Annunciazione di Artemisia Gentileschi non è solo l’opera di una grande artista ma manifesta un’espressione di fede che non si può esprimere se non lo si possiede

Artemisia Gentileschi, "Annunciazione" (1630),  particolare

Se non siete mai stati al Sacro Monte di Varese, è ora di rimediare. Potete farlo in qualunque momento, senza orari né prenotazioni. Quelle cappelle, patrimonio dell’Unesco, ci aspettano da quattrocento anni. Lungo la salita si dispongono le cappelle, vere chiesette, chicche architettoniche a gara di bellezza, e ognuna contiene, come un palco teatrale, un mistero del rosario raffigurato con statue e affreschi a grandezza naturale. Guardiamo la prima scena, l’Annunciazione. Una stanza con le pareti in cotto, con il focolare, le mensole, la cassepanche, un letto a baldacchino, le scarpe di Maria messe in ordine ai piedi del letto. Maria sta pregando su un inginocchiatoio quando all’improvviso irrompe l’arcangelo Gabriele sopra un mucchietto di nuvole, con una mano le offre il giglio della purezza e innalza l’altra in segno di saluto ma anche per indicare lo Spirito Santo, una colomba di bronzo pronta a scendere. «Rallegrati, piena di grazia!». Maria fa appena in tempo a mostrare il suo stupore quando la scena si ferma, si congela, si paralizza per sempre.

Oggi non è permesso, ma si potrebbe entrare in questa stanza e muoversi in questo mondo virtuale, in quest’ologramma di altri tempi. Noteremmo che un felice restauro ha ridato morbidezza a tutta la scena, e vivremmo quasi nella realtà di un momento che è stato vero, non di una storia raccontata. Era questo l’intento dei sacri monti, proporre a tutti una spiritualità contemplativa, «visiva», che si sente parte attiva dei misteri.

Autore delle statue, e dell’ordinamento della scena, fu Cristoforo Prestinari nel 1610. Certo i sacri monti hanno un’anima teatrale, «il gran teatro montano», li chiamava Testori. E nel teatro lo spettatore rimane fuori. Più di così non si poteva fare. Ma il Seicento feroce, il Seicento visionario aveva ancora ben altro in serbo. Un salto enorme dalla devozione alla grande arte. O meglio, la devozione espressa dalla grande arte. Ci riuscirono in pochi, ma accidenti se ci riuscirono!

Voglio parlarvi di un dipinto che ritengo un vertice della pittura di tutti i tempi: l’Annunciazione di Artemisia Gentileschi, esposta in questi giorni alle Gallerie d’Italia di Napoli ma la sua casa è il Museo di Capodimonte. Ha fatto poca strada. Si può stare le ore a guardare questa genialità del 1630. Poche volte la nostra pittura ha raggiuto una tale compenetrazione col soggetto, una simile espressione di ciò che è inesprimibile, tanta equilibrata bellezza. Qui vengono superate le sottigliezze del padre Orazio, s’impone l’irresistibilità e perfino la brutalità della forza di questa donna.

Siamo in uno spazio buio, in questo senso caravaggesco. Dall’angolo superiore sinistro irrompe una luce soprannaturale con lo Spirito Santo che scende, anzi punta in picchiata, le ali raccolte all’indietro. Magicamente illuminato da qualche altra fonte di luce, davanti a noi emerge l’angelo con un ginocchio a terra. Un giovane leggermente femmineo con una tunica giallo indiano (il giallo di Artemisia) che scende fino a terra piegandosi in affascinanti giochi di luce e semiluce. Allarga entrambe le braccia – l’abbondante camicia arrotolata fino ai gomiti – a formare un arco. Con una mano indica lo Spirito che discende, con l’altra regge il giglio della purezza. Maria, ci racconta, intatta la sua verginità, sarà madre per opera dello Spirito Santo. L’arco delle braccia dell’angelo si prolunga idealmente nel corpo curvo di Maria e nel drappeggio oscuro a formare un ovale. O forse un grembo. La Madonna è arretrata di un piano. S’inchina umilmente con una mano sul petto ma con l’altra sollevata nella domanda: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo? Insomma, io avevo altri piani con Dio e… non capisco. Dovrei lasciar perdere?». «No, Maria, Dio è più grande di noi e ne sa più di noi, e ti farà madre per opera dello Spirito Santo, non di un uomo. Guarda lassù». Maria, pur nel turbamento, comincia a capire. «Il tuo figlio non sarà un bambino come gli altri, sarà santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio».

