricano armi, si militarizza la terra degli umili, si condannano popoli allo sterminio della fame.

I Poveri che accorrono alla grotta, mentre i potenti tramano nell’oscurità e la città dorme nell’indifferenza, vi facciano capire che, se anche voi volete vedere “una gran luce” dovete partire dagli ultimi.

Che le elemosine di chi gioca sulla pelle della gente sono tranquillanti inutili.
Che le pellicce comprate con le tredicesime di stipendi multipli fanno bella figura, ma non scaldano.
Che i ritardi dell’edilizia popolare sono atti di sacrilegio, se provocati da speculazioni corporative.

I pastori che vegliano nella notte, “facendo la guardia al gregge”, e scrutano l’aurora, vi diano il senso della storia, l’ebbrezza delle attese, il gaudio dell’abbandono in Dio. E vi ispirino il desiderio profondo di vivere poveri che è poi l’unico modo per morire ricchi.

Buon Natale! Sul nostro vecchio mondo che muore, nasca la speranza.

+ Tonino Bello

(testo pubblicato nel libro Alla finestra la speranza, lettere di un vescovo. Edizioni Paoline, 1988. Don Tonino Bello è nato ad Alessano, il 18 marzo 1935. E’ morto a Molfetta, dove è stato vescovo, il 20 aprile 1993)