Le sfide di Papa Francesco

Il gesto di rinuncia di Benedetto XVI è di quelli dirompenti, la cui lezione va certamente al di là della cronaca di qualche settimana. Si tratta di un atto che farà passare alla storia papa Ratzinger: con il paradosso che il Papa-teologo, la cui forza è stata tutta nella parola detta e scritta, venga invece ricordato per un gesto silente che, però, dice più di mille parole. Esso ha il valore di un’autentica e raffinata lezione di ecclesiologia. Dice che quello petrino è un ministero, un servizio alla Chiesa e per la Chiesa: niente di più, ma anche niente di meno. Per questo, esso può venir svolto fintanto che chi è stato chiamato a svolgerlo ha le forze e le energie per farlo. Quando queste vengono meno, è giusto e talvolta doveroso farsi da parte, perché la Chiesa non venga privata di quel servizio. Così come è giusto e a volte doveroso, per una parrocchia, che il parroco cessi di presiederla quando è ormai, per un motivo o per l’altro, incapace di farlo. Si tratta di un fatto che non va troppo frettolosamente archiviato, anche quando s’intende domandarsi quali sfide attendono il nuovo Papa e che cosa ci si debba aspettare da lui. Ci possono essere esagerazioni nel rapportarsi alla figura e al servizio del Papa: sia quando la si esalta e ci si fa scudo per portare avanti le “proprie idee” o “le proprie battaglie” a discapito delle ragioni o delle sensibilità di altri fratelli cristiani; sia quando s’invoca riforma e si nutrono aspettative, che possono sembrare disumane. Nell’uno e nell’altro caso, ci si dimentica che chiunque riveste quel ruolo è – se mi è concesso esprimermi così – “solo il Papa”: non è Dio, cioè; e non è neppure tutta la Chiesa. Né deve esserlo.

Il quadro che il pittore Sergio Favotto ha dedicato espressamente per VP.

Il quadro che il pittore Sergio Favotto ha dedicato espressamente per VP.

Potrebbe essere importante, pensando al futuro, attendersi anzitutto da Papa Francesco che ci aiuti a interiorizzare, con una presenza semplice e umile, quel che l’ultimo gesto di papa Ratzinger ha rimesso in evidenza: la figura del Papa non può venire sacralizzata; e guardare alle sue responsabilità non può significare disattendere le nostre. Siamo, come cristiani, tutti semplicemente discepoli di Cristo: non c’è ruolo, nella Chiesa, che ce lo deve far dimenticare; così come non c’è compito che ci può impedire di realizzarlo. Si tratta di una lezione evangelica, che il Vaticano II ha rimesso in evidenza e che forse, in questi ultimi anni, può essere stata da molti dimenticata. Anche perché, nel tempo della complessità, la via di rifugiarsi dietro le parole del Papa o, peggio, nella sua imitazione può essere apparsa a molti una scorciatoia appetibile. Può fare del bene, in tal senso, la radicalità delle parole che Papa Francesco, all’indomani della sua elezione, ha pronunciato nella prima omelia, quando ha ricordato che si può essere «vescovi, preti, cardinali, papi, ma non discepoli del Signore».

Papa Francesco nella foto dell'elezione del 13 marzo 2013 (foto ANSA / KAPPELER).

Papa Francesco nella foto dell’elezione del 13 marzo 2013 (foto ANSA / KAPPELER).

Ciò detto, non può essere taciuto che, per quel che è in suo potere di fare, dal nuovo Papa ci si può attendere qualcosa d’importante. Anzitutto, che metta come priorità assoluta l’annuncio e la testimonianza del Dio di Gesù Cristo. Nel mondo occidentale non è ormai più scontato essere cristiani; e sapere come annunciare il Vangelo nel tempo della secolarizzazione e della fine della cristianità è questione centrale, che resta in massima parte ancora da pensare. In altri Paesi, le sfide provenienti dalle diverse sètte chiedono probabilmente la stessa prioritaria attenzione. Proprio a tal fine è quanto mai urgente che si metta mano a un’autentica riforma della Chiesa. Con il Vaticano II si era intravista la possibilità di realizzare una collegialità dei vescovi con il Papa. Le modalità secondo cui potrebbe concretamente attuarsi possono essere diverse. Ma quel che sembra fondamentale è che il Papa non sia isolato nel suo ministero, che sia realmente affiancato dai vescovi, che senta attraverso di loro quali sono le urgenze della Chiesa e che cosa i cristiani pensano e dicono; e possa così scegliere, nel confronto con loro, che cosa è bene fare. Ciò è fondamentale per tutto quel che concerne la vita della Chiesa; ma anzitutto, in vista dell’annuncio di Dio. Infatti, in un mondo così complesso, non si può più pensare che l’evangelizzazione possa passare per una formula catechistica valida allo stesso modo per tutti. Sarà indubbiamente diverso ciò che è richiesto in continenti in cui il cristianesimo è giovane e quel che è richiesto nell’Europa secolarizzata. Solo un’autentica collegialità può essere in grado di affrontare questa come altre enormi sfide che ci stanno davanti.

Ma perché questa riforma sia radicale, sarà necessario riprendere a tutti i livelli delle possibilità di dialogo autentico nella Chiesa: senza paure e senza pregiudizi di sorta. La complessità delle scelte pastorali da compiere e del mondo in cui si vive, così come la consapevolezza che la Chiesa non solo non è fatta di soli preti ma neppure di soli uomini (maschi), domandano che ci sia un reale spazio di dialogo, di confronto e di discussione tra tutti i cristiani. Uno spazio importante anche per ridare il posto che le spetta alla teologia e a quanti esercitano questo ministero fondamentale nella Chiesa. E uno spazio che, solo, può far sì che i vescovi esercitino una collegialità che rappresenti davvero la vita reale delle Chiese e dei cristiani. Uno spazio da pensare e, forse, anche da “inventare”. Ma che è più importante ancora di tutte le questioni di cui trattare e da mettere “in agenda”. Perché dice che, di qualunque questione si tratta, ciò che è da ricercare è che non venga soffocata la voce di nessuno: solo così, infatti, possiamo ascoltare che cosa lo Spirito ha da dire alla Chiesa. E perché dice che nella Chiesa ognuno (fosse anche il Papa) ha sempre da rendere conto al suo fratello: in una forma che scardina dall’interno la perversità del potere. Cosa che il gesto semplice e immediato del vescovo di Roma Francesco, che si è chinato davanti al popolo per chiedere preghiera ci ha permesso di ricordare e gustare.

Roberto Repole
presidente dell’Associazione teologica italiana in Vita Pastorale Aprile 2013