San Bernardo scrisse nottetempo, per non togliere nulla alla sua intensa attività, le famose omelie sulla Madonna. E in una di esse immagina quel momento di sospensione trepida tra l’annuncio dell’angelo e il sì di Maria. In tono appassionato si rivolge alla Vergine: «Hai sentito, o Vergine, il fatto; hai sentito anche il modo. […] Fa’ che anche noi possiamo sentire da te l’annuncio gioioso che desideriamo. […] L’angelo aspetta la tua risposta: ormai è tempo che egli ritorni a colui che lo ha mandato. Stiamo aspettando anche noi, o Signora, la tua parola di compassione, noi che siamo miserabili sotto il peso di una condanna. Ora, ecco che ti è offerto il prezzo del nostro riscatto: se vi acconsenti, noi saremo immediatamente liberati. Siamo stati tutti creati nell’eterno Verbo di Dio, eppure stiamo morendo; nella tua breve risposta sta la nostra guarigione, la nostra vita». Allora Maria si portò la mano al petto, a quel cuore che batteva all’impazzata, e disse: «Io ho sempre cercato di fare la volontà di Dio. Lo farò anche questa volta. Ecco l’ancella del Signore, avvenga in me come tu dici».

Artemisia era così fiera di questo quadro che lo firmò in modo visibilissimo su un cartiglio: « Artemisia Gentilescha f[ecit] 1630». Tutta la critica è concorde nell’affermare che l’opera rappresenta il punto più altro del periodo partenopeo della pittrice. La presenza di Artemisia a Napoli, ultima tappa della sua carriera, è attestata tra il 1630 e il 1654, interrotta da una parentesi a Londra tra la primavera del 1638 e quella del 1640. A Napoli morì e fu sepolta nella chiesa di San Giovanni dei Fiorentini. Oggi la sua tomba e la sua lapide sono andate perdute.

Di Artemisia si è scritto tanto ultimamente. Limitiamoci perciò a segnalare ciò che la produzione napoletana rende ovvio: siamo di fronte a una donna con la professionalità, l’imprenditorialità e la capacità di lavoro che potevano avere i migliori pittori dell’epoca. E con una qualità pittorica molto spesso superiore. La vediamo, donna fortissima, nelle vesti di santa Caterina d’Alessandria in un autoritratto recentemente acquisito dalla National Gallery di Londra. O in quello come allegoria della pittura, e altri dipinti in cui si ritrae, determinata ma con un velo di malinconia. Si è troppo insistito sul processo per stupro subito in giovane età. Brutta cosa che il processo lo affronti la vittima anziché l’aggressore, che restò a piede libero, complice anche la viltà di papà Orazio. Ecco la ragione, si dice, per cui Artemisia dipinge tanto volentieri le eroine bibliche e pagane e arriva a un realismo inquietante nel soggetto di Susanna insidiata dai vecchioni.

Sarà, ma non si può ridurre a una pattina psicanalitica la complessa personalità della donna. Innanzitutto, appunto, era una donna e si doveva guadagnare qualunque cosa. Niente privilegi, nulla scontato, semmai il contrario. E riusciva al meglio quando poteva infondere nelle sue donne quel tono orgoglioso, fiero, sicuro di sé. In questa Annunciazione non c’è l’effigie di Artemisia, ma c’è ben di più, un’espressione religiosa che non si può improvvisare se non la si possiede. La sua fortezza veniva anche da questa fede, salda malgrado le traversie che la vita le impose, non solo quella giovanile. Avrà guardato il quadro finito, sorpresa di se stessa. La sua opera era andata aldilà delle sue intenzioni, aveva dipinto quel giorno in cui è cambiata la storia.

avvenire.it

 

 

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Vangelo 25 Marzo 2023 Annunciazione del Signore

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 1,26-38

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

Parola del Signore.

Festa dell’Annunciazione: lunedì 4 Aprile la S. Messa ore 19 in S. Stefano

Lunedì 4 aprile, festa dell’Annunciazione e, quindi, della Madonna, vedrà in San Stefano una liturgia celebrata con particolare cura e solennità alle ore 19.

«La “Madonna di Marzo” – scrive Maria Urbani – è detta la festa dell’Annunciazione. Festa, che  celebra il “sì” di Maria all’annuncio misterioso dell’angelo Gabriele che ha permesso al figlio di Dio di incarnarsi per la salvezza di tutti gli uomini ed è pertanto alla radice della storia cristiana. Quest’anno la ricorrenza è stata spostata al 4 aprile, perché il 25 marzo coincideva con il Venerdì Santo.

Annunciazione del Signore 25 marzo

Festa del Signore, l’Annunciazione inaugura l’evento in cui il figlio di Dio si fa carne per consumare il suo sacrificio redentivo in obbedienza al Padre e per essere il primo dei risorti. La Chiesa, come Maria, si associa all’obbedienza del Cristo, vivendo sacramentalmente nella fede il significato pasquale della annunciazione. Maria è la figlia di Sion che, a coronamento della lunga attesa, accoglie con il suo ‘Fiat’ e concepisce per opera dello Spirito santo il Salvatore. In lei Vergine e Madre il popolo della promessa diventa il nuovo Israele, Chiesa di Cristo. I nove mesi tra la concezione e la nascita del Salvatore spiegano la data odierna rispetto alla solennità del 25 dicembre. Calcoli eruditi e considerazioni mistiche fissavano ugualmente al 25 marzo l’evento della prima creazione e della rinnovazione del mondo nella Pasqua. (Mess. Rom.)

Martirologio Romano: Solennità dell’Annunciazione del Signore, quando nella città di Nazareth l’angelo del Signore diede l’annuncio a Maria: «Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo», e Maria rispondendo disse: «Ecco la serva del Signore; avvenga per me secondo la tua parola». E così, compiutasi la pienezza dei tempi, Colui che era prima dei secoli, l’Unigenito Figlio di Dio, per noi uomini e per la nostra salvezza si incarnò nel seno di Maria Vergine per opera dello Spirito Santo e si è fatto uomo.

Per la festa dell’Annunciazione invito a leggere due brani del Trattato della Vera Devozione alla Santa Vergine Maria di San Luigi Maria Grignion de Montfort (1673-1716). Primo brano: i veri devoti della Santa Vergine “avranno una singolare devozione per il grande mistero dell’Incarnazione del Verbo, il 25 marzo, che è il mistero proprio di questa devozione, perché questa devozione è stata ispirata dallo Spirito Santo: 1) per onorare e imitare la dipendenza ineffabile che Dio Figlio ha voluto avere da Maria, per la gloria di Dio Padre e per la nostra salvezza, dipendenza che appare particolarmente in questo mistero in cui Gesù Cristo è prigioniero e schiavo nel seno della divina Maria e in cui dipende da lei in tutte le cose; 2) per ringraziare Dio delle grazie incomparabili che ha fatto a Maria e particolarmente di averla scelta come sua degnissima Madre, scelta che è stata fatta in questo mistero” (cap. VIII).
Secondo brano: “Poiché il tempo non mi permette di fermarmi a spiegare le eccellenze e le grandezze del mistero di Gesù vivente e regnante in Maria, o dell’Incarnazione del Verbo, mi limiterò a dire in poche parole che abbiamo qui il primo mistero di Gesù Cristo, il più nascosto, il più elevato e il meno conosciuto; che è in questo mistero che Gesù, d’accordo con Maria, nel suo seno, che è per questo chiamato dai santi «la sala dei segreti di Dio», ha scelto tutti gli eletti; che è in questo mistero che ha operato tutti i misteri della sua vita che sono seguiti, per l’accettazione che ne ha fatto: «Entrando nel mondo Cristo dice: Ecco, io vengo per fare la tua volontà» (Eb 10,5.7); e, di conseguenza, che questo mistero è un compendio di tutti i misteri, che contiene la volontà e la grazia di tutti; infine, che questo mistero è il trono della misericordia, della liberalità e della gloria di Dio” (cap. VIII).
I due testi sono collegati tra loro. In primo luogo San Luigi Maria afferma che il mistero dell’Incarnazione è il primo mistero cui i veri devoti della Santa Vergine devono rivolgere la loro attenzione. In secondo luogo, sostiene che il mistero della vita segreta di Gesù in Maria è il mistero che contiene tutti gli altri misteri, il punto di partenza per tutte le meraviglie della sua vita.
Analizziamo il primo testo e quindi il secondo.
Il Trattato della Vera Devozione alla Santa Vergine secondo me è un testo profetico per quanto afferma sui misteri e sulla devozione a Nostra Signora. Annuncia verità profonde che saranno approfondite solo in un’epoca futura di fioritura della Chiesa e quindi della teologia, che lo stesso santo chiama “Regno di Maria”. Oggi il significato delle sue parole non può ancora essere pienamente compreso. Per esempio, chi oserà dire di aver capito l’affermazione secondo cui Gesù Cristo, Dio stesso, fu per un tempo “schiavo di Maria” quando viveva nel suo seno? Dopo l’Annunciazione e il sì di Maria, Nostro Signore si fece carne nel suo seno. Da allora ebbe perfetta conoscenza di sua Madre. Viveva in lei come in un monastero di clausura, in contatto esclusivo e in completa dipendenza umana dalla Madonna: la più perfetta dipendenza che si possa dare sulla Terra.
Il Verbo Incarnato, completamente consapevole fin dal primo momento della sua incarnazione, scelse di vivere all’interno di una creatura. Per sua scelta visse all’interno di questo tempio e di questo palazzo, in misteriosa relazione con Nostra Signora.
Dio manifesta la sua onnipotenza nell’Incarnazione. La manifesta anche mantenendo vergine la Madonna prima, durante e dopo il parto. L’Incarnazione è un evento così straordinario che Dio avrebbe potuto disporre perché Nostro Signore nascesse pochi giorni dopo il concepimento. Ma non lo fece. Il Signore scelse di vivere per nove mesi nel seno di Maria. Volle stabilire questa forma speciale di dipendenza da lei. Scelse di avere con lei questa profonda e misteriosa relazione dell’anima. San Luigi Maria dice che scelse di diventare suo “schiavo”: un’espressione centrale in tutta la teologia mariana del santo, che può lasciarci perplessi specialmente se la riferiamo a Gesù Cristo ma che per il santo è essenziale e che dobbiamo comprendere a fondo. Schiavo? Sì. Anzi, uno schiavo ha la sua vita, respira da solo, ha almeno libertà di movimento. Gesù volle farsi più che schiavo: accettò di dipendere interamente da Nostra Signora.
Che tipo di relazione fra le anime di Gesù e della Madonna si stabilì in quel periodo? Che tipo di unione? Di per sé, il mistero è impenetrabile. Ma, almeno per avere un punto di partenza, possiamo considerare che nel mistero dell’Incarnazione Nostro Signore assume interamente la natura umana. Vero Dio, diventa anche vero uomo. Ha un’anima e un corpo come li abbiamo noi. Nella sua umanità discende da Adamo ed Eva come noi. Ma nello stesso tempo la sua anima umana aveva – anzi ha – un’unione con Dio così stretta che Gesù Cristo è e resta una persona della Santissima Trinità. C’è una sola persona di Cristo, non due, anche dopo l’Incarnazione. Com’è possible tutto questo? È un mistero. I teologi si diffondono sulla nozione di unione ipostatica, ma non sciolgono veramente il mistero.
Considerando la sua natura divina e umana, come spiegare il grido di Gesù sulla croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. In quel momento certamente Gesù continuava a essere Dio, eppure aveva scelto di soffrire nella sua umanità un abbandono e un isolamento totale. Si sentiva completamente abbandonato nella sua umanità mentre rimaneva unito a Dio Padre e allo Spirito Santo nella sua divinità. Di nuovo, non possiamo spiegare tutto: è un mistero.
L’unione di Nostro Signore con Maria quando era nel suo seno non è naturalmente l’unione ipostatica, eppure quest’ultima ci aiuta in via analogica a capire. Se nella sua umanità Gesù poteva sentirsi abbandonato sulla croce senza compromettere la sua divinità, poteva essere come dice San Luigi Maria “schiavo” di Nostra Signora nel suo seno – s’intende, anche qui nella sua umanità. Ma rimangono molti aspetti misteriosi, su cui penso che getterà luce una teologia nuovamente capace di fiorire nel Regno di Maria, per la maggior gloria di Dio e delle anime.
Anche nell’unione mistica di Nostra Signora con ciascuno dei suoi devoti, che San Luigi Maria chiama “schiavi”, ci sono punti non ancora interamente chiariti. Eppure si tratta di qualche cosa di molto più semplice dei divini misteri dell’unione di Maria con Gesù.Se sono misteri, nessuna spiegazione li esaurisce. Possiamo dire però che la contemplazione del mistero dell’Incarnazione ci aiuta a combattere due delle principali dottrine della Rivoluzione: il panteismo e il soggettivismo.
Secondo il panteismo, tutto è uno e tutto è buono; una cosa non si distingue essenzialmente da un’altra. Tutte le creature formano una sola grande persona cosmica e collettiva. Il soggettivismo afferma che ogni persona umana è assolutamente autonoma e non ha veramente bisogno di essere unita ad altre.
La Chiesa Cattolica condanna entrambi questi errori. Afferma che ogni persona è autonoma e distinta in quanto individuo, ma che l’apertura agli altri è costitutiva e necessaria. La teologia e la filosofia spiegano come per approfondire la nozione di persona ultimamente è necessario considerare la sua relazione con Dio.
Quando la relazione di Gesù Cristo con Nostra Signora nell’Incarnazione sarà meglio compresa, si comprenderà qualcosa di più anche le pagine più misteriose dell’“Apocalisse”. È del tutto lecito pregare e sperare che un giorno sorga una nuova alba in cui gli orizzonti della teologia possano espandersi e I legami fra molti misteri, per quanto umanamente possibili, possano chiarirsi.San Luigi Maria afferma che il mistero dell’Incarnazione contiene tutti gli altri. Sappiamo che ogni giorno di festa della Chiesa porta con sé una grazia speciale. Nella giornata di oggi la prima misteriosa unione di Nostro Signore con Nostra Signore viene a noi, per così dire, con un profumo speciale.
Dobbiamo affidarci con speciale forza alla Madonna in questo giorno di festa, e chiederLe la grazia di diventare i suoi umili soggetti e “schiavi”, come fece lo stesso Bambino Gesù quando viveva nel suo seno.


Autore:
Plinio Corrêa de Oliveira


Note:
Traduzione di Massimo Introvigne -santiebeati.it

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Beato MARTINO DA PEGLI (O DA GENOVA)
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Beato CLEMENTE DA OSIMO   Religioso
+ Orvieto, 8 aprile 1291
Nacque a Osimo, (An) all’inizio del sec. XIII. Eremita della congregazione eremitica di Brettino, (PS) diverrà Agostiniano nel 1256. Provinciale della Provincia anconetana (1269) e…
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Beato DOMENICO (ITURRATE ZUBERO) DEL SS. SACRAMENTO   Sacerdote Trinitario
Dima (Vizcaya), Bilbao, 11 maggio 1901 – Belmonte (Cuenca), Spagna, 8 aprile 1927
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Beato GIULIANO DI SANT’AGOSTINO   Francescano
Medinaceli, Spagna, 1550 circa – Alcalà, Spagna, 8 aprile 1606
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Beata LIBANIA DI BUSANO   Badessa
+ Busano, Torino, 8 aprile 1064
